Della tirannide (Alfieri, 1927)/Libro primo/Capitolo VIII

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Capitolo VIII

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Capitolo Ottavo

Della religione.

Quella qualunque opinione che l’uomo si è fatta o lasciata fare da altri, circa alle cose che egli non intende, come sarebbero l’anima e la divinitá, quell’opinione suol essere anch’essa per lo piú uno dei saldissimi sostegni della tirannide. L’idea che dal volgo si ha del tiranno viene talmente a rassomigliarsi alla idea da quasi tutti i popoli falsamente concepita di un Dio, che se ne potrebbe indurre, il primo tiranno non essere stato (come supporre si suole) il piú forte, ma bensí il piú astuto conoscitore del cuore degli uomini; e quindi il primo a dar loro una idea, qual ch’ella si fosse, della divinitá. Perciò, fra moltissimi popoli, dalla tirannide religiosa veniva creata la tirannide civile; spesso si sono entrambe riunite in un ente solo; e quasi sempre si sono l’una l’altre aiutate.

La religion pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli dèi, e col fare del cielo una quasi repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato, e ad altri usi e privilegi della corte celeste, dovea essere, e fu in fatti, assai favorevole al viver libero. La giudaica, e quindi la cristiana e maomettana, coll’ammettere un solo Dio, assoluto e terribile signor d’ogni cosa, doveano essere, e sono state e sono tuttavia assai piú favorevoli alla tirannide.

Queste cose tutte, giá dette da altri, tralascio come non mie; e proseguendo il mio tema, che della moderna tirannide in [p. 42 modifica] Europa principalissimamente tratta, non esaminerò tra le diverse religioni se non se la nostra, ed in quanto ella influisce su le nostre tirannidi.

La cristiana religione, che è quella di quasi tutta la Europa, non è per se stessa favorevole al viver libero: ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero.

A voler provare la prima di queste proposizioni, basterá, credo, il dimostrare che essa in nessun modo non induce, né persuade, né esorta gli uomini al viver liberi. Ed il primo, e principale incitamento ad un effetto cosí importante, dovrebbero pur gli uomini riceverlo dalla lor religione; poiché non vi è cosa che piú li signoreggi, che maggiormente imprima in essi questa o quella opinione e che maggiormente gli infiammi all’eseguire alte imprese. Ed in fatti, nella pagana antichitá, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti comandavano ai diversi popoli e l’amor della patria e la libertá. Ma la religion cristiana, nata in un popolo non libero, non guerriero, non illuminato e giá intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza; non nomina né pure mai libertá; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia egli) interamente assimila a Dio.

Se si esamina in qual modo ella si propagasse, si vedrá che sempre si procacciò piú facilmente l’ingresso nelle tirannidi che nelle repubbliche. Al cader dell’imperio romano (in cui ella non poté trovar seggio, se non quando la militare tirannide v’ebbe intieramente annullato ogni viver civile) quelle tante nazioni barbare che l’occuparono, stabilite poi nella Italia, nelle Gallie, nelle Spagne e nell’Affrica, sotto i loro diversi condottieri abbracciarono indi a non molto la religion cristiana. E la ragion mi par ne sia questa. Quei loro condottieri volendo rimanere tiranni, e quei lor popoli, avvezzi ad esser liberi quando non erano in guerra, non volendo obbedire se non come soldati a capitano, e non mai come schiavi a tiranno, in questa disparitá di umori frapponendosi il cristianesimo, egli vi appariva introduttore di una certa via di mezzo, per cui si andava persuadendo ai popoli l’obbedire e ai capitani fatti tiranni si [p. 43 modifica] veniva assicurando l’imperio; ove questi una parte della loro autoritá divider volessero coi sacerdoti. In prova di che, si osservi quell’altra parte di quelle stesse nazioni boreali rimastasi povera, semplice e libera nelle natíe sue selve, essere poi stata l’ultimo popolo d’Europa che ricevesse, piú assai per violenza che per via di persuasione, la religion cristiana.

Le poche nazioni che fuori d’Europa la ricevettero vi furono per lo piú indótte dal timore e dalla forza come le diverse piaggie di America e d’Affrica; ma dallo stesso ferocissimo fanatismo con cui veniva abbracciata nella Cina, e piú nel Giappone, si può manifestamente dedurre quanto ella volentieri si alligni e prosperi nelle tirannidi.

I troppi abusi di essa sforzarono col tempo alcuni popoli, assai piú savi che imaginosi, a raffrenarla, spogliandola di molte dannose superstizioni. E costoro, distinti poi col nome di eretici, si riaprirono con tal mezzo una strada alla libertá, la quale fra essi rinacque dopo essere stata lungamente sbandita d’Europa, e bastantemente vi prosperò: come gli Svizzeri, la Olanda, molte cittá di Germania, la Inghilterra e la nuova America, ce lo provano. Ma i popoli che, non la frenando, vollero conservarla intera (non però mai quale era stata predicata da Cristo, ma quale con arte, con inganno ed anche con la violenza l’aveano i suoi successori trasfigurata) si chiusero essi sempre piú ogni strada al riprocrear libertá. Addurrò ora, non tutte, ma le principali ragioni per cui mi pare quasi impossibile che uno stato cattolico possa o farsi libero veramente, o rimaner tale rimanendo cattolico.

Il culto delle immagini, la presenza effettiva nella eucaristia, ed altri punti dogmatici, non saranno per certo mai quelli che, creduti o no, verranno ad influire sopra il viver libero politico. Ma, il papa, ma la inquisizione, il purgatorio, la confessione, il matrimonio fattosi indissolubile sacramento, e il celibato dei religiosi; son queste le sei anella della sacra catena, che veramente a tal segno rassodano la profana, che ella di tanto ne diventa piú grave ed infrangibile. E, dalla prima di queste sei cose incominciando, dico che [p. 44 modifica] un popolo che crede potervi essere un uomo che rappresenti immediatamente Dio, un uomo che non possa errar mai, egli è certamente un popolo stupido. Ma se, non lo credendo, egli viene per ciò tormentato, sforzato e perseguitato da una forza superiore effettiva, ne accaderá che quella prima generazione d’uomini crederá nel papa per timore, i figli per abitudine, i nepoti per stupiditá. Ecco in qual guisa un popolo che rimane cattolico, dée necessariamente, per via del papa e della inquisizione, divenire ignorantissimo, servissimo e stupidissimo.

Ma, mi dirá taluno: — Gli eretici credono pure nella trinitá; e questa al senso umano pare una cosa certamente ancora piú assurda che le sopraccennate: non sono dunque gli eretici meno stupidi dei cattolici. — Rispondo: che anche i romani credevano nel volo e nel beccar degli augelli, cosa assai piú puerile ed assurda, eppure erano liberi e grandi; e non divennero stupidi e vili, se non quando, spogliati della loro libertá, credettero nella infame divinitá di Cesare, di Augusto e degli altri lor simili e peggiori tiranni. Quindi, la trinitá nostra, per non essere cosa soggetta ai sensi, si creda ella o no, non può influire mai sopra il viver politico: ma l’autoritá piú o meno di un uomo, l’autoritá illimitata sopra le piú importanti cose, e velata dal sacro ammanto della religione, importa e molte e notabili conseguenze; tali in somma che ogni popolo che crede od ammette una tale autoritá si rende schiavo per sempre.

Lo ammetterla senza crederla, che è il caso nostro presente in quasi tutta l’Europa cattolica, mi pare una di quelle umane contraddizioni sí stranamente ripugnanti alla sana ragione, ch’elle non possono essere gran fatto durevoli; e quindi non occorre maggiormente parlarne. Ma i popoli che l’autoritá del papa ammettono perché la credono, come erano i nostri avi, ed alcune presenti nazioni, necessariamente la credono o per timore o per ignoranza e stupiditá. Se per queste ultime ragioni la credono, chiaro è che una nazione stupida ed ignorante affatto non può, nel presente stato delle cose, esser libera: ma, se per timore la credono i popoli, da chi vien egli in loro inspirato codesto timore? Non dalle papali scomuniche certamente, [p. 45 modifica] poiché in esse non hanno fede costoro; dalle armi dunque e dalla forza spaventati saranno ed indótti a finger di credere. E da quali armi mai? da qual vera forza? Dalle armi e forza del tiranno, che politicamente e religiosamente gli opprime. Dunque, dovendo i popoli temere l’armi di chi li governa, in una cosa che dovrebbe essere ad arbitrio di ciascuno il crederla o no, ne risulta che chi governa tai popoli di necessitá è tiranno; e che essi, attesa questa loro sforzata credenza, non sono né possono farsi mai liberi. Ed in fatti, né Atene né Sparta né Roma né altre vere ed illuminate repubbliche non isforzarono mai i lor popoli a credere nella infallibilitá degli oracoli; né, molto meno, a rendersi tributari e ciecamente obbedienti a niuno lontano sacerdozio.

La inquisizione, quel tribunale sí iniquo, di cui basta il nome per far raccapricciare d’orrore, sussiste pur tuttavia piú o meno potente in quasi tutti i paesi cattolici. Il tiranno se ne prevale a piacer suo, ed allarga o ristringe la inquisitoria autoritá, secondo che meglio a lui giova. Ma questa autoritá dei preti e dei frati (vale a dire, della classe la piú crudele, la piú sciolta da ogni legame sociale, ma la piú codarda ad un tempo), quale influenza avrebbe ella per se stessa, qual terrore potrebbe ella infondere nei popoli, se il tiranno non la assistesse e munisse colla propria sua forza effettiva? Ora una forza che sostiene un tribunale ingiusto e tirannico non è certamente né giusta né legittima: dove alligna l’inquisizione, alligna indubitabilmente la tirannia; dove ci è cattolicismo, vi è o vi può essere ad ogni istante l’inquisizione: non si può dunque essere a un tempo stesso un popolo cattolico veramente e un popolo libero.

Ma che dirò io poi della confessione? Tralascio il dirne ciò che a tutti è ben noto; che la certezza del perdono di ogni qualunque iniquitá col solo confessarla riesce assai piú di sprone che di freno ai delitti; e tante altre cose tralascio che dall’uso, o abuso, di un tal sacramento manifestamente ogni giorno derivano. Io mi ristringo a dire soltanto che un popolo che confessa le sue opere, parole e pensieri ad un uomo, credendo di rivelarli per un tal mezzo a Dio; un popolo che fra gli altri [p. 46 modifica] peccati suoi è costretto a confessare come uno dei maggiori, ogni menomo desiderio di scuotere l’ingiusto giogo della tirannide, e di porsi nella naturale ma discreta libertá, un tal popolo non può esser libero, né merita d’esserlo.

La dottrina del purgatorio, cagione ad un tempo ed effetto della confessione, contribuisce non poco altresí ad invilire, impoverire e quindi a rendere schiavi i cattolici popoli. Per redimere da codesta pena i loro padri ed avi, colla speranza di esserne poi redenti dai loro figli e nipoti, dánno costoro ai preti non solamente il loro superfluo, ma anche talvolta il lor necessario. Quindi la sterminata ricchezza dei preti; e dalla loro ricchezza, la lor connivenza col tiranno; e da questa doppia congiura, la doppia universal servitú. Onde, di povero che suol essere in ogni qualunque governo il popolo, fatto poverissimo per questo mezzo di piú nella tirannide cattolica, egli vi dée rimanere in tal modo avvilito che non penserá né ardirá mai tentare di farsi libero. I sacerdoti all’incontro, di poveri (benché non mendici) che esser dovrebbero, fatti per mezzo di codesto lor purgatorio ricchissimi, e quindi moltiplicati e superbi, sono sempre in ogni governo inclinati, anzi sforzati da queste loro illegittime sterminate ricchezze, a collegarsi con gli oppressori del popolo e a divenire essi stessi oppressori per conservarle.

Dalla indissolubilitá del matrimonio fattosi sacramento ne risultano palpabilmente quei tanti politici mali, che ogni giorno vediamo nelle nostre tirannidi; cattivi mariti, peggiori mogli, non buoni padri, e pessimi figli: e ciò tutto perché quella sforzata indissolubilitá non ristringe i legami domestici; ma bensí, col perpetuarli senza addolcirli, interamente li corrompe e dissolve.

E finalmente poi, siccome dall’essere i popoli cattolici sforzatamente perpetui coniugi, non sogliono esser essi fra loro né mariti veri, né mogli, né padri, cosí dall’essere i preti cattolici sforzatamente perpetui celibi, non sogliono mostrarsi né fratelli, né figli, né cittadini; che per conoscere e praticare virtuosamente questi tre stati, troppo importa il conoscere per esperienza l’appassionatissimo umano stato di padre e marito. [p. 47 modifica]

Da queste fin qui addotte ragioni, mi pare che ne risulti chiaramente (oltre la maggior ragione di tutte, che sono i fatti) che un popolo cattolico giá soggiogato dalla tirannide, difficilissimamente può farsi libero, e rimanersi veramente cattolico. E per addurne un solo esempio, che troppi addurne potrei, nella ribellione delle Fiandre, quelle provincie povere che non avendo impinguati i loro preti, si erano potute far eretiche rimasero libere; le grasse e ridondanti di frati, di abati e di vescovi, rimasero cattoliche e serve. Vediamo ora se un popolo che giá si ritrovi libero e cattolico, si possa lungamente mantener l’uno e l’altro.

Che un popolo soggiogato da tanti e sí fatti politici errori, quanti ne importa il viver cattolico, possa essere politicamente libero, ella è cosa certamente molto difficile; ma, dove pure ei lo fosse, io credo che il conservarsi tale sia cosa impossibile. Un popolo che crede nella infallibile e illimitata autoritá del papa è giá interamente disposto a credere in un tiranno che, con maggiori forze effettive e avvalorate dal suffragio e scomuniche in quel papa istesso, lo persuaderá o sforzerá ad obbedire a lui solo nelle cose politiche, come giá obbedisce al solo papa nelle religiose. Un popolo che trema della inquisizione, quanto piú non dovrá egli tremare di quell’armi stesse che la inquisizione avvalorano? Un popolo che si confessa di cuore può egli non essere sempre schiavo di chi può assolverlo o no? Dico di piú: che dal ceto stesso dei sacerdoti (ove un laico tiranno non vi fosse) ne insorgerebbe uno religioso ben tosto; o, se da altra parte insorgesse un tiranno, io approverebbero e seconderebbero i sacerdoti, sperandone il contraccambio da lui. Ed è cosa anche provata dai fatti; si veda perfino nelle semi repubbliche italiane, i sacerdoti esservi saliti assai meno in ricchezza e in potenza, che nelle tirannidi espresse di un solo. Un popolo finalmente, che si spropria dell’aver suo, togliendolo a se stesso, a’ suoi congiunti e ai propri suoi figli, per darlo ai sacerdoti celibi, diventerá coll’andar del tempo indubitabilmente cosí bisognoso e mendico, che egli sará preda di chiunque lo vorrá conquistare o far servo. [p. 48 modifica]

Non so se al sacerdozio si debba la prima invenzione del trattare come cosa sacrosanta il politico impero, o se l’impero abbia ciò inventato in favore del sacerdozio. Questa reciproca e simulata idolatria è certamente molto vetusta; e vediamo nell’Antico Testamento a vicenda sempre i re chiamar sacri i sacerdoti, e i sacerdoti i re; ma da nessuno mai dei due udiamo chiamare o riputare mai sacri gl’incontestabili naturali diritti di tutte le umane societá. Il vero si è che quasi tutti i popoli della terra sono stati e sono (e saranno sempre, pur troppo!) tolti in mezzo da queste due classi di uomini, che sempre fra loro si sono andate vicendevolmente conoscendo inique, e che con tutto ciò si sono reciprocamente chiamate sacre; due classi, che dai popoli sono state spesso abborrite, alcuna volta svelate, e sempre pure adorate.

È il vero altresí che in questo nostro secolo i presenti cattolici poco credono nel papa; che pochissimo potere ha la inquisizion religiosa; che si confessano soltanto gl’idioti; che non si comprano oramai le indulgenze se non dai ladri religiosi e volgari; ma al papa, alla inquisizione, alla confessione e alle elemosine purgatoriali, in questo secolo, fra i presenti cattolici, ampiamente supplisce la sola milizia; e mi spiego. Il tiranno ottiene ora dal terrore, che a tutti inspirano i suoi tanti e perpetui soldati, quello stesso effetto che egli per l’addietro otteneva dalla superstizione e dalla totale ignoranza dei popoli. Poco gl’importa oramai che in Dio non si creda; basta al tiranno che in lui solo si creda; e di questa nostra credenza, molto piú vile e assai meno consolatoria per noi, glie n’entrano mallevadori continui gli eserciti suoi.

Vi sono nondimeno in Europa alcuni tiranni che, volendo con ipocrisia mascherare tutte l’opere loro, pigliano a sostenere le parti della religione, per farsi pii reputare, e per piacere al maggior numero che per tuttora la rispetta e la crede. Ogni savio tiranno ed accorto cosí dée pure operare, sia per non privarsi con una inutile incredulitá di un cosí prezioso ramo dell’autoritá assoluta, quale è l’ira dei preti amministrata da lui, e viceversa, la sua, amministrata da essi; sia perché, usando [p. 49 modifica] altrimenti, potrebbe egli avvenirsi in un qualche fanatico di religione, il quale facesse le veci di un fanatico di libertá; e quelli sono e men rari e piú assai incalzanti che questi. E perché mai sono quelli men rari? Attribuir ciò si dée all’essere il nome di religione in bocca di tutti, e in bocca di pochissimi e in cuore quasi a nessuno il nome di libertá.

Il piú sublime dunque ed il piú utile fanatismo, da cui veramente ne ridonderebbero degli uomini maggiori di quanti ve ne siano stati giammai, sarebbe pur quello che creasse e propagasse una religione ed un dio, che sotto gravissime pene presenti e future comandasse agli uomini di esser liberi. Ma coloro che inspiravano il fanatismo negli altri non erano per lo piú mai fanatici essi stessi; e pur troppo a loro giovava d’inspirarlo per una religione ed un dio, che agli uomini severamente comandassero di essere servi.