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Trattatelli estetici/Parte terza/XIII. Vantaggi inavvertiti della censura

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Parte terza - XIII. Vantaggi inavvertiti della censura.

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Parte terza - XIII. Vantaggi inavvertiti della censura.
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XIII.

VANTAGGI INAVVERTITI DELLA CENSURA.

Molti scrittori si lagnano che non sia ad essi conceduto di stampare quel tanto che loro sdrucciola dalla penna senza modo o misura di sorta. Queste lagnanze sono omai fatte vecchie, e [p. 194 modifica]chi volesse sciorinare una diceria su questo proposito correrebbe rischio di provocare non pochi sbadigli. Tutto il contrario mi accadde di udire, giorni sono, da un mio amico, scrittore mediocre per verità, ma buona pasta d’uomo, e di quelli che hanno, come suol dirsi, il cuore sulle labbra. Venne egli a trovarmi, come usa tratto tratto, e i nostri discorsi senza più si avviarono sopra cose di letteratura. Tutti i mestieri hanno i loro secreti, e anche le lettere i loro, nè più nè meno degli altri; e chi credesse che le lettere non fossero un mestiere si terrebbe in tale opinione appunto per non aver conoscenza di que’ misteri.

Passando da cosa a cosa, l’amico mio venne a dirmi sapete con chi ho un obbligo grandissimo per quella poca di riputazione che mi veggo accordata in letteratura da coloro che non sono de’ più schizzinosi? — E con chi mai? soggiunsi io. — Colla censura. — Vorreste dirmi in qual modo? — Ecco qui: — di molte cose che non fo, e che non saprei fare, ne incolpo bravamente i limiti imposti all’ingegno degli scrittori dai censori; e quand’anche non mi affannassi a metter fuori questa ragione, c’è chi si prende in mia vece questa fatica, dicendo: oh le belle cose che detterebbe vossignoria, se non fosse la censura! E qui fuori una filza d’opere, a cui non mi basterebbe certamente l’ingegno, e a cui non ebbi in me pelo che [p. 195 modifica]mai ci pensasse. Io allora, tuttochè rimorso nella coscienza, fo il risolino di chi dissente per approvare, e mi condolgo con una squassalina di capo, sebbene senza parole, della povera condizione de’ tempi, e di quella degli scrittori in particolare.

Non sta qui tutto, continuava l’amico col solito tenore di sincera affabilità: non sta qui tutto. In qualsivoglia opericciuola che mi avvenga di mettere in luce io conduco maliziosamente il discorso a certi termini, oltre a’ quali è ragionevole il pensare che non potrebbe trascorrere senza la inibizione della censura. Ora tutti quelli che leggono, come sono giunti a que’ passi, immaginano che abbia ad essere interrotto il senso a cagione della censura, non sapendo immaginare che possa essere questo un sottile artifizio dello scrittore. E siccome la cupidità nostra ivi maggiormente s’irrita ove s’affronta nel divieto, non c’è chi non pensi che la parte che supponesi essere stata recisa vincesse di bellezza le parti che rimasero intatte. Oh se quel capitolo avesse potuto leggersi intero! Da quel discorso è stato tolto via il meglio! Queste e altre tali sono le esclamazioni dei lettori, ed io confesso di non conoscere nessuna guisa di gloria guadagnata a miglior mercato di quella, che mi è accordata a cagione delle supposte recisioni della censura.

Il discorso dell’amico non potè a meno di ca[p. 196 modifica]gionarmi sulle prime un poco di maraviglia; ma com’egli più continuava a parlare, ed io più sempre cessava di maravigliarmi. Quanti non sono per verità quelli, che, senza avere la sincerità dell’amico mio nel confessare siffatti vantaggi derivati agli scrittori industriosi dall’opinione che si ha in generale della censura, si studiano al pari di lui di gabbare il prossimo, affinchè sia fatto di loro quel capitale che non si meritano! Che va egli lamentando Filinto il destino degli scrittori di non poter scrivere quel di peggio che loro salta in capo? Filinto che non saprebbe cucire insieme un periodo senza che il buon senso gridasse aiuto, e la grammatica misericordia! Io non posso salvo che ridere quando da certi tali mi si vogliono mostrare di soppiatto certi loro imbratti con dire: qui, vedete, c’era il tale, o tal altro periodo; ma dovetti cancellarlo a cagione della censura. E perchè, ripeto fra me stesso, perchè mai la cenrura fu si indulgente pel resto! Oh se mi avessero, grida Demetrio, lasciato il verso com’era da prima! Caro il mio Demetrio, ci sarebbe stato un’impertinenza o una sciocchezza di più nella vostra insipida e petulante poesia.

Ma, e voi, dissi all’amico, che avete la generosità di confessare queste grame arti di venire in fama, perchè non ve ne guardate? Perchè non dite francamente a chi vi tiene que’ siffatti discorsi signori, quand’anche non ci avesse la [p. 197 modifica]censura, sarebbe lo stesso de’ fatti miei quanto al comporre; e non cesserei nemmeno allora di essere quel mediocre autore che sono? I passi che la censura ha tolti via dal mio libro nou privilegiavano punto sul resto per altezza di pensamenti o per isquisitezza di stile; solo ch’erano sparsi d’idec poco rispondenti alle intenzioni del monarca. Mio caro, rispose l’amico, altro è vedere il male, altro il guardarsene; m’accorgo anch’io che qui c’è un po’ d’inganno fatto al suo prossimo, ma non trovo in me coraggio bastante ad astenermene. Sarebbe una vera disperazione per me, e per gli scrittori della mia tempera, se la censura avesse a mancare; io ed essi saremmo subito rispinti a languire fra la mediocrità: egli è questo poco di vento di contraddizione che ci leva alquanto alti, questo po’ di misterioso vapore che ingrandisce le nostre forme pigmee. A che dunque gioverà, caro amico, la confessione che fatta mi avete, dacchè non volete trarre verun profitto da’ miei consigli? Vi gioverà, se non altro, fornendovi l’argomento ad uno de’ futuri articoli del vostro giornale.