Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo III/Libro III/Capo V

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Capo V – Giurisprudenza

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Capo V.

Giurisprudenza.

I. Benchè anche in quest’epoca, come nella precedente, non ci si offra giureconsulto alcuno di chiara fama, dobbiamo qui ancor nondimeno, per continuare la storia della giurisprudenza, osservare qual fosse generalmente lo stato di essa in Italia, e quali leggi servisser di norma a’ giudizii. E in ciò noi potremmo stenderci assai [p. 385 modifica]TERZO 385 lungamente, ¡se molti ciottissimi uomini non ci avcsser già prevenuto, illustrando per tal maniera (questo punto di storia, che nulla rimane che aggiugnere all’erudite loro fatiche. Io verrò dunque giovandomi delle loro ricerche, ed esporrò qui in breve ciò ch’essi hanno ampiamente provato, valendomi singolarmente di due tra loro che con singolare esattezza di ciò hanno scritto, cioè dello Struvio (Hist. Jur. rom. et goth., ec. p. 365, ec.) e del Muratori (Antiq. Ital. vol. 2, diss. 22). II I re Longobardi, come nell’epoca precedente si è dimostrato, allor quando promulgarono le loro leggi, permisero nondimeno agl’italiani lor sudditi che potessero tuttor valersi delle romane , colle quali fino a quel tempo si erano regolati. Due leggi dunque aveano allor forza in Italia, la longobardica e la romana. Ma dappoichè l’Italia cadde per la maggior parte in potere di Carlo Magno e de’ suoi successori, come da molte nazioni erano abitate queste provincie, così più altre nuove leggi vi s’introdussero. Fra le diverse nazioni che ubbidivano a Carlo Magno nella Francia e nell’Allemagna, molti vi furono che o per amore di novità, o 1)er ¿speranza di miglior sorte, vennero a stabilirsi in Italia; e vedeansi perciò in essa confusi Italiani, Longobardi, Francesi, Allemanni. Or tutti questi novelli e stranieri abitatori non era a sperare, singolarmente a’ que’ tempi, che potessero sottomettersi a leggi non loro} e convenne perciò sofferire che ognuno potesse vivere secondo la legge di sua nazione} perciocchè era finalmente male assai più leggiero l’introdurre TiiUBOscm, Voi. III. 20 n. Le diverse nazioni rii« abita vati l’Italia, professavano di v«r* M leggi. [p. 386 modifica]386 LIBRO una tale molliplicità di leggi in Italia, che il fare che tutte fossero dimenticate e neglette colf assoggettar tutti mal grado loro alla legge medesima. Quindi è che nelle carte di questi tempi noi veggiam farsi menzione della nazion di coloro di cui in esse si tratta, e della legge che essi seguivano, e sì frequenti s’incontrano quelle formole: qui professus sum ex natione mea lege vivere Longobardorum, e somiglianti; rendendosi ciò necessario, perchè sapessero i giudici secondo qual legge dovea ognuno essere giudicato. III. La nazione non era però sempre sicuro indicio a conoscere la legge cui alcuno seguisse; perciocchè i servi doveano avere la legge comun col padrone, e le mogli ancor col marito; benchè si trovino alcuni esempj in cui vedesi il marito professar una legge, un’altra la moglie. Il Muratori osserva che gli ecclesiastici sì secolari come regolari, di qualunque nazione fossero, attenevansi alle leggi romane; ma egli stesso dimostra che ciò non era sempre costante; e convien dire perciò, che fosse questo un privilegio lor conceduto, di cui potessero essi bensì, ma non dovessero necessariamente usare. Alle pruove ch’egli ne reca, un’altra sene può aggiugnere tratta dall’antica Cronaca del monastero di Farfa da lui pubblicata; perciocchè in essa veggiamo che quel monastero anche verso il fine del x secolo seguiva negli atti giudiciali le leggi de’ Longobardi (Script. rer. ital. t. 2, pars 2, p. 503). IV. Oltre queste leggi particolari e proprie a cliiasclieduna nazione, altre ve ne avea generali e comuni a tutte, quelle cioè che da’ re d’Italia [p. 387 modifica]TERZO 38y venivansi successivamente pubblicando, e che in tutte le provincie ad essi soggette doveansi accettare e seguire. Egli è vero però, come osserva il medesimo Muratori, che tali leggi non si promulgavano dai sovrani senza il consenso de’ capi della nazione; costume introdotto da prima da’ re longobardi, come ricavasi dall’esordio delle lor leggi, nel quale si fa menzione del consenso de’ giudici e de’ primari; e poscia seguito ancor da’ re Franchi, e dagli altri che lor succederono. Quindi è che veggiamo comunemente le loro leggi pubblicate nelle assemblee ossia diete che da essi tenevansi ora in Cortelona, or nelle pianure di Roncaglia, or in altro luogo. Ad esse intervenivano i più ragguardevoli tra’ signori d’Italia, ad esse proponevano i re e gl’imperadori le nuove leggi che credevano opportune al buon regolamento di queste provincie, e col munirle del loro consentimento assicuravansi non solo di non incontrare ostacolo, ma di trovare anche ajuto e sostegno nell’esigerne l’osservanza. V. Questa moltiplicità e differenza di leggi dovea riuscir gravosa singolarmente a’ giureconsulti , a’ quali conveniva necessariamente essere istruiti in tutte quelle che potevansi dalle parti seguire. Or se le sole leggi romane hanno una ampiezza sì sterminata , che per poco non opprimono col loro peso, che dovrem noi pensare di tutte le altre raccolte insieme? Ma a ben riflettere, era questa fatica minore assai che a primo aspetto non sembri. La difficoltà di trovar copie intere e compite delle leggi romane avea indotti, come osserva i! uh. Muratori, [p. 388 modifica]388 LIBRO i giureconsulti a formarne un assai breve compendio , in cui eransi raccolti precisamente gli articoli più necessarj per loro regolamento; e perciò in poco tempo poteva chiunque fosse divenire in esse perito e dotto. Le altre leggi poi, ch’erano assai più brevi, furono unite insieme, e si formarono codici che tutte le comprendessero. Tale è fra gli altri il bellissimo codice che ancor si conserva nell’archivio di questo insigne Capitolo di Modena. Esso fu scritto per ordine di Everardo duca del Friuli verso la metà del ix secolo, ed ivi si veggono unite le leggi de’ Franchi ossia la legge Salica, quelle degli Allemanni, de’ Ripuarj, de’ Bavari , popoli tutti della Germania, e quelle de’ Longobardi. E queste sono appunto le leggi che nelle carte italiane di questi tempi si trovano nominate; benché le longobardiche e le romane assai più frequentemente di tutte. VI Tal fu lo stato della giurisprudenza italiana nell’epoca in questo libro compresa. E io ho creduto di far cosa grata a’ miei lettori , accennando così in breve ciò di che i sopprallodati dottissimi uomini hanno ampiamente trattato. A che gioverebbero le fatiche di tanti eruditi scrittori , se, dappoichè essi hanno felicemente rischiarato alcun punto, chi dopo loro ritorna sul medesimo argomento, in vece di giovarsi delle loro fatiche, volesse di nuovo ritessere la tela tutta, e ripetere stucchevolmente ciò eli’ essi han detto? A me par che debbasi lode a chi cerca di moltiplicare non già i libri, ma le cognizioni.