Trattato di architettura civile e militare I/Vita di Francesco di Giorgio Martini/Capo 1

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Vita – Capo I

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Vita di Francesco di Giorgio Martini Vita di Francesco di Giorgio Martini - Capo 2
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VITA


DI


FRANCESCO DI GIORGIO MARTINI.




CAPO I.

Nascita di Francesco. Si correggono parecchi errori del Vasari e di altri scrittori. Lavora al duomo di Orvieto. Ritorna a Siena. Gli si attribuiscono in questa città molti edifizi pei quali non v’è certezza. La città di Pienza con tutte le opere di Pio II sono di un Bernardo Fiorentino. Chi sia quest’architetto. Edifizii vari in Siena ed in Roma apposti a Francesco, non si possono provare opera sua.


Sullo scorcio del secolo decimoquinto le arti figlie della fantasia procedevano all’apice del sommo bello per opera di una numerosa e sceltissima schiera d’uomini che onorerebbero qualsivoglia età e nazione, ed ai quali erano guida un Leonbattista Alberti, un Leonardo da Vinci, un Bramante, un Fra Giocondo, un Francesco di Giorgio, uomini egregi nelle arti figurative, di squisito gusto nell’architettura, eruditi delle antichità, dotti nella scienza delle acque e degli artifici militari, culti scrittori, e dotati di sì potente facoltà inventiva che col genio loro spesse volte videro ciò a che altri non pervenne poscia che dopo lungo e faticoso studio.

Di questi eletti uomini che primeggiano per vasto e moltiplice ingegno, due sono al merito de’ quali non ha resa ancora piena giustizia la storia, voglio dire il Giocondo e Francesco di Giorgio. Del primo, speriamo che nelle città venete, laddove maggiormente rifulse quel raro uomo, sorgerà una volta chi ne darà compiuta notizia; del secondo parlò poco e non esatto il Vasari, ripetuto e copiato mille volte al solito: [p. 4 modifica]meglio ne discorsero il Bianconi, il De Vegni, il Della Valle, il Del Rosso, quantunque con poca luce di documenti autentici: venne poscia Ettore Romagnoli sanese (al quale io mi professo obbligato della conoscenza di molte importanti carte) che la sua vita troppo breve impiegò tutta nel raccorre infinite e svariate notizie degli artisti che tanto nome crebbero alla sua illustre patria, ed invaghito specialmente del nostro Francesco, ne scrisse una vita rimasta inedita, ma ricchissima di documenti, moltissimi de’ quali furono di fresco dal Dottor Gaye stampati in Firenze nel suo veramente utile Carteggio d’artisti (1).

Io, venute ultimo di tutti, ho pure avuta la sorte di trovare cose agli altri sconosciute, e ne parlerò a luogo: additerò, anzichè sviscerarle, le opere che il nostro Cecco condusse in pittura, in bronzo, in marmo: ma non potrò consentire nella infinita quantità di edifici civili che da’ suoi concittadini gli vengono apposti. Nè perciò scemerà il suo merito il quale ha vera base nelle sue opere militari, nel trattato suo e nel codice de’ disegni ne’ quali pose le fondamenta della moderna arte di fortificare.

Francesco figlio di un Giorgio e nipote di un Martino d’ignota famiglia (2), sottoscrivesi ed è chiamato in documenti che citerannosi in seguito, Francesco di Giorgio, al qual nome egli unì poi quello dell’avo, chiamandosi Martini (3). Non era di nobil casata nè della famiglia Trecerchi come scrisse l’Ugurgieri Azzolini (4) nei tempi fervorosi della scienza [p. 5 modifica]araldica: non fu neppure de’ Martini di Siena nobili dell’ordine ossia Monte del Popolo poichè quand’egli siedè magistrato in patria nel 1493 è scritto il nome suo, come di uomo nuovo, senz’altro, mentre i colleghi portanvi il nome dell’ordine cui spettano, e che fosse bassamente nato lo fa travedere egli stesso nella prefazione al suo trattato «a quello che la natura m’inclinava non mi determinava, ma più volte mosso dalla ragione, non sottoposto alle inclinazioni corporee, in qualche più vile e meccanica arte fui per esercitarmi, sperando in questa con minor peso di animo, se non di corpo, alle necessità del vitto mio possere suplire». Chi fossero o quali professioni esercitassero il padre e l’avolo suoi, è cosa ignota affatto, poichè quel Giorgio pollaiolo cui il De Vegni trovò ne’ libri di Biccherna (5), e padre di un Francesco nato nel 1439, se converrebbe pei nomi, disconverrebbe troppo per l’epoca: giacchè, quantunque non si conosca l’anno nel quale Francesco ebbe vita, pure dovette necessariamente precedere il detto anno 1439, stantechè sappiamo di certo che egli nel 1447 lavorava di scultura al duomo d’Orvieto, e se in tal epoca lo ammettiamo giovine, ragion vuole però che non fosse infante. Adunque in questa oscurità, investigando io l’anno probabile della sua nascita, propendo a quanto scrisse il Vasari nella sua prima edizione, per cui Francesco, che si dice morto circa il 1470 e vissuto 47 anni, sarebbe nato circa il 1423, e tale epoca è seguita dall’Ugurgieri e dal Baldinucci (6), e così in età di 24 anni non v’è ostacolo a supporlo fra i maestri della fabbrica di Orvieto.

Io so che sbaglia il Vasari dicendolo morto circa il 1470; so pur anche che sbaglia quando nella seconda edizione (Fiorenza pei Giunti 1568) e nelle posteriori gli prolunga vita sino al 1480, poichè è certo che Francesco morì nel secolo seguente, ma vedo che dal primo computo si trae giusta almeno l’epoca della nascita, qual cosa non accade nel secondo, e se vi fu errore nella data della morte, non ne segue che erronea pur sia quella del nascimento. Ciò dico appositamente, [p. 6 modifica]prestandomisi spontanea l’occasione di notar cosa inavvertita a chi tante volte ristampò il Vasari, ed è che non di rado la vecchia edizione vince in pregio di verità e di esattezza la seconda, per la quale il buon autore adottò troppo soventi inopportune correzioni. Per figura: il Cecca ingegnere fiorentino morì sotto Piancaldoli nel 1488, lo dice Machiavelli (7), e di tal anno è la lapide citata dal Vasari nell’edizione prima; ora, nella seconda ei scrisse l’anno 1499, con manifesto errore ripetuto poi da tutti (8). [p. 7 modifica]

Pel lungo soggiorno ch’egli fece in Urbino, fuvvi chi, essendo Francesco ancora in vita, lo disse urbinate; ma i suoi concittadini se lo rivendicarono, e nulla può opporsi ai documenti che lo dicono Sanese, ed alle parole sue stesse nel Trattato d’architettura laddove dice (codice sanese, fogli 7 e 8) la marittima della mia città di Siena; il territorio della mia città di Siena.

Della prima giovenile età sua puossi ben dire che la passasse tra gli studi, ma sotto qual maestro è impossibile lo asserirlo. In calce al codice sanese vi è una nota, la quale dice che Francesco di Giorgio fu scolaro di Filippo Brunellesco: perchè quest’opinione meritasse fede, vi vorrebbe in vero qualche cosa più d’una semplice annotazione di moderno carattere; l’epoca lo consente essendo morto il Brunellesco nel 1446 (9), ma non si giudichi di queste cose da quanto vediamo ai giorni nostri, chè allora un sanese che si fosse dato discepolo ad un fiorentino, o viceversa, sarebbe stata, per gli odii municipali, cosa pressochè mostruosa: d’altronde lo stile di Francesco se è della scuola toscana, non è però della fiorentina per nulla, nemmeno nelle parti; in quei tempi felici delle arti studiavasi il bello in natura e nei monumenti, nè un artista facevasi pedissequo di un altro.

Prima notizia di sua giovinezza l’abbiamo trovandolo l’anno 1447 in Orvieto, dove dà il nome suo ai maestri di quella loggia: vi dipingeva allora fra Giovanni Angelico da Fiesole, il quale partendosene sul fin di settembre, ebbe voglia Francesco, che certamente dovealo amare assai, di seguirlo; ma il 14 novembre adunati i fabbricieri ordinarono al camarlingo badasse che Francesco non lasciasse Orvieto (10).

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Dall’anno citato sino al 1467 corre un ben lungo spazio di quattro lustri, ne’ quali non si ha parola del nostro artista: gli scrittori sanesi riempiono agevolmente questa lacuna aggiudicandogli la maggiore e la più bella parte degli edifici allora eretti in Siena, i quali, dopo altri, enumerati dal Romagnoli sarebbero: nel 1457 la piccola cappella presso la chiesa di S. Pietro alla Magione: nel 1460 l’archivolto ed il cornicione alla cappella di piazza appiè della torre del Mangia, essendo la inferior parte colle statue, opera del 1553, terminato il tutto nel 1470: e di queste due opere non ripugna il crederlo autore, come pure del dilicato sepolcro eretto nel 1462 al cavalier Cristofano Felici nella cappella di S. Galgano in S. Francesco di Siena, che è cosa bella pel tanto amore con che è condotta, ma peccante di soverchia secchezza.

Dicevano suo anche il palazzo ora Nerucci, già Piccolomini, e detto delle Papesse, edificato da donna Catterina Piccolomini sorella di Pio II in terreno presso la cattedrale, cedutole dopo lungo contrasto dal comune in deliberazione del 9 ottobre 1460, contrasto causato da ciò che il nuovo edificio avrebbe per sempre impedito il desiderato perfezionamento dell’aggiunta del duomo. La facciata bugnata e severa ritrae molto dell’architettura fiorentina, e nulla ha di comune col fare di Francesco: trovò poi il Romagnoli un documento (11) del 1.° giugno 1463, nel quale apparisce con alto incarico un maestro Bernardo, il quale altri non può essere fuorchè quel Bernardo Fiorentino architetto di Pio II, e quindi anche della casa Piccolomini.

Qui cade occasione di parlare dogli edifizi di Pienza. Tutti sanno, che la terra di Corsignano in quel di Siena fu da Enea Silvio Piccolomini (che vi era nato) diventato papa e dettosi Pio II, rifabbricata e dal nome suo appellata Pienza ed innalzata al grado di città. Di questa sua creazione egli assaissimo si compiaque, e dell’amor suo grandissimo [p. 9 modifica]pel luogo natio sono sparse quelle pagine de’ suoi Commentari, uno fra i migliori monumenti letterarii di quella età, nelle quali ne cade discorso. Pio stesso (è ben noto che opera sua e non del Gobelino sono quegli scritti) si estende in sì minuta descrizione di quelle fabbriche che nulla lascia a desiderarvi (12), e se il volger del tempo perverrà una volta a distruggerle, basteranno le parole di Enea Silvio a farle vivere eternamente come se intatte fossero. La prima descrizione si aggira circa il palazzo Piccolomini; viene quindi alla cattedrale la quale egli stesso volle di uniforme altezza nelle tre navi (13): parla quindi della canonica, dell’episcopio e della casa della magistratura: della piazza circondata di nobili edifici, e finalmente dei palazzi cominciativi da chi più amava essergli grato. Il computo fatto dall’architetto non era che di otto o dieci mila scudi d’oro: ma la spesa oltrepassava già i cinquanta mila. Multa adversus architectum Pontifici suggesta fuerant, qui et infideliter egisset et errasset in aedificio..... Bernardus hic erat natione florentinus, absentem cuncti lacerabant. Il buon Pio non che rimproverarlo, lo ringraziò e regalollo.

Il Vasari aveva nella prima edizione taciuto delle fabbriche di Pienza; le attribuì nella seconda a Francesco di Giorgio: io veramente non credo che ai Sanesi, che scrissero di questo artista, fossero sconosciuti i Commentari del massimo loro concittadino, e la menzione che fa del Bernardo fiorentino: di più, e’ sapevano quanto Francesco stesso (codice Magliabechiano f.o 52 r.o) aveva scritto, avvertendo che i fondamenti in suolo instabile causano rovina dell’edifizio, come avvenne a Pienza città in Toscana, dove per la medesima inavvertenza un edificio, bellissimo tempio, tutto si aperse; ma e’ non seppero togliere al loro architetto l’onore di quelle vaste costruzioni, quantunque le citate parole suonino chiaramente ch’ei non v’era per nulla, che se quell’edificio lo avess’egli architettato, non avrebbe certamente mancato di dichiarare che della rovina ei non aveva colpa.

Scoprì l’errore il prof. Del Rosso (14), e dopo lui il Romagnoli ed il [p. 10 modifica]Dottor Gaye (15), convennero nell’assegnare le opere di Pienza al Rossellino, che di nome chiamavasi Bernardo, di patria era fiorentino, e vivea a que’ tempi. A me però fa ostacolo il vedere come il Vasari, che minutamente parla di ogni più piccola opera del Rossellino, di questa così importante non faccia motto: v’ha di più, che la narrazione degli edifici per esso fatti cessa colla morte di Niccolò V l’accaduta nel 1455, mentre che l’edificazione di Pienza ebbe principio dopo il 1458, ed il soggiorno fattovi da Pio II fu nel 1462.

A togliere la difficoltà occorre l’esistenza di un altro architetto Bernardo fiorentino, impiegato dai Papi e segnatamente da Paolo II nella chiesa di S. Marco in Roma e nel gigantesco palazzo annessovi: è questi certamente persona diversa dal Rossellino, che è figlio di un Matteo di Domenico Gamberelli (16), mentre il Bernardo che lavorò a S. Marco è figlio di un Lorenzo (17). Questa mia opinione è anche avvalorata dal vario stile di questi architetti: l’intelligente troverà identità perfetta tra gli edifici di Pienza e lo sgarbato portico di S. Marco, dal Vasari malamente attribuito a Giuliano da Maiano: ma per certo che tra le opere del Rossellino e quelle di Pienza analogia non corre. Basti delle cose di Pienza, delle quali parlai e per dimostrare che non sono del nostro Francesco, e per rivendicare il nome di un architetto sconosciuto affatto. Alla storia degli artisti italiani di que’ tempi nuoce la stessa loro moltitudine.

La tradizione de’ Sanesi dice opera di Francesco la loggia de’ Piccolomini detta del Papa in quella città presso S. Martino, fatta nel 1460 da Pio II per convegno de’ suoi consanguinei, apponendovi l’iscrizione pivs ii pont. max. gentilibvs svis picolomineis: è un grazioso portico di tre arcuazioni su colonne corintie: era voler del Papa di farlo maggiore, ma o fosse che non potesse vincere la durezza di un privato che [p. 11 modifica]sempre negogli di vendergli alcune attigue casuccie (18), od impedito dalla morte non lo compiè (19).

Un’altr’opera di que’ tempi e di quel Papa gli è attribuita, non già da’ suoi concittadini, ma dal Guattani, ed è l’edicola di S. Andrea a Ponte-Molle; il volgo la dice di Bramante, ma non può essere, non essendo questi venuto in Roma che l’anno 1500; perciò soggiunge il Guattani (20): «minutamente cercando qual bravo architetto fiorisse in quell’epoca, non trovo che un certo di Giorgio sanese.... niente più facile che (Pio II) gli ordinasse anche questo picciol lavoro». Ma prove non ne adduce: onde io direi con maggior fondamento che niente più facile, che questa graziosa edicola l’ordinasse al suo Bernardo fiorentino.

Delle altre numerose fabbriche di Pio II registrate da lui stesso, dal Campano, dal Platina, dal Ciacconio, dall’Oldoini e dal Malavolti, poichè niuno le attribuì al nostro architetto, ne tacerò io pure.

Nei regesti del consiglio generale di Siena, citati dal Romagnoli, leggesi, che adunatosi il consiglio il 24 aprile 1464, deliberò di dar compimento alla chiesa di S. Caterina in Fonte Branda, il qual lavoro fu fatto l’anno seguente, essendone operaio pel comune Giovanni di Antonio Cigalini. È voce antica in Siena che la facciata sia disegno di Francesco di Giorgio, ma ne’ libri dell’archivio delle Riformagioni (libri turchini, vol. VIII, carte 112) ne’ quali sono segnate le partite d’ogni cosa, si parla di M.° Corso, che fece la facciata, di Mariano di Tingo scultore della porta, e di Urbano di Pietro da Cortona statuario: ai quali la giudiziosa guida di Siena (del 1822) aggiunge Francesco di Duccio del Guasta, che diresse l’innalzamento della volta per lire 195, e Jacopo Cozzerelli scultore, che architettò le due graziose logge collocate in alto. Io, non trovando qui menzione del nostro Cecco, amerei apporre quell’opera al Cozzerelli piucchè ad altri, e vieppiù, perchè bello, e degno di Francesco è l’edifizio, ed al Cozzerelli, che gli era compagno e carissimo amico, non avrà negati i suoi lumi (21).

  1. Come artista e come italiano compio un dovere di grato animo memorando qui a titolo di onore il nome di Giovanni Gaye tedesco, il quale, estenuato da lavori letterarii condotti in pro della Storia italiana, moriva, or ha un anno, in Firenze senza veder alla luce intiera la sua raccolta. Egli, pensator erudito e conoscitor dell’Italia, non poteva concorrere colla turba impudente di que’ viaggiatori stranieri che tuttodì vediamo affollarsi a dare il calcio del giumento al leone infermo. Nella storia delle arti nostre il nome suo non perirà.
  2. Lettere Sanesi III. 93, citazione ivi del libro de’ Leoni negli archivi di Siena, e prima si ha Georgius Martini et Franciscus eius filius ec. (Ducale dell’Archivio di Siena del 1468-69 a c. 20 presso il Romagnoli).
  3. Le varianti di nessun conto, nelle quali incorse il nome di quest’artista, sono minutamente registrate dallo Zani: Enciclop. metod. delle BB. Arti. Part. I, vol. X, pag. 44.
  4. Pompe Senesi. Vol. 1 pag. 661. Forse fu l’Ugurgieri tratto in errore, leggendo nelle storie di Siena di un Giorgio Trecerchi commissario per la guerra, il quale e pel nome e per l’epoca potrebbe essere padre del nostro architetto, se ciò non fosse provato falso da troppi documenti (Malavolti, Storie di Siena, parte III, lib. VI passim).
  5. Lettere Sanesi. III, 91.
  6. Lib. I, pag. 567. Ediz. di Torino.
  7. Istorie Fiorentine. Lib. VIII ad ann.
  8. Essendo rarissima e quindi poco conosciuta questa edizione principe, io ne riporterò qui la vita del nostro autore, la quale molto differisce dalle vulgate, e, se non altro, ha un error di meno, non vi si parla cioè delle fabbriche di Pienza. Tralascio il solito elogio proemiale. «Francesco di Giorgio, scultor sanese. Il quale non manco fu eccellente et raro scultore, che egli si fosse architetto: come apertamente mostrano le figure da lui dopo la morte lasciate a Siena sua patria: le quali di bronzo con bellissimo getto furono due Angeli oggi locati su lo altar maggiore del Duomo di quella città, i quali egli con sua grandissima comodità fece et rinettò. Era Francesco persona che faceva l’arte più per ispasso et per piacere, sendo ben nato et di sufficienti facoltà dotato; che per avarizia o altro comodo, che trar ne potesse. Laonde cercò ancora di dare opera alla pittura: et fece alcune cose non così perfette però, come nella scultura e nella architettura. Perilchè avendo egli avviamento per il duca Federigo di Urbino, andò a servigi di quello; et il mirabile palazzo d’Urbino, fattone prima il modello, gli condusse quale e’ si vede, il che fu cagione di non manco farlo tener vivo fra gli huomini per tal memoria, che per la stessa scultura sua. E s’e’ vi avesse atteso, non è dubbio ch’egli non ne fosse restato sempre famoso. Atteso che infiniti scrittori, per l’Academia che in tal luogo in quel tempo si ritrovò, hanno talmente celebrato l’edificio; che ben può Francesco di tale opera quanto altro artefice contentarsi. Egli ricevette da quel principe infinite carezze, essendo quello amator singolarissimo di tali huomini: et inoltre perchè a Siena se ne tornò con premio, meritò per gli onori et pel grado, che a Siena sua patria aveva acquistato, essere eletto de’ Signori di quella città. Ma pervenuto finalmente ad età d’anni XLVII, per un male, ch’alle gambe gli venne, indebolì talmente; che poco tempo durò: nè gli valsero, o bagni, o altri rimedii della vita. Furono da lui le statue e l’architetture fatte l’anno MCCCCLXX, et acquistonne questo epitaffio.

    «Quae struxi Vrbini aequata palatia caelo:
    Quae sculpsi et manibus plurima signa meis;
    Illa fidem faciunt ut novi condere tecta
    Affabres (sic); et scivi sculpere signa bene.»

    Edizione del 1550. Parte II, pag. 432. Di questo epitaffio ne riparlerò a luogo. — Intanto mi sia lecito notare quanta confusione nasca dalle solite espressioni che il Vasari pare abbia tolte da Plinio, per le quali dice di un artefice che fiorì, o che le opere sue furono circa tale e tal anno, e colle quali ora accenna l’epoca della morte, ora quella del maggior grido dell’artista. Qui però l’anno 1470, e meglio assai il 1480, parmi indicare quello della morte, poichè, dopo di esso, nessuna opera più gli appone. Pure, rimane una grave difficoltà, ed è il dire dell’essere stato Francesco innalzato tra i sommi magistrati della sua città, la qual cosa non fu che nel 1493. Ma sapeva egli, il Vasari, in qual anno goduto avesse Francesco di tale onore? Certo la sua cronologia è corrottissima, sicchè sia meglio abbandonarla affatto anzichè discuterne.

  9. Baldinucci. Vita del Brunellesco. Firenze 1812, pag. 279.
  10. Storia del Duomo d’Orvieto, pag. 127, 129. Alla pag. 119 il Della Valle dice che gli fu maestro un Luca da Siena, che vi scolpì nel 1388 la pila dell’acqua santa: non ne dà prove.
  11. Riformagioni Archivio. Filza 85. Stampato dal D.r Gaye in miglior lezione nel vol. I n.o LXXXI del suo Carteggio d’artisti:..... Antonius Federici de Ptholemeis cesserit nobis expendidisse certas pecuniarum quantitates in rebus adductis pro constructione eius palatii ..... et quod magister Andreas de Interamne, lapidum ductor, asserit multas pecunias debere habere ab ea (D. Catterina), et quod magister Bernardus, cui erat data commissio declarandi etc. reccssit et non declarat ec.
  12. Pii II Pont. Max. Commentarii. Romae 1584, lib. IX, pag. 425, 433.
  13. Pag. 430: Tres (ut aiunt) naves aedem perficiunt, media latior est, altitudo omnium par: ita Pius iusserat, qui exemplar apud Germanos in Austria vidisset.
  14. Lettere Antellane sopra le opere e gli scritti di Francesco di Giorgio Martini. Roma 1823, lett. II.
  15. Nota al documento LXXXI.
  16. Manni. Sigilli. Vol. IX pag. 122. Denunzia de’ beni di Bernardo Rossellino presso Gaye, n.° LXXIII.
  17. Marini. Archiatri pontifici. Vol. II, documento LX, pag. 199. Questo autore prova pure con ottime ragioni che quel Francesco dal Borgo S. Sepolcro, al quale Gaspare Veronese (Vita Pauli II. Rer. Ital. Script. vol. III, part. II, col. 1041, 1046) attribuisce quel palazzo, non era altrimenti architetto, ma scrittore apostolico e soprastante.
  18. Lettere Sanesi. Vol. III, pag. 75.
  19. Campanus, Vita Pii II; R. It. Script. Vol. III, part. II, col. 985. Fecit et senex porticum gentilitiam concameratam, aedes quoque adiuncturus, quarum iam aream straverat.
  20. Memorie enciclopediche romane sulle belle arti ec. Roma 1806. Vol. I, pag. 8.
  21. Vasari in Francesco di Giorgio.