Sui monti, nel cielo e nel mare/Lettere dal mare/Gli avventurieri dell'abisso

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Gli avventurieri dell’abisso

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Lettere dal mare - Sott’acqua Lettere dal mare - La sorpresa

[p. 307 modifica]GLI AVVENTURIERI DELL’ABISSO.

Giugno.


È l’ora più accesa del pomeriggio. Le rocce della costa nemica, che apparivano così grige e smorte, al periscopio, si sono animate sulle cime di una violenza di colore. Il «V.L.A.» scende lentamente a sud-est, fra due acque, girando un’occhiata, ogni dieci, ogni venti minuti, sulle onde percosse dal sole. Ha visto i profili della terra spostarsi a poco a poco, modificarsi gradatamente fino a che una specie di penisola è sembrata distaccarsi e avanzare solennemente, levando sul mare il bastione di una rude scogliera. Al di là, del fumo intorbida la lontananza, una bruma fulva e leggera; fumo di navi e fumo di opifici nascosti. Un semaforo biancheggia sulla estrema punta. Si è all’imboccatura di un porto. All’altra parte dell’orizzonte un’isola si allontana, azzurrastra.

Il «V.L.A.» fa le osservazioni più brevi e i tuffi più profondi. Sa che numerose vedette dall’alto delle coste a picco scrutano l’acqua alla ricerca dei sommergibili. Conosce i posti [p. 308 modifica] di guardia. Verso la sponda orientale l’Adriatico è di una limpidità meravigliosa e un sottomarino può esservi scorto facilmente nella calma.

Tutte le colorazioni sono state studiate nei varii paesi in guerra per nascondere i sommergibili alla sorveglianza del nemico, ma la luce tradisce. Il battello immerso, di qualunque colore e a qualsiasi profondità, visto dall’alto si disegna vagamente in chiaro sull’azzurro notturno dei grandi fondali. Appare come illuminato da un riflesso celeste contro alle tenebre bluastre degli abissi.

Le vedette avvistandolo fanno presto a dare l’allarme; degli idrovolanti si slanciano, delle torpediniere seguono le indicazioni degli aviatori, e intorno al sommergibile scoperto gl’inseguitori lasciano cadere possenti bombe, vere torpedini che scoppiano per effetto della pressione dell’acqua. Il sottomarino cerca di deviare e sfuggire, e scosso dalle esplosioni risuona con spaventoso fragore. Sovente è costretto a cercare l’ombra di profondità pericolose, dove tutto l’involucro d’acciaio geme al peso delle immani masse d’acqua che sovrastano. Allora non è raro sentire echeggiare nell’interno del battello dei colpi violenti come pistolettate. Sono bottoni delle giunture che saltano.

Nessun mare ha le perfidie dell’Adriatico orientale, trasparente, profondissimo, senza un [p. 309 modifica] angolo dove nascondersi, senza una baia dove sostare, senza un fondale da gettarvi l’àncora e riposarsi fra due acque, tutto barrato da rocce. Verso l’Italia invece l’Adriatico si fa torbido, opaco, ospitale, protegge il sommergibile, che non vi può essere assolutamente visto se non mostra il periscopio.

E poi, la guerra sottomarina è facile contro un nemico che naviga. Si può andare a incontrarlo per tutto. È la guerra corsara sulle grandi rotte, la caccia al largo, con l’immensità per campo d’azione. Ma contro un nemico che non si muove se non per qualche rara e pavida sorpresa, bisogna portare l’azione nelle acque territoriali, su passi obbligati, alle soglie dei porti, sfidando ogni vigilanza, ogni difesa, ogni tranello. Certi sommergibili inglesi e francesi che, dopo aver compiuto audaci missioni nel Mar di Marinara e nel Mar del Nord, prestano il loro valido concorso alle nostre forze subacquee, dichiarano che l’Adriatico presenta difficoltà incomparabili.

I sottomarini tedeschi avevano trovato un mezzo ingegnoso per scomparire quando erano visti nella trasparenza delle onde e l’inseguimento li stringeva. Lasciavano venir su un fiotto di nafta, come la seppia perseguitata lancia la nuvola d’inchiostro. Nei primi tempi l’apparizione di un po’ di nafta aveva anche la virtù di far supporre all’inseguitore che il sottomarino era colato a picco, e la caccia cessava. [p. 310 modifica] Sono fertili in ruses di guerra i tedeschi, hanno l’ingegnosità barbara, la furberia di pellirosse studiose passate per l’università. Ma ora il fiotto di nafta non basta più, il sotterfugio è scoperto, l’esperienza ha fatto conoscere la quantità di sangue che un sommergibile versa morendo, che è enorme, e la macchia nera non serve che a rivelare meglio la posizione del nemico. Il getto di nafta attira le bombe.

Il «V.L.A.» profitta dell’ora per avvicinare la costa. Le vedette hanno adesso il sole di fronte, il mare è abbagliante di riflessi, il sottomarino si sente protetto da un manto di luce. Dall’alba non ha visto una nave.

Nulla può dare un’idea dell’accasciante monotonia della lunga, attenta ricerca nella solitudine. Si finisce per avere una non so quale ossessione del deserto, un senso di esasperante oppressione, tutto appare preferibile al vuoto, al niente assoluto. Meglio il bombardamento, la persecuzione, sentirsi visti, udire il rombo delle siluranti sulla testa, affiorare in improvvisi e minacciosi silenzi con i tubi di lancio aperti, pronti a distruggere o ad essere distrutti, meglio vivere i più terribili istanti di pericolo e di ebbrezza, che l’attesa perenne e inutile, l’agguato eterno e vano.

È questo sentimento che spinge spesso i sommergibili ad ardimenti insensati. All'inizio della fazione vanno cauti, pazienti nel desiderio di un incontro, pieni di speranza. Le ore si [p. 311 modifica] seguono, eguali, melanconiche, e a poco a poco il desiderio si fa rabbioso, diventa un bisogno; si vuol forzare la mano al destino, e il sommergibile accosta alla terra la sua crociera, lentamente. Osserva i semafori, cerca di riconoscere i posti di vedetta, conta i treni che passano lungo una ferrovia costiera. Cosa fa il nemico? Dove sono le sue navi? Gradatamente il sottomarino raccorcia le distanze, calcola la posizione probabile degli sbarramenti per evitarli, vuole arrivare all’estremo limite delle acque libere per esplorare l’interno di un porto. Subitamente si accorge che naviga fra le mine, attraverso filari di cavi d’ormeggio, come in un’oasi dalle palme sottili sottili coronate da un fiore di morte.

Il «V.L.A.» si avvicina alla costa, che appare ora a picco, altissima, soleggiata e brulla. Par di udire di quando in quando un remoto brontolìo di eliche, ma nessuna nave spunta da dietro al promontorio.

Il loro piccolo traffico gli austriaci lo sbrigano alla notte. Di notte i sommergibili sentono passare qualche volta piroscafi invisibili che vanno terra a terra a tutta velocità. Del cacciatorpediniere di scorta filano così vicini che si ode sull’acqua il sonoro lamento dei loro ventilatori, ma non si scorge niente. Non è impossibile che arrivi allora, lieve e remoto, il rumore caratteristico di un sottomarino nemico. Si cerca di seguirlo orientandosi col [p. 312 modifica] microfono il cui imbuto si volge come un orecchio sulla prora, ma il rumore si estingue in direzioni imprecisabili. All’alba non c’è più niente fuori. Soltanto le navi ospedali, coperte di croci rosse, sfidano la luce. Ed è impressionante il movimento sanitario della marina austriaca.

Si direbbe che tutti i transatlantici dell’impero, trasformati in ospedali, bastino appena al pietoso lavoro. Per un fenomeno veramente inesplicabile, quando si presume che vadano vuoti a prendere feriti, sembrano invece pieni fino all’estremo limite della loro galleggiabilità, gravati come se i medicinali — certo si tratta di medicinali — pesassero quanto un carico di cannoni e di munizioni.

Nelle vicinanze dei porti avviene di tanto in tanto ai sommergibili di avvistare pure una coppia di piccole torpediniere che ha uno strano contegno. Le due siluranti vanno adagio adagio, affiancate come due paranzelle alla pesca. Sembrano perfettamente disposte a lasciarsi silurare. Il sommergibile si prepara, si slancia, manovra, si avvicina, guarda meglio. E fugge. Le torpediniere trascinano qualche cosa, un apparecchio sommerso retto da galleggianti che guizzano sopra una larga estensione. Qualche sottomarino italiano che ha voluto spingere a fondo l’attacco ha rischiato di rimanere annientato.

I sommergibili italiani e alleati [p. 313 modifica] nell’Adriatico tornano alle volte dalle loro missioni con i segni di lotte terribili; sembrano sfuggiti da avvinghiamenti mortali. Sono dei riscampati. Diciamo subito che i sommergibili nemici hanno una sorte peggiore perchè loro, più spesso, non tornano affatto.

È facile che intorno alla torretta ammaccata si trovino schegge e fondelli di granate. Talora i siluri esterni hanno le teste deformate da esplosioni. Avere le lampade infrante dai contraccolpi è un incidente comune. Qualche volta i vetri della torretta sono venati da fenditure, la soprastruttura ha delle ferite, e lunghe graffiature rigano lo scafo come se il battello fosse scappato dalla presa di immani artigli. È scappato ai «grappini».

I grappini si usavano una volta soltanto per spezzare i cavi telegrafici. Sono degli uncini attaccati ad una carica di esplosivo che si trascinano sul fondo del mare: incontrando il cavo lo afferrano, lo sforzo produce lo scoppio, e il cavo è rotto. Il progresso di questi tempi vertiginosi ha voluto che si creassero delle vere immense rastrelliere di grappini, munite di bombe formidabili, e trascinate fra due acque con un sistema di cavi rimorchiato da una coppia di torpediniere. Il sommergibile vede le navi e va all’attacco. Esse lo lasciano fare, manovrano con l’aria di niente, si discostano, aprono a vasto semicerchio la loro barriera fluttuante, cercano di mettere il sommergibile [p. 314 modifica]fra l’arco dei grappini e le mine di qualche sbarramento. E il sommergibile, che è cieco sott’acqua e appena guercio sopra, non capisce, finché sente degli strusciamenti inesplicabili sulle sue pareti. Subito dopo sobbalza percosso da scoppi infernali, di cui non sa rendersi conto, e fugge disperatamente, stordito, stupefatto, abbuiato.

Nei momenti più critici, spesso il comandante di un sottomarino deve fare uno sforzo sovrumano per capire, per sfondare le tenebre che lo avvolgono. Egli deve meditare, dedurre, calcolare, essere la macchina impassibile e veloce del ragionamento. Non sapere è terribile.

Di tutte le sensazioni dell’incomprensibile, una delle più atroci è forse quella della immobilità improvvisa, l’accorgersi che qualche cosa di poderoso ha preso il battello e non lo lascia più. L’uomo si sente definitivamente sepolto. Egli è prigioniero del sommergibile, il sommergibile è prigioniero del mistero.

È l’avventura di un sottomarino inglese. Navigava affondato presso a dei forti nemici, quando sentì un breve e sonoro strisciare metallico sui fianchi e una piccola scossa. Le eliche levarono il frullìo profondo che indica il giro a fermo, quando le pale turbinano nel vortice e non spingono più. Il sommergibile era immoto. Tentò subito di ritrarsi. Marcia indietro a tutta forza! Non si mosse. Avanti ancora! Niente. [p. 315 modifica]

Il comandante fece fermare i motori e nel silenzio profondo cercò di capire. I sommergibili inglesi, per aver maggiore resistenza alla pressione, hanno soppresso i vetri alla torre. Lo sguardo non esce. Bisogna saper vedere col pensiero. Il rumore udito non aveva la molle pesantezza del tocco di un cavo d’acciaio. Era stato di una dura sonorità. Si trattava probabilmente di grosse catene. Ma le catene non servono che ad ormeggiare le boe. Il sottomarino doveva trovarsi quindi impigliato nell’ancoraggio di una boa. Come?

Per resistere alle correnti le boe hanno tre àncore. Tre àncore e tre catene che divergono verso il fondo. Dunque, se il battello incastrato nell’ormeggio fosse disceso verso il fondo avrebbe sentito slargarsi la presa e avrebbe trovato lo spazio per passare. Stabilito questo, il comandante fece riempire i doppi fondi. Il sommergibile si sarebbe strappato col proprio peso alla stretta delle catene.

Infatti, poco dopo cominciò a discendere. Si udivano gli anelli delle catene scorrere rumorosamente lungo i fianchi. Al momento in cui non si fossero più uditi, il sottomarino sarebbe stato libero. Ma scrosciavano sempre, e la discesa diveniva precipitosa, accompagnata da quel frastuono veloce e alto. Era l’inabissamento.

Per la stessa legge della caduta dei corpi nell’aria, un sommergibile che si immerge [p. 316 modifica] inerte accelera progressivamente il suo moto e arriva al punto in cui nulla può più vincere il suo impulso. Cercando la liberazione, il battello inglese aveva varcato questo limite fatale. Piombava alla perdizione, li segnalatore della profondità s’era fermato all'ultima cifra. Soltanto il manometro di controllo indicava ancora, e la sua lancetta frenetica sfiorava un numero dopo l’altro: Sessanta, sessantuno.... sessantacinque.... settanta....

Tutto il fasciame di acciaio scricchiolava alla pressione, e fra le bullonature i lembi delle lamiere si discostavano come i bordi di vestito da un bottone all’altro. L’acqua entrava con violenza da quelle fessure sotto forma di zampilli sottilissimi che finivano in nebbia. E la lancetta correva: Settantadue, settantatrè.... settantacinque.... ottanta....

Il sommergibile aveva già vuotato i doppi fondi, si era alleggerito, ma era condannato a toccare il fondo del mare. Lo toccò. Sentì un grande urto molle. Il manometro segnava ottantadue yards. Immediatamente la sfera tornò indietro. Rimbalzando come una palla, il battello risaliva, sempre fra le catene. Un minuto dopo si ritrovò impigliato al punto da dove era disceso.

Allora, come una bestia catturata che scuota ciecamente le sbarre della sua gabbia, si mise a spingere sulle catene con tutta la forza dei motori, sperperando le sue riserve di energia, [p. 317 modifica]bruciando la sua vita, dibattendosi furiosamente, disperatamente, nel pugno di acciaio della fatalità.

Ed ecco che degli strappamenti profondi indicano che le àncore della boa si smuovono, si sradicano. Il battello, inesorabilmente prigioniero, si spostava lentissimo trascinando con sè nello sforzo prodigioso boa, àncore, catene, tutto, come il toro ferito a morte trascina tutta la quadrilla nella sua agonia formidabile.

Subitamente l'equipaggio si sentì rovesciare al suolo, la prora s’era sollevata quasi verticalmente, ogni rumore esterno era cessato. L’indicatore della profondità segnalava l’emersione fulminea. Il sommergibile si era liberato miracolosamente e saliva «a pallone». Era salvo. Balzò sull’acqua con un salto da delfino. Ma lo spostarsi della boa era stato visto dalle vedette nemiche.

La torretta appena comparsa fu avvolta dagli spruzzi delle granate; il sottomarino fece appena in tempo a immergersi per sfuggire al nuovo pericolo. A questo punto il comandante inglese, sfinito di fatica e di emozione, passò al secondo ufficiale il governo. Non ne poteva più.

Egli rifugge dal ricordo di quell’ora, ma non può scacciarlo, e quando rievoca l’angosciosa avventura il suo volto gioviale da buon scozzese diviene pallido e grave, la sua voce si fa lenta, affaticata, velata, e i suoi occhi si [p. 318 modifica] aprono pieni di orrore, come se vedessero avvicinarsi qualche cosa di spaventoso che nessun altro vede, qualche cosa che si specchia nelle sue pupille subitamente fisse e vitree.

Il giorno declina e il «V.L.A.» si è allontanato dalla costa. Cerca il largo per emergere e riprender fiato. Durante un affioramento il comandante che guarda al periscopio ha un piccolo moto delle spalle che indica un risveglio di attenzione. Ferma l’obiettivo in una direzione, osserva, poi lancia qualche ordine. Il «V.L.A.» si immerge, aumenta di velocità e muta la rotta.

L’ufficiale non ha detto quello che ha visto, ma tutti hanno capito che si dà caccia. Vi è un risveglio in ogni sguardo, una consapevolezza strana. Gli uomini più lontani dal comando hanno assunto un’attitudine di attesa pronta. Persino i torpedinieri all’estrema prua si sono tacitamente avvicinati alle leve di manovra dei tubi lancia-siluri.

Una sensibilità quasi soprannaturale unisce l’equipaggio di un sottomarino, ne fa un essere complesso che ha tanti cuori ed una sola anima. Quello che l’ufficiale pensa e sente si spande come un fluido. I manovratori intorno a lui non sono che le sue mani docili. Si sente l’unità misteriosa di un organismo. L’equipaggio, attento al lavoro, segue l’avvenimento che si svolge sull’acqua e che il comandante vede, lo segue senza conoscerne gli aspetti e le [p. 319 modifica]forme, ma ne intuisce con precisione il valore, ne misura inconsciamente la forza, ne sente l’intensità, l’ansito, il palpito.

Il periscopio torna ad emergere sulle onde. Il esplora, poi con un gesto invita il secondo ufficiale a guardare:

— Ha capito la manovra?

— Sì.

— Deve passarci di prua.

— Mi pare che accosti a destra.

Giù, un altro tuffo. Per un minuto il «V.L.A.» scivola veloce sull’acqua. Risale, riaffiora.

— Già — mormora il comandante — . Accosta. Mostra il fianco.... Ah, ma è inglese!

E si solleva dalla lente sorridendo, divertito dall’idea d’aver dato caccia ad un amico. E tutti a bordo, da un capo all’altro del battello, ridono.

— Sicuro — esclama il secondo ufficiale — è un tipo K.

È un sommergibile inglese, che è salito a galla per filare più presto verso casa. L’italiano non nasconde più il periscopio e manovra, per esercizio. Ma l’inglese ha visto e manovra anche lui, tutto spaventato, per difendersi. Un minuto dopo il mare è deserto e sott’acqua i due mostri preoccupati si fuggono.

La notte arriva. L’aria chiusa si è fatta greve, ogni gesto stanca, un cerchio d’indolenzimento serra la fronte, le tempie pulsano ed una dolce sonnolenza appesantisce le palpebre. Le [p. 320 modifica] pareti e gli strumenti si sono ricoperti di un loro sudore acquoso e grasso e pare che un senso di fatica opprima anche le cose. Ma è inutile mettere in moto gli aspiratori dell’acido carbonico e aprire i rubinetti dell’ossigeno; si torna alla superficie. «Ehi, cuciniere, metti su la pentola!»

È un rito. Quando si sta per emergere, si pone sul fornello elettrico la pentola dei maccheroni. L’apertura dei portelli combina con l’ebullizione. Aria pura e pasta asciutta sono il meritato compenso della sera. Il battello manda un lungo e poderoso sospiro, strisciante, sonoro, il soffio che scaccia l’acqua dai doppi fondi.

La prora si solleva, poi ricade, oscilla, ondeggia, beccheggia, naviga, vive, e improvvisamente è un vasto tumulto lieto di acqua che scorre, acqua che scroscia, acqua che mormora, che gorgoglia, che sciabotta, sono tutti i rumori del mare che si svegliano insieme, è il canto eterno del moto, è il mondo che ritorna.

Adagio adagio il portello della torre è svitato e la pesante atmosfera interna sibila sfuggendo. Il sommergibile si apre col rumore di una gigantesca bottiglia di champagne stappata lentamente. Un urto sordo percuote le orecchie: il portello è spalancato. Delle teste sorgono dai boccaporti, e il crepuscolo illumina volti pallidi, emaciati, sporchi e ridenti

— Su l’antenna, svelti! [p. 321 modifica]

Gli uomini infagottati nei giubboni di cuoio si affaccendano sul ponte, lucido d’acqua che scorre, cola, gocciola da ogni parte. I motori a nafta si svegliano. Ricomincia la navigazione notturna a fior d’onda.

— Vedette, attente!