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Di un cimitero cristiano sotterraneo nell'Umbria

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Giuseppe Sordini

1898 Indice:Atti del II Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana.djvu Di un cimitero cristiano sotterraneo nell'Umbria Intestazione 2 ottobre 2019 75% Da definire


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DI UN CIMITERO CRISTIANO SOTTERRANEO

NELL’UMBRIA





Giovanni Battista de Rossi, il grande Maestro, insegnava, circa trent’anni or sono, che l'Umbria è priva di Cimiteri sotterranei cristiani1. Tale sentenza, subito universalmente accolta, venne e viene ripetuta ancora come inconcusso canone, benché, a chi ben consideri, possa e debba sembrare troppo assoluta, così per le conseguenze alle quali direttamente conduce; conseguenze smentite da antiche tradizioni e da fatti; come per la causa naturale, non accertata da particolari studii, che tale mancanza avrebbe resa necessaria2. Certo però, né il difetto di una vera e propria arte cristiana primitiva nell'Umbria, per la necessità in che sarebbonsi trovati i primi seguaci di Cristo, di esporre all’aperto, nelle aree cimiteriali i loro sepolcri, occultandone il carattere; né le condizioni geologiche della regione, le quali sempre ebbero stretto rapporto con i varii metodi di seppellimento, sfuggirono alla considerazione del sommo de Rossi.

Ma, quasi a mitigare la rigidezza della prima sentenza, il de Rossi, in quel suo studio sommario sulle antichità cristiane dell'Umbria, a proposito di poche e rozze urne sepolcrali, anepigrafi, ebbe pure a soggiungere: «né io ho tutto e per ogni linea percorso il tratto che si distende dai monti ai due fiumi subapennini»3, cioè al Tevere e al Nera.

Infatti, anche nell'Umbria, e proprio nel cuore dell’Umbria, abbiamo esempio di sepolture sotterranee cristiane, a guisa delle romane catacombe; ed io mi sento assai lieto e onorato di portarne qui il primo annuncio.

Presso Villa S. Faustino, in quel di Massa Martana, insieme al Conte Dominici e al Cav. Lanzi, Regi Ispettori degli scavi per i Mandamenti di Todi e di Terni4, riconobbi, tempo indietro, il primo Cimitero cristiano sotterraneo dell'Umbria. Trovasi desso, lungo l’antica Via Flaminia5, la quale, come è noto, nell'Umbria, da Nequinum (Narni), per Carsulae (Carsoli), andava direttamente a Mevania (Bevagna); ed è situato sulla costa del poggio Monticastri, che si eleva a ugual distanza, circa, tra il ponte [p. 110 modifica] romano della Fondaia, e il colle sul quale sorge Villa S. Faustino, in un punto segnato, nelle carte militari, col nome eloquente: LE GROTTI6.

Ben poco si può dire, per ora, intorno a questo Cimitero cristiano, sotterraneo dell'Umbria. Purtroppo, esso è reso impraticabile da un interrimento quasi completo; e nel piccolo tratto presso l'ingresso, tratto che servì, per secoli, di rifugio ai pastori, i suoi loculi vennero interamente spogliati: cosi che, oggi, appariscono vuoti e nudi. Però, a pochissima profondità, anche presso l’ingresso, scavando appena il terrapieno, fu subito possibile di accertare l’esistenza di loculi intatti, nei quali sono distesi ancora scheletri umani, chiusi e protetti da tegole che ostruiscono le aperture.

Quanto alla forma, il Cimitero si presenta a guisa di corridoio rettilineo discendente, nel quale sboccano, simmetricamente, gallerie laterali, piegate ad arco di cerchio. Cosi il corridoio, come le gallerie sono a volta, interamente scavate nel terreno pliocenico terziario, con predominio sabbioso, di colore giallastro, assai facile al taglio, benché resistente e compatto. Tali gallerie misurano non più di m. 1,30 di larghezza: nulla può dirsi dell'altezza, essendo, come ho già notato, interrate quasi per intero. Le pareti vennero tutte occupate da loculi di varie dimensioni, tra i quali si veggono dei veri e propri sarcofagi, ora scoperchiati e vuoti, scavati anch’essi nel masso.

Per accertarmi che, veramente, si trattasse di un Cimitero cristiano, benché non fosse possibile il dubbio, volli percorrere carpone tutta la galleria destra, e un buon tratto del corridoio centrale, ed ebbi a notare, più volte, graffita sulle pareti, e particolarmente sugli angoli formati dall’incontro delle gallerie con il corridoio centrale, la palma e, qualche volta, anche la croce.

Né, per quest’ultimo segno, si giudichi, affrettatamente, il Cimitero assai tardo; poiché nulla a me pare possa dirsi, fino ad ora, intorno all’età sua, non essendo inverosimile che la pietà di tardi visitatori abbia incisa la croce in quel luogo di eterno riposo in Cristo7.

Piuttosto, e con ragione mi sembra, si potrebbe chiedere anche subito, con quale centro abitato sia da porre in relazione tale Cimitero, oggi in luogo tanto solitario e quasi deserto; poiché non è il caso di pensare a Villa S. Faustino, piccolo e povero villaggio, che apparisce di origine non molto antica.

Per rispondere con qualche fondamento a tale giusta dimanda, é necessario affrontare e sciogliere, prima, alcuni intricati e oscuri problemi di topografia, sopra i quali nessun lume si potrebbe avere da quanto, fino ad ora, in simili questioni, venne reso di pubblico dominio. Debbo, quindi, indugiarmi alcun poco sopra di essi, prima di manifestare la mia opinione, la quale, diversamente, forse non si intenderebbe o si potrebbe, il che è peggio, fraintendere.

Trattandosi di un Cimitero sotterraneo cristiano, foggiato a guisa delle romane catacombe, è naturale il risalire, col pensiero, alle origini del Cristianesimo nell’Umbria; le quali, come è noto, sono incerte, oscurissime e contenute, quasi onninamente, negli Atti di S. Brizio, primo Vescovo di Spoleto e dell’Umbria8. [p. 111 modifica]Tutti ritengono però, né è possibile credere diversamente, gli Atti di S. Brizio come leggendarii, inquinati da errori, e turbati da confusioni rilevanti. Ma, se ciò è vero, è pur vero che questi Atti rappresentano la più antica tradizione, che noi abbiamo, intorno alle origini del Cristianesimo nell’Umbria; e nessuno, che abbia mente retta, vorrà negare ogni fede alla parte sostanziale di quella leggenda, e particolarmente alla personalità di S. Brizio e dei suoi compagni. E, soprattutto, non vorrà disconoscere la preziosità di certe indicazioni topografiche, in essi contenute, le quali, se esatte, come vedremo, danno a tali Atti un’autorità maggiore di quella, fin qui, ad essi consentita.

Non è il caso, dopo quanto sono venuto dichiarando, di entrare, qui, in minute questioni di cronologia agiografica, a proposito degli Atti di S. Brizio, e dell’introduzione del Cristianesimo nell’Umbria. Dobbiamo, invece, considerare gli Atti stessi nel loro complesso, e vedere se ne concordi la sostanza, o, per lo meno, se essa non ripugni dalla inaspettata rìvelazione del Cimitero sotterraneo di Villa S. Faustino.

Ora, è storicamente certo che la fede cristiana venne anche all’Umbria da Roma; e Spoleto, città principalissima dell’Umbria, durante l’Impero e prima e poi, come è evidente, e come ne attesta la tradizione stessa, dovette ricevere assai presto il seme della nuova dottrina. La quale, è ben noto, si sparse prontamente nel mondo, seguendo le grandi vie aperte dalla potenza romana all’asservimento, ma anche alla comunione dei popoli. E nessuno ignora che, al tempo dell’Impero romano, una di queste grandi vie, la Flaminia, passando per l’Umbria, a Narni si biforcava in due rami, uno dei qnali, per Terni, si dirigeva a Spoleto, e traversata la valle spoletana in linea retta, sboccava a Foro Flaminio; dove andava a congiungersi anche l’altro ramo, partente pur esso da Narni, dopo avere attraversate, come ho già detto, Carsulae e Mevania. Bisognerà, quindi, proporsi il problema, se la parola evangelica fu propagata a Spoleto per la via secondaria di Terni, o per quella più antica, per la grande Via Flaminia, Narni-Carsoli-Bevagna.

Lungo sarebbe il ragionamento intorno a questo punto: ma, per brevità, compendierò il mio dire in due sole osservazioni; positiva l’una, negativa l’altra. Accennerò prima alla mancanza assoluta di ogni memoria o leggenda nel non breve tratto di via, diciotto venti miglia romane, quante ne notano gli itinerari antichi, che corre da Terni a Spoleto; mentre dagli antichi itinerari pur sappiamo che, lungo questa strada erano stazioni e sacrari9 gentileschi. Un indizio positivo poi, a favore della Narni-Carsoli-Bevagna, ce lo forniscono gli stessi Atti con il leggendario episodio di S. Proculo, preteso cugino di S. Brizio, rimasto a Narni e di S. Volusiano dimorante a Carsoli; il quale episodio, pur sotto il velo della leggenda, ci attesta di un intimo originario vincolo che legava tra loro le primitive chiese di Narni e di Carsoli. La indicazione topografica, poi, di Carsoli, città romana sorta lungo questo tratto della Flaminia primitiva, è molto preziosa, anche perchè, ritenendosi da tutti che Carsoli fosse disfatta nelle prime incursioni barbariche, e, forse, anche in epoca più antica, non essendo notata nell’Itinerario di Antonino, non si intenderebbe come mai nella tarda

[p. 112 modifica] redazione, a noi pervenuta, degli Atti di S. Brizio, si facesse ricordo di una città distrutta da secoli.

Né si creda, come potrebbe sembrare, cbe, seguendo tale ramo della Flaminia, i primi Cristiani si allontanassero da Spoleto, lasciandosi questa città sulla diritta, al di là dei monti; poiché, invece, anche per la via Narni-Carsoli-Bevagna, lo sbocco a Spoleto era facile e breve. Esiste tuttavia, cosa comunemente ignorata fino ad ora, una strada detta pur sempre Via romana, seminata di monumenti pagani e cristiani, antichi e insigni 10, la quale, per le gole di Macerino, congiunse certamente, dall’origine, la primitiva Flaminia con Spoleto; strada che dovette essere mantenuta e frequentata anche quando, durante l’Impero, l’altro ramo prese maggiore sviluppo, anzi ebbe una assoluta preponderanza. E tanto è ciò vero, che nel Medioevo, e in tutto quasi il primo secolo dell’Evo moderno, fino a quando, cioè, Gregorio XIII, con grandi lavori11 migliorò il tratto Terni-Spoleto-Foligno, ecc. per Loreto, chi, da Roma, a Spoleto voleva recarsi, batteva indifferentemente l’una o l’altra delle due vie12. E questa Via romana benché oggi, in parte, ridotta ad un semplice sentiero, nella loro annua peregrinazione, percorrono ancora gli armenti che si recano, dalla Maremma, alle verdi montagne dell’Umbria e viceversa.

Stabilito cosi questo importante quanto ignorato fatto topografico, resistenza cioè di una diretta, ordinaria comunicazione della Flaminia più antica con Spoleto, nessuna meraviglia potrà destare il Cimitero di Villa S. Faustino, anche se esso, all’esame che se ne dovrà fare, si rivelasse assai antico; né darebbe materia a contradizione alcuna con quanto affermano i rammentati Atti di S. Brizio; anzi, questi ne riceverebbero inaspettata conferma. E nemmeno sarà difiicile, dopo di ciò, indicare, con ogni probabilità, l’abitato al quale debba riferirsi il Cimitero sotterraneo di Villa S. Faustino, non potendosi pensare a Carsoli lontana da esso circa sei miglia romane, e nemmeno a Spoleto, molto più lontana e posta in altra vallata. Negli Atti di S. Brizio conservatici dai Lezionari13 del Duomo di Spoleto, e nella prima parte di quelli pubblicati dai Bollandisti, c’è un’espressione, attorno alla quale, [p. 113 modifica] male interpretata e trasformata, si sbizzarrì la mente di antichi e moderni scrittori, dando sfogo alle più strane fantasie di città, di Vescovi e di Vescovati14. Narrano semplicemente, invece, gli Atti, che, S. Brizio15, dopo evangelizzata l’Umbria, fu condotto «in superiora via in vertice Collis», da un Angelo, il quale lo avverti che, quivi, avrebbe abitato fino al giorno del Giudizio universale. S. Brizio allora, continuano gli Atti nel consueto, barbarico latino, cominciò ad annunciare la divina parola «omnibus regionibus submontana martulana»16, e, nel luogo indicatogli, fabbricò un oratorio, vi morì, e vi fu sepolto17. Ora, chi è mai che, nella spropositata frase degli Atti, non vorrà ammettere che siano puramente e semplicemente ricordate le regioni sotto i Monti Martani? La quale interpetrazione diventa tanto più ovvia, quando si sappia che il sepolcro di S. Brizio si è sempre venerato, a memoria d’uomini, sopra un poggetto, a sette chilometri da Spoleto, dove anche oggi si conserva la rozza cassa anepigrafe di pietra che ne racchiude o racchiuse le ossa; che, in antico, sopra di questo sepolcro, si edificò una nobile chiesa, a tre navi, con sotterraneo e presbiterio rilevato, ancora esistente18; che un castello con salde mura e torri venne costruito, attorno alla chiesa, a scopo di difesa; che a tale castello, infine, fu dato, e lo serba tuttavia, il nome di S. Brizio. E ancora più importante è questo, che il sepolcro, la chiesa e il castello di S. Brizio sorgono a poca distanza da una catena di monti, nota col nome di Monti Martani. E dirò, da ultimo, che presso S. Brizio, e nella chiesa stessa, veggonsi numerosi resti di antichissime sculture cristiane, da me per primo osservati19, e che presto spero di illustrare compiutamente.

Antichi e moderni scrittori, invece, senza tener conto alcuno di tutti questi fatti, parecchi dei quali perfino ignorarono, colpiti forse dalla dizione «in civitate

[p. 114 modifica] Martulana" sconosciuta ai Lezionari spoletini, inserita in un più tardo raffazzonamento degli Atti di S. Brizio20 nonché dalla semplice indicazione Martulae ed anche civitate Martulana di alcuni Martirologi, e per la tradizione di un Vico ad Martis, al quale succedette la odierna Massa Martana, crearono addirittura il Vescovato di Martana e ne fecero primo Vescovo S. Brizio, dopo che questi aveva occupato la Cattedra spoletina. Contradizione evidente e manifesta, la quale pure non valse a trattenere le menti dalla falsa via; chè anzi, dato il primo passo, altri Vescovi vennero assegnati al Vescovato immaginario, della non meno immaginaria città Martana21.

Però, se tutto ciò è vero, è anche vero che la indicazione topografica civitate Martana, in modo non equivoco, anzi chiarissimo, trovasi pure in altri Atti, come in quelli di S. Illuminata22. Né qui occorrono confusioni od errori, più o meno evidenti, come negli Atti di S. Brizio, riguardo all’indicazione stessa.

Una ricerca, non senza frutto, tentar si potrebbe, intesa a determinare il valore cronologico dei nomi Martula, Martulana e civiate Martana, usati dagli antichi agiografi; ricerca che condurrebbe anch’essa ad una chiara dimostrazione degli equivoci sorti, secondo me, non per altro che per la somiglianza fonetica di quei nomi, forse, in parte, corrotti, appartenenti a località diverse, e dall’ignoranza dei primi scrittori così stranamente confusi. Ma, senza entrare qui in una così lunga, minuta disquisizione, fuori del nostro compito, questo sembra di potere ammettere: che, cioè, due località distinte e diverse, denominate con vocaboli foneticamente e forse anche morfologicamente simili, benché non identici, abbiano veramente esistito. Una di queste località, quella riguardante la sepoltura di S. Brizio, noi abbiamo dovuto riconoscerla, necessariamente, presso i Monti Martani, non lungi dalla Flaminia Narni-Terni-Foligno; l’altra dovremo, quindi, trovarla pur essa nell’Umbria, anzi in quel tratto dell’Umbria particolarmente ricordato dalle antiche leggende. Deve, inoltre, avere i caratteri necessari per esser chiamata, sia pure con amplificazione, città; e dovette portare un nome assai somigliante a quello della località che ora ci é nota.

Ho di sopra accennato alla confusa tradizione della esistenza di un Vico ad Martis, cui succedette la odierna Massa Martana; ed é appunto con questo Vico ad Martis che bisogna, secondo me, identificare, non la località nella quale visse gli ultimi suoi anni, morì e fu sepolto S. Brizio, ma la città Martana degli Atti di S. Illuminata, e le errate indicazioni dei Martirologi e dei tardi raffazzonamenti degli Atti stessi di S. Brizio.

Il Vico ad Martis come è noto, sorse lungo il ramo principale della Flaminia Narni-Carsoli-Bevagna, a diciotto miglia romane da Narni e a sedici da Bevagna, in una località che, da una chiesa assai antica, sorta sulle rovine di una grande aula di fabbrica romana, è, da tempo, conosciuta sotto il nome di S. Maria in Pantano. Identificazione topografica certissima questa, non solo per le chiare indicazioni miliari dell’Itinerario di Antonino e dei famosi vasetti di Vicarello, e per i notevoli ruderi [p. 115 modifica] romani, quivi tuttavia esistenti, ma principalmente perchè, presso S. Maria in Pantano si rinvennero parecchi titoli marmorei con la esplicita menzione dei Vicani vici Martis Tudertium23; la quale menzione non può lasciare adito a dubbio veruno. E il Vico ad Martis dovette anche durare a lungo, certamente più a lungo di Carsulae poiché di questa, come ho già notato, non troviamo menzione nei citati Itinerari, benché posta sulla stessa via, e tanto importante ce la manifestino le grandiose rovine ancora esistenti. È da sapere, inoltre, che il luogo del Vico ad Martis oggi S. Maria in Pantano giace anch’esso a piedi dei Monti Martani, nel versante opposto a quello in cui, come abbiamo veduto, sorge la chiesa di S. Brizio 24.

Riconosciuta la città Martana delle antiche, sacre leggende, nel Vico ad Martis, è naturale concluderne che, in esso, dovette, assai per tempo, fiorire una società cristiana, come ne danno indizio le leggende stesse; come diventava necessario, data la direzione seguita dai novelli Apostoli; come, infine, è reso probabile dal nome del Vico, che, testimoniando a noi di un antichissimo culto al Dio della guerra, quivi presso25, particolarmente doveva attrarre l’operosità ardita, instancabile dei primi evangelizzatori. E tardo, ma pur non dispregevole argomento di indizio intorno al precoce fiorire del Cristianesimo nel Vico ad Martis, è l’esistenza, per non dire di altro, in quei dintorni, di tre antichissime chiese abbaziali: quelle, cioè, di Villa S. Faustino, di S. Maria [p. 116 modifica] in Pantano e di S. Pietro di Monte Martano; la prima costruita tutta di grossi travertini, evidenti spoglie di monumenti pagani, la seconda sorta sulle rovine di un edificio della prima epoca imperiale, nel luogo stesso occupato dal Vico, e la terza, ora cadente, soppressa già da Bonifacio VIII, ed aggregata alla Mensa capitolare del Duomo di Spoleto26.

Ora, il Cimitero sotterraneo di Villa S. Faustino, posto sulla grande Via Flaminia, a due miglia, circa, prima di giungere al Vico ad Martis, a me non pare dubbio che debba riferirsi a questo abitato, che, nelle leggende dell’alto Medioevo potè assumere, non in tutto ingiustamente, il nome di città, avendone forse le parvenze, almeno nelle rovine27.

Senza dubbio, la fortunata invenzione di un Cimitero cristiano, sotterraneo, nell'Umbria, è un gran passo verso la soluzione di molti problemi attorno ai quali, fino ad ora, si sono affaticate, invano, le menti di tanti dotti; ma tale scoperta si ridurrebbe a ben poco, quando non fosse provveduto con sollecitudine a sgombrare, studiare e illustrare, con scrupolosa diligenza, quest'unico sacro ipogeo umbro, mettendone in rapporto con tutto quello che ci è noto dell'Umbria cristiana ed anche con le più probabili induzioni storiche e archeologiche, i risultati che si conseguiranno.

Ma, il Cimitero di Villa S. Faustino è esso veramente unico, nell’Umbria? L’esistenza di un Cimitero sotterraneo, cristiano, a guisa delle romane catacombe, presso Villa S. Faustino, è, di certo, dovuta più che ad altro, alla natura del terreno, simile, nell’aspetto e nelle qualità, benché tanto differente nella sostanza, a quelli in cui furono scavate le catacombe di Roma. E a me, anche per tale considerazione, di una condizione, cioè, naturale, che può trovare e trova riscontro in altre parti della regione umbra28, non pare che si debba ritenere, il Cimitero sotterraneo di Villa S. Faustino, essere l’unico esempio nell’Umbria.

Indizi, molto probabili, di altri cimiteri sotterranei nell’Umbria, io li trovo negli stessi Atti di S. Brizio; unici indizi, che io mi sappia, di tutto il leggendario dei Santi umbri; e per ciò solo, quindi, in particolar modo, dopo l’esempio di Villa S. Faustino, da prendersi in attenta considerazione.

Narrano essi Atti che, due compagni di S. Brizio, Abbondio e Carpoforo, furono decapitati presso Foligno, suburbana civitate miliario uno, in loco qui dicitur thanarium, in via sub monte rotundo in subsidio montis vie; e che Eustachia matrona xpianissima, raccolse i corpi di quei Martiri, li asperse di aromi e li depose, come ivi è detto, in speluncam suam29.

L’espressione speluncam suam non mi pare che debba lasciar dubbio intorno alla indicazione di un cimitero sotterraneo; ma io non posso dire altro intorno a ciò, non avendo avuto modo, ancora, di fare studio alcuno della località. [p. 117 modifica]

Anche più espliciti però, sono gli stessi Atti, a proposito di un cimitero sotterraneo presso Spoleto.

Dopo avere accennato ad un terribile terremoto del quale, in Spoleto solamente, furono vittime centoventi pagani, e che scosse dalle fondamenta tutti gli edifici, ai Santi Garpoforo e Abbondio, apparve un Angelo, che, liberandoli dal carcere, ingiunse loro di evangelizzare Spoleto. E gli Atti continuano: Eadem hora regressi sunt de carcere, suburbana civitate, in cripta. E, più sotto, soggiungono gli stessi Atti che, al Proconsole Marziano, furono denunciati alcuni Cristiani, i quali si occultavano in cripta in prefata civitate spoletana; vennero di notte i soldati, e, trovatili, ne catturarono tredici, tra i quali erano Abbondio e Garpoforo. Trattenuti in carcere questi due, comandò Marziano che agli altri si troncasse il capo fuori di Spoleto, e che i loro corpi si lasciassero insepolti: i quali corpi Sincleta christianissima foemina, nella notte susseguente, raccolse, asperse di aromi et posuit in cimiterio pontiani, non longe ab urbe spoletana in lateribus montis in eadem spelunca.

Il sito del Cimitero di Ponziano è notissimo, assai vicino alla odierna cinta delle mura di Spoleto, e fu sempre tenuto in grande venerazione. Ebbe il nome di Ponziano dal sepolcro di uno dei più antichi e più cospicui Martiri spoletini, i cui Atti sono ritenuti sinceri. E dagli stessi Atti del Martire30 sappiamo che il fondo, prima della sepoltura di Ponziano, era denominato Lucianus; e Luciano e Ciciano vien chiamato, anche oggi, tutto quel poggio. Già prima del mille sorgevano, sul Cimitero di Ponziano, una chiesa31, ed un Monastero di sacre Vergini, alle quali sono affidate anche oggi le reliquie del Martire, riguardato e onorato sempre come patrono principale della città.

Che un cimitero cristiano antichissimo quivi fosse, lo dimostrano tre rozze urne anepigrafi esistenti, anche attualmente, nelle tribune della cripta, e una quarta pure anepigrafe, ma con l’ornamento, in centro della fronte, di una tabella ansata e di due porte laterali, confinata nell’orto monastico.

Ma, sarà stato quivi, come vorrebbero gli Atti, un cimitero sotterraneo, una o più spelunche in cui avrebbero, un tempo, vissuto nascosti i santi Abbondio e Garpoforo, insieme ai loro compagni, e questi poi vi sarebbero stati sepolti, o non piuttosto un’arca cimiteriale?32. È questo il quesito che, in attesa di un felice colpo di zappa, tenteremo intanto di sciogliere con lo studio coscienzioso, sereno delle antiche memorie. [p. 118 modifica]Gli Atti di S. Brizio sono espliciti: essi parlano di una cripta, nella quale vissero nascosti, per un certo tempo, molti Cristiani, e di una SPELUNCA nella quale, parimente, undici di essi sarebbero stati sepolti. E, chiunque vede che, in tal modo, si indica un vero e proprio cimitero sotterraneo dei primitivi tempi della Chiesa, identico ai tanto celebri di Roma e di altre parti d’Italia. Ora, io non saprei, veramente, perchè si dovrebbe, a priori, togliere fede alla singolare narrazione degli Atti di S. Brizio, su questo particolare, che nulla aggiunge al carattere della leggenda, mentre abbiamo veduto che essa è esatta in altri particolari topografici; e mentre, il che parmi assai notevole, è esplicitamente in opposizione con l'ordinario metodo di seppellimento degli altri santi umbri, deposti nelle aree, metodo, con tutta chiarezza, dai singoli Atti risultante.

Citerò, per brevità, un solo esempio, quello del Santo Vescovo Sabino, sepolto in un’arca tuttora notissima, da una matrona per nome Serena, negli Atti del quale33, Atti che, a ragione, da tutti sono ritenuti sinceri, è detto semplicemente: et seppellivit cum miliaro a civitate spoletana plus minus secundo. Ora, un falsificatore umbro degli Atti di S. Brizio, e non poteva non essere umbro, poiché solo suo scopo sarebbe stato di rendere più vetuste le origini del Cristianesimo in quella regione, avrebbe, in tempi semibarbari, prese a modello la passio e la depositio di qualche altro santo dell’Umbria, senza dar rilievo a particolari inutili e che erano anzi, in stridente opposizione con quanto, anche allora, si sapeva e si vedeva: poiché, fino ai nostri giorni, delle aree cimiteriali spoletine, è rimasta chiara, popolare notizia. Se, dunque, essi Atti accennano a cimiteri sotterranei, in conformità del più antico e diffuso costume della Chiesa, noi non dovremo per questo giudicarli falsi, ma ritenerli, invece, quale eco sincera di una vetusta tradizione, tanto più oggi che il fatto ci dimostra avere avuti anche l’Umbria i suoi cimiteri cristiani sotterranei. E non sfugga una osservazione, emergente dagli stessi Atti di S. Brizio, ed è questa: che pur ricordando essi, in varii luoghi e in varie circostanze, cripte e spelonche, quando ci parlano del luogo nel quale S. Brizio ebbe la sua ultima dimora, nulla ci dicono di spelonche o di cripte, e, come abbiamo veduto, nulla ne apparisce dai fatti o dalla tradizione.

È da sapere poi, che tutto il poggio Luciano o, come oggi volgarmente dicesi, Ciciano, sul fianco del quale sorge la chiesa di S. Ponziano, fino da tempi molto antichi, ebbe quasi carattere sacro. Basti ricordare che a meno di duecento metri da S. [p. 119 modifica] ziano, sullo stesso versante del poggio, ammirasi ancora la celeberrima Basilica del Salvatore, detta anche di S. Concordio e più modernamente del Crocifisso e del Cimitero34; meravigliosa costruzione del IV secolo, la quale sorse, in qnel tempo, sopra la tomba di un altro martire, Concordio, quivi precedentemente sepolto.

E sull'alto dello stesso poggio, si erge, tuttavia, una vetusta chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo, la quale, nella sua fronte, serba memoria scolpita in una tavola di marmo, della dedicazione, avvenuta nei primi anni del quinto secolo, e dell’esistenza, quivi, di un fonte battesimale trasferito poi nel Duomo di Spoleto. Quella iscrizione35, certamente è assai tarda, ma il culto antichissimo al quale si riferisce, e [p. 120 modifica] l'assenza quasi assoluta, in Spoleto, di false iscrizioni, ne rendono molto credibile la sostanza.

E accennerò ancora, la chiesa e il monastero delle Palazze36, a metà costa, anch’essi; la chiesa e il monastero di S. Elisabetta37, e quella di S. Margherita38, le cui fabbriche si veggono tuttavia in un poggetto che dirama dal primo.

Né il terreno, che è in declivio, e tutto composto di conglomerato calcare breccioso (pliocenico terziario), opporrebbe difficoltà; che anzi, avrebbe reso agevole lo scavo. Tanto è ciò vero, che un’antica grotta, sconciamente nota a Spoleto, vedesi ancora a monte della chiesa di S. Ponziano.

E non mancano, infine, tradizioni popolari, tuttora vive, di cunicoli sotterranei, i quali, avendo l’ingresso loro nella chiesa e nel monastero di S. Ponziano, si sarebbero prolungati fin dentro la città odierna di Spoleto, per non breve tragitto. Una di queste tradizioni venne anche raccolta e ricordata dal più recente degli Storici spoletini, dal Barone A. Sansi, in un suo libro pubblicato nel 186939; ed è cosi particolareggiata che, se fosse esatta, ci darebbe nelle mani, senz’altro, la chiave del mistero che cerchiamo di penetrare. Nel 1869, a proposito del sotterraneo, esistente nella chiesa di S. Ponziano, il Sansi scriveva: «V’è in un lato di questa cripta un’apertura nel pavimento per la quale si scende una scala che s’arresta d’innanzi a macerie ammonticchiate. Dicono che fosse questo una volta l’ingresso di un cuniculo che si prolungava fin dentro la città».

Io ebbi occasione di esaminare quella cripta, cui si accede oggi dal monastero, mentre un tempo vi si scendeva per duplice scala40, dalla chiesa; cercai dell’ingresso al cunicolo, e mi venne indicato, nel pavimento, un chiusino quadrangolare vicino alla parete della tribuna estrema, di destra. Mi calai subito nel vano sottostante, ma non trovai traccia di scala, né di macerie; e quel vano sembronimi piuttosto un nascondiglio, reso utile o necessario dalle turbolenze medioevali, di cui la cripta stessa presenta notevoli traccie.

Questo io francamente debbo dichiarare, in omaggio al vero e per la serietà dei nostri studi; ma, l’insuccesso di una prima fuggevole visita, avente tutt’altro scopo, non deve diminuire per nulla, a mio giudizio, il valore degli argomenti e dei fatti allegati di sopra.

[p. 121 modifica]Oramai è indiscutibile che anche l’Umbria ebbe le sue catacombe; ed io spero che, se questa modesta comunicazione, non per sé stessa, ma per i problemi che pone, per le speranze che suscita, avrà forza di ottenere che si eseguisca una esplorazione sistematica del cimitero di Villa S. Faustino, sarà allora il caso di giudicare della età di questo, del suo carattere, della estensione sua, dei rapporti che potè avere con i luoghi circonvicini; e di vedere, infine, se gli indizi, topografici e storici, della tradizione orale e scritta, intorno alle origini del Cristianesimo nell’Umbria, abbiano veramente il valore che la ragione deve loro attribuire.

Giuseppe Sordini.

  1. G. B. de Rossi, Bullettino, 1871, A. 2°, n. III, Spicilegio iconografico dell'Umbria, p. 121; Bullettino, c. s.; Degli antichi monumenti cristiani dell'Umbria in generale, p. 83, 84.
  2. Quando scriveva il de Rossi, si desiderava ancora una qualsiasi carta geologica dell'Umbria. Ora, c’è soltanto quella sommaria, pubblicata dal Comitato geologico.
  3. G. B. de Rossi, Bullettino, 1871, A. 2°, n. III, Degli antichi monumenti cristiani, ecc., p. 88.
  4. Debbo alla gentilezza dei nominati colleghi, il primo annuncio dell’esistenza del Cimitero sotterraneo di Villa S. Faustino, a me, fino allora, completamente sconosciuto. E debbo anche alla loro squisita cortesia l’onorevole incarico di questa modesta relazione.
  5. Per il corso della Flaminia nell'Umbria, e sue vicende, vedi: E. Borman, De viae Flaminiae cursu medio, nella prolusione al programma estivo, 1883, delle lezioni date nella Università di Marburgo. È vivamente desiderabile che uno studio serio si dedichi a tutta l'antica viabilità dell'Italia media. Un tentativo venne da me fatto per quanto riguarda l'agro spoletino; ma esso non potè ancora vedere la luce.
  6. Cosi quella località è chiamata dagli abitanti; e verrebbe voglia di pensare che altre gallerie, i cui accessi sono ora ostruiti, quivi un tempo si vedessero. Il terreno, per il quale si ha accesso al Cimitero, appartiene alla signora Misericordia Vedova Orsini, cui intendo qui porgere le più sentite grazie per le cortesie usate ai miei colleghi e a me, durante la nostra visita.
  7. Tutti sanno come innumerevoli siano i graffiti di ogni genere e di ogni tempo nelle Catacombe romane.
  8. Non mi è ignoto che alcuni, rigettando completamente gli Atti di S. Brizio, prendono le mosse dagli Atti, meno incerti, di altri Santi, per trattare dell'introduzione del Cristianesimo nell'Umbria. Ma, costoro non si accorgono, forse, che invece di sciogliere un problema, sia pur difficile, lo saltano addirittura e cadono nell'inverosimile. Ed è inverosimile, assurdo anzi, date le antiche intime relazioni dell'Umbria con Roma, e la contiguità dei due paesi, che il Cristianesimo abbia tardato, per qualche secolo, a farsi strada in mezzo ad una popolazione mistica per natura. Nulla dirò, poi, della tesi che, senza negare la personalità di S. Brizio, si limita a farne un Santo... francese! Questa tesi verrà, da me. ampiamente esaminata in un’altra pubblicazione.
  9. Il Gerosolimitano nota, a tre miglia da Terni «tribus tabernis», a tredici miglia, «Fani Fugitivi»; il Peutingeriano ci dà a undici miglia «ad Tine Recine», e a tredici miglia, «Fano Fugitivo». Nei due Itinerari, la distanza tra Spoleto e Terni differisce di due miglia, essendo di venti nel primo e di diciotto nel secondo; quindi, il «Fano Fugitivo», per il Gerosolim. è a sette miglia da Spoleto, e per il Peutinger. a cinque. Nessuno studio, che io sappia, si è ancora tentato per la identificazione di tali località.
  10. Accennerò solamente al celebre aarcofago, della seconda metà del IV secolo, contenente la lunga iscrizione metrica: Pontia sidereis, ecc. Nel (C. I. L., questa iscrizione è inserita tra quelle di Carsulae, vol. XI, n. 4631; ma è un errore, appartenendo essa, invece, all’agro spoletino, come giustamente asserì il ch. Marchese G. Eroli nella Miscellanea storica narnese, voi. I, pag. 375 e segg. Il che risulta evidente a chi ben conosca la topografia di quella parte dell'antico territorio di Spoleto, modernamente aggregata ad altri Comuni. Vedi anche, Notizie 1900, pag. 140-41, dove descrissi alcuni altri dei numerosi resti di antichità seminati ancora lungo la ignorata via, Spoleto-Macerino-Carsoli.
  11. A questi lavori accenna anche il Montaigne nei Viaggi; e, lungo la strada, ne sono ancora documenti vivi, iscrizioni e stemmi con le date 1578-79, ecc. Vedi Sansi A., Storia dei Comune di Spoleto, Foligno, Sgariglia, 1884, Parte II° pag. 249 e 257.
  12. Basterà l’esempio di un solo famosissimo personaggio. Lucrezia Borgia, quando nell’Agosto 1499, la prima volta andò a Spoleto, mandatavi Governatrice dal Papa Alessandro VI, fu ricevuta dai Commissari di quel Comune e servita di un lauto banchetto, nel castello di Porcaria, oggi Porteria, d’onde per la strada di Macerino, giunse a Spoleto, entrandovi dalla Porta S. Matteo. Nei Gennaio 1502, invece, allorché si recava sposa a Ferrara, passò per la valle di Strettura, posta tra Terni e Spoleto, dove avvenne una sanguinosa rissa tra i suoi staffieri. Vedi Gregorovius, Lucrezia Borgia; Sansi A., Storia del Comune di Spoleto, parte II, pag. 132-33 e 144; ed anche Campello P., Il castello di Campello, vol. I, pag. 195, nota 2, nella quale, posti a raffronto i due viaggi, l'A. intuiva l'esistenza dell’antica strada, asserendo però, con lieve inesattezza, che se ne è, oggi, in parte, perduta la traccia.
  13. Sono tre grossi volumi membranacei, citati da molti, ma da nessuno studiati con la necessaria diligenza. Provengono, gli ultimi due dalla chiesa di S. Brizio, e il primo dalla chiesa di S. Felice di Narco. Il dotto Vescovo Paolo Sanvitale, cui Spoleto deve varii utili provvedimenti per la conservazione delle antiche memorie ecclesiastiche e civili, sullo scorcio del XVI , li fece depositare nell'Archivio capitolare del Duomo di quella città, affinché fossero ben conservati. Invece, tempo dopo, vennero rubati e non si poterono ricuperare che verso la fine del XVII secolo. La curiosa storia di questi volumi, preziosissimi e per la sostanza e per la origine loro, venne da me ricostituita e narrata, su documenti inediti, in una comunicazione alla Regia Deputazione umbra di storia patria, e, tra non molto, vedrà la luce in quel Bollettino.
  14. V. Iacobilli, Vite dei Santi e Beati dell'Umbria; G. M. Stella, Vite dei Santi della città Martana e Beati della terra di Massa nell'Umbria, Roma, Barbiellini, 1771. Innumerevoli poi, sono gli scrittori che, in opere di indole generale, hanno raffazzonate, a modo loro, le vite dei santi primitivi dell'Umbria.
  15. Questi Atti di S. Brizio, nei Lezionari spoletini, sono ripetuti due volte: una nel vol. I, fogl. lO0-102; e l'altra nel vol. III, fogl. 181-183. E ciò è ben naturale, poiché, come ho detto di sopra, il primo volume ha una provenienza e gli ultimi due un'altra. Però, le due redazioni sono identiche, e presentano solo delle varianti ortografiche.
  16. Dichiaro, una volta per sempre, di attenermi al testo dei Lezionari spoletini, conservandone la forma, anche quando essa è supinamente errata, come in questa e nella precedente citazione.
  17. Che S. Brizio vi morisse e vi fosse sepolto, non è detto esplicitamente dagli Atti dei quali mi occupo. Ma, tali particolari sono impliciti nella predizione dell'Angelo; e, per quanto riguarda la sepoltura, c’è il fatto stesso che lo dice. Nella seconda parte, invece, pubblicata dai Bollandisti, e che a me pare un tardissimo nuovo raffazzonamento, i particolari della morte e della sepoltura sono minutamente raccontati.
  18. La chiesa di S. Brizio è, oggi, semplicemente parrocchiale; ma, dicesi che fosse, in antico, Abbaziale benedettina. Da secoli, però, è di giuspatronato del Capitolo del Duomo di Spoleto, il qual Capitolo gode il diritto di nomina del Parroco. In un volume di Appunti per i Decreti della sacra Visita, conservato nella Cancelleria Arcivescovile di Spoleto, fatto redigere nel 1572, dal Visitatore apostolico Pietro de Lunel, Vescovo di Gaeta, a c. 90, è scritto: «Ostendatur unio facta de hai ecclesia (S. Brizio) Capitulo Cathedralis et si fuerit legitima provideatur de vicario perpetuo... et si invalida reacindatur». È questo il più antico documento, che io conosca, riguardante la chiesa di S. Brizio; certo, molta luce si potrebbe avere dall'Archivio capitolare del Duomo di Spoleto, alle porte del quale Archivio, però, io da anni son venuto picchiando invano.
  19. Vedi l'accenno da me datone in Notizie, 1900, pag. 139.
  20. Negli Acta Sanctorum, Tom. I di Luglio, pag. 14, 15, i Bollandisti pubblicarono: «Alia Brictii gesta et tormenta»??. Ed è qui che trovasi la frase riferentesi a S. Brizio: «.....seductor absconditus in civitate Martulana». Ma, non occorre molto per vedere quanto sia tarda la redazione di questi Atti. Invece, la prima parte di essi, che leggesi nello stesso tomo, a pag. 9, 10, 11, concorda pienamente con i Lezionari spoletini.
  21. Non sarà inutile osservare che gli Atti di S. Brizio, tanto dei citati Lezionari, quanto dei Bollandisti, allorché accennano a Foligno e a Spoleto, non omettono mai la qualifica urbs o civitas; mentre chiamano semplicemente regioni «submontana martulana» quelle nelle quali S. Brizio prese ad evangelizzare, e che per molti rappresentano, né più né meno, la pretesa città Martana.
  22. Nei Lezionari spoletini, gli Atti di S Illuminata si leggono nei fogli 194-196 del vol. I. A tre chilometri, circa, da S. Maria in Pantano, sorge ancora un’antica chiesa dedicata a questa santa, il culto della quale fu molto in voga, in quei luoghi. Ebbe annesso, un tempo, un convento di Camaldolesi.
  23. Vedi C. I. L., vol. XI.
  24. E non sarà inutile notare che la valle di Massa Martana è collegata con la valle di Spoleto da parecchie strade mulattiere, le quali valicano i Monti Martani, e sono ancora molto frequentate. Ve n'ha una, antica, detta Della Madonnuccia, e un’altra meno antica detta Strada Spoletina, le quali passano per il Terzo di S. Severo. Sono anche chiamate Strade Spoletine quelle che da Colpetrazzo e da Mezzanelli, nel Massetano, per Firenzuola, già Gallicidula, conducono a Spoleto. A nessuno sfuggirà l'importanza di queste vie mulattiere che, nel Medioevo, in mancanza di meglio, erano vere e proprie arterie di comunicazione.
  25. Dico «quivi presso» perché non potrei convenire con gli scrittori, i quali hanno trattato questo argomento, nel pensiero da essi concordemente manifestato che, cioè, il tempio in che si onorava il Marte dei Tuderti sorgesse nel Vico ad Martis. Considerando bene la forma ad Martis, e più ancora l'appellativo Martani dato a un'intera catena di alti monti, io inclinerei a ritenere che il Vico ad Martis fosse quasi lo scalo, ad un celebre santuario che, prisco e religioso, come quello del Clitunno, dovette sorgere, non nel piano, ma sopra quei monti che da Marte vengono tuttora chiamati. E, osservando ancora che i Monti Martani dominano, in modo assoluto, da un lato la Valle spoletana, cioè tutto il paese che da Spoleto si stende fino ad Assisi, e dall’altro le Valli di Massa Martana e di Todi; e, ponendo mente alla denominazione Martis Tudertium che il Tempio aveva, come ne attestano varie iscrizioni romane, mi par quasi di sentire un’eco della preponderanza, in qualche tempo verificatasi, degli Etruschi su gli Umbri: i quali ultimi, certo, nelle montagne di Spoleto, ebbero un sicuro e durevole rifugio. E agli Etruschi, dominatori della Marzia Todi doveva importare molto una vedetta, sia pur religiosa, sull'alto dei Monti Martani, la quale tenesse d’occhio i movimenti di quel popolo che Dionisio chiamò antico e grande, e che, come pare, fu dedito più alle arti della guerra che a quelle della pace. Un raggio della grande civiltà etrusca, per la via di Todi, senza dubbio, penetrò nel cuore dell'Umbria, diffondendosi nelle Valli di Massa Martana, di Carsoli, fino a Cesi, e infiltrandosi anche nelle gole del monte di Forzano, dove moltissimi resti di opere d’arte, da me veduti, ci fanno fede di questo innesto dell'Etruria nel territorio umbro (vedi anche Gamurrini in Notizie, 1884, pag. 149 e segg.). Tali resti, invece, mancano completamente nella Valle e sopra i monti di Spoleto. E che i Monti Martani e le loro diramazioni siano stati, un tempo, una linea di confine, direi quasi che lo confermano gli interminabili litigi, durati fino ai nostri giorni, e non ancora, definitivamente sopiti, tra Spoleto e le moderne Comunità costituitesi lungo quella linea. A tutta questa induzione storica, sono io il primo a riconoscerlo, manca la base di fatto della esistenza di un Tempio del Marte dei Todini sopra i Monti Martani: manca però, ancora, qualsiasi ricerca a tale scopo diretta. Ma, sarebbe, di certo, un gran bene che si tentasse, poiché molta luce potrebbe risultarne per le relazioni, senza dubbio esistite, tra Umbri ed Etruschi, intorno alle quali nulla ci è noto.
  26. Che l'Abbazia di S. Pietro di Monte Martano fosse aggregata alla Mensa epistolare del Duomo di Spoleto, è cosa notoria; e a me, personalmente, consta che le antiche carte di quella Abbazia dovrebbero ancora trovarsi nell'impenetrabile Archivio del Duomo di Spoleto. E', purtroppo, da far voti che anche quell'Archivio, il più antico di Spoleto, venga, con le debite garanzie ben conservato e aperto agli studiosi.
  27. Dopo tanti secoli e infinite devastazioni, si veggono ancora, a S. Maria in Pantano, notevoli costruzioni, oltre la chiesa, di opus reticolatum e frammenti di sculture marmoree e di iscrizioni.
  28. Quando qui si parla di Umbria, bisogna intendere il paese che si stende fra il Tevere e il Nera, al qual paese spetta veramente il nome Umbrìa. Al di là di questi due fiumi, come tutti sanno, da un lato c’è la bassa Etruria e dall’altro la Sabina, le quali, soltanto per vicende politiche, sono oggi aggruppate con l'Umbria e comprese sotto questo nome.
  29. Negli Atti contenuti nel volume III dei Lezionari spoletini, è scritto, invece, correttamente in spelunca sua. Noto la variante, solo per dare un esempio delle differenze insignificanti tra i due testi.
  30. Gli Atti di S. Ponziano, nei Lezionari spoletini occupano i fogli 105-106 del volume II.
  31. Quando foase edificata una chiesa in questo luogo, non si sa. In un proemio alla Vita di S. Giovanni Arcivescovo di Spoleto, contenuta nel vol. I, fogl. 109-113, dei citati Lezionari, scritto sul finire del secolo X, è già nominato con grande onore, il Cenobio di S. Ponziano ed il suo Cimitero. La chiesa odierna, nella facciata e nelle absidi, presenta tutti i caratteri di consimili edifici, sorti nell'Umbria, tra l’undecimo e il dodicesimo secolo. L'interno venne tutto ammodernato, nel 1788; ma, sotto l’intonaco, si indovinano le membrature originarie, ohe forse rimangono ancora intatte, e due capitelli, tuttora scoperti e al loro posto, in un angolo quasi buio, destano vivissimo desiderio del resto. La cripta é a cinque navi, a volta, sostenuta da colonne antiche, e adorna di molte pitture, assai ben conservate. Le due navi estreme, però, sono evidentemente un’aggiunta posteriore, benché assai antica. A questa cripta si scendeva, un tempo, dalla chiesa, per mezzo di due scale che mettevano, appunto, nelle due navi estreme. Ma, prima di tale aggiunta, la scala era unica, nel centro della cripta a tre navi, e ne rimane ancora il vano d’accesso.
    Un’analisi minuta di questo edificio, sarebbe un grande servizio reso alla storia dell’Arte umbra, in alcuni punti oscurissima.
    La cripta di S. Ponziano verrà riaperta al pubblico.
  32. Non è da far troppo caso delle urne anepigrafi ricordate di sopra, essendo noto che, anche a Boma, la città delle catacombe per eccellenza, agli ingressi di queste, si sono rinvenute simili arche. Vedi: Marucchi, Guide des Catacombes Romaines, Paris-Rome, Desclée Lefebvre, 1900, pag. 72.
  33. Sono contenuti nei fogli 19, 20, 21, vol. II dei Lezionari citati. L’area cimiteriale, in che fu sepolto il Santo Vescovo e Martire Sabino, giace a poca distanza da Spoleto, lungo il ramo settentrionale della Flaminia antica, che andava a Foligno. Anche oggi, quell’area è indicata da una grande, bella, vetustissima chiesa, a tre navi, con absidi, presbiterio elevato e sotterraneo, anch’esso absidato e ornato di colonne. In origine era costruita tutta di frammenti monumentali romani, avanzi dei sepolcri già esistenti lungo la Flaminia: ora, presenta notevoli e caratteristiche traccie delle trasformazioni alle quali andò soggetta per le sociali vicende, nonché per l'incuria e per la rapacità delle mani stesse che dovevano conservarla.
    Benché quasi sconosciuto, è pure uno dei santuari più importanti dell'Umbria. S. Gregorio Magno ad esso certamente si riferiva, quando scriveva a Crisanto, Vescovo di Spoleto, ordinandogli di mandare una reliquia di S. Sabino a Valeriane di Fermo. Paolo Diacono narra che Ariulfo, Duca di Spoleto, tornando vittorioso da Camerino, nel 601, entrò nella chiesa di San Sabino, dove riconobbe, in un’immagine di questo Santo, il personaggio misterioso che, durante la battaglia, più volte gli aveva fatto riparo dello scudo. Nel 688, fin dalla Spagna, peregrinava a S. Sabino di Spoleto, un personaggio infermo. E sulla tomba del Martire Sabino, finalmente, nell'ottavo secolo, pregò lungamente e ne trasse auspici di migliori destini quel Pietro, di sangue regio, che esiliato prima a Spoleto, divenne poi, sotto Liutprando, Vescovo di Pavia (vedi A. Sansi, I Duchi di Spoleto, Foligno, Sgariglia, 1870, pag. 27-29).
    Anche ai giorni nostri, scavando attorno alla chiesa, come di reoente si tentò di fare abusivamente, appariscono subito, a poca profondità, grandi e rozzi sarcofagi di pietra.
  34. Quasi non bastassero i titoli sotto i quali è conosciuta questa famosa basilica, alcuni ora la chiamano S. Agostino, perché... era ed è servita dagli Eremitani di S. Agostino! Di questa basilica hanno scritto, per dire soltanto dei maggiori, il de Rossi, l'Hübsch, il Mothes, il Rohault de Fleury, e ultimamente il Grisar. Manca, però, ancora, una illustrazione completa e definitiva. Raffaele Cattaneo, in una nota del suo libro: L'Architettura in Italia dal secolo VI al mille circa, Venezia, Ougania, 1889, pag. 135, attribuisce il merito della scoperta di tale edificio, veramente straordinario, all'Hübsch, uscendo, poi, a tal proposito, in parole amarissime contro gli Italiani. Tutto ciò non ha fondamento alcuno. Potrei citare, se volessi, una lunga serie di scrittori, non solo Italiani, ma Spoletini, i quali parlarono sempre, con la massima considerazione, di questo edificio, in opere di indole generale, mostrando di conoscerne il grande valore. E il Padre Bonaventura Viani, nel 1857, tre anni avanti alla pubblicazione dell'Hübsch, scrisse una dotta Memoria sulla Basilica di S. Salvatore di Spoleto, e la comunicò nello stesso anno all'Accademia Spoletina, la quale la dette alla luce nell'Annuario del 1860, dove occupa ben venti pagine di stampa!
  35. È incisa in una lastra di marmo bianco, inserita nella facciata della chiesa, a sinistra della porta maggiore. Il marmo misura m. 0,35 X 0.85 Sotto, in un altro pezzo di marmo bianco, è scolpita, di rilievo, una croce equilatera. L'iscrizione dice, esattamente, cosi:

    I caratteri sembrano della fine del XVI o del principio del XVII secolo. Fu pubblicata da Bernardino di Campello (Historie di Spoleti, Spoleto, Ricci, 1672, pag. 238); e dal Sansi (Degli edifici e dei frammenti storici delle antiche età di Spoleto, Foligno, Sgariglia, 1869, pag. 305). La più antica menzione che io ne conosca, è in un libretto manoscritto, presso di me, dell’anno 1643 intitolato: Elogia de Sanctis Ecclesiae Spoletinae a Seraphino Petri de Seraphinis Sacerdote spoletino edita, a pag. 7, nelle note alla vita di S. Concordio.

    Questa antica chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo, citata già dal de Rossi (Bullett, 1871, pag. 146-47), e ultimamente dal Grisar (Civiltà Cattolica, 16 Giugno 1900, vol. X, pag. 721), tiene al Priorato del Duomo di Spoleto, e, tra breve, sarà una semplice memoria, se non si provvede sollecitamente al restauro del tetto caduto in gran parte, tanto nella nave centrale, quanto nelle laterali.

  36. Sussiste tuttavia la vecchia fabbrica della chiesa e di parte del monastero. Nella chiesa, ridotta a fenile, si veggono ancora alcuni affreschi del XV secolo. Appartiene al Cav. Francesco Gianni.
  37. Sopra un poggetto conico, tutto coperto di olivi, tra i torrenti Sanguineto e Tescino, che quasi lo recingono, sorge ancora il vecchio fabbricato, quasi intatto, della chiesa e del monastero di S. Elisabetta. Nella chiesa sono vani affreschi del XIV e XV secolo. Appartiene, oggi, alla Congregazione di Carità di Spoleto e serve di abitazione colonica.
  38. A piedi del poggio di S. Elisabetta, esisteva la chiesuola di S. Margherita. Appartenne alle monache della Stella, e passò poi in proprietà dei signori Zacchei-Travaglini, forse all'epoca della soppressione napoleonica. In questi ultimi anni, la chiesuola, che si conservava abbastanza bene, venne divisa in due piani; e, nella parte posteriore, le aggiunse un piccolo fabbricato il proprietario Filadelfo Migliorucci, il quale, morendo, lasciò tutti i suoi beni alla Società Operaia di Foligno. Ora, per recente acquisto, è passata ai signori Pompili di Spoleto.
    Questa chiesuola, di certo, era molto antica; e, a valle di essa, alla distanza forse di due metri dal suo fianco sinistro, si nota un lungo muro parallelo, di carattere assai vetusto. Giovi ricordare, infine, che a monte di questa chiesuola, un ponte di pietra attraversava il Tescino, del qual ponte sono rimaste le sole pile fondate sulle due rive.
  39. Degli edifici e dei frammenti storici delle antiche età di Spoleto, per Achille Sansi. Notizie corredate da dodici tavole in rame, Foligno, Sgariglia, 1869; pag. 251.
  40. Vedi, nota 2, pag. 117.