Artisti fiesolani

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Augusto Guerri

1911 Indice:Augusto Guerri-Artisti fiesolani-1911.djvu Artisti fiesolani Intestazione 16 giugno 2017 100% Da definire


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ARTISTI FIESOLANI


Lettura del socio corrispondente AUGUSTO GUERRI

nell’adunanza del 5 febbraio 1905


Nella universale decadenza che seguì alla rovina dell’Impero Romano anche le belle arti erano state travolte.

Rimanevano però le grandi opere antiche di scultura, statue e bassorilievi specialmente sepolcrali sui sarcofagi. I dipinti murali erano caduti insieme cogli edifizi.

Perciò più presto risorse la scultura studiando i modelli antichi, poi svincolandosi da questi ed ispirandosi alla natura. E le due arti sorelle raggiunsero l’apogeo, la scultura con Donatello, nato nel 1386, morto nel 1466 e la pittura con Raffaello 1483-1520.

Vediamo quindi due egregi artisti, l’Angelico e Mino, sebbene quasi contemporanei, pure collocati l’uno nel periodo ancora ascendente della pittura, l’altro al sommo della scultura.

Dividevasi allora la pittura per due correnti: la mistica dell’Angelico e la realista del suo discepolo Benozzo Gozzoli, cui in breve Masaccio doveva assicurare il trionfo.

Guido di Pietro, nato nel 1387 da agiata famiglia di Vicchio in Mugello, entrò nel 1407 nel Convento di San Domenico di Piesole insieme col fratello, e vestito l’abito religioso furon chiamati fra Giovanni e fra Benedetto.

Ambedue si distinsero dapprima come miniatori di libri corali, della quale arte era in quel Convento una Scuola famosa, finchè fra Giovanni cominciò ad eccellere nella pittura.

Furono ambedue uomini di molta coltura e santità di costumi, carissimi al Priore che era S. Antonino e poi a loro volta Priori anch’essi di quel Convento, da cui Giovanni, quando divenne famoso, ebbe nome di fra Giovanni da Fiesole.

Fu anche detto l’Angelico pei volti veramente angelici dei suoi dipinti di cui vedeva i modelli ideali come in un’estasi alla quale preparavasi colla preghiera. [p. 6 modifica]

La sua maniera di dipingere è caratterizzata dall’evidenza del sentimento e dalla maestria del colore.

Nel 1409 guastatisi i Frati col Pontefice; furono costretti ad abbandonare quel Convento, e fra Giovanni lavorò a Cortona e poi nell’Umbria col Gozzoli nel Duomo di Orvieto ove si incontrò con Gentile da Fabriano; contatti di scuole, già avvenuti tra la Scuola Umbra e la Senese, che dovevano portare la fusione ed il perfezionamento dell’arte quale ebbesi con Raffaello.

Tornarono i Frati a S. Domenico di Fiesole nel 1418 ed ebbero nel 1436 il Convento di S. Marco di Firenze ove l’Angelico passò a dipingere nel tempo in cui Cosimo il Vecchio era Signore della Città ed il Papa Eugenio IV e l’Imperatore Greco trovavansi a Firenze pel Concilio.

Tutti l’ammirarono, tutti gli furono amici e vuolsi che a sua raccomandazione il Pontefice desse l’Arcivescovato a Sant’Antonino.

Chiamato a Roma da Papa Niccolò V, dipinse la Cappella nel Palazzo Vaticano e venuto a morte nel 1455 fu sepolto in S. Maria sopra Minerva ove vedesi ancora la sua lapide sepolcrale.

Rimangono di lui in Firenze una Crocifissione nella Regia Galleria, tre reliquiari in Santa Maria Novella, un gran trittico nella Chiesa di San Domenico di Fiesole con la Santa Conversazione, ed un Crocifisso nella sala del Capitolo dello annesso Convento ove egli stette ben quindici anni.

Nel Chiostro di S. Marco: un tabernacolo col Crocifisso e S. Domenico e le lunette ogivali al di sopra delle quattro porte; nella sala del Capitolo una grandiosa Crocifissione, vari affreschi nelle celle e tre pitture su tavola.

Scrisse di lui il Vasari: «Fu Fra Giovanni semplice uomo e santissimo e dei poveri grande amico. Potette esser ricco e non se ne curò, anzi usava dire che la vera ricchezza non è altro che il contentarsi di poco».

Mino di Giovanni nacque nel 1431 a Poppi in Casentino ed il Vasari dice di lui che «invaghito della maniera di Desiderio.... esercitò e andò dietro a quella, abbandonando e tenendo cosa inutile la imitazione della natura; onde fu più graziato che fondato nell’arte».

Sul libro delle Matricole dei Maestri di pietra e di legname, sotto il di 28 Luglio 1464 egli vien chiamato Mino di Poppi; nel Campione rosso di quell’arte è detto da Fiesole; nel tabernacolo del Battistero di Volterra è segnato Mino da Firenze. Si sa che [p. 7 modifica] ebbe casa in Firenze nel Popolo di Santa Maria in Campo nella qual chiesa fu sotterrato nel 1466 il suo primogenito Giuliano.

Lavorò molto a Roma in Santa Maria Maggiore, in Santa Maria in Trastevere e nella Chiesa della Minerva.

Le opere sue migliori in Firenze sono i sepolcri del Conte Ugo e di Bernardo Giugni nella Badia. E nella Cattedrale di Fiesole il sepolcro ed il busto del Vescovo Leonardo Salutati, e di rimpetto, sormontata dall’immagine di Cristo una tavola marmorea con tre nicchie ove sono la Vergine, il Bambino e San Giovanni e nel piano inferiore un miracolo di San Remigio.

Di questo monumento Vernon Lee, in una Conferenza sulla scultura del Rinascimento dice:

«Il rilievo è voltato in modo da guardare dalla Cappella nel corpo della Chiesa; ed in tal modo che la testa della Madonna, ricevendo la luce come un segno di gloria sulla purissima fronte, proietta intorno a sè un nimbo di ombra circolare.

Rilievo maraviglioso codesto di Mino, per essere composto quasi esclusivamente di luce. Anzi si direbbe non rilievo, ma mirabile visione di bianche rose del Paradiso, i cui acerbi bocci e le acute spine - nutriti dall’incenso e dal sangue dei martiri - sono diventate poi le sottili labbra, gli occhi lunghi e stretti, l’acerbo virgineo corpo e le dita affilate di Maria».

Forse per lavorare a questo monumento prese Mino per qualche tempo la dimora a Fiesole, e da ciò, e dalla lode che per tale opera gli venne fu chiamato da Fiesole.

Ad ogni modo la vera causa si ignora. Egli venne a morte in Firenze l’undici Luglio 1484 e fu sepolto in S. Ambrogio.


Quel breve tratto di stradella tra la via Mantellini e le ville Kraus, ci addita nel corrotto suo nome dei Ferruzzi, la località ove ebbero le case i Ferrucci, famiglia di scalpellini che diede alle arti molti suoi figli per la maggior parte scultori.

Riporteremo a questo proposito le parole di Vernon Lee nella citata Conferenza:

«Gli scultori del 400 avevano dello scalpello una sicurissima pratica, quale non ebbero, nè sognarono pur di averla, gli antichi.

Nelle mani loro lo scalpello non era semplicemente un secondo stecco da modellare, riproducente nel marmo i delicati piani, le sottili concavità e convessità trovate prima nella creta.

Per questi tagliapietre delle colline Fiesolane, per questi orafi del Ponte Vecchio, lo scalpello era l’emulo della matita o del [p. 8 modifica] pennello e con esso, a seconda della direzione che gli si dava, potevansi così imporre nelle forme vigorosi tratteggi, come lasciarle svanire in impercettibili sfumature».

Da Simone di Giovanni Ferrucci, scultore valente, discepolo di Donatello, nato nel 1402, ebbe vita nel 1438 Francesco, che fece in S. Domenico di Bologna la sepoltura del Tartagni, ricca di ogni genere di ornamento e stimata dal Cicognara una delle più belle opere del secolo quindicesimo.

Fece pure in quella Città nella Chiesa di S. Francesco, il sepolcro di un Fieschi, trasferito poi alla Certosa. In Firenze vediamo tuttora in S. Egidio la tomba da lui scolpita di Lelmo Balducci fondatore dello Spedale vecchio di San Matteo.

Morì Francesco il ventitrè Marzo 1493 e fu sepolto in S. Pier Maggiore. Rimasero di lui 3 figli maschi, tutti scultori, tra i quali Sebastiano che scolpì il monumento di Pio III in S. Pietro in Vaticano.

Andrea di Piero Ferrucci, nato nel 1465, detto Andrea da Fiesole, imparò la scultura da Francesco di Simone. Lavorò a Napoli e, tornato in Toscana, fece in San Jacopo di Pistoia la cappella del Battesimo con bellissimi bassorilievi del battesimo di Cristo e storie della vita di San Giovanni.

Nel Duomo di Fiesole scolpì il magnifico dossale di altare, un altro simile ne fece per San Girolamo, ora nel museo di Kensington, ed un Crocifisso in Santa Maria Primerana.

Fu Capomaestro dell’Opera di Santa Maria del Fiore e fece in quella Metropolitana la statua dell’Apostolo Sant’Andrea ed il busto di Marsilio Ficino.

Si occupò anche di architettura e fu in quest’arte maestro di Giovanni Mangone da Caravaggio, valente architetto, morto a Roma nel 1543. Morì Andrea in Firenze nel 1526 e fu sepolto alla Annunziata nelle sepolture della Compagnia dello scalzo.

La famiglia, pure fiesolana, dei Bozzolini possedè le cave state già dei Ferrucci ed annovera parecchi valenti maestri di scalpello.

Ad essa appartenne Bartolommeo, architetto del secolo XV che costruì sullo stile del Brunelleschi la bella Chiesa di Santa Maria del Sasso presso Bibbiena in Casentino, contribuendo largamente alle spese il magnifico Lorenzo dei Medici a preghiera del Savonarola.

Contemporaneo di Andrea Ferrucci fu un altro fiesolano, autore di pregevolissime opere di scultura, Michele di Luca Marini che scolpì in Roma nella Chiesa della Minerva un San Sebastiano a quei tempi molto lodato. [p. 9 modifica]

Visse pure allora il Cecilia che forse fu uno dei Ferrucci e che lasciò di sè gran traccia colla sepoltura, scolpita nel 1515 nella Chiesa di San Jacopo in Campo Corbolini, di Messer Luigi Tornabuoni Gran Priore Gerosolimitano. «È scultura, dice il Vasari, di gran finezza e di risoluto magistero in ogni sua parte».

Pagno di Luigi Portigiani di Fiesole, nato nel 1406, scultore ed architetto, discepolo di Donatello, lavorò al fonte battesimale di Siena, e nel 1460 fece il disegno del palazzo di Sante Bentivoglio a Bologna. E Piero de’ Medici gli diè a fare per suggerimento di Michelozzo la cappella dell’Annunziata tutta in marmo.

Benedetto di Leonardo da Maiano nato nel 1442 e morto nel 1497 fece in S. Croce il pulpito magnifico di cui dice il Cinelli:

«Non è artefice che non lodi la bellezza che vi è singolare e non ammiri l’artifizio che vi è rarissimo. È bella l’architettura delle cornici delle colonne che mettono in mezzo le figure pertinenti alle azioni di San Francesco; ma è bellissima ciascuna storia e fatta con disegno e pulitezza che mostra il gran valore di questo mirabile artefice».

Fu pure architetto del palazzo Strozzi finito dal Cronaca e fece le figure nell’arco trionfale di re Alfonso in Castelnuovo a Napoli.

Suo fratello Giuliano nato nel 1432, architetto egli pure e maestro di tarsia, fece gli armadi con figure di Santi e di libri aperti, nella Badia fiesolana e quelli nella Sagrestia del Duomo di Firenze, di cui nel 1477 divenne capomastro dell’Opera.

Fu architetto dell’altare di S. Fina in San Gimignano, della loggia nel cortile di S. Damaso nel Vaticano, del Monastero delle SS. Flora e Lucilla di Arezzo, del palazzo del Capitano a Sarzana e di Porta Capuana a Napoli.

In Firenze, al secondo piano del Palazzo Vecchio, scolpì nella sala dell’Udienza e ornò di intarsi la porta colle mirabili figure di Dante e del Petrarca. Morì il 17 Ottobre 1490 a Napoli ove lavorava al palazzo di Poggio Reale ed al Castel Capuano per Alfonso Duca di Calabria e fu sepolto nella chiesa dei SS. Severino e Sofia.

Un terzo fratello, Giovanni, maestro di pietra, nato nel 1438 e morto nel 1478, lavorò insieme cogli altri due al grazioso tabernacolo della Madonna dell’Ulivo, ora nella Cattedrale di Prato.

Tutti tre son ricordati sulla loro tomba gentilizia in S. Lorenzo.

Clemente da Pontanico scolpì con Giusto da Settignano, nel secolo xv il bel sarcofago dell’abate Trinci, ora nel Museo Nazionale.

Giuliano di Taddeo da Pontanico continuò dopo la morte di [p. 10 modifica] Lorenzo Stagi e portò a termine nel 1506 il bellissimo parapetto e ornamento del coro nel Duomo di Pietrasanta.

Due giganti dell’arte segnano la fine del secolo xv ed il cominciare del xvi, Michelangelo 1475-1564 e Raffaello 1483-1520.

Dopo di essi l’arte comincia a decadere col perdersi il giusto equilibrio fra l’idealità e l’imitazione della natura. Imperocchè, come lo sviluppo parallelo del corpo e della mente conferisce alla bellezza ed alla salute dell’uomo, così l’armonia fra le forme e l’espressione del sentimento costituisce la bellezza della figura.

Per l’immaginazione veemente e sublime Michelangiolo fu tratto dalle forme squisitamente naturali del David e della Pietà a quelle del Mosè e delle statue delle tombe Medicee esagerate per esprimere carattere di maestà e di forza; dalle figure sublimemente belle nella volta della Cappella Sistina a quelle esagerate del Giudizio finale sopra l’altare della medesima. E Raffaello, volendo celebrare l’alleanza del Cattolicismo con l’umanesimo, creò nel Vaticano e specialmente nella sala della Segnatura un poema di segni e di figure, di allegorie e di simboli perfino pagani.

Onde la Scuola romana ne derivò una spiccata magniloquenza di pennello, una tendenza a qualche cosa di ampolloso e di sforzato, contro cui insorse ai nostri giorni il preraffaellismo.

Inoltre Raffaello e Michelangiolo trasportarono la sede dell’arte da Firenze a Roma ove l’imitazione fastosa del gusto pagano doveva creare il barocco.

La stessa iperbolica iscrizione del Bembo sulla tomba del divino Urbinate: «Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci Rerum magna parens et moriente mori», che può tradursi: «È quivi Raffael da cui vivente — Temè natura d’esser superata. E morto, d’esser morta insiem con lui», ci fa vedere come fin d’allora si tendesse più all’imitazione dei grandi Maestri che a quella della natura eterna madre dell’arte.

Così, caduta a Gavinana coll’eroe Ferrucci la libertà dei Comuni, cominciava la decadenza dell’arte che per la libertà e colla libertà aveva raggiunto l’apogeo.

Ma veniamo a parlare degli artisti del secolo xvi:

Giovanni di Sandro Rossi da Fiesole, nato nel 1496, fu con Perin del Vaga alla costruzione del Palazzo Doria a Genova dove intagliò la gran porta di marmo. Stette poi in Spagna a lavorare sotto l’Ordognez e quando questi morì a Carrara nel 1520 lo incaricò per testamento di far trasportare a Barcellona il suo cadavere.

Vincenzo Rossi, scultore della scuola del Bandinelli, fece per [p. 11 modifica] Cosimo I i gruppi delle Fatiche d’Ercole nel salone dei Cinquecento, la statua di S. Matteo nel Duomo di Firenze ed il bel gruppo di Paride ed Elena in Boboli nello sfondo della grotta del Buontalenti.

Era di questi Rossi la casa presso S. Apollinare a Fiesole.

Francesco di Giovanni di Taddeo Ferrucci, detto del Tadda, nacque nel 1497 ed il Vasari dice gli insegnasse il Duca Cosimo un sugo di erbe per dar la tempera ai ferri e lavorare il porfido, di che si era perduta l’arte. Fu cortigianeria quest’attribuzione al Granduca? Ad ogni modo il Tadda scolpì in porfido una fontana nel Palazzo Pitti; i ritratti del Duca Cosimo, della Duchessa Eleonora e di Cosimo il Vecchio in bassorilievo ed una testa di Gesù Cristo con tal perfezione di capelli e di barba che fece stupire il Buonarroti. E quando fu eretta in Piazza Santa Trinita la colonna in memoria del luogo ove il Duca Cosimo era stato avvisato della vittoria di Montemurlo, il Tadda vi scolpì il capitello e la statua di porfido che rappresenta la Giustizia. Morì a Firenze il 29 Maggio 1585 e fu sepolto in S. Girolamo di Fiesole da cui venne poi trasportato nel Duomo di detta Città, ove si vede il ritratto in porfido scolpito da lui stesso.

Un altro Ferrucci, Nicodemo discepolo del Passignano, dipinse in dieci scompartimenti nell’abside della Cattedrale di Fiesole la Storia di S. Romolo.

Zanobi Portigiani ed i suoi figli Fra Domenico e Girolamo, della stessa famiglia di Pagno scolare di Donatello, furono eccellenti nell’arte di fondere in bronzo. Fuse il primo le statue della fontana di Nettuno a Bologna, il secondo la statua di Sant’Antonino ed i bassorilievi istoriati nella Cappella di S. Marco in Firenze.

Tommaso di Piero Boscoli pure di Fiesole, scolare di Andrea Ferrucci, scolpì i due angioli sul sepolcro di Antonio Strozzi in Santa Maria Novella e, sul disegno di Michelangiolo, la statua ed il sarcofago di Giulio II ora in S. Pietro in Vincoli.

Giovambattista di Piero Sermei nato a Fiesole il 18 Luglio 1572, dapprima scalpellino, apprese dal Gian Bologna la scultura e fu autore dei busti dei Granduchi Cosimo I, Francesco e Ferdinando, sul loggiato dello Ospedale degli Innocenti.

Da Francesco di Simone detto delle Pecore, nacque Simone Mosca di S. Martino a Terenzano (1492-1553) scultore ed architetto egregio specialmente negli intagli di fregi e fogliame. Successe al Sansovino nei lavori del Santuario di Loreto e poi nella Cattedrale di Orvieto ove si mostrano le sue statue di apostoli [p. 12 modifica]nelle navate ed un gran bassorilievo di altare colla adorazione dei Magi. Il suo figliuolo Francesco, detto Moschino, l’aiutò in Orvieto, ove in età di quindici anni fece, su disegno del Sammicheli, il bassorilievo della Visitazione per un altare del Duomo.

Scolpì varie pregevoli statue a Roma e nel Duomo di Pisa, e fu architetto di un Palazzo a Genova pei Grimaldi.

Questi furono gli artisti che fiorirono a Fiesole nel secolo xvi; discepoli, seguaci o imitatori degli ultimi grandi maestri del xv, o come suol dirsi del Quattrocento.

Era quasi come luce di giorno che volge al tramonto.


Ma un vero tramonto delle belle arti si ebbe nel secolo seguente, nel Seicento, segnato qua e là da rari splendori; la scuola bolognese di pittura dei Caracci, e Luca Giordano e Salvator Rosa nell’Italia meridionale; in Roma il Bernino architetto e scultore giganteggiante nello stile barocco del suo tempo; in Toscana, Pietro da Cortona e Carlin Dolci pittori, Giulio e Alfonso Parigi architetti.

Sebastiano Pettirossi di Fiesole, nato nel 1588, coltivò lodevolmente la scultura e fu architetto della nuova facciata di Ognissanti nel 1627.

Della stessa famiglia fu Alessandro, egli pure scultore ed architetto, nato nel 1636 e morto nel 1706.

Stefano di Francesco Della Bella nacque di famiglia Fiesolana in Firenze il 17 Maggio 1610. Lavorò prima di oreficeria sotto Ignazio Vanni, e poi di pittura sotto Cesare Dandini.

Perfezionatosi nel disegno ed ispirandosi al Callot, si diede alla incisione specialmente all’acqua forte e stette per tre anni a Roma ove incise La cavalcata dell’ambasciatore polacco ed otto vedute del Campo Vaccino e del Ponte S. Angelo.

Andato a Parigi coll’ambasciatore Alessandro del Nero, vi fece per Richelieu la Carta dello assedio d’Arras. Fu onorato anche dal Mazzarino, ma dopo undici anni, nei quali era stato anche in Francia ed in Olanda, volle tornarsene in patria dove compì altre opere pregevolissime, quali: Il Ritrovamento della Madonna dell’Impruneta e le vedute di Livorno e dei suoi monumenti.

Morì a Firenze il ventitrè Luglio 1684 e fu sepolto in Sant’Ambrogio.

Cosimo III aveva conosciuto in Parigi, alla Corte di Luigi XIV, il famoso incisore Roberto di Nanteuil, il primo ai suoi tempi nel trattare il bulino ed il pastello. [p. 13 modifica]

«Gli mandò» - scrive il Baldinucci - «un assai studioso giovane chiamato Domenico Tempesti, nativo di Fiesole, che nella scuola del Volterrano aveva dato saggio di ottima disposizione a queste arti, acciocchè gli comunicasse le sue virtù».

Il Nanteuil se lo tenne seco nello studio ed in casa per due anni, e così fino al momento della sua morte, nel Decembre 1678.

Tornato a Firenze il Tempesti condusse con gran perfezione e finezza molte opere non solo di intaglio ma anche di pastello e furono molto pregiati i ritratti al bulino del celebre Dottor Francesco Redi, del Marchese Cerbone del Monte Santa Maria, e del gran matematico Vincenzo Viviani.


Col principiare del Settecento, ossia del secolo xviii, la decadenza continua, e restano in fiore soltanto quelle arti che si fondano sulla pazienza del lavoro e sull’imitazione, i mosaici, pietre dure e arazzi, aiutate dai Sovrani Medicei che fecero venire di Fiandra e poi da Parigi i maestri arazzieri.

Verso la metà del secolo, la grande arte incomincia a risorgere in Italia, per impulso di artisti stranieri, specialmente di Francia e di Germania, finchè sorge il Canova (1747-1822) imitatore della bellezza statuaria della Grecia, coi modelli del vero.

E nel Settecento Fiesole non può vantare altri artisti che i Torricelli.

Giuseppe Antonio di Bartolommeo Torricelli, nato a Fiesole il 10 Marzo 1659 in una casa posta tra il Massaio ed il Poggerello, fu scultore in pietra dura e intagliatore di gemme nella Galleria di Firenze sotto Cosimo III e scrisse nel 1714 un Trattato sulle pietre dure e sui modi di lavorarle.

Fece in diaspro, per la chiesa di Ripoli il busto della Granduchessa Vittoria della Rovere, moglie di Ferdinando II, nel costume religioso delle Montalve, che è ora alle Quiete; e pure in pietre dure il ritratto del Gran Principe Ferdinando, il bassorilievo della SS. Annunziata ora al Quirinale, donato da Cosimo III a Papa Innocenzo XII; e statuette, vasi e bicchieri, tazze e tabacchiere, con mirabile e pazientissima arte di scalpello e di ruota.

Morì il 12 Marzo 1719 dopo aver fatto un degno allievo nel figlio Gaetano che l’arte paterna trasmise a sua volta al proprio figliuolo Giuseppe.


Ma alla fine del secolo xvii chiaramente si vide come in quel periodo di decadenza si fosse andato elaborando un principio di [p. 14 modifica]generale rinnovamento, lento frutto del Cristianesimo, sebbene bruttato dalle violenze della rivoluzione.

Il Bonaparte proclamò contro tutta l’Europa coalizzata i diritti dell’uomo, proclamati già dall’assemblea francese e li trasfuse in quei Codici che ancora governano le nazioni civili.

L’idea di libertà tornò a fare rifiorire le arti dando loro per base, come alle scienze, l’osservazione del vero. Perocchè possono le varie scuole differire nel modo di osservare e di idealizzare la verità; possono errare nella ricerca di formule nuove, ma il comune fondamento è ormai assicurato.

Ebbe Fiesole nel secolo xix Giovanni di Michele Bastianini di San Domenico, valente imitatore dei grandi maestri del xiv e xv secolo.

Nato il 17 Settembre 1830 egli fu prima ragazzo di scalpellino nelle cave del Manzulo, poi negli studi degli scultori Pio Fedi e Giovanni Torrini ove cominciò a modellare preferendo la maniera dei Quattrocentisti che fu opera di tutta la sua vita spentasi il ventinove Giugno 1868 a Firenze.

Son suoi il busto del Savonarola nella cella del martire in San Marco, quello di Girolamo Benivieni che a Parigi fu creduto opera del secolo xv e collocato al Louvre, e l’altro dell’architetto Fancelli nel castello di Vincigliata. Così pure i due bassorilievi di pietra nel palazzo della Borsa in Firenze, varie Madonne in bassorilievo di terracotta e di marmo e gruppi graziosissimi di fanciulli danzanti.

Paolo di Gregorio Ricci nato a Fiesole il 23 Aprile 1835, studiò all’Accademia di Belle Arti in Firenze ove aveva ottenuto una pensione di studio. Ammesso nel 1855 a lavorare nel Regio Opificio delle Pietre dure, trattò prima il mosaico poi il rilievo e fu nominato maestro nel 1866.

Aveva fatto l’anno innanzi una graziosa statuina di Dante di varie specie di diaspri, premiata all’Esposizione Dantesca ed a quella mondiale di Parigi, del 1867. Di diaspri fece pure in quell’Opificio la statuetta dell’Italia che accoglie Venezia ed il medaglione di Gesù nell’Orto, bassorilievo che ebbe la medaglia d’oro nella suddetta esposizione di Parigi e fu poi regalato a Leone XIII.

In S. Alessandro di Fiesole fece i sepolcri dei vescovi Antonelli e Frescobaldi e disegnò per la Cattedrale di Fiesole la Cappella del Sacramento coll’altare e il ciborio di marmo e la balaustrata egregiamente eseguiti da Tito Brazzini.

Sebbene occupato in Firenze, abitò il Ricci per tutta la vita a [p. 15 modifica]Fiesole ove insegnò disegno e ornato nella scuola domenicale del chiostro della Canonica, e tutti ricordano ancora la sua indole mite e buona come la sua perizia nell’arte. E a Fiesole morì il sedici Decembre 1892.

Pure su queste colline, nella villa di Bellagio, sopra alle fonti dell’Affrico ed alla Valletta delle Donne celebrati dal Boccaccio, venne il Böcklin in memoria del quale l’autore di questi cenni scrisse la seguente epigrafe postavi dal Comune:


qui visse gli ultimi anni
di sua tarda vecchiezza
consolata da alte idealità
e quì morì il sedici gennaio 1901
ARNOLDO BÖCKLIN
di basilea
pittore egregio
che ispirandosi ad eschilo e a dante
seppe
studiando il vero
assorgere al sublime


E qui ponendo fine a questa enumerazione di artisti fiesolani, mi preme di concludere che dal quattrocento in poi non è stata mai interrotta a Fiesole la tradizione di valenti cultori delle belle arti.

Abbandoneranno i futuri questo sacro retaggio? Che se non può pretendersi debba ora sorgere nuovamente fra loro un Andrea Ferrucci o un Pagno Portigiani, può nondimeno lo studio colle idealità che porta seco e colle nozioni del disegno trasformare in artista l’artigiano, rialzandone la dignità personale ed esser principio alle aspirazioni che fecero grandi gli antichi.

E se al ridente spettacolo della natura è da attribuirsi la svegliatezza d’ingegno degli abitanti, dobbiamo invece ricercare la prima ragione dell’essersi questi consacrati alle arti del disegno nella vicinanza di quel monte brullo e tutto perforato di cave che si chiama il Monte Ceceri e che sovrasta a Firenze come il Pentelio ad Atene. Per la esistenza della pietra da taglio nelle vicinanze, fiorì dapprima il lavoro di scalpellino, come suol dirsi, di quadro, onde poi si passò all’ornato ed alla figura e, sempre usando lo scalpello ma cambiando materia, si venne a adoperare il legno [p. 16 modifica] ed il marmo, onde si ebbero egregi intagliatori e scultori e maestri di tarsìa.

In seguito, allontanandosi sempre più nel campo delle arti del disegno, altri sostituirono allo scalpello il pennello ed il compasso, e si dettero alla pittura ed alla architettura. Così questi antichi dei quali parlammo, intenti ad alte idealità, fecero opere molte e grandi.

Armati di scalpello uscirono dalle cave dei monti ed affrontando la materia bruta le imposero nuove forme cui dettero vita e che dicono e diranno nei secoli la loro gloria immortale.





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