Viaggio in Dalmazia/Dell'Isole di Lissa, Pelagosa, Lesina, e Brazza nel mare Dalmatico, e dell'Isola d'Arbe nel Quarnaro/2. Dell'Isola di Lesina

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2. Dell'Isola di Lesina

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§. 2. Dell’Isola di Lesina.

Del nome, che portava quest’Isola nel tempo della sua dipendenza dai Liburni, non resta per quanto io so più memoria nè presso ai Geografi, nè presso agli Storici antichi. Scilace la nomina Φάρος, nè si ferma a parlare di essa. Scimno (s’egli è così antico come alcuno de’ suoi Illustratori lo vorrebbe) è il primo a dirci, ch’ella era una Colonia di Parj1, nel che s’accorda con Strabone, il quale aggiunge, che da’ nuovi venuti fu primamente detta Πάρος, Paro. Tolommeo chiama Φάρια, Faria, tanto l’Isola, che la Città capitale di essa; e i Geografi più bassi s’accordano quasi tutti nel darle questo nome, da cui non s’allontanarono gli Slavi chiamandola Hvar nella lingua loro, che nella pronunzia sua primitiva sostituisce alla lettera F le due HV, o talora la lettera P. Adesso è detta Lesina, dalla sua figura somigliante a quello stromento de’ Calzolaj. I Parj, che secondo Diodoro Siculo furono dall’oracolo mandati a stabilirsi nell’Adriatico, vi fondarono Faria, e si eressero in picciola Repubblica, di cui ci resta una Moneta. Eglino vissero in libertà più tranquilla che gloriosa sino al tempo d’Agrone, dal quale furono vinti forse insieme con molti popoli del Continente, e tutti gli altri Isolani, trattone quei di Lissa. Nelle Storie Romane si parla assai più che de’ Farj di Demetrio loro concittadino, che divenuto potente alla Corte d’Agrone, e di Teuta tradì la sua Sovrana, e diede ai Romani varie Piazze, [p. 172 modifica]fra le quali anche Faria sua patria, di cui era stato fatto Governatore da Agrone; egli ne divenne poi Signore in premio del tradimento. Come costui abbia abusato dell’amicizia de’ Romani si à da Polibio, da Dione, da Appiano. Faria portò la pena delle di lui male azioni, e fu dai Romani medesimi replicatamente distrutta, nella guerra ch’ebbero contro Filippo Re di Macedonia. Egli è un danno che la celebrità de’ Farj incominci, e finisca da un traditore; dopo la morte di Demetrio non si sente più parlare di essi presso agli antichi Scrittori profani. Ne’ tempi della decadenza dell’Impero cangiò Padroni sovente, e rimase lungamente nelle mani de’ Narentani; poi ebbe Signori particolari, l’ultimo de’ quali Aliota Capenna la cedette alla Serenissima Repubblica nel MCCCCXXIV.

La lunghezza di quest’Isola è di circa quarantaquattro miglia, la maggior larghezza di otto. La sua Capitale porta il nome di Lesina, ed è situata verso l’estremità Occidentale in un luogo bastevolmente bene scelto, ma non paragonabile per verun conto alla situazione, in cui la Città loro aveano piantato gli antichi Parj. È mediocremente abitata, e vi risiede il N. U. Provveditore, e un Vescovo; il Castello, che la domina, fabbricato sulla cima d’un monte marmoreo, e le altre fabbriche militari vi sono mal tenute. Il Porto, quantunque ben coperto, e spazioso, è poco frequentato presentemente: com’è poca, e povera cosa la popolazione della Città. I Lesignani sono amici del forastiere; ma non ànno fama d’essere molto amici fra di loro.

Ne’ pochi momenti ch’io mi fermai ne’ contorni della Città di Lesina, raccolsi parecchie varietà di pietre. Il più vago è un Marmo di grana finissima salma, co[p. 173 modifica]lor di carne, listato: questo non trovasi a strati molto estesi, ma sibbene a gruppi, come i marmi stalattitici, che vi sono anch’essi comuni. Vi si estende in vaste stratificazioni una spezie di marmo Lumachella, oggetto più curioso agli occhi dell’Orittologo, che aggradevole al marmorajo: il suo fondo di colore è bianco sudicio; l’impasto rigido; i frantumi di Corpi marini, che vi si veggono disposti orizzontalmente, sono cangiati in ispato biondiccio. Quella spezie di pietra marmorea di color rosso fosco, che noi conosciamo a Venezia sotto il nome di Rosso da Cattaro (perchè dalle vicinanze di quella Città ce ne viene portato in quantità) vi si trova comunemente; e vi è frequente la Breccia corallata, nelle di cui macchie predomina il colore avvinato, e ’l pagonazzo; i sassi, onde quest’ultima spezie è composta, sono scantonati, e conservano i caratteri d’una lunga fluitazione. Questa Breccia occupa pell’ordinario la sommità de’ monti; e rende così più evidente l’antica adesione dell’Isole del Continente vicino, nelle di cui altezze osservasi il medesimo impasto. Voi intendete bene, come intendo anch’io, che perch’esistessero delle ghiaje da rotolare fu d’uopo avessero preesistito delle alte montagne, dalle quali dovettero staccarle, e trasportarle i torrenti; e che veggendosi ne’ sassi fluitati delle Breccie, che si trovano su’ monti dell’Isola, de’ Corpi marini lapidefatti, diviene indispensabile il mettere la sede d’un antico mare su quelle montagne ora distrutte, dalle quali le ghiaje discesero. Questa picciola faccenda di fabbricamento, e distruzione porta qualche lunghezza di tempo, è vero: ma noi non ne abbiamo colpa. Come poi gl’immensi letti di ghiaje seminate con prodigalità da’ fiumi, da’ torrenti, o trasportate, e rimescolate dalle onde marine sieno stati abbandonati dal mare, ed invasi da nuo[p. 174 modifica]vi fiumi, e torrenti, che le pianure continue trasformarono in montagne, e in colli trinciati, e suddivisi da Valloni; come ai fiumi, e ai torrenti sieno mancate le acque col mancare de’ monti più antichi, da’ quali erano discese le ghiaje; come nelle gran fenditure, e ne’ Valloni siasi un nuovo mare introdotto io non lo saprei dire; quantunque assai vicini all’età nostra deggiano essere stati questi ultimi avvenimenti, in confronto de’ primi. Sarebbe davvero un’occupazione pessima quella di chi volesse mettersi di proposito a spiegare i come, e i quando di tutte le rivoluzioni sofferte dalla sola corteccia esteriore del nostro miserabile Globo. Il loro numero provato delle osservazioni di Orittologi diligenti, e oculati metterebbe in allarma migliaja di Brovallj, che non vorrebbero forse venire a patti, e contentarsi di farle accadere rapidamente l’una dopo l’altra in un breve giro di secoli: sul qual ripiego un amico della pace non troverebbe che dire. Lungo il lido del Porto di Lesina io ò raccolto selci gialle, verdi, e rosse tutte compenetrate di fluore piriticoso dendromorfo. Nel picciolo scoglio di Borovaz trovansi degli ammassi d’ossa fossili.

Parecchi uomini dotti produsse la Città di Lesina nel Secolo XV, i nomi de’ quali sono riferiti da Vincenzo Pribevio nella sua Orazione de Origine & successibus Sclavorum colà recitata nell’anno MDXXV. Fra questi due si distinsero nella Poesia, e furono Annibale Lucio, e Pietro Ettoreo, del primo de’ quali sono stampate alcune cose poetiche2; [p. 175 modifica]del secondo forse anche à il pubblico qualche Opera, e molte ne restano mss. Fra queste contasi una Traduzione del Rimedio d'Amore d’Ovidio in versi Illirici, e varie Egloghe.

L’Isola di Lesina, quantunque sassosa, e sterile nella più alta parte, à però de’ tratti di buone terre, atte non solo a portar alberi fruttiferi ma biade eziandio. Quindi n’avviene ch’ella è la meglio abitata dell’altre del mare Illirico, e che alcuni de’ suoi Villaggi meritino il nome di grossi Borghi, e superino nel numero degli abitanti molte picciole Città. Fra questi si vuol dare indubitabilmente il primo luogo a quello, che sorse dalle rovine dell’antica Faria, e però chiamasi Città-vecchia. Egli è posto al mare su d’un bello, e comodo Porto, appiè d’una campagna amenissima. In questo solo luogo il mare visibilmente cede alla prolungazione del terreno: e la ragione manifesta n’è il declivio della campagna superiore, che si stende in costa del monte dolcemente ascendendo, ed è fiancheggiata verso l’estremità più alta da terreni molto elevati. Le acque, che ne discendono torbide dopo le pioggie, depongono sulla spiaggia le terre, ond’erano saturate, e la fanno così a poco a poco crescere. Mi parve di riconoscere anche dalle poche rovine antiche rimaste sopra terra, che Faria fosse quasi due miglia più addentro di quello è attualmente Città-vecchia; e i dettagli avuti dagli abitanti mi confermarono in questa opinione. Due soli pezzi antichi io ò veduto in questo luogo, il più pregevole de’ quali è un bassorilievo sufficientemente ben conservato in marmo Greco, che rappresenta una barca a vela, col timone alla destra della poppa, e il piloto che lo governa; l’altro è pur un bassorilievo sepolcrale di cattivo scalpello. Mi fu d’uopo andar a cercare il primo sino alla sommità [p. 176 modifica]del Campanile, nella di cui fabbrica probabilmente molti monumenti de’ Farj saranno periti. D’Iscrizioni Greche non vi ò trovato vestigio; e una sola sepolcrale Latina ò ricopiato forse un miglio fuori della Borgata, pentitissimo d’esser andato a cercarla così lontano. Gli abitanti di questo paese sono di bella statura, coraggiosi, e d’ingegno svegliato; eglino si danno molto alla navigazione padroneggiando Vascelli; il minuto popolo s’occupa della pesca, e del costruirne.

Da Città-vecchia io mi portai a cavallo sino al picciolo seno di Zukova, dove trovano Porto bastevolmente sicuro le barche de’ pescatori. Colà si cavano in riva del mare le lastre di Marmo tegolare biancastro, di cui sogliono usare generalmente gl’Isolani della Dalmazia per coprire le loro case. Accade sovente, che nel fendere le più grosse lamine di questa spezie di Pietra si scoprano impressioni di piante marine, e di pesci non conosciuti ne’ nostri mari; ma il caso di trovare le impressioni, e le spine lapidefatte de’ pesci è assai raro, quello delle piante comunissimo: le spezie però di queste non sono assai moltiplicate. È raro il rinvenirvi delle impressioni di Coralline: e la sola benissimo espressa ch’io v’abbia incontrato, è passata in Inghilterra per aver luogo in una ricchissima Collezione, come vi passarono i pochi pesci di quel sito, che mi venne fatto d’avere. Vi si trovano anche de’ Mituli cangiati in pietra, maltrattati, e sfigurati. Il mare, che non à ragioni topiche di allontanarsene, guadagna sulla costa di Zukova, e risommerge a poco a poco gli strati curvi del marmo tegolare, in cui gli scheletri de’ pesci stanno sepolti. Essi resteranno coll’andare del tempo coperti dalle ghiaje, e dalla rena mescolata co’ Testacei dell’Adriatico; e daranno da pensare a’ Naturalisti de’ secoli venturi, se mai ne anderà alcuno ad esaminare quel [p. 177 modifica]luogo divenuto subacqueo, o riabbandonato dall’acque. Non sarebb’egli difatti da compatire un Naturalista, che su le prime traendo da qualche strato lapidoso del fondo del mare una petrificazione la credesse formata dalle acque sotto le quali giaceva? Il fatto però prova ad evidenza, che la non è pell’ordinario così; e i gran pezzi di marmi Lenticolari, e Ortoceratitici, che si traggono coll’Ordigno de’ Corallaj dagli abbissi del nostro Adriatico, lo dimostrano chiaramente. Gli scheletri de’ pesci di Zukova, che vanno a gran passi risommergendosi insieme cogli strati ne’ quali giacciono, non appartengono certamente al nostro mare, posteriore di molto alla loro deposizione. Io non me ne ritrovo attualmente alle mani per descrivervene le parti riconoscibilissime, e determinare a qual Genere appartengano, e a quale delle spezie conosciute s’accostino.

Un picciolo Casale lontano dal mare, detto Verbagn, à un’altra cava di marmo tegolare, dove pur trovansi de’ pesci: ma per averne fa d’uopo aspettare delle settimane intere, e far lavorare a proprio conto gli scavatori, che non si curano di queste curiosità. Questo Verbagn è due miglia lontano da Varboska, Villaggio assai popolato due secoli addietro, come lo provano le case ben fabbricate che vi si vedono adesso rovinose. Gli abitanti del luogo, come anche generalmente di tutta la costa sono ospitali, e cortesi. La principale occupazione delle femmine vi è la coltura delle terre: gli uomini sono addetti alla Pesca, quando abbiano modi, e salute per esercitarvisi. Da Varboska a Gelsa per terra è un viaggio di quattro miglia. Io trovai nel farlo una curiosità fossile, che mi parve meritar tutta la mia attenzione. Buona parte del cammino, e tutto quasi un colle intermedio è di tofo fluviatile, abbandonato colà da qualche antico fiume che si è perduto, ovvero à [p. 178 modifica]raccorciato il proprio corso, direttolo forse per altra via, o trasformatolo irriconoscibilmente, Questo tofo posteriore di molto alla formazione degli strati marino-marmorei, che costituiscono l’ossatura dell’Isola, è certamente di non poco anteriore all’irruzione del nuovo mare fra le nostre terre, che non è poi affare di data recente; imperocchè l’Isole della Dalmazia doveano già essere dallo stato d’antiche pianure ridotte a quello di montagne intersecate da Valloni, allora quando il mare venne a visitarle. L’interiore della Dalmazia guardato dall’alto del monte Biocova a confronto dell’Isole, che da quella sommità si veggono tutte unite, presenta uno spettacolo similissimo ad esse, quando si tolga loro col pensiero il mare d’intorno. Io ò vuotato colla fantasia pelle Valli della Bossina fiancheggiate ora da colli, ora da montagne, quel mare che circonda Lesina, Lissa, la Brazza, e le numerose altre Isole Illiriche, ed ò queste lasciate a secco. La Bossina avea cangiato situazione, ed era venuta a far una continuazione del Primorje; e l’Arcipelago Illirico trovavasi quasi senz’alterazione riconoscibile trasportato al di là del monte Adrio. Il picciolo Lago di Jezero, che pieno d’Isolette, e scogli selvosi giace nel Continente appiè del Biocova, che lo separa dal mare, mostra nel breve giro di poche miglia ciò, che sarebbe tutta quella contrada transalpina, se venisse inondata, e ciò che furono l’Isole prima d’essere circondate dal mare.

Gelsa è un grosso Villaggio ben situato, su d’un Porto, ricco di ruscelli perenni, che menano buon’acqua, ed assai popolato. Egli è alle radici di colli marmorei, che con dolce pendio si perdono in mare. Vi si vede il più bel Marmo brecciato sparso pelle strade ne’ rozzi pavimenti, e messo in opera nelle fabbriche più ignobili. Generalmente la Breccia di Gelsa è composta [p. 179 modifica]di pezzi angolosi di marmo bianco suscettibile di pulimento ugualissimo, legati insieme da un cemento di terra rossa lapidefatta; non vi è rara la Breccia di color pavonazzo, irregolarissima nelle sue macchie, e degna d’adornare qualunque edificio nobile. Monsig. Blascovich, Vescovo di Macarska, fece cavare tutte le Colonne della nuova sua Cattedrale, e tutti i gradini degli Altari da questo luogo. Il solo difetto, che vi si osserva, dipende dalla cattiva scelta che ànno fatto gli scalpellini, condotti forse da uno spirito di malintesa economia a prescegliere la materia, che prima venne loro alle mani, come la più comoda all’imbarco. Nel caso di voler mettere in opera il marmo d’una nuova cava non si dee contare su lo strato esteriore, danneggiato pell’ordinario dall’ingiurie dell’aria, e dal salso se trovisi in riva del mare: ma scoprirne più addentro un altro, e servirsi di quello. Le paste de’ marmi di Gelsa impiegate a Macarska sono bellissime, il pulimento loro acceso quanto quello delle più belle Breccie, che veggonsi impiegate a Roma, e che probabilmente vi furono trasportate dalla Dalmazia; ma il cemento, che forma l’aggregazione de’ pezzi, à sofferto un grado di deterioramento dall’essere esposto per lunga serie di secoli alle acque del Cielo, e del mare, al calore del Sole, all’azione dell’aria: d’onde n’avviene, che la levigatura di que’ lavori non à tutta la continuità, e perfezione, che se ne doveva aspettare. Farebbe d’uopo prendere le Breccie di Gelsa qualche centinajo di passi lontano dal lido, e da una cava mediocremente profonda; la riuscita non mancherebbe di compensare ampiamente il picciolo accrescimento di dispendio. Per la Città di Venezia, che fa un consumo annuo di marmi riflessibilissimo, non sarebb’ella importante cosa l’averne piuttosto dall’Isole della Dalmazia con pochissime spe[p. 180 modifica]se, che dalla Terraferma, o dagli Esteri Stati a prezzo esorbitante? Oltre a’ Marmi brecciati io ò veduto a Gelsa de’ pezzi erranti di Lumachella bianco, e nero, composto di terra bituminosa marina indurata, e di piccioli Ortocerati, trasformatisi al solito in Spato calcareo di grana salma.

Quantunque a Gelsa v’abbiano di molte case, e buon numero di persone vestite alla Francese vi vada a villeggiare, io non ò potuto trovarvi col mio denaro provvigioni per me, nè pe’ miei marinaj, ed ò passato la notte a bordo della mia barca. Il paese abbonda di Pescatori; ma questi erano forse all’esercizio dell’arte loro quando io giunsi colà, e quindi non vi trovai quella cortesia, che suole abitare colla povera gente.

La Villa di S. Giorgio, situata sulla punta orientale dell’Isola, è per se un poco osservabile luogo popolato mediocremente. La sola cosa, che possa condurvi un viaggiatore, si è la quantità di Urne Romane, che vi si veggono a poca distanza dal lido ammonticchiate, e sparse pel fondo del mare, dove giacciono da quattordici secoli per lo meno. In alcune di esse leggesi il nome del fabbricatore, dopo d’averle spogliate della crosta poco resistente, di cui l’ànno ricoperte nel giro di tanti anni l’Escare, ed altri Poliparj: i caratteri mostrano d’essere de’ buoni tempi.

L’Isola di Lesina com’è la men povera d’abitatori, così è la più ricca di varietà di prodotti, che sia nell’Adriatico, ed ogni prodotto vi è di buona qualità. Vi si raccoglie vino, oglio, fichi, mandorle, zafferano, miele in osservabile quantità; i luoghi piani danno anche biade, ma in misura non proporzionata al numero degli abitanti. Il clima dolce vi fa moltiplicare gli Aloe, del refe de’ quali si può far uso utilmente all’esempio degli Americani, e de’ Francesi nella Pesca. Le [p. 181 modifica]Palme, gli Aranci, i Carrubj vi allignano volontieri, e sarebbe da incoraggirvi la moltiplicazione de’ Mori, come in tutte l’Isole, e il litorale della Dalmazia, dove il terreno à fondo opportuno ad essi. Le legna è ancora un oggetto di commercio de’ Lesignani: ma va d’anno in anno scemando per la poca economia usata ne’ tagli de’ boschi, e pe’ Novali che vi si sono moltiplicati. Le lane, gli animali Peconini, e il cacio portano qualche picciola somma di denaro annualmente nell’Isola: ma il prodotto più considerabile, che n’esce, si è quello del Salume, che meriterebbe d’essere protetto, e sollevato dagli aggravj pubblici, e dalle avanie de’ particolari, onde si moltiplicassero i Pescatori dell’Isola, e trovassero il loro vantaggio nel portare il pesce a Venezia, che dal principio di questo secolo in poi si è fatta ogni anno più gravemente tributaria de’ Pescatori del Nord. Se la metà sola del denaro, che la Nazione spende annualmente negl’insalubri Cospettoni, si diffondesse in Dalmazia, tutta quella Provincia ne risentirebbe un vantaggio considerabilissimo, del quale tanto maggior conto si dovrebbe fare quanto maggior utilità recherebbe al pubblico Erario, che oggimai non ritrae più dal pesce della Dalmazia diritti degni di riflesso. La pescagione di Lesina era più florida ne’ tempi andati perchè da maggior numero di barche veniva esercitata; e fu forse vero che provvedevasi l’Italia tutta, e buona parte del Levante colle Sardelle di questa, e della dipendente Isola di Lissa, come dice il Signor Busching: ma adesso, quantunque il mare sia egualmente popolato di pesci, il commercio di Salumi de’ Lesignani è scemato di molto. La Rakia è un prodotto non dispregevole di Lesina, come di tutto il litorale, e dell’Isole Illiriche: ma la Dominante anche da questo ritrae poco vantaggio, per esserne l’eco[p. 182 modifica]nomia per lo meno egualmente mal sistemata, che quella degli altri Generi somministrati da una sì vasta, e fruttifera Provincia.

  1. Φάρος δὲ τούτων οὐκ ἄποθεν κειμένη
    Νῆσος, Παρίων κτίσις ἐστίν. Σκύμν. 425.
  2. Robigna Gospodina Anibala Lucia, Hvarskoga Viastelina. Venezia. 1627. in 8°.