Tedio e primavera

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Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1847 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti Tedio e primavera Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

Ricordo (canto di Rodolfo) L'amica invisibile
Questo testo fa parte della raccolta VIII. Da 'Storia e fantasia'
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VIII

TEDIO E PRIMAVERA



     La cingallegra canta
sul ramuscel natío,
che april di verde ammanta.
     Con dolce susurrío,
5come un’argentea zona,
brilla fra l’erbe il rio.
     La sua natal canzona
l’errante savoiardo
sulla gironda suona.
     10Esce un acuto dardo
tinto d’ebbrezza arcana
da ogni virgineo sguardo.
     Qual cervo alla fontana,
s’abbevera d’amore
15tutta la stirpe umana.
     Sol io, sol io nel core
d’ogni terrestre gioia
ho disseccato il fiore.
     La solitaria noia
20m’assalta, come fiera,
e la sua preda ingoia.

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     Oh, allegra primavera,
come oramai mi sento
altro da quel ch’io m’era!
     25All’occhio infermo e lento
si semina di stelle
indarno il firmamento.
     Son dissipate ancelle
dalla nativa casa
30le mie canzon piú belle.
     L’alma di tedio invasa,
vinta a nefande lotte,
è come selva rasa,
     sulle cui piante rotte
35riposa il ladro, e rugge
il vento della notte.
     La mia ragion si strugge
in campo d’ombre; e il senso
fin del dolor mi fugge.
     40Or che son io? che penso
a questo mondo in faccia
e a questo cielo immenso?
     Ferrea catena allaccia
lo spirito infinito
45e le impotenti braccia.
     E son nocchier smarrito
in barca, che si spezza
per mar che non ha lito.
     Dell’onde sull’altezza
50il Tempo mi deride
e a disperar m’avvezza.
     Perché, perché mi stride
la livida tempesta
sul capo e non m’uccide?
     55Ahi! la mercede è questa
del vagheggiato sole,
che m’è sepolto in testa.

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     Sulle innocenti aiuole
io seminai sospiri,
60e non mietei che fole.
     Ah! nei suoi vasti giri
altro non è la terra
che un astro di martiri.
     dove si piange ed erra,
65sin che una zolla breve
o un sasso vil ci serra!
     Né la cadente neve,
né la nascente rosa,
né l’aura fresca e lieve,
     70né fama gloriosa,
né dei rimasti i lai,
né ogni creata cosa,
     né il vasto ciel co’ rai,
né il mar colla sua voce
75ci sveglierá piú mai.
     Questo è il pensier che coce,
questo è il calvario orrendo,
questa è l’orrenda croce.
     Io giá su lei mi stendo,
80e nell’iniqua fossa
pria di morir discendo.
     E queste polpe ed ossa
si disfaran, siccome
fronda dal ramo scossa.
     85Or che mi giova un nome
e un maladetto alloro
sulle tradite chiome?
     Sogni e fantasmi d’oro
il mio guanciale han cinto:
90dovrò sparir con loro.
     E sul caduto estinto
sorriderá la Morte,
come al cader d’un vinto.

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     Oh! mie superbie corte,
95un’ombra inerme io sono,
e mi credeste un forte?
     Oh! mente mia, che in trono
un dí seder ti parve,
sei vanitá di suono.
     100Oh! mie celesti larve
dell’anima fanciulla,
quando da voi disparve
     la luce della culla,
voi mi lasciaste adulto
105col mio saper, che è nulla.
     Studi del mondo occulto,
baldanze del pensiero,
io vi beffeggio e insulto.
     Trista rugiada è il vero:
110altro non nutre e pasce
che il fior del cimitero.
     Beato è chi non nasce,
o, generato appena,
muor nelle bianche fasce!
     115Ah! su quest’empia arena
d’esilio e di peccato,
sola una larva è piena
     dei raggi del creato:
la larva che matura
120sotto uno sguardo amato.
     Larva che poco dura,
ma che, di fior coperti,
ci mena in sepoltura.
     Della sua mano i serti
125trasformano in altari
i funebri deserti.
     Ella gli spasmi amari
del tormentato ingegno
rende soavi e cari.

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     130Ella di Dio dá segno
in questa buia chiostra
dove ha Satáno il regno.
     Deh! se il mio cor si prostra
a’ cenni tuoi, gran Dio,
135deh! per pietá mi mostra,
     scossa dal lieve oblio,
la dolce larva ancora
del paradiso mio!
     Dai vesperi all’aurora
140ben io la sogno, e l’alma
come il pensier l’adora.
     Simile a nivea salma,
ella talor mi brilla
per notte azzurra e calma.
     145Talor la sua pupilla
il solitario foco
dal cor mi dissigilla.
     E allor celeste è il loco
dond’io la guardo e tremo;
150divino è il tempo e poco.
     Allor l’inerte e scemo
vigor mi torna, e sento
tutto il mio ben supremo.
     E in mute ebbrezze intento,
155fuor che il pensier, che l’ama,
di me tutt’altro è spento.
     Nulla il mio cor piú brama,
perché rapito in lei
altri che lei non chiama;
     160né ben narrar potrei
se sien di morte o vita
i rapimenti miei.
     Ma so ch’è una romita
gioia profonda e strana,
165ch’io non ho mai sentita.

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     E forse ancor l’insana
mente delira, e crede
a una fredd’ombra e vana;
     ombra che vola e riede,
170ombra che inutil vive,
o ad altri amor dá fede.
     Cocenti e fuggitive
ore del nostro sogno,
perché si piange e scrive?
     175Penna, che invan rampogno,
perché non ti rifiuti
a questo reo bisogno?
     Lampa, che guizzi e muti
gli ermi chiarori tuoi,
180perché non mi saluti?
     perché morir non vuoi?
Segni d’inchiostro informi,
perché vivete or voi?
     Mente, perché non sciôrmi
185dalle malie fallaci?
Pensier, perché non dormi?
     Cor mio, perché non giaci?
Taci, indignata musa:
china la testa e taci.
     190La fantasia confusa
cinta è d’angoscia e d’ira,
come caverna chiusa,
     dove il lion s’aggira,
o dove, occulta a tutti,
195crepita ardente pira.
     Ah! del pensiero i lutti
lo rodono e lo sfanno,
come la nave i flutti.
     E l’uom, vivente inganno,
200altro non sente alfine
che il suo pensier tiranno.

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     E voi, nelle divine
aure del ciel, che fate,
perpetue pellegrine
     205prima dell’uom create,
stelle d’arcane tempre?...
Ah! voi di lá ruotate
     sull’uom che sogna sempre.