Una cameriera

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Giulia Turco Turcati Lazzari

Indice:Turco - Canzone senza parole.djvu novelle Una cameriera Intestazione 11 agosto 2022 75% Da definire

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UNA CAMERIERA


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Natalia andava sa e giù in punta di piedi nell’elegante salotto, spolverando con cura 1 quadri, i mobili, i gingilli e canticchiando, con voce sommessa, uno stornello.

Aveva vent’anni; era alta, bruna e bella I suoi grandi occhi castani, risplendenti d’una gentile, sincera bontà, parevano sempre un po’ commossi; la sua bocca larga ma ben disegnata s’apriva, mirabilmente, nel dolce sorriso, sopra due file di dentini candidi e perfetti.

Ella stringeva i capelli neri e ondulati in due grosse trecce, non potendo in altro modo sostenerli, tant’erano folti, e portava con semplicità ma con una certa grazia innata il suo vestitino di lana nera orlato al collo e ai polsi da filetti bianchi.

Quando suo padre, l’onesto ragioniere dei conti di Pallano, era morto di malattia infettiva, quasi contemporaneamente alla moglie, lasciandola sola, appena adolescente e priva di mezzi, la contessa si era dato premura di collocarla m un istituto, coll’intenzione di assumerla più tardi al suo servizio. [p. 76 modifica]

Se le precoci sventure avevano educato, più di ogni altra dottrina, il cuore leale della giovinetta, la vita tranquilla, regolare e serena del collegio era stata favorevole al suo fisico sviluppo, e l’insegnamento della scuola era riescito efficace al suo aperto intelletto, alle sue piccole mani per natura abilissime.

Una profonda riconoscenza verso la famiglia Pallano, un desiderio ardente di corrispondere, con tutte le sue forze, al beneficio ricevuto avevano reso meno spiacevole a Natalia il suo passaggio dal convitto al palazzo signorile, dal posto di allieva distinta a quello di cameriera protetta dalla padrona.

La contessa di Pallano viveva molto sola.

Suo marito, deputato influente e assorto dalla politica, passava parte dell’anno a Roma ove certe ostinate sofferenze nervose le impedivano di seguirlo e i suoi due figliuoli stavano spesso assenti da casa. Marcello, il maggiore, addetto alla legazione italiana a Pechino, mancava da due armi • il più giovine, Lodovico era tornato in quei giorni da un lungo viaggio in Inghilterra al quale lo studio aveva servito di pretesto e lo sport di scopo principale.

Il personale di servizio era sempre molto numeroso, ma Natalia o Natalì, come spesso solevano chiamarla, passava la giornata fra l’appartamento della padrona e la sua cameretta, vedeva poco i compagni e per uno speciale favore mangiava a parte. [p. 77 modifica]

Nessuna nube aveva mai offuscato la nativa serenità della sua mente, soltanto ella sentiva nel l’anima un innocente bisogno d’amare che la vita solitaria fomentava e al quale il temperamento piuttosto freddo della contessa non offriva che uno scarso sfogo.

Donna Clara, certamente, non poteva dirsi cattiva, ma il suo ingegno era più accorto che eletto, il suo spirito, un tempo assai frivolo, mancava di distinzione e il suo cuore, chiuso agli altri affetti, si concentrava in un amore materno commisto d’orgoglio e di cecità.

Al ritorno del conte Lodovico, Natalia si sentì, all’improvviso, turbata dalle più strane emozioni.

Il giovane nel vederla s’era mostrato assai cortese, le aveva fatto un complimento sulla sua avvenente giovinezza e, ora, si tratteneva qualche volta con lei a parlare di cose diverse e indifferenti ma con un accento pieno di simpatia.

Quel giorno, Natalia s’era accorta che il suo pensiero ricorreva con insistenza verso di lui e pur facendosene un casto rimprovero, non riesci va a distrarlo da quel punto fisso e quasi involontariamente passava e ripassava dinanzi una mensoletta sulla quale Donna Clara aveva posto la fotografia del conte in costume da alpinista. Era una faccia un po’ insipida, un po’ spavalda, ma non priva d’una fisica bellezza: la fanciulla non sapeva saziarsi dal contemplarla.

Ella ne stava ripulendo l’ultima volta, con lo [p. 78 modifica]

spazzolino, la cornice d’argento ossidato quando Lodovico Pallano comparve sulla soglia e le chiese:

— Hai veduto il mio libro, Natali?

— Quello che stava leggendo stamane? Folles amours? eccolo — disse la fanciulla porgendogli un volume d’Ollendorf colla copertina gialla.

— Bravissima! conosci dunque il francese? sai ciò che vuol dire: Folles amours? del resto, la parola amore si capirebbe in qualunque lingua, non è vero, Natalì? — soggiunse il giovinotto, avvicinandosi a lei e tentando di cingerle con un braccio la svelta persona.

Ella si schivò con uno sguardo così pieno di sommessi ma intensi rimproveri che Lodovico dovette cedere e non senza un lieve imbarazzo.

— Non ti credevo così severa — mormorò egli — mi piaci... Natalia, ti sei fatta una gran bella figliuola! dimmi, ce l’hai l’innamorato?

— Oh signor conte!.....

— Qual meraviglia!..... Non l’hai? davvero?

— Davvero.

— A me dunque un po’ di bene, lo vorrai......

— Sono affezionata a tutta la famiglia.....

— Dico a me a me particolarmente. ...

— Non so — balbettò la fanciulla molto agitata.

— Non sai?... ti vorrò bene io per darti il buon esempio.... sei d’accordo, Natalia?....

Un cameriere entrando, interruppe lo scabroso colloquio.

La fanciulla riprese le sue occupazioni. Il cuore [p. 79 modifica] le martellava in petto. Ella capiva che mai avrebbe dovuto dare ascolto ai vani discorsi del giovine signore, ella si studiava con tutte le sue forze di rivolgere altrove la mente, ma, nella piccola lottar l’istinto prevaleva alla ragione e il suo pensiero, sempre più rapito da un’arcana dolcezza, tornava costante alla stessa immagine, agli stessi trepidi ricordi.......


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La contessa aveva mandato due persone di servizio in campagna ad allestire la casa per un breve soggiorno di primavera. Il piccolo cottage di Villa Clara dominava, da una lieve altura, una ricca distesa di vigneti che si perdevano nel piano, sulle rive d’un placido fiume. Le prossime adiacenze erano Coltivate ad uso di giardino inglese; a terreno della casa s’aprivano delle grandi porte a cristalli sopra un bellissimo prato tutto contornato con arabeschi di gerani rosa e bianchi.

Da quattro giorni Natalia e un vecchio servitore s’affaccendavano al lavoro e la sera, finito il compito che s’era proposto, la giovane andava sulla terrazza, in fondo al prato, e seduta su un muricciuolo aspirava con diletto la fragranza dei fiori primaverili e guardava lontano lontano verso la città che di notte si discerneva chiaramente, nel largo piano, come un’oasi di luce. In quei momenti di tranquilla solitudine ella dimenticava le cure e le fatiche della giornata e si compiaceva d’ascoltare [p. 80 modifica] colla sua piccola anima i fantastici sogni della giovinezza.

Un pomeriggio, ella si trovava nel salotto della sua padrona, tutta intenta a rinnovare le gale di un cuscino di seta, quando due mani profumate le si posarono, all’improvviso, sugli ocelli e una bocca ardente le mise un bacio sul collo. Ella cacciò un grido, si volse sdegnata e si trovò in faccia a Lodovico Pallano. Dinanzi al bel volto allegro del giovinotto, il suo corruccio si fece più mite, nondimeno, reprimendo l’invincibile tenerezza che l’era rifluita in cuore, ella disse con gravità:

— Mi sono molto spaventata. Questi modi non mi convengono.

— Dunque ti rincresce di vedermi, Natalia?....

— Non dico questo, ma....

— Andiamo, sii cortese e non ti confondere con simili sciocchezze. Pensa piuttosto che ho una fame da morire.....

— Ci penso subito — rispose Natalia, rasserenandosi — ma deve contentarsi d’un desinaretto alla buona

E scansando una nuova carezza, s’avviò, di corsa, alla casa del fattore in cerca d’aiuto e di consiglio.

Lodovico fece molto onore alle vivande squisite nella loro sobrietà: un piatto fumante di maltagliati e una pollastra al pomodoro; volle che Natalia lo servisse invece del domestico e divise con lei le fragole moscatelle dell’orto, mettendogliele in bocca ad una ad una. [p. 81 modifica]

La ragazza si schermiva, ridendo, e quando il giovane signore ordinò che gli portassero il caffè in giardino, sotto un pergolato, ella riuscì a sfuggirgli, per andare al solito posto sul muricciuolo della terrazza. Ma Lodovico non tardò a scoprirla e a raggiungerla; le sedette daccanto e si mise a farle le più bizzarre, le più insinuanti e scherzose domande, godendo della grazia ingenua, ma piena di buon senso, con cui si difendeva. Poi cominciò a strappare dei gelsomini da una siepe vicina e a gettarglieli a manate. Era una pioggerella fragrante di piccole corolle bianche che le si posavano sulle braccia, sul collo, tra le falde della camicetta azzurra.

Ella continuava a ridere innocentemente e il giovine signore si divertiva a ornarle e i capelli neri di tenui fiori, a comporle delle ghirlandette sulle morbide trecce.

— E dunque..... non ho ancor saputo quali sono gli ordini della signora..... disse Natalia, per distrarlo.

— Mia madre mi crede a Castel Cassino, dai Ricciardi.....

— Non sa ch’è venuto quassù? perchè non glielo ha detto?

— Ho preferito tacere. Sono venuto per te Natali, per farti una sorpresa.

— Oh giusto, per me!...

— Per te, unicamente per te.

— Sono una povera figliuola... — ella mormorò, non sapendo dir altro nella sua improvvisa gioia. [p. 82 modifica]

— Una bella figliuola sei e devi essere anche buona, devi volermi bene... io te ne voglio tanto..., già lo sai, te l’ho detto ancora...

Natalia chinò la testa, senza rispondere. Una grande dolcezza le inondava il cuore.

Sulla campagna, sul largo piano, calava lento il crepuscolo di maggio, la cittá lontana s’illuminava rapidamente d’una luce che pareva rossastra dinanzi agli ultimi pallidi chiarori del cielo.

Il giovane prese il braccio di Natalia.

— Vieni, passeggiamo un poco, andiamo laggiù nel boschetto, qui si soffoca dal caldo — egli mormorò.

La ragazza si scostò con risolutezza.

— No, laggiù non vengo — diss’ella.

— Sei scompiacente e indocile, Natalia.

— Si fa notte e non si conviene.

— Hai proprio la coscienza così sottile?

— La mia coscienza è l’unica mia ricchezza.

— Oh! che frase da vecchia commedia...! Sei ingrata verso di me, Natalia. Guarda, t’avevo portato un regalino...

E trasse di tasca un astuccio con un anello di piccole perle.

— Ti piace? lo vedi? — continuò, tentando di metterglielo nel dito.

— Sì, mi piace, è molto carino... — disse la fanciulla, alzandosi di scatto, e scuotendo involontariamente dalla snella persona i gelsomini — è molto carino, ma non lo accetterò mai, conte Lodovico. [p. 83 modifica]

— Perché? non capisco.....

— Ella lo sa il perchè.

E gli occhi buoni di Natalia lampeggiarono d’una fierezza viva.

— Era un ricordo.

— Grazie, come se l’avessi accettato.

— E nulla mi concederai tu, nemmeno una piccola carezza, mai?...

Ella scosse la testa, senza rispondere; le ghirlandette di gelsomino si disfecero tra i capelli ondulati.

— Nemmeno... nemmeno un po’ d’affetto, Natalia ?

La voce del giovine signore era così dolce che gli occhi della ragazza s’empirono di lagrime.

— È meglio che non me lo domandi, conte Lodovico — ella disse con un accento di tenerezza infinita. — Desidera che Valentino selli il suo cavallo? Si fa tardi.

— Vuoi anche mandarmi via, adesso? e se mi piacesse di restare?

— Il padrone è lei — però...

Il giovine sorrise.

— Hai paura Natalia? chiese egli.

— Di che cosa dovrei aver paura? — rispose la fanciulla con grande alterezza -— ella non ignora che il mondo è cattivo e che la gente onesta è costretta a difendersi anche quando non occorrerebbe.

— T’hanno calunniata forse? t’hanno fatto qualche torto? [p. 84 modifica]

— Può darsi — rispose Natalia con un brivido.

Lodovico sapeva benissimo che i domestici di casa, vedevano di mal occhio la sua predilezione per lei.

— Partirò, non ti crucciare! — diss’egli finalmente, — ma devi convenire che sono buono, molto buono...

— Abbiamo l’obbligo d’essere buoni. Iddio ci vede — ella concluse, con semplicità.

E ritornarono insieme verso la villa. Scendeva la notte sul campestre silenzio e lo sfavillìo delle stelle sembrava un palpito nell’immensità del firmamento.

Tacevano, turbati entrambi da una di quelle forti commozioni giovanili che nelle brevi ore dell’oblio sembrano cancellare, dinanzi all’eterna legge, ogni differenza di casta.

Alcuni minuti più tardi, Natalia seguiva, con una trepidazione deliziosa, il trotto del sauro vivace fuggente nel buio della lontananza e l’animo di Lodovico Pallano era contrastato, nella cavalcata notturna, fra l’ira sorda della fallita vittoria e un sentimento diverso e meno ignobile ch’egli non sapeva ancora definire a se stesso.


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Fu un capriccio, un capriccio violento che gli occhi sagaci di donna Clara videro senz’apprensione, che i domestici biasimarono, per bassezza o [p. 85 modifica] per invidia, pur fingendo, il più delle volte, di non accorgersene.

I primi giorni la corte insistente e un po’ audace del giovine signore aveva recato aspra offesa a Natalia, ma la sua anima era già così profondamente innamorata ch’ella non cessava di compatire e di perdonare, ad onta di quell’amarezza.

Poi, il capriccio sensuale di Lodovico, dinanzi all’inalterabile severità del suo contegno, sera elevato, a grado a grado e in virtù della contradizione, alla nobiltà dell’affetto.

Quel vincolo singolare non impediva certamente al giovine di godere la vita che gli si offriva spensierata e gioconda, ma pur frenava, senza ch’egli se ne avvedesse, il soverchio ribollimento dell’età, temprando anche quel po’ di diffidenza verso la donna ch’è comune a vent’anni, con la convinzione, parte incresciosa parte piacevole, che Natalia fosse proprio onesta.

Il rispetto che Lodovico aveva finito per professarle era come una conquista, un possesso, un bene infinito nell’umile esistenza della fanciulla. Egli le dimostrava una fiducia illimitata e se le sue confidenze s’arrestavano dinanzi al delicato capitolo delle distrazioni amorose non mancava di farle parte d’ogni altro suo intimo pensiero, con l’abbandono d’un amico.

Il contatto con un giovine che, ad onta della sua leggerezza, poteva vantare una certa distinzione di forme e di coltura aveva raffinato i modi [p. 86 modifica] di Natalia, svegliando la sua facile intelligenza, ravvivando la sua bellezza d’un nuovo fascino.

Ella visse alcun tempo in una intensa felicità dello spirito, in quel singolare oblìo delle cose che inganna l’amore nelle sue prime, trepide rivelazioni. Ma inquietudini gravi e segrete angosce non tardarono a offuscare quella serena contentezza.

Le precoci esperienze della sua posizione le avevano insegnato a soffrire e quell’affetto, doppiamente virtuoso, divenne, in breve, come la maggior parte dei profondi, immutabili amori un sentimento commisto di devota tenerezza, di cieca ammirazione e di sacrifizio.

Nella sua muta adorazione ella sapeva essere generosa ed eroica, chè per quante pene le derivassero da Lodovico, mai ella avrebbe osato dolersene. Vedeva spesso il padroncino corteggiare le signore, far pompa della sua elegante avvenenza e di quei piccoli talenti di società che nel mondo tanto s’apprezzano e doveva contentarsi il più delle volte, d’un’occhiata furtiva, mentr’egli prodigava tanti sguardi lusinghieri alle donne della sua casta, d’una stretta di mano scambiata in un corridoio, delle briciole che cadevano dalla mensa di quel gaudente senza riflessione.

Di quando in quando veniva un raggio di luce, veniva l’ora delle effusioni confortatrici, dei confidenti colloqui nel giardino della villa o nell’appartamento di donna Clara quando la delicata signora, spesso indisposta, sonnecchiava. [p. 87 modifica]

Ma la coscienza sottile di Natalia era turbata anche per quei ritrovi da un grave cruccio : il silenzio assoluto che Lodovico l’aveva costretta a serbare verso sua madre.

Qualche volta ella si faceva perfino uno scru- polo d’ascoltare le ardenti parole del giovine, ma la sua volontà s’indeboliva dinanzi a quella deli- ziosa tentazione.

Erano parole così dolci per la sua anima solitaria!... e ella ben sapeva che ad altri compensi non le sarebbe mai stato, lecito d’aspirare. Che cosa poteva aspettarsi dall’avvenire? nulla. Nel suo cuore non erano vane illusioni nè sciocche speranze : ell’amava per la compiacenza d’amare, forse per quella strana voluttà di patimento che certe nobili creature celano nel loro profondo segreto.


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Donna Clara soleva svernare spesso in Sicilia o sulla Riviera ligure, conducendo seco un vecchio servitore e Natalia. Quell’anno la scelta cadde su un villino dei dintorni di Pegli e Lodovico vi rag- giunse sua madre ai primi di gennaio. La vici- nanza di Genova gli procurava frequenti e sva- riate distrazioni, le strade littorali gli offrivano un vasto campo per esercitare i suoi cavalli e la presenza di Natalia non era certamente l’ultima attrattiva di quell’ameno soggiorno.

Egli si trovava da un paio di settimane in [p. 88 modifica] Riviera quando cominciò a frullargli per il capo il desiderio di fare una qualche scappata segreta colla fanciulla, e un bel mattino le propose, senz’altro, di recarsi con lui, la notte seguente, al veglione del teatro Carlo Felice.

Alla prima, Natalia si mise a ridere come se il giovine le parlasse d’una cosa impossibile, impensabile; ma le istanze di Lodovico furono così affettuose, ch’ella ne rimase fortemente turbata. Credendo tuttavia nel suo delicato ritegno, nella sua persistente saggezza, di mettersi sotto l’usbergo d’un sicuro ostacolo, ella dichiarò che non avrebbe mai accettato senza il consenso della sua padrona.

Ma la contessa, guidata dal suo spirito d’opportunismo, dalla sua superficialità bonaria, sicura dell’onoratezza di Natalia, si lasciò debolmente strappare il consenso dal figliuolo, per la tema ch’egli potesse scegliere di peggio.

E così avvenne che Natalia, incoraggiata da quella colpevole indulgenza, trascinata dalla tentazione irresistibile ormai, accogliesse con trasporto il lusinghiero e seducente invito.

Quale incanto la trottata notturna sulle rive del mare, la misteriosa intimità della carrozza nelle vie della città rigurgitanti di allegre maschere e splendenti di luce! qual gioia intensa il passeggiare con Lodovico Pallano tra i fulgori della festa, tutta ravvolta in un domino di raso bianco, col cappuccio adorno da una ciocca di vividi garofani! com’era piacevole quel loro incognito [p. 89 modifica] nella folla spensierata!..... Quanti dolci colloqui nel palco, quale impeto di confidente effusione!... Non era più lei, Natalia, l’umile fanciulla, era la dama eletta fra tante dal suo cavaliere. E quella sera il bel cavaliere le era stato scrupolosamente fedele, non s’era occupato che della sua dama. Aveva ascoltato con indifferenza il chiacchierio delle mascherette che gli si stringevano dintorno, l’aveva condotta a cena, in un elegante restaurant circondandola d’attenzioni gentili, senza venir meno all’affettuoso rispetto ch’ella era riescita ad imporgli.....

Quando rientrarono nella villa, la mattina allo cinque, con una violenta ebbrezza di suoni e di luce e un po’ di vapore di sciampagna nel cervello, Lodovico accompagnò Natalia fin sulla soglia della cameretta ch’ella occupava, dirimpetto all’appartamento di donna Clara.

Il cappuccio bianco era caduto sulle spallo della ragazza, i garofani rossi, quasi appassiti ma esalanti ancora un’acuta fragranza, s’erano impigliati fra le treccie mezzo disfatte; un’espressione di gioia appassionata faceva ardere i suoi grandi occhi neri, nel delizioso languore d’un ricordo che nessun pensiero triste contaminava.

Appoggiato al muro, di faccia a lei, nello stretto corridoio, con le braccia conserte, il giovine signore la guardava intensamente. Non si muovevano per non far rumore, parlavano sommesso, e quello stesso bisbiglio, quell’apparente mistero si facevano complici dell’ora pericolosa. [p. 90 modifica]

Ad un tratto Lodovico le disse:

— Non sei stata mai così bella, Natalia, ma sei crudele..... — e prendendola per le mani e fissandola nelle pupille con tutto il fuoco dei suoi vent’anni tentò d’attrarla a sè.

Vinta da una molle stanchezza, sempre più affascinata da quell’amore che la cercava con inesauribile insistenza, la fanciulla era presso a cedere: quasi inconscia della realtà ella dimenticava all’improvviso, lì sulla soglia della sua verginale cameretta, il suo passato innocente e l’onore custodito con sì gelosa cura. Ma mentre la sua testina bruna, dai capelli scomposti, s’abbandonava sul petto anelante del giovane per accoglierne alfine la desiderata carezza, una campana argentina suonò da lontano.

Era l’Angelus, il pio saluto alla Vergine.

Natalia stette un secondo in ascolto e sbarrando gli occhi, con un fremito di spavento, tentò svincolarsi.

Un lampo d’ira balenò nello sguardo torbido del giovine, che divenne ad un tratto imperioso, quasi brutale nel suo accecamento, ma sul volto atterrito di Natalia apparve allora un’angoscia così supplichevole, così disperata ch’egli allentò suo malgrado le braccia e la disciolse.

La fanciulla rientrò, vacillando, nella sua stanza. Dalle persiane aperte penetrava la blanda luce dell’alba, un’alba fredda e grigia d’inverno.. Ella 4 si strappò con le mani tremanti il domino bianco, [p. 91 modifica] si riannodò le trecce disfatte e cadde in ginocchio accanto al suo lettuccio, con un singhiozzo soffocato.

Tutto quanto pochi minuti prima l’aveva esaltata e illusa d’una folle ebbrezza adesso si mutava in dolore. I ritmi voluttuosi della musica da ballo le risuonavano ancora all’orecchio con una penosa insistenza; ella sentiva le voci bizzarre delle maschere, le loro risa sguaiate, il frastono dell’orgia che incalza prima di volgere alla fine; ella rivedeva l’eleganza licenziosa e spesso abbietta del mondo femminile; le pareva di respirare quell’aria carica di profumi malsani, di polvere e di miasmi in cui aveva passato la notte accanto a tante donne volgari, presso a perdersi ella stessa.

La diletta presenza di Lodovico aveva coperto d’un fitto velo, al suo sguardo, la sinistra visione che doveva apparirle così chiara nel brusco risveglio del suo sogno.

Natalia sentiva ora più che mai l’infinita tristezza di quell’amore che non potendo tendere al giusto suo fine, l’unione. legittima, minacciava sempre di profanarsi con la colpa ma non era in grado di spiegare la condiscendenza della sua padrona che l’aveva esposta senza riguardo al pericolo, non riesciva nemmeno a comprendere per quale strana aberrazione ella stessa lo avesse con insolita leggerezza affrontato; le pareva d’essere sola al mondo, abbandonata, senz’appoggio, senza conforto..... [p. 92 modifica]

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Lodovico s’alzò molto tardi, la salutò freddamente, ripartì subito per Genova e si dette alcuni giorni alla pazza gioia del carnevale, senza metterla a parte di nulla, affettando di non curarla, mostrandole quasi un certo disprezzo. Ma fu uno sdegno di breve durata. L’abbattimento di Natalia e la cupa mestizia che le traspariva dal volto non tardarono a commuoverlo, infiammando l’amore insodisfatto, suscitandogli nella coscienza un certo rimorso. Anzi, la sua passione si fece per alcun tempo così violenta che non trovando altro mezzo per appagarla, egli lasciò correre follemente qualche parola di matrimonio.

Stupefatta, alla prima, da una rivelazione così imprevista e contrastata nell’animo da sentimenti affatto opposti, la fanciulla s’avvezzò nondimeno assai presto alla nuova idea e, dopo un breve periodo d’esaltamento, cominciò a subirne le torture. Il pensiero d’essere legata per sempre a colui che adorava, fors’anche di dividerne la condizione signorile e indipendente, non poteva a meno d’attrarla, ma il suo fine intuito di donna le raffigurava con chiarezza tutti gli scogli che s’incontrano nel pericoloso mare delle disuguaglianze sociali. Oltre a ciò, non sapendo ella immaginare che la contessa si fosse accorta di quell’amore e lo tollerasse per opportunismo, non era in grado di affrontarne lo sguardo senza provare un senso di pena [p. 93 modifica] e di rimorso come fosse una traditrice, mentre stava piuttosto per diventare la tradita.

In primavera, quando Donna Clara lasciò la villetta di Pegli, per ritornare col figliuolo alla sua casa e alle consuete abitudini, l’amore di Natalia s’accrebbe di nuovi tormenti.

Le persone di servizio, specie dopo la scappata del veglione che il cocchiere s’era affrettato di raccontare, non credendo realmente più alla sua onestà, coglievano qualunque pretesto per ferirla con allusioni maligne e con sospetti ingiuriosi. I più ingiusti, i più crudeli erano il cuoco e la guardaroba che già da due anni conducevano una vita irregolare.

Natalia sopportava e soffriva in silenzio quella grande angoscia ma la sua salute cominciava a risentirsene e ella riesciva a mala pena a sbrigare i suoi impegni con la solita scrupolosità.

Verso l’estate la contessa, come spesso soleva, propose al figliuolo delle cospicue nozze. Lodovico non solo si mostrò indifferente ma fu anche reciso nel rifiuto, poi, mal reggendo all’insistenza materna, confessò d’essere innamorato, si lasciò perfino sfuggire il nome di Natalia.

Donna Clara sorpresa, non già della notizia che s’aspettava, ma della forma con la quale il figliuolo gliel’aveva comunicata, seppe nascondere abilmente la sua meraviglia sotto lo scherzo, si mise a ridere di cuore, poi, visto che il giovinetto non era incline ad arrendersi, andò in collera, accusandolo [p. 94 modifica] quasi d’aver sedotto la ragazza, minacciando di licenziarla.

Lodovico impiegò tutta la sua eloquenza per difendere l'onesta di Natalia e per dimostrarne la severa illibatezza, finì coll’accennare alle sue velleità di matrimonio.

— Le hai promesso di sposarla? — domandò la contessa, cominciando a turbarsi.

— Promesso? no, non ancora. Gliene ho parlato.

— E quella sciocchina t’ascolta!.. non avrei mai creduto che corrispondesse in questo modo ai miei benefizii... ecco l’umana gratitudine! Ma questo poco importa, tutti gl’innamorati parlano di matrimonio. Natalia non può pensarci seriamente, non può pretendere che se il suo padroncino si è degnato di farle un po’ di corte le dia poi anche il suo nome. Sarebbe una cosa assai comica, caro Lodovico.

Donna Clara si valse così abilmente del ridicolo per rovesciare i vaghi piani di suo figlio che il giovane ne rimase atterrito. Ella conosceva a fondo il suo carattere debole, la sua morbosa paura dell’opinione pubblica, l’irresolutezza che aveva fatto di lui un uomo di scarsa volontà.

Ancorché l’umano istinto della contradizione avesse rinvigorito, per alcun tempo il desiderio di Lodovico, le idee della madre non tardarono molto a sembrargli giuste, logiche, chiare; egli si convinse presto, d’aver immaginato una cosa indegna [p. 95 modifica] d’un Pallano, una vera follia. Perciò la sua lottar contro l’inesorabile ragione materna fu breve e finì con un patto reciproco. Donna Clara prometteva di non allontanare Natalia dal suo servizio, egli dava la parola di staccarsi, sé non subito, a poco a poco da lei, e anzi a tale scopo accettava,, di buon grado, la proposta d’un piacevole giro all’estero.

L’inattesa notizia del viaggio fu per Natalia il primo, amaro sintomo della freddezza. In quegli ultimi anni, il conte Lodovico era stato assente parecchie volte ma sempre per ragioni necessarie o per lo meno importanti, e nelle sue lettere tenerissime, negli arrivi sospirati e pieni d’effusione ell’aveva sempre, trovato un dolce compenso alle acerbe pene della lontananza. Adesso era lui, proprio lui che ambiva di viaggiare per divertirsi.

Alla prima lunghissima assenza parecchie ne seguirono, se più brevi non mai chiaramente giustificate e. la corrispondenza epistolare si fece più rara e più stentata. Pareva quasi che la propria casa, il cui soggiorno gli era stato così gradito per l’addietro, riescisse noiosa a Lodovico, ma in fondo egli cercava tutti i mezzi per distrarsi da quell’amore forse non vinto ancora.

Natalia ch’era passata, da gran tempo, dar brevi giorni della nuova, dolcissima speranza, al periodo angoscioso dei dubbi, delle paure, delle incertezze che suscita la ragione nel suo lento ma sicuro risveglio, viveva in una ansietà febbrile [p. 96 modifica] per la quale l’intermittente ritorno di Lodovico alle antiche, amichevoli abitudini non poteva più darle che uno scarso, incompleto conforto.

Egli la cercava di quando in quando, nei silenzi del giardino a Villa Clara o al solito posto sulla terrazza, egli sentiva ancora il bisogno di certe effusioni dell’animo per le quali la fanciulla soleva essere una piacevole confidente, nè aveva cessato di rivolgerle, se per caso la incontrava, quegli sguardi in cui tanta segreta tenerezza pareva racchiusa. Ma queste dimostrazioni andarono gradatamente scemando, per l’abile sorveglianza della madre, e colla freddezza crebbe un senso d’imbarazzo cruccioso che il giovine non fu più capace di dissimulare.

Nell’inverno, per distrarsi, egli si diede a una vita ancor più brillante e più leggera del solito. Natalia sola sapeva l’ora in cui Lodovico rincasava; spesse volte, per compiacere al suo egoismo, ella s’era fatta sua umile complice dinanzi alla contessa nel segreto di quelle notti perdute; ma il suo cuore sanguinava e si struggeva d’una impotente gelosia. Mai ell’aveva osato attribuire a se stessa il diritto d’esigere la fedeltà.

Una mattina di gennaio il conte Pallano tornò a casa verso le quattro, e passando dinanzi alla cameretta di Natalia e scorgendo un po’ di luce dallo spiraglio dell’uscio, la chiamò.

La povera fanciulla vegliava spesso, tendendo l’orecchio ad ogni piccolo rumore che potesse darle speranza del suo ritorno. [p. 97 modifica]

Il giovine signore era sparato, annoiato e le disse soltanto:

— Vuoi prepararmi un buon thè caldo, Natalia?

— Come comanda, signorino.

Ma la voce era strozzata e egli riprese subito.

— Perchè piangi? che hai?

— Non ho nulla — disse la ragazza, scoppiando in un singhiozzo.

— Ti prego, Natalia, non farmi scene. Io le detesto le scene, lo sai.

La fanciulla era così avvezza a vincersi che seppe subito frenare le lagrime e, senza dir altro, s’avviò in punta di piedi verso la camera da pranzo per accendere una lampada e bollire l’acqua.

Egli la seguì a lento passo, s’abbandonò in un seggiolone dinanzi al caminetto ove finiva di consumarsi un grosso tronco di querciuolo del giorno addietro.

Natalia gli offerse macchinalmente un astuccio di sigarette e gli accese un fiammifero, poi stette immobile, dinanzi al tavolino di lacca cinese, con gli occhi fissi sul bricco ove l’acqua cominciava a gorgogliare.

Di solito, quando erano soli, Lodovico l’invitava a sedere, ma quella volta non fiatò.

Egli si mostrava molto stanco e infastidito e il suo volto così baldo un giorno di gagliarda giovinezza, portava le tracce visibili d’una vita sregolata.

Nondimeno il suo sguardo si fermò, con [p. 98 modifica] quell’intensità che una muta carezza, sulla snella figura di Natalia, sulla sua faccia dimagrita ove gli occhi vellutati e più grandi del solito ardevano d’un fuoco cupo in un grande pallore di passione.

L’orologio suonò le quattro e mezzo.

— Oggi ti sei alzata prima del solito, Natalia, — disse il giovine.

— Non avevo sonno.

— Ma che fai dunque in queste lunghe veglie?...

— Penso...

— A chi pensi?...

Ella esitò un secondo, poi si fece coraggio e mormorò:

— A lei, signorino... a lei che non ritorna mai...

— Anche tu adesso i rimproveri, come mia madre! Ma che cosa credete? che la casa sia una prigione?... Io sono libero, figliuola mia, e non intendo essere ammonito da nessuno. Se t’ho voluto bene non è una ragione perchè tu sorvegli tutti 1 miei passi... hai capito? Guai a te se da qui innanzi starai alzata... te lo proibisco. Io voglio tornare quando mi pare e piace..

Pareva contento d’aver trovato un appiglio per sfogare la sua sorda irritazione, e per esercitare la sua autorità.

Il cuore di Natalia si spezzava. In capo ad alcuni minuti ella trovò la forza di balbettare:

— Il thè è pronto... lo desidera? [p. 99 modifica]

— Me lo preparerò da me, il thè.

La ragazza non rispose, ma versò con mano tremante l’aromatica bevanda nella chicchera di sottile porcellana, v’aggiunse qualche cucchiamo di cognac, accostò il tavolino alla poltrona, e domandò con voce sempre più rotta:

— Posso ritirarmi?

— Sì, buon giorno, ti ringrazio.

Ella gli rivolse un ultimo sguardo supplichevole e uscì col passo affaticato d’una persona esausta di forze.

Le pareva che qualche cosa di terribile fosse avvenuto nell’intimo del suo essere, come un crollo, come l’annientamento d’una speranza alla quale non aveva mai osato abbandonarsi, ma che forse viveva latente nel fondo del suo cuore.

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Il giorno seguente, l’aspetto rasserenato di Lodovico valse ancora a confortarla.

Ella perdonava sempre, senza accorgersi che fosse un perdono: il suo ingegnoso amore sapeva giustificare tutti i torti, obliando.

L’umore di Lodovico, mal governato dall’incerta volontà, passò ancora per le più bizzarre alternative di benevolenza e d’irritazione. Ma ora il più delle volte egli si mostrava freddo, indifferente, avido di nuovi appigli per acquetare la sua coscienza; un giorno non sdegnò nemmeno di ricorrere all’arma ignobile del dubbio, del sospetto, [p. 100 modifica] della simulata gelosia. Poi finì coll’evitare qualunque incontro con la fanciulla.

Una mattina, Natalia seppe in un negozio, da un fornitore della casa, che si trattava di dar moglie al conte Lodovico. Tornò in fretta, angustiata, palpitante, al palazzo, e come il postino le aveva consegnata una lettera nell’atrio, colse quell’occasione per portarla ella stessa nell’appartamentino del giovine signore.

Egli stava fumando dinanzi alla sua scrivania e quando vide, sul piccolo vassoio d’argento, la busta elegante con le cifre e una corona di marchese, arrossì. Ma Natalia si fece animo e gli chiese, senz’altro, se fosse vero quanto si narrava.

— Chi ti dice queste cose?...

— L’ho inteso fuori... mi dica, è vero? — ella ripetè tutta ansante.

— Quello che si racconta fuori è una ciarla, Natalì. Nessuno lo sa...

— Dunque...

— Sono i miei che lo desiderano...

— E... lei, conte Lodovico?...

— Finirò per arrendermi. Che vuoi, figliuola mia, avrei la guerra in casa. Non ti pare... che in fondo... faccia bene?...

— Fa benissimo — rispose la ragazza con una improvvisa calma.

— Sei un po’ gelosa, Natali?

— Io no! oh no! — mormorò ella con un filo di voce. [p. 101 modifica]

— Non sono punto innamorato, sai. E un matrimonio di ragione. Vuoi vederla?... Ecco il suo ritratto... — e apriva il cassetto segreto della serivania.

— No, no... non voglio.

Ma il giovane avendo già cominciato a ferire, per non tornar da capo un’altra volta, nel suo freddo egoismo virile, insisteva:

— Guarda... non è bella, ma è d’illustre famiglia... e... molto ricca.

Natalia chinò, senza volerlo, lo sguardo spento sulla platinotipia d’una donna bionda dalla faccia impassibile e sdegnosa.

— Non è italiana... — disse, come fra sè.

— No, hai indovinato, è di Bruxelles.

— Ah!... e... quando saranno le nozze?

— Vuoi che te lo confidi? a te, a te sola? tutti lo ignorano. Saranno a maggio. Dovevo finire così, Natalia, lo sai. Avevo già rifiutato tante proposte...

Ella gli volse uno sguardo così profondo che Lodovico fu costretto, suo malgrado, a chinare la testa.

Quante cose diceva, quello sguardo. «Non potevi tu lasciarmi nell’ombra, nel silenzio, piuttosto che suscitarmi nell’anima questa tempesta di dolore?... Tu hai giuocato col mio cuore, ora lo spezzi senza misericordia e quello che u per te un sì breve trastullo, sarà il patimento di tutta la mia vita...»

Ma se lo sguardo parlava, le labbra della [p. 102 modifica] fanciulla si tacquero e incoraggiato da quella bontà generosa, Lodovico le chiese:

— Non vuoi nemmeno augurarmi un po’ di bene?

— Oh si, tanto, tanto bene le auguro — ella mormorò.

Il giovine l’aveva presa per le mani con l’antica tenerezza.

Mia povera Natali! che cosa devo farci? se avessi potuto sposarti... ma non era possibile, lo sai, lo capisci, non è vero?

— Lo capisco — rispose la fanciulla nella sua umile dignità — e ella abiterà qui, nel palazzo... naturalmente...

— Sì, al secondo piano.

Dopo una breve pausa, il giovine riprese non senza una certa esitazione:

— Sarei contento se col tempo... anche tu ti facessi sposa...

— Io? — ella esclamò con un fiero lampo di disgusto nello sguardo, poi nell’ansia di nascondere il suo tormento, soggiunse:

— Può essere...

— Ma intanto rimarrai, non è vero, rimarrai presso mia madre?

— Che cosa posso sapere? - mormorò la fanciulla, come trasognata.

— Natalia, non mostrarti così triste!.. io sarò sempre un buon amico per te, devi starne sicura... [p. 103 modifica]

E preso da un impeto dell’antico affetto, egli l’attrasse con trasporto sul suo cuore.

Natalia non ebbe nemmeno la forza di schermirsi, come sempre soleva, ma rimase fredda e muta nell’ultima carezza di Lodovico.

Idee strane le abbuiavano il cervello. Ella abbassava con atto involontario lo sguardo sulla gelida immagine della straniera chiusa nella sua cornice antica e pensava: «costei è la sua fidanzata e sono io ch’egli bacia, la povera reietta cameriera... costei lo tradirà forse... ma che importa! è nobile e ricca... E le nozze saranno a maggio, a maggio quando quattro anni or sono egli mi disse le prime parole...»

E nello straziante ricordo di quel passato perduto per sempre, un’ambascia così forte le strinse il petto, una pietà così triste dell’umana miseria le toccò le viscere che, non reggendo più al suo dolore, fuggi dalla stanza, pazzamente.

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Quando si diffuse la notizia del matrimonio di Lodovico Fallano, Natalia senti esacerbarsi l amarezza del suo animo per il contegno delle persone di servizio. L’invidia corrompe spesso anche il naturale istinto della solidarietà di casta, e se la paura di cadere in disgrazia del giovine padrone le aveva trattenute fino allora dall’esprimere troppo chiaramente il loro pensiero, la [p. 104 modifica] compiacenza per il disinganno della fanciulla non metteva più freno ai loro malvagi sarcasmi.

Il cuoco la chiamava per dileggio «la contessina» e in sua presenza tutti andavano a gara a parlare delle nozze del conte, a comunicarsi i più lievi particolari di quel prossimo avvenimento che sembrava colmarli di gioia.

Addolorata, inasprita, incapace di reggere più oltre a quella doppia tortura, Natalia si recò un giorno nell’appartamento della contessa colla ferma intenzione di licenziarsi, ma giunta in presenza di Donna Clara, non riesci che a balbettare delle frasi incoerenti e vaghe fra cui predominava la parola: partire.

Colpita dal suo aspetto sofferente, dalla pallidezza del suo volto, un giorno così florido di colore, la contessa si commosse un poco e la trattò con benevolenza, ma non seppe dissimularle che la causa di quella sua afflizione le era nota e che si faceva non lieve meraviglia che una semplice leggerezza di suo figlio avesse potuto dar luogo a si strane e ingiustificate illusioni. Finì col chiederle perchè volesse partire, mentre in quella casa tutti la stimavano e le volevano bene.

Un sorriso strano sfiorò le smorte labbra di Natalia che aveva ascoltato tutto quel discorso in attitudine impassibile, senza muovere palpebra, con gli occhi vitrei e sbarrati.

Ella non rispose, soltanto ripetè con voce fievole: — partire, partire... [p. 105 modifica]

Donna Clara, spaventata, le prese una mano, sentì ch’era ardente, la guardò in faccia e vide ch’era stravolta, afferrò il campanello per chiamare aiuto, ma Natalia, perdendo all’improvviso i sensi, era già caduta sul tappeto.

Fu una febbre violenta che al principio i medici ritennero mortale, che si risolse in una complicata e lunga tifoide.

Quando Lodovico Pallano partì per il Belgio, pochi giorni prima delle sue nozze, Natalia non aveva ancora superato il pericolo. Il giovine si affacciò sulla soglia della sua cameretta per salutarla, ma ella non lo riconobbe.

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Gli sposi arrivarono un’afosa sera d’agosto dal loro lungo viaggio di nozze.

La casa s’era messa in festa per riceverli. Dall’atrio al secondo piano era tutto un giardino di piante fiorite sulle quali le numerose lampade elettriche spargevano una quieta e fulgida luce.

Per non disgustare la padrona che l’aveva curata con molta sollecitudine, Natalia, appena uscita di convalescenza, aveva dato una mano ai domestici negli ultimi preparativi.

La fanciulla era molto mutata. Intorno alla sua bella testina non s’avvolgevano più le trecce superbe, orgoglio dei suoi vent’anni, soltanto pochi riccioli le disegnavano, con un morbido contorno, la fronte pallida e pensosa. [p. 106 modifica]

A prima vista la si avrebbe giudicata più giovane, ad onta dell’ombra grave che le offuscava il volto dimagrato, ma della sua fiorente bellezza non restavano più che poche malinconiche tracce.

Perchè fosse rimasta ancora in casa Pallano non lo sapeva ella stessa, forse per un sentimento di nuova gratitudine per le premure di donna Clara, forse per un fascino arcano, per una strana voluttà di patire.

Appena le carrozze furono giunte nell’atrio si seppe che Honorine la cameriera della sposa, una elegante signorina francese, scendendo dal vagone, s’era storto un piede ed era costretta d’affidarsi subito alle cure del medico.

La giovane contessa di Pallano, nel salire le scale coll’appoggio dello sposo, si mostrava molto infastidita dell’accaduto. Nell’imbarazzo del momento, donna Clara guardò, con atto indeciso ma significante, Natalia che si teneva molto in disparte.

La ragazza capì subito che le si chiedeva di sostituire l’inferma e, presa da un istinto di ribellione, si mosse per allontanarsi, ma in quel momento i suoi occhi smarriti incontrarono lo sguardo supplichevole di Lodovico e la voce di lui che la salutava, rallegrandosi con cordiali parole, per la ricuperata salute, le giunse all’orecchio. Il bisogno d’esacerbare la propria ferita ch’è comune a molti infelici le fece chinare il capo e accettare in silenzio la proposta.

Gli sposi salirono nel loro appartamento e senza [p. 107 modifica] degnare di alcuna speciale attenzione il mobilio disposto con una premurosa ricerca del gusto mo- derno, la giovane signora entrò nella camera da letto.

Mentre si levava il berrettino da viaggio ella volse un’occhiata sprezzante e un freddo saluto a Natalia che rabbrividiva per aver varcato la soglia della stanza nuziale La sposa di Lodovico ora le stava dinanzi, in- carnazione viva dell’immutabile realtà e il suo aspetto le pareva ancor più impassibile, ancor più altero che nel ritratto: una figura troppo sottile, quasi stecchita, una faccia chiusa, nordica, dalle labbra strette e fine, dagli occhi piccoli, grigi, pe- netranti come gelide punte d’acciaio.

Lodovico, molto occupato di lei e di tutti i ser- vigi che potessero occorrerle, le si affaccendava dintorno, non senza mostrare un certo imbarazzo.

— Ah, come sono affannata! — esclamò la con- tessa di Pallano, con forte accento straniero, sten- dendosi su un’ottomana — fa un caldo tropicale, Lodovico, si soffoca.

— Andremo subito in campagna, se così ti piace, Alfonsina — rispose il giovane, dolcemente — i miei hanno voluto riceverti qui, nella mia casa paterna... lo sai... E non m’hai detto ancora se l’ap- partamento è di tuo gusto — soggiunse egli, con premura, — questa stanza l’ho scelta io.....

— È un po’ comune il rosa...... avrei preferito un colore più fino o degli affreschi come usa [p. 108 modifica] adesso..... ma non importa, si potrà cambiare. Il resto lo vedrò più tardi. Mi sento morire in questa temperatura — disse ella, agitando nervosamente un piccolo ventaglio antico — sarà meglio che metta un vestito più leggero.

Natalia che aveva aspettato ritta, immobile, che aveva assistito con una muta esasperazione a quel dialogo, s’accostò a un grande baule e chiese, con voce alterata:

— È qui, forse?.....

— No. Voi non sapete. Lo prenderà il conte. Lodovico..... fammi il piacere. Mon Dieu qu’elle est pâle, qu’a t-elle donc?

Prends garde, ma chérie, elle comprend le français! — mormorò il giovane, aprendo una cesta tutta foderata di seta e chinandovisi sopra.

A forza di frugare egli ne trasse un accappatoio.

— Ma Lodovico, non vedi ch’è un saut de lit? è l’abito bianco che voglio, con le trine d’Alençon..... cerca ancora e non sciuparmi la roba. La mancanza d’Onorina è un bell’impiccio, devi convenirne. Credi che possa guarire presto?

— Speriamolo! — disse il compiacente marito, con un sospiro, sempre pescando fra le stoffe e i merletti senza che la giovane signora si muovesse.

— Bada, hai tirato fuori per sbaglio le mie scarpette..... dammele.

Natalia, pallida, contraffatta tolse le minuscole calzature dalle mani di Lodovico, le pose dinanzi ad Alfonsina. [p. 109 modifica]

Allora la giovane signora, sempre sdraiata nell’ottomana, sporse il piccolo piede stretto negli stivalini altissimi e disse freddamente:

— Cominceremo da questi......

— Lo farò io! — esclamò Lodovico, avvicinandosi di scatto, con un senso di vergogna.

— No, no, permetta, signor conte.

E Natalia, sempre più alterata in volto, s’inginocchiò, e con le mani tremanti si diede a sciogliere i bottoncini neri sulle calze di seta grigia.

Vedendo che Lodovico aveva finalmente trovato gli oggetti desiderati, la giovane cominciò a fare la sua toilette e parve strano a Natalia che ella si svestisse così familiarmente in presenza sua e del conte. Esaurito coll’aiuto d’entrambi il difficile compito Alfonsina s’adagiò in una poltrona e mormorò a fior di labbro:

— Potete andare, per ora. Vi chiamerò più tardi.

— Dite alla contessa che la raggiungeremo subito.

— Grazie Natalia — mormorò quasi involontariamente, Lodovico.

Ella non rispose e s’avviò con passo mal fermo per uscire, ma quando fu sulla soglia le sovvenne che aveva lasciato in camera il vestito da viaggio e gli stivalini da pulire e si volse per prenderli. Il giovane s’era chinato teneramente sulla spalliera del’ seggiolone e già dimentico di lei, stava baciando la sua sposa.

Natalia si sostenne allo stipite, poi fuggì con l’animo straziato. [p. 110 modifica]

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Trasportata con grandi riguardi a Villa Clara, mademoiselle Honorine faceva vita nella sua stanza, leggendo romanzi. Natalia ne teneva le veci, assiduamente, ma era cupa e sparuta in volto. Lodovico le si dimostrava riconoscente e riguardoso, per quanto glielo concedesse la sua posizione difficile; Alfonsina, ignara di tutto, non dava alcuna importanza alla presenza della cameriera e sempre gelida a suo riguardo, s’abbandonava collo sposo a tutte le bizze del suo temperamento di donna ricca e viziata. Pallano ne soffriva e cercava di trovarsi solo con la fanciulla per compensarla con qualche buona, consolante parola.

A Villa Clara tutto rammentava a Natalia le gioie del tempo passato e perduto per sempre, non v’era angolo o viale del parco che non avesse per lei delle care e innocenti ricordanze, e particolarmente quel muricciuolo della terrazza ove Lodovico le aveva gettato le corollette dei gelsomini, dicendole tante gentili cose. Ma come certe dimostrazioni di speciale benevolenza da parte del conte ripugnavano al suo animo onesto, così quelle memorie tanto dolci ancora nella loro infinita tristezza le sembravano un illecito conforto.

Nondimeno, ell’amava di cercare, tutte le sere nella solitudine del giardino un’ora di raccoglimento e di riposo; ella sedeva sul muricciuolo, contemplando la vasta pianura, la linea bianca del [p. 111 modifica] fiume tra i vapori notturni. Nessuno la interrompeva mai nelle sue meditazioni perchè la famiglia Pallano aveva l’abitudine di raccogliersi, dopo il desinare, in una veranda annessa alla villa.

Ma una volta, verso la fine d’agosto, ella vide venire gli sposi da lontano e, volendo evitare d’incontrarli, si ritirò in un vicino boschetto di lauri.

L’era sembrato in quel giorno, che una nube avesse offuscato la loro felicità: subito s’accorse ch’essi cercavano quel luogo solitario per effondere la loro rinnovata tenerezza, e invece di allontanarsi rimase immobile fra gli arbusti, incatenata non solo dalla paura di tradire la sua presenza ma anche da una morbosa, arcana attrazione.

Ella udì un mormorio di baci, ella udì la voce penitente di Lodovico ripetere sdolcinate parole; poi li seguì con gli occhi, aridi di lagrime, mentre, stretti uno all’altro, si dileguavano fra i fiori al chiaro di luna, mentre il giovane, punzecchiato forse da una qualche bizza di gelosia retrospettiva, andava rassicurando la sposa:

— Stanne certa, Alfonsina, le passioncelle giovanili non sono che fuochi fatui i quali presto si spengono e subito s’obliano.....

Natalia andò errando follemente, senza direzione, fra le ombre buie del parco.

Laggiù, in mezzo alla pianura il fiume placido scorreva. Ell’era stata più volte sulle sue rive, più volte ella aveva contemplato con un certo fascina il tranquillo corso dell’acqua. Nella sua mente [p. 112 modifica] confusa non v’era che una sola, lucida idea. Scomparire per sempre. Che cosa offriva a lei la vita, oltre il suo doloroso attaccamento alla famiglia Pallano? Nulla. Nessun uomo poteva piacerle dopo Lodovico; il matrimonio di ragione le faceva orrore; non aveva parenti, non aveva amici; la sua nobiltà d’animo, il suo carattere integro le alienavano tutti i corrotti compagni di servizio. Ella si sentiva sola al mondo. «Sola, sola, sola!» andava ripetendo fra se nello straziante dibattito del suo alterato cervello.

Dopo una lunga lotta, il sentimento cristiano prevalse sulla tentazione imperiosa. Sfinita, ella ritornò con passo lento alla villa, ma aveva appena varcato la porta di servizio, quando nell’atrio, scarsamente illuminato, le si drizzò dinanzi, tentando d’impedirle il passaggio, un giovine che da qualche giorno la veniva perseguitando con le sue sguaiate parole.

Era Cesarino, il nuovo ed elegante cameriere del conte, un mariuolo che si sforzava in tutto di imitare il suo padrone, che si riteneva autorizzato a succedergli anche nelle sue simpatie per la fanciulla.

Vedendola corrispondere anche quella sera con palese disprezzo alle sue audaci proposte, egli si irritò e le disse, perfidamente:

— Fai tutto bene, anche la commedia!..... È nel tuo impiego di..... vicecontessina che hai imparato la fierezza e la ritrosia?..... Gonzo chi ci crede! [p. 113 modifica]

Natalia non trovò nè uno sguardo, nè una parola di risposta, ma si sentì rinvigorire da una forza improvvisa e attraversando l’atrio di corsa, infilò un corridoio e andò a picchiare allo studio del conte.

Lodovico Fallano stava suggellando una lettera con un grande stemma di famiglia. Egli si volse c rimase sorpreso e spaventato dall’aspetto della ragazza, dal suo pallore di morte.

— Dio buono, che cosa accade? — esclamò.

— Quello che non deve assolutamente accadere, signore. Io vengo a domandarle giustizia, affinchè ella impedisca alle sue persone di servizio d’insultarmi e di rinfacciarmi il passato, come una colpa.....

— Parla piano, Natalia, per carità, Alfonsina potrebbe sentirti.....

— Io non ho paura di nessuno.

— Silenzio, silenzio, te ne scongiuro! forse indovino..... è stato il mio cameriere....

— Che non vi sia nulla di sacro per la povertà! — esclamò Natalia esasperata.

— Ti prego, calmati, sii buona. Tutti ti rispettano, io per il primo. Questa sera stessa se vuoi, lo manderò via.....

— È il suo dovere di licenziarlo, conte Lodovico, è il suo dovere — ella ripetè fieramente.

— Lo farò, Natalia, te lo prometto, sebbene.... sia un abilissimo servitore. Ma voglio che la cagione s’ignori, capisci? Inventerò un pretesto qualunque..... [p. 114 modifica]

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Il giorno seguente, donna Clara era ancora a letto, quando Natalia, dopo averle versato il caffè,, le espresse di nuovo l’intenzione di lasciare il suo servizio, accertandola che non dimenticherebbe mai i benefizii ricevuti in casa Pallano.

La contessa ch’era una donna di fine accorgimento e che, non avendo mai mancato di tener d’occhio la ragazza, s’aspettava a una tale soluzione, si mostro afflitta della notizia, disse che non voleva tuttavia contrariarla in quei piani, dettati, senza dubbio, da giusti motivi, ma che s’attribuiva il diritto di vegliare sulla sua inesperta giovinezza e di guidarla nella scelta del nuovo posto.

Natalia, appagata nell’amor proprio, acconsentì di buon grado a questo patto e stette subito in traccia d’un opportuno collocamento.

Quando un’occasione si presentava ella ne faceva subito cenno alla padrona, la quale si dava premura di metterle dinanzi ostacoli e difficoltà insormontabili.

Questo accadde due o tre volte, durante l’estate. Intanto, Onorina aveva potuto riprendere i suoi impegni, il cameriere era partito, e una certa tranquillità triste era scesa nell’animo di Natalia prima, ch’ella fosse riescita a prendere una definitiva risoluzione.

In autunno, gli sposi si recarono nel Belgio per passarvi parte dell’inverno e alla fanciulla [p. 115 modifica] sembrò trovare nel silenzio ch’era successo alla loro partenza e nella palese benevolenza della padrona, un senso di pace.

In gennaio, Natalia era ancora in casa Pallano e aiutava donna Clara ad allestire il corredino per il primo figlio di Lodovico. Ella lavorava assidua intorno ai minuscoli arredi d’un’eleganza vaporosa: le sue mani abilissime producevano a dozzine le camiciuole di batista guernite di trine, le cuffiette, i guancialini della culla, o ricamavano con arte mirabile il velo bianco e le cifre colla corona comitale, sulle piccole lenzuola.

Passavano i giorni monotoni e tranquilli e l’uniformità della vita sembrava assopire in una dolce rassegnazione il cuore della fanciulla.

Quando gli sposi annunziarono il loro ritorno ella sentì un brivido correrle per fossa, un nuovo smarrimento alterarle il cervello e il pensiero di partire le si affacciò più imperioso che mai.

Ma Alfonsina arrivò dal Belgio in uno stato di salute così deplorevole da destare le più serie apprensioni. Per molto tempo la casa Pallano non s’occupò che di lei e Natalia, dimenticando sempre se stessa, fu vinta ancora una volta dalla propria generosità.


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Verso la fine di marzo, una notte, le parve che vi fosse del rumore sulle scale e si mise in ascolto. Erano passi discreti, voci sommesse, a cui [p. 116 modifica] succedevano, lunghi silenzi. Ella s’alzò in fretta e, passando per scendere al primo piano, s’accorse che l’appartamento degli sposi era aperto e entrò nell’anticamera. Il medico di casa e un professore della clinica, appena arrivati, stavano deponendo i loro mantelli e ragionando a bassa voce. Ma subito comparve Lodovico per introdurli dall’inferma. Era contraffatto in volto.

Poi venne di sfuggita Onorina, la quale le disse che la sua padrona si trovava in condizioni piuttosto gravi. Dopo alcuni minuti Lodovico ritornò, s’avvide della sua presenza, le prese le mani e le disse con angoscia:

— Natalia, va male, molto male!

— E i dottori? — chiese ella, subito intenerita da una grande pietà.

— I dottori vi sono adesso e anche la mamma, io non ho potuto reggere... — e il giovane si gettò su un divano, si mise a piangere dirottamente.

La fanciulla molto commossa, si dava tutte le premure per rincorarlo.

— Povera Natalia, tu sei buona, tanto buona! — egli mormorò con affetto, ma subito soggiunse:

— Anche qui non resisto... devo andare... devo tornare presso di lei...

Due donne passavano e ripassavano portando oggetti di biancheria, tazzine di brodo.

Rimasta sola, Natalia si ritirò in un gabinetto e si mise a pregare. Di tratto in tratto ella usciva, aspettava qualcuno, domandava notizie... ancora [p. 117 modifica] niente. Alcune volte la chiamarono in fretta per andare a prendere dei cordiali.

Finalmente, verso le otto del mattino il conte Lodovico, ch’ella non aveva più riveduto, uscì dalla camera nuziale, pallidissimo ancora, ma raggiante.

— Natalia! — esclamò egli — mi è nato un figlio! il pericolo è scongiurato!

La fanciulla si fece bianca in volto e gli sorrise.

— Sia ringraziato Iddio! — rispos’ella nella sua grande bontà.

— Ho subito telegrafato alla balia — proseguì il giovine con la voce ancora tremante, — ella, potrà arrivare col diretto di questa sera. E una Brianzuola... le informazioni sono ottime, rassicuranti... tuttavia, non sarei tranquillo se non le stesse sempre al fianco una persona di mia assoluta fiducia... tu sola, Natalia, tu sola potresti....

— Signorino ella sa che ho fissato di partire...

— Me lo disse la mamma, ma non ho voluto crederlo... e poi adesso! in questo momento!

— Io non sono necessaria... devo partire...

— Non sei necessaria!... ma se tutti ti amiamo come se tu fossi di famiglia! e poi, si tratta della mia creatura! Natali, te ne scongiuro!

Era la voce dolce, insinuante del tempo passato, ma ella resistette, con fermezza. .

— Non posso, non posso, conte Lodovico.

Il giovane tornò sconsolato nella camera della [p. 118 modifica] puerpera, ma da lì a pochi minuti ricomparve, accompagnando i medici che partivano.

— Vuoi vederlo? — egli domandò alla fanciulla.

— No, no, adesso no.

— Non vuoi vederlo? è un bel bambino — diss’egli, non senza orgoglio — andiamo, Natalia, vieni...

Ella lo seguì, macchinalmente, come trasognata.

Nella camera nuziale, color di rosa, stile di transazione, sotto l’elegante padiglioncino, nel suo letto tutto stellato di ricami, giaceva la giovane signora, smorta, sfinita, ma con un insolito sorriso sulle labbra. E accanto, nella culla di seta ròsa, coperta dal velo che Natalia aveva trapunto, il bambino robusto e paffutello dormiva coi pugnini stretti.

Natalia s’avvicinò in punta di piedi, senza proferire una parola, stette un minuto immobile, collo sguardo perduto.

— È troppo buio, non puoi vederlo bene — disse il conte — aspetta, voglio mostrartelo io, — e, resistendo alle fievoli proteste della sposa diffidente, lo sollevò con l’aiuto dell’infermiera, e lo portò presso alla finestra, dietro un paravento. Poi, scostando la pesante cortina, lo porse all’ammirazione della fanciulla.

Natalia si chinò con atto involontario di femminile tenerezza sul fragile corpicciuolo del neonato, lo prese fra le sue braccia, contemplò a lungo la testina rotondetta e un po’ livida ancora, e [p. 119 modifica] vedendo che il bimbo si disponeva a vagire, si mise a cullarlo amorosamente.

— Sono i suoi occhi, signorino, proprio i suoi occhi! — ella mormorò, osservando le pupille del piccino che cercavano la luce — Caro, caro.....

— E tu avresti il cuore d’abbandonarlo, dimmi... lo avresti...?

Il volto della fanciulla era inondato di lagrime.

— Natalì, vuoi proprio lasciarci? — egli insistette, guardandola con intensità.

— No, no... non ne ho la forza. Resto... ma è unicamente per questa creatura — esclamò Natalia stringendosi al petto, con un generoso impeto di passione, il figliuolo primogenito di Lodovico Pallano.