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Antigone (Sofocle - Romagnoli)/Primo episodio

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Primo episodio

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Sofocle - Antigone (442 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1926)
Primo episodio
Parodo Primo stasimo
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Dalla reggia esce

creonte
Amici, i Numi che con gran tempesta
scossero la città, novellamente,
sicuramente, ancor la rialzarono.
190Ed io messaggi a voi, soli fra tutti,
mandai, qui vi chiamai, perché so bene
che del trono di Laio ognora voi
veneraste il potere; e allor ch’Edipo
Tebe redense, e quando al suo fin giunse
195e il regno ebbero i figli, il pensier vostro
restò fedele. Ed or che quelli caddero,
vibrando a un punto e ricevendo il colpo,
con fratricida scempio, io, che piú prossimo
parente sono dei defunti, in me
200tutto assommo il potere, occupo il trono.
Possibile non è conoscer l’anima
di verun uomo, l’indole e il pensiero,
se nel governo pria, se nelle leggi
non sia visto alla prova. Ecco, e per me,
205chi, governando intera una città,
non s’attiene agli ottimi consigli,
ma freno per timor pone alla lingua,

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tristo mi par fra i tristi, e ognor mi parve;
e chi piú conto dell’amico fa
210che della patria, è un uom da nulla, affermo.
Ma io — lo sappia Giove onniveggente —
non tacerei, se la iattura, invece
della salute, irrompere vedessi
sui cittadini; né stimar potrei
215amico un uomo alla sua patria infesto.
Ché nella patria certo, è la salvezza;
e quando essa galleggia, è agevol cosa
procurarsi gli amici; io la città
render saprò con queste leggi prospera.
220Ed ordini conformi intorno ai due
figli d’Edipo, bandir feci: Etèocle,
che per questa città, poi che ogni prova
di valore compie’, pugnando cadde,
si seppellisca, e quanti onori spettano
225ai piú illustri defunti, a lui si rendano;
ma suo fratello, Poliníce, dico,
l’esule che tornò, che il patrio suolo
strugger volea col fuoco, e i Numi aviti,
che del sangue fraterno abbeverarsi
230voleva, e trarre gli altri in servitú,
costui col bando imposi alla città
che niun gli dia sepolcro, e niun lo pianga,
ma si lasci insepolto, e, divorato
dagli uccelli e dai cani, e, deturpato,
235sia visibile il corpo. È questo il mio
divisamento: ché non mai da me
avranno uguale onore i buoni e i tristi:
sol chi devoto alla città si mostra,
in vita e in morte, onore avrà da me.

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corifeo
240Di Tebe all’inimico e a chi l’amò
tal sorte assegni tu, Creonte, figlio
di Menecèo: tu puoi qualsiasi legge
sui morti imporre, e sopra noi pur vivi.
creonte
Or vigilate dunque a ciò ch’io dissi.
corifeo
245Questo carico affida ad uom più giovane.
creonte
Del cadavere son pronti i custodi.
corifeo
Quale altro ordine, dunque, impartir vuoi?
creonte
Non dar quartiere a chi li trasgredisca.
corifeo
Niuno è si folle, che morir desideri.
creonte
250Tale avrebbe mercè. Ma la speranza
di lucro, trae spesso a rovina gli uomini.

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Entra, a passo tardo, esitante e pavido, un soldato. È uno
dei custodi posti a guardia del cadavere di Polinice.


custode
Signore, io non dirò che per la fretta
giungo traendo il fiato a stento, o che
veloce il piede mi rapí: ché a troppe
255pause i pensier m’indussero, e piú volte
mi girai, per rifar la via già fatta.
Ché mi parlava il cuore, e mi diceva:
«Perché, misero, vai dove dovrai,
giunto appena, scontarla? Oh sciagurato,
260e allora non andrai? Ma se Creonte
saprà tutto da un altro, non dovrai
patir la pena tu?» — Rimuginando
questi pensieri, andavo lemme lemme;
e cosí la via breve si fa lunga.
265Vinse il partito di venire, alfine.
Eccomi. E nulla dir ti posso. Eppure
parlerò: ch’ io m’ afferro alla speranza
ch’ io patirò ciò sol che vuole il fato.
creonte
E perché giungi mai cosí sgomento?

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custode
270Prima di me ti vo’ parlare: il fatto
io né compiei, né chi lo compie’ vidi:
sarebbe ingiusto a me la pena infliggere.
creonte
Bene prendi la mira, e tutto in giro
da questa colpa ti schermisci. Nuove
275son le notizie che tu rechi, sembra.
custode
E cattive. E per questo io tanto titubo.
creonte
Dille una buona volta, e dopo vattene.
custode
Te lo dirò. Qualcuno ha seppellito
poco fa quel defunto, ed è scomparso:
280sopra le membra sparse arida polvere,
tutte compie’ le cerimonie debite.
creonte
Che dici mai? Quale uomo tanto osò?
custode
Non lo so: poiché lí, colpo di zappa
non si vedeva, non gitto di pala;

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285ma dura e secca intorno era la terra,
senza solco di ruote e senza zolle;
né vestigia lasciò l’operatore.
E come all’alba a me la prima scolta
diede l’annunzio, uno stupor doglioso
290tutti pervase: era sparito il morto:
non già sepolto; ma una lieve cenere
cospersa era su lui, come da chi
schivar volesse il sacrilegio; e segno
non pareva di fiera, e non di cane
295che a lanïarlo qui fosse venuto.
E suonarono allora acerbi detti
degli uni contro gli altri; ed il custode
rampognava il custode; e si veniva
ai colpi già, né alcun v’era a frenarci:
300ché poteva ciascuno esser colpevole,
ma non parere; e tutti diniegavano.
Ed eravamo già disposti a stringere
ferri roventi nelle mani, a muovere
tra le fiamme, a giurar per i Celesti,
305che noi del fatto operatori, o complici
di chi l’avea compiuto o disegnato,
non eravamo. E quando, infine, nulla
non si trovò, per quanto investigassimo,
uno parlò, che a tutti il capo volgere,
310per la paura, fece a terra. E infatti,
nulla c’era da opporgli: eppur, buon esito
non vedevamo al suo consiglio alcuno.
Esso dicea che conveniva a te
riferire l’evento, e non tacerlo.
315E vinse il suo parere. E a me tapino
tanta fortuna riserbò la sorte.
E a mal mio grado io giungo, a chi m’accoglie,

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lo intendo bene, a mal suo grado: ché
un messagger di mali a niuno è grato.
corifeo
320La coscienza mia da un pezzo dubita
o re, che questa opera sia d’un demone.
creonte
Taci, prima che d’ira i detti tuoi
m’empiano, e a un tempo tu stolido e vecchio
t’abbia a scoprir: ché quanto dici tu,
325che cura abbian gli Dei di questo morto,
patire non si può. Rendergli onore
vollero, lo coprirono, perché
venne a bruciare le colonne e i templi
e i sacri voti, a struggere la loro
330terra, e le leggi? Vedi tu che i Numi
onorino i malvagi? Oh!, non è vero!
Il vero è questo: da gran tempo v’erano
uomini che il poter mio sopportavano
di mala voglia in Tebe, e mormoravano,
335scotendo il capo di nascosto, e il collo
non tenean, come giusto è, sotto il giogo,
tanto che me gradissero. Da questi,
lo intendo, per mercede, indotti furono
quei che l’opra compieron: ché fra gli uomini
340cosa non v’ha piú trista del denaro:
questo perfino le città distrugge,
questo discaccia dalla patria gli uomini,
questo è maestro che perverte l’anime
oneste a compiere opere malvage,
345d’ogni ribalderia questo la pratica,

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d’ogni empietà l’ardire apprese agli uomini.
Ma quanti per mercede a ciò s’inducono,
arriva il giorno che la colpa espiano.
Ma se pur vero è ch’io venero Giove,
350sappi ben questo, e giuro io te ne faccio:
se non trovate, e innanzi agli occhi miei
non mostrate chi die' sepolcro al corpo,
non basterà che discendiate all’Orco;
ma, vivi appesi, rivelar dovrete
355prima la colpa; e d'ora in poi, saprete
d'onde il lucro si può trarre, farete
di lí, rapina; e apprenderete quanto
poco profitti onde che sia ghermirlo.
E tu, vedrai dai mali acquisti piú
360tratti a rovina che a salute gli uomini.
custode
Posso parlare, o partir devo súbito?
creonte
Non sai quanto il tuo dir già m’ha crucciato?
custode
Nelle orecchie ti morde, oppur nell’animo?
creonte
Vuoi precisare di mia doglia il punto?
custode
365Il reo ti morde il cuore: io sol l’orecchio.

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creonte
Ahimè, quanto sei d’ indole ciarliera!
custode
Ma non però di questa colpa reo.
creonte
E l’anima venduta hai per denaro.
custode
Ahimè!
370Tristo chi crede, e la credenza è falsa!
creonte
Su la credenza sin che vuoi sofistica;
ma se mostrar non mi sapete chi
fu della colpa reo, conoscerete
che il turpe lucro è artefice di doglia.
Rientra nella reggia.
custode
fra sé, allontanandosi.

375Faccio ogni voto che si scopra; ma
si scopra o no, ché questo la Fortuna
giudicherà, non sarà mai che tu
qui tornare mi veda. Ora che salvo,
contro ogni attesa, contro ogni speranza
380sono, ringrazio di gran cuore i Numi.