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Trattatelli estetici/Parte terza/XIV. Grappolo di spropositi in un articolo sopra Vincenzo Monti

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Parte terza - XIV. Grappolo di spropositi in un articolo sopra Vincenzo Monti.

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Parte terza - XIV. Grappolo di spropositi in un articolo sopra Vincenzo Monti.
Parte terza - XIII. Vantaggi inavvertiti della censura
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XIV.

GRAPPOLO DI SPROPOSITI IN UN ARTICOLO
SOPRA VINCENZO MONTI.

Gli spropositi, che si stampano ollraraonle quando trattasi della nostra contrada e de’ suoi abitanti non dovrebbero più oggimai eccitar maraviglia: in tanta copia sono essi, tanto frequenti le lagnanze che se ne fecero. Tuttavia alcune particolari circostanze possono essere cagione che la maraviglia continui ragionevolmente. Per esempio: che si spaccino errori in proposito di autori di data vecchia, non mai usciti del loro guscio, può stare nella infedeltà generale delle anzidette relazioni forastiere; ma che ciò accada di autori contemporanei, e in paesi ne’ quali si lasciarono vedere, e con cui tennero stretta corrispondenza, è cosa ch’esce d’ogni confine, e deve farci, oggi stesso, come sempre, maravigliare. Oltre a questo: che si pronuncino giudizii opposti al gusto letterario di una nazione da chi non lo ha succhiato col latte, sia pure; ma che ciò avvenga nella semplice relazione dei fatti, o in quc’ punti generali a cui basta il lume naturale della ragione, ecco nuovo e incessante argomento di maraviglia. Tutto questo esordio non per altro che per giustificare lo stupore con cui lessi l’articolo intorno Vin[p. 199 modifica]cenzo Monti, sottoscritto Azario e stampato or ora a Parigi.

Da quest’articolo, che traduco quasi alla lettera con qualche mia breve parentesi, s’impara che il Monti soltanto dopo esser diventato segretario in casa Braschi si diede tutto allo studio del Dante: che, invasato dalla smania di primeggiare, attaccò l’Alfieri, venuto a Roma in quel tempo; e non avendo potuto riuscire in questa prova, stampò il Gracco e l’Aristodemo per costituirsegli rivale. (In qual altro modo era egli dunque a principio venuto alle prese coll’Astigiano?) I versi di queste tragedie sono appassionati, vibrati, sforzano l’anima, qualche luogo tiene pure del sublime, ma il tribuno del Monti non è l’arbitro del foro: Monti, senza fede e senza credenza, non poteva dipingere l’uomo reso forte dal proprio convincimento. Nell’Aristodemo ritraeva un personaggio meglio a lui confacente; anima perplessa e stimolata da perpetui rimorsi. Merita però considerazione in quelle tragedie lo scostamento dall’antico rigore, quasi s’indovinassero le novità che più tardi introdusse nel teatro il Manzoni. L’assassinio di Basville venne a mostrarlo veramente poeta. Nella cantica che ne compose spiegò tutta intera la potenza del suo genio; c iu essa soltanto è forza confessare aver Monti sentito che nulla vi ha di tanto morale quanto la fede. Non ci sono creazioni, ma versi da competere coi´ [p. 200 modifica]più armoniosi e vibrati di Virgilio e di Dante. Quindi il Prometeo, la Mascheroniana e la Feroniade, violenta satira contro a’ Francesi; se non che di quest’ultima violenta satira contro ai Francesi (che descrive l’asciugamento delle paludi Pontine), Monti alterò i passi più mordaci in una seconda edizione, attesa l’ammirazione da cui si lasciò vincere per Bonaparte. La debolezza mostrata nella ristampa di quest’opera (che non fu mai stampata, lui vivo) valse al Monti il favore del Direttorio cisalpino, di cui fu nominato segretario. Rifugiatosi a Parigi nel rimutamento delle politiche vicende d’ltalia, e di là riabilitato a tornare in patria da nuove vicende, si dà ad un genere di poesia tutto nuovo per lui, componendo l’ode — Bella Italia, amate sponde (che non ha nulla che fare cogl’inni repubblicani anteriormente stampati), e allora solamente ebbe seggio distinto tra i poeti lirici. Sorto il regno italico, Monti fu eletto a mano a mano professore di eloquenza a Pavia, di belle lettere a Milano, e quindi istoriografo di esso regno. Ma invece di scriver storie ecco ch’ei compone le odi sul Congresso di Udine, celebrando in esse gli alti fatti dell’imperatore (odi che non furono mai più d’una, stampata prima che si parlasse nemmeno di regno italico e d’impero ). Quindi il Bardo della Selva nera, la Visione, la Spada di Federico e le Api panacridi (un po’ d’inesattezza nell’ordine cro[p. 201 modifica]nologico, ma non importa). In questo tempo medesimo pubblicò pure de’ versi anacreontici (chi gli ha veduti?) e attese alla traduzione di Omero. Cadde l’impero; e Monti non lasciò di celebrare la caduta dell’idolo che aveva incensato, dettando il Ritorno d’Astrea. Con che tanta indignazione si concitò per parte degl’Italiani, che (indovinate?) avendo l’Accademia della Crusca ad accrescere il suo Vocabolario, senza badare alla riputazione del Monti e alle preghiere che questi gliene fece, nol chiamò (per cagione di quel Ritorno) a parte dell’opera. Il poeta infuria, e dà fuori la Proposta. La prosa di lui è facile, leggiadra, abbondante, scorrevole, mais sans force et sans énergie. (Così ne parve anche al povero Natanar! E prima di lui al De Coureil e consorti). Maritaggio quindi della figlia col conte Perticari, noto all’Italia par quelques ouvrages de polémique littéraire (freddure!). Morto nel 1828, la sua riputazione da indi si attenuò come un eco lontano, c tale doveva essere il destino dell’uomo debole, i cui lavori furono presso che tutti inspirati dalla paura e dall’orgoglio; la sua vita politica, letteraria e privata furono misere a un modo, non potendo la gloria che il circondava preservarlo dall’universale disprezzo.

Non mi fermerò a spremere da questo grappolo di spropositi l’amaro succo di derisione che si potrebbe la dimostrazione di certi er[p. 202 modifica]rori, come di certe verità, ne attenua la evidenza. Bensì mi permetterò alcune generali osservazioni e alcune domande, non inutili nè intempestive, se si consideri come il vezzo di certe critiche immoderate non tanto è proprio degli stranieri, che non sia più ancora de’nostri. Anzi a tale siam giunti, e in Italia non che fuori, che con una grande abbondanza di teoriche, v’è una molto deplorabile penuria di esempi. Gran che! si volle far guerra a certe regole antiche, savio e generoso divisamento; ma dopo aver dimostrata l’insufficienza di quelle e la loro illegittimità, altre regole s’inventarono non meno illegittime ed insufficienti. Almeno quelle vecchie avevano per se il favore del tempo, ch’è pur qualche cosa; spezialmente in materie di gusto, nelle quali l’ingegno umano non può in tutto francarsi dall’autorità. Io vorrei dire a’ miei contemporanei: a che tanto cicalio e tante risse? Fate: storie, drammi, orazioni, poemi, o, se non più, romanzi; ma fate. Finchè ve ne starete nicchiando nicchiando e nicchiando, non ne avremo che angosce e ululati. O se pure volete continuare in queste astrattezze, badate a non guastare coll’esagerazione ciò che forse avreste potuto con misura correggere e perfezionare.

La critica attuale tra panegirico e satira non ha mezza via; vuol essere trono o berlina, corona o capestro. Eppure oseremmo dire che il [p. 203 modifica]buon gusto facesse troppi avanzi a questi anni? Conosco alcuni pochi scrittori che professando nuove dottrine si studiarono attuarle nell’opere loro, più o meno felicemente secondo la dose maggiore o minore d’ingegno che ottennero da natura; ma in generale il gusto parmi sviato anzichè ravviato, e cresciute a dismisura la fatuità e l’arroganza del giudicare. Si cerca nelle opere di letteratura l’intrinseco, il si divide da quella che chiamasi veste esteriore; ottima divisione. Ma senza il concorso di ambedue queste parti, può darsi perfezione? Dirò di più coll’insistere soverchio in quella che si dice sostanza, si trascurarono più che non è giusto le forme; quasi non siano le forme, alla fine, per mezzo delle quali il concetto intellettuale si fa manifesto dall’abile artista. Sicchè non sarebbe assai stravagante il rassomigliare questo bello intrinseco de’ moderni al verme, che sta nel mezzo si della rosa, ma per farne cadere le foglie.

Veniamo al particolare del Monti. Nessuno vorrà lodare la mutabilità del suo animo, la tinta cangiante de’ suoi pensieri; potrà da molti desiderarsi che quella viva immaginazione e quello splendido stile avessero dato consistenza e rilievo a soggetti più importanti; che dal predominio dell’ira non fosse condotto a dimenticare alcuna volta il decoro, e alcun’altra la carità; che in somma quanto grande e ammira[p. 204 modifica]bile era in lui il poeta ed il letterato, tanto e più fosse l’uomo. Ma poste queste accuse, ragionevoli, almeno in parte, perchè chiudere gli occhi, sulle straordinarie doti del suo ingegno, e su quelle dell’animo che pur furono molte ed egregie? Perchè spedita la lingua nelle censure, poniamo anche giuste, e in ciò che vi ha in lui di lodevole, ritrosa, e come di chi masticasse l’agresto? Non so che vantaggio possa ritrarre la verità da queste ineguaglianze. Oltre a ciò, che è questo spacciarsi a depositarii della pubblica opinione, e dire così ricisamente: il tale è già caduto in dimenticanza, la fama del tal altro è già sotterrata con lui? È ella forse la opinion pubblica cosa tanto facile ad essere afferrata, o ristretta entro limiti tanto angusti, che ogni giornalista novello, o scrittore di biografie, se ne possa impossessare e comprenderla in due periodi, spesse volte in una semplice frase? A bell’agio, depositarii e banditori della fama, a bell’agio; l’opinion pubblica non è cosa da maneggiarsi sopra pensiero. Quanto viene a proposito l’immagine del ragazzetto che in una sua buca voleva travasar tutto il mare! L’opinione pubblica è un mare, e le vostri menti, non altro che buche, più o meno vaste; dite dunque a quel vostro oceano di pubblica opinione, laghetto di giudizio particolare, e saremo d’accordo; e badate che non si abbia più presto a chiamarlo pozzanghera. [p. 205 modifica]

Conchiudo consigliando di nuovo questi censori ad attendere ai fatti: fatti, fatti, che di teoriche oggimai ne abbiamo d’avanzo. Ripeto: storie, poemi, drammi, orazioni, e, sia pure, romanzi. E quanto ai giudizii, discrezione, modestia, riserbo, se no il gastigo d’Issione vi è apparecchiato; non mica la ruota, ma la beffa della nube: perdonatemi questo spruzzo di mi tologia. Badate al Manzoni. Poche parole di controversia, e invece inni, tragedie, e un romanzo, ch’è troppo più che non suona il suo nome. Non vende egli bossoli di arcana sapienza, ma vi dà un corpo bello e formato colla sostanza e col succo delle sue dottrine; sicché ognuno può notarvi i pregi ei difetti, e far confronti, e imparare. Così l’arte va innanzi, e questo si chiama progresso: ma il nulla non può andare ne avanti ne indietro, e in fatto d’arti le teoriche scompagnate dagli esempi son nulla. Anche nel giudicare imitate il grand’uomo testé citato. Ha egli a parlare del Monti? Vedete come ne parl: in que’ suoi quattro versi sottoposti al ritratto, che se non sono un miracolo di poesia, sono però gravidi di molto sapere, e sorgente di molte osservazioni:

Salve, o divino, a cui largì natura
     Il cuor di Dante e del suo Duca il canto;
     Fia questo il grido dell’età ventura,
     Ma l’età che fu tua tel dice in pianto.

[p. 206 modifica]Il cuor di Dante e lo stile di Virgilio! Vi pare che un uomo a cui il principale de’ poeti del vostro tempo offre, tra il pianto di tutto il secolo, questo pubblico tributo di lode, sia uomo che tocchi a voi (che non avete dato all’Italia nè inni, nè tragedie, nè romanzi, se non forse qualche grama novella!) di giudicare all’impensata, e di trascinare poco men che nel fango? Si dirà che io dovrei prendermela col signor Azario, autore dell’articolo, anziché con altri; ma davvero che non dubiterei di affermare aver buona parte de’ critici del mio tempo, specialmente giovani, la traduzione di quell’articolo in cuore. Ora, se credono, vi appongano questa nota; e Dio voglia, che soli gli stranieri parlino a sproposito delle nostre lettere, e vilipendano chi ha onorato l’Italia!