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Trattatelli estetici/Parte terza/XII. I posteri e i contemporanei

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Parte terza - XII. I posteri e i contemporanei.

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Parte terza - XII. I posteri e i contemporanei.
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XII.

I POSTERI E I CONTEMPORANEI.

A chi dee leggere in una sala assai vasta, e non ha fatto pratica del modo di dispensare la voce a seconda delle differenze de’ luoghi, si suole consigliare comunemente di tener l’occhio alle persone che occupano le ultime file, e verso quelle dirigere il proprio discorso. Questo consiglio medesimo potrebbe darsi agli scrittori, i quali aspirano a farsi udire dalla posterità; tenere cioè sempre l’occhio rivolto ad essa, e ad [p. 189 modifica]essa indirizzare la propria parola. Ma chi si attenesse ad una tal regola troppo scrupolosamente non potrebbe cadere in un altro difetto, quello cioè di non farsi udire da’ suoi contemporanei? E sono queste per verità le due pecche onde possono variamente accagionarsi gli scrittori. Altri, sempre occupati del mondo o passato o avvenire, fanno le viste di non aver ad amici che i morti, nè conversare che con le anime dei futuri; altri, parlando sempre in fiato e all’orecchio delle persone del loro tempo, e tirandole, come a dire, pel collare, si ristringono loro addosso, e mostrano uno strano spavento di essere uditi più là che non sono le persone stesse. Eppure questi cotali hanno almeno una intenzione determinata, e, lodevole o no ch’esso sia, ottengono il loro intento. Possono rassomigliarsi a que’ pittori che dipingono sulla tavola, e mettono quindi a cuocere nei forui i proprii dipinti col fine di dar loro alcuna apparente qualità d’antico, che li faccia valere un gran prezzo nel giudizio degl’inesperti. Ma che diremo di quelli, i quali, volendo parlare ad un tempo, fanno per modo come volessero essere uditi da un altro? Di che ne nasce il più delle volte che non sono uditi da alcuno. Tutte queste considerazioni ne invogliarono a scrivere qualche cosa sopra i posteri ei contemporanei riguardo agli scrittori.

E prima di tutto, lo scrittore deve proporsi [p. 190 modifica]di parlare a posteri, o a contemporanci? Possibilmente ad ambidue. Che cosa è una letteratura la quale sia destinata a perire coll’individuo? Niente più che un giuoco fanciullesco, che un ammonticchiar neve a comporne torri e castella che si squagliano appena tocche dal sole. E per lo contrario, come giugnere ai posteri sorvolando i contemporanei? Niente si fa in natura per salto anche qui l’adagio scolastico non è senza significato. Si potrebbe dire che i contemporanei abbiano a considerarsi come gli spettatori della discussione, ma che la sentenza sia riserbata ai posteri che importi per conseguenza allo scrittore farsi udire da quelli, ma dover egli contentarsi di attendere ad essere giudicato da questi. Se gli argomenti trattati hanno un’importanza momentanea, allora i contemporanei sono parte e giudici ad un tempo; e lo scrittore sopravvive al difinimento della sua lite, ossia non c’è chi faccia più parola di lui. Rarissimi sono quelli che si mostrino compresi di questa verità, e rarissimi sono per conseguenza che vincano, per dirla con una frase novissima, la guerra degli anni. Altri, come s’è detto, parlano sotto voce e la posterità non gl’intende; altri, per farsi udire dai più lontani, schiamazzano di maniera che i più vicini si turano gli orecchi per raccapriccio, o si pongono a ridere delle contorsioni mostruose a cui assoggettano que’ furibondi la loro fisonomia. Si [p. 191 modifica]per la elezione del tema, e si pel modo di trattarlo si potrebbero suggerire alcune regole tutte desunte da quest’obbligo che ci corre di parlare possibilmente ai contemporanei ed ai posteri tutto ad un tempo. Non sa piacermi chi dice: quanto a me giudichino di me che si vogliono da che sarò morto, mi basta che mi sia fatto buon viso durante la vita. Costui potrà ottenere degli effimeri battimani, ma godrà egli mai di quell’interna approvazione che si fa udire indomabile anche in mezzo al rimbombo di quei battimani, e le cui rampogne sono spesse volte cagione a quel certo indicifrabil pallore che vediamo sul volto di molti favoriti dalla fortuna? Nè manco sa piacermi chi dice: poco mi curo del giudizio degli uomini del mio tempo, il mio discorso è diretto alla posterità, è da essa ch’io mi attendo di essere giudicato. Questo discorso si fa per lo più da coloro che, ben sapendo di non poter ottenere l’approvazione di nessun tribunale, volentieri deferiscono la causa a quello che non è ancora in piedi. Non è da confondere questo petulante coraggio, che bene considerato non è alla fine che sentimento della propria viltà, colla magnanima sicurezza con cui s’usa dai sommi di pensare e di scrivere ciò che vantaggioso potrebbe tornar ai contemporanei, ma che da questi si contraddice, sperando che se non altro il vantaggio abbia ad essere della futura età se non fu possibile alla presente. Ciò [p. 192 modifica]è appunto adempiere l’onorata missione dello scrittore, e, come abbiamo avvertito, rivolgere il profitto delle proprie meditazioni ai contemnporanei ed ai posteri ad un tempo.

Anche riguardo alle conversazioni si potrebbero presso a poco stabilire i medesimi principii. Molti sonovi, che conversando mirano alla generalità degli uomini, anzichè a quelli propriamente con cui favellano; molti altri che curandosi solamente di quelli che stanno loro davanti, sacrificano a particolari vedute di timidità o d’interesse i sacri diritti della verità e della giustizia. Io non guardo in faccia a chicchessia, dice Alfredo; paleso il mio parere netto e tondo. La massima sarebbe lodevole quando fesse ingenuamente professata e non si adoperasse a celare sotto generose parole una libertà impertinente. Terenzio invece io porte rispetto alle persone con cui parlo, non voglio farmi il maestro di chicchessia. Anche questo sarebbe un lodevole detto, quando non ascondesse una inclinazione a quella pecorina condiscendenza, ch’è il primo ingrediente dei discorsi dell’uomo bilingue. Parlisi a chi ne sta davanti secondo ne comanda la cortesia, ma facciamo conto anche di chi non ci ascolta. Per verità ciò taglierebbe un’infinità di discorsi, ma non certo quelli che sono i più nobili e cari. Discorrere coi presenti avendo la mente anche ai lontani mette nell’animo un dolce riposo. Allarga la sfera [p. 193 modifica]dei nostri sentimenti, ci dà luogo a rimanere compensati di molte sciocche o villane risposte. Diogene andava chiedendo l’elemosina alle statue, per avvezzarsi alle repulse che prevedeva gli potessero esser fatte dagli uomini: non è migliore partito il parlare anche con chi non è buo no e gentile? Ogni vostro detto sia tale quale potrebbe essere udito da chi avete in maggior stima; e quando non vi sentiate capaci di una tale conversazione, ritraetevi dalla società di chi può abbattere l’alterezza della vostra anima, o bruttarne il decoro. Cercate il consorzio delle uuvole, degli alberi, delle pareti della vostra camera, di voi stessi. Nel silenzio si ricambiano molte parole e di significato molto maggiore, che non sono quelle ordinariamente delle società clamorose. Nessun dizionario saprebbe dare registrate tali parole; ma chi sa dove e quando sia da adoperarle, non altrove le cerca che nel proprio cuore.