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Trattatelli estetici/Parte terza/X. Gli uomini così detti di tavolino e i magazzini di cose

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Parte terza - X. Gli uomini così detti di tavolino e i magazzini di cose.

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X.

GLI UOMINI COSI’ DETTI DI TAVOLINO
E I MAGAZZINI DI COSE.

Uomini di tavolino, o da tavolino, sono detti comunemente nei nostri paesi que’ tali, che, non avendo sortito da natura una troppo grande facilità di discorso, lasciano tuttavia argomentare´ [p. 179 modifica]da qualche loro idea, piuttosto accennata che espressa, poter essi apparire tutt’altra cosa quando in cambio di parlatori vogliano farsi scrittori. Quindi a moltissimi sarà accaduto di udire assai volte pronunziarsi il seguente giudizio circa tale o tal altra persona: non è parlatore felice, la sua presenza non gli accatta favore, ma è uomo di tavolino; e vuol dire mettetelo a tavolino e vedrete.

C’è una grande differenza fra il parlar poco e il parlar male, e credo che chi parla poco possa essere benissimo ciò che s’intende per uomo di tavolino, non cosi chi parla male. Gli sproposi ti sono spropositi ad un modo, o scritti o parlati che ve li abbiate; e quello ch’è cervello sgangherato parlando, non potrà mai diventare cervello assestato scrivendo. Può bensi darsi, e si dà spesso, certa tal quale diversità nelle operazioni intellettuali, per cui le relazioni tra cosa e cosa, che altri afferra di lancio e pianissimamente, altri non arriva a comprenderle che dopo un dato spazio di tempo, c con una data fatica.

Il parlar poco è, oltre a ciò, molte volte indizio di mente guardinga e che anela alla perfezione; per cui non sempre chi tace il fa perchè non abbia di che parlare, bensi per un certo generoso dispetto di pronunziar cose vane, o le non migliori. Non si vuole già quindi aver in dispregio la beata facilità di discorrere pron[p. 180 modifica]tamente e chiaramente di varie cose, e neppure farne poco caso, ma anzi considerarla come un bel dono onde alcuni sono da natura privilegiati; solo che non si confonda con quella stemperata abbondanza di parole, e parole che non hanno alcun senso, indizio della fatuità e della petulanza di chi le sciorina senza misericordia. Di che si conchiude, stitico parlatore e abbondante scrittore poter essere qualità amicabili facilmente in una sola persona, non così parlator scimunito e scrittore assennato.

Questo quanto ai così detti uomini di tavolino. Sonovi poi tra gli scrittori certuni che, parlando la lingua degli antichi oracoli, se già non si fa loro troppo onore dicendo che scrivono equivocamente, sono chiamati magazzini o emporii di cose. La qual frase ridotta al suo vero significato viene a dire: uomini che non s’intendono, perchè non hanno la facoltà di farsi intendere, ma ai quali per altro si attribuisce un numero molto copioso di cognizioni. Quant’a me confesso di non saper immaginare come le molte cognizioni possano nuocere alla comunicazione de’ proprii pensieri. Conoscere, secondo me, è veder chiaro, e quanto più si conosce tanto più si vede; sicchè tanto crederei fosse il dire le troppe cognizioni rendono il tale inintelligibile, quanto il dire molti lumi accesi in una stanza la rendono oscura.

È forza confessare che vi ha, quantunque non [p. 181 modifica]sempre palese alla nostra intelligenza, un vincolo insolubile fra tutte quante mai sono le umane cognizioni; e quindi potersi bensi dare, attesa la imperfezione della nostra mente, che una tale verità riesca vana a rischiarare in noi e far più piena l’intelligenza di un’altra, ma non che possa in nessun caso concorrere ad oscurarla e farla minore. Quando avviene che due idee, che si trovano vere egualmente prese una per volta, messe che siano a riscontro fra loro scambievolmente si nocciano, egli è da conchiudere, o che nou furono messe fronte a fronte in quel modo che si conveniva, o che chi si pone a quell’esame non ha la veduta abbastanza fina a conoscere il legame che passa fra loro. Simili casi possono accadere, e accadono, pur troppo anche agli uomini dotati del più acuto discernimento, e della più retta maniera di giudicare.

Ma quelli i quali costantemente sono inintelligibili possono mai supporsi provveduti di una bella merce di cognizioni, e quindi chiamarsi convenientemente, giusta la frase volgare, magazzini o emporii di cose? Io dico magazzino o emporio quel luogo donde, secondo il bisogno, posso trarre quando una, quando altra cosa; ma il luogo che le contiene poste alla rinfusa, e da cui mi convien togliere, non ciò che mi occorre, ma ciò in cui m’imbatto, è da me chiamato con tutt’altro nome. Questi tali, anzichè molte co[p. 182 modifica]gnizioni, non ne hanno nessuna, giacchè le nude parole non sono cognizioni; altrimenti fra la critica della ragion pura di Kant, e l’ortografia da saccoccia, non ci correrebbe differenza di sorta.

Tanto è lungi che io voglia acconciarmi in questo proposito al costume prevalente in moltissimi di poter credere uomo dotto chi non ha saputo mai farsi intendere, che anzi preferisco alla loro dottrina quella d’un artigiano, d’un ragazzino, d’una femminetta. L’artigiano, il ragazzino, la femminetta hanno cognizione di poche cose, ma quel poco è da essi conosciuto veramente, e ve ne sanno render conto. Anzi dirò di più; avranno idee incompiute, inesatte, ma le saranno pure idee, laddove i pretesi dotti di cui parliamo non hanno idea alcuna. E molto per me più preziosa la violetta del campo, piccolo vegetabile con tenuissimo stelo c poche foglioline, di quello sia una larga fossa ricolma di frantumi di statue, pezzi di metallo, spazzature di cucina, la cassa d’un violino che fece inorridire il teatro, un cranio di morto, un paio scompagnato di dadi, e quanto altro mai ne’suoi bizzarri Pronostici ha saputo introdurre scherzando per varii anni consecutivi un nostro ingegnoso concittadino.

Come dunque si è detto non potersi mai presumere sensato scrittore chi è parlatore balordo, così chi è costantemente inintelligibile [p. 183 modifica]non si creda, senza far torto alla ragione, di poter chiamarlo magazzino o emporio di cose, ossia testa ricca di molte cognizioni. Nel primo caso dobbiamo considerare che la stolidezza non può mai essere mutata in ingegnosità dal vario stromento adoperato alla manifestazione del pensiero, e per conseguenza lo sciocco che parla sarà sciocco del pari avendo a scrivere: nel secondo è da avvertire che sapere non è già avere in testa soltanto, ma avere in quel luogo della testa che occorre, ossia con l’opportuna disposizione. Anche alla fabbrica della gran torre v’avea e calce, e mattoni, e sabbia, ogni cosa; ma quando al domandar della sabbia si portava la calce, e in luogo di questa i mattoni, poteva dirsi che que’ fabbricatori possedessero tali cose? No: perché la sabbia era calce, la calce mattoni, tutto era tutto, o a meglio dire nulla v’avea che valesse o facesse per nulla, come appunto nei cervelli di que’ malarrivati emporii o magazzini di cose, di cui abbiamo finora discorso.