Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 55

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Lettera 54 Lettera 56

[p. 81 modifica]8i A D. JAC0310 MONACO DELLA CERTOSA NEL MONASTERO DI PONTlGNANO PRESSO A SIENA (A).

1. L’ esorta alla virtù della pazienzia, dimostrando rome da essa si conosce se vi siano nell’ anima l’altre virtù, e specialmente se sia estinto I’ amor proprio o no. .

II Di d ne specie d’ impazienza, e loro effetti, e particolarmente deH’infedelità, e diiobbed«enza e mormorazione che da esse procedono.

HI. Dei frolli della vera pazienza.

IV. Dell’amor proprio d’alcnni monaci più imperfetti, e del modo di correggerlo.

V. Cbe non si dere giudicare da noi i serri di Dio, attesa la varietà, ed i modi diversi cbe sono fra loro; ma vedendo qualche difetto si deve compatire e portare dinanzi a Dio, e polendo, correggerlo.

Sviterà 00.

Al nome di fcsà Cristo crocifisso

di Maria dolce.


I. ilarissimo padre e figliuolo in Cristo dolce Jesù.

Io Catarina, serva e schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondalo in vera e santa pazienzia, la quale pazienzia dimostra se le virtù sono vive o no nell’a-» nima: la pazienzia non si prova se non nel tempo della fatica, perocché senza la tribulazione non si trova questa virtù, che chi non è tributalo, non gli bisogna pazienzia, perche non ha chi gli faccia ingiuria. Dico, S. Caterina da Siena. Opere. T. IV. 6 [p. 82 modifica]che la pazienzia dimostra se le virtù sono nell’anima o no. Con che cel dimostra, se esse non vi sono? con la impazienzia: vuoi tu vedere se le virtù sono anco imperfette, e se la radice dell’amore proprio vive ancora nell’anima, miralo al tempo delle fatiche, che frutto gli nasce; perocché se gli nasce frutto di pazienzia, la radice della propria voluntà é segno che è morta, e le virtù sono vive; e se nasce frutto d’impazienzia, mostra chiarissimamente, che la radice della propria voluntà, è anco viva in lui, e però si sente, perocché colui che è vivo, si sente, mala cosa morta 110, e le virtù mostrano alienate in quella anima.

II. Ma attendete che sono due ragioni d’impazienzia, l’una delle quali dà morte, perocché esce della morte, l’altra impedisce la perfezione, perchè esce della imperfezione: siccome sono due stati principali, che nell’uno sta la vita, nell’altro la morte, cioè in coloro che stanno nella morte del peccato mortale.

Costoro parturiscono ricevendo tribolazione e persecuzione del mondo, perchè questa vita non passa senza fatica, in qualunque stato l’uomo si sia, una impazienzia con odio e dispiacimento del prossimo suo, con una mormorazione verso di Dio, giudicando in suo male quello che Dio gli ha fatto per bene, e per riducerlo allo stato della grazia, e per tollerli la morte del peccato mortale, ma elli come ignorante e miserabile, perchè la radice sua è morta a grazia, però produce il frutto morto della impazienzia, e con questo segno della impazienzia, dimostra la morte che è dentro nell’anima. Un’altra impazienzia è, la quale dico che impedisce la perfezione, e così è la verità, e dimostra la imperfezione; e se esso non so ne corregge, potrà venire a tanto, che perderà il flutto della -sua fatica, e starà in continua pena. Questi sono coloro che sono levati dalla tenebre del peccato mortale, e vivono in grazia, ma che è? è che la radice dell’amor proprio non è anco morta in loro, onde sono ancora imperfetti e con una tenerezza di loro medesimi, con la [p. 83 modifica]83 quale tenerezza s’hanno compassione, perocché perchè anco s’ ama s. duole, e quello che elli ha in sè, cioè d’aversi compassione, vorrebbe che ognuno gli avesse; e non trovando che gli sia avuta compassione, ha pena; e così l’una pena con l’altra, cioè la pena della tribolazione o d’infirmità, o di molestia mentale, o per persecuzione dagli uomini, o da qualunque lato ella viene, accordata questa pena con quella che elli porta, cioè di volere che altri gli abbi compassione, viene ad impaz’enzia, e spesse volte a mormorazione contra il prossimo suo, ed a giudicio, giudicando la voluntà altrui; perocché spesse volte potrà averli compassione, e non gli’l dimostrerà; e tutto questo gli diviene, perchè la radice dell’amore proprio non è morta in lui.

Chi ce la mostra? la impazienzia, come detto è; perocché ella ha parturito frutto imperfetto, non però di morte, perocché elli è levato dalla colpa del peccato mortale, ma uno dispiacimento ed una pena che elli riceve delle fatiche sue proprie, e verso del prossimo suo, non parendoli che egli gli abbi compassione come elli vorrebbe. Questa è una imperfezione, la quale impedisce la grande perfezione del monaco o d’ altri religiosi, li quali hanno lasciato lo stato imperfetto della carità comune dove stanno i secolari, volendo vivere in grazia, ed iti alla grande perfezione, dove essi debbono essere specchio d’obbedienzia e di pazienzia, con voluntà morta e non viva. Quale sarebbe quella lingua che potesse narrare quanti inconvenienti ne vengono ? non credo che ne fosse niuna; ma tre principali n’escono di colui, che none ha morta la sua voluntà. L’ uno è, che elli è infedele e non fedele col lume della fede viva: anco ha posto la nebula sopra l’occhio dell’intelletto, dove sta la pupilla del lume della fede: onde subito che elli ha questo principale, cioè d’avere. posta una nebbia d’amore proprio sopra T occhio suo, e offuscato U lume della fede, cade subito nel secondo e nel terzo, cioè nella disobbedienzia, donde verrà la impazienzia, e nel giudizio donde [p. 84 modifica]84 verrà nella mormorazione, e se voi raguarderete bene di questi tre, 1’ uno non é senza 1’ altro.’ Non h dunque da dubitare, cbe esso fatto che la radice dell’amóre proprio non è morta in noi l’occhio è.tenebroso,, e tutti i frutti delle virtù sono.imperfetti, perocché ogni perfezione procede da occidere la voluntà sensitiva, e dar vita alla ragione nella dolce voluntà di Dio. Sicché dunque, essendo viva ed imperfetta, subito’ e disobbediente contra Dio e contra il prelato suo, perocché se elli fosse obbediente, porterebbe.la disciplina di Dio e quella del prelato con debita reverenzia; ma perchè elli non è obbediente, ma è’disobbediente con voluntà viva, però viene ad impazienzia verso di Dio ed a disobbedienzia; perocché voluntà di Dio è, che boi portiamo con pazienzia ogni disciplina, da qualunque lato egli ce là concede, e con vera pazienzia riceverle da lui con quello amore, che elli ce le, dà; perocché ciò che elli dà e permette a noi, è per nostra santificazione, e però con amore le doviamo ricevere. Onde non facendo così, siamo disobbedienti a lui e cadiamo nella mormorazione, ed in uno giudicio con una tenerezza di noi medesimi, con una superbia ed infidelità di volere eleggere di servire a Dio a nostro modo, perocché se in verità credessimo, che ogni cosa che è procede da Dio, eccetto il peccato, e che egli non può volere, altro cli

l nostro bene, il quale vediamo e gustiamo nel sangue di Cristo crocifisso, perocché se elli avesse voluto altro che la nostra santificazione,-non ci averebbe dato sì fatto ricompratore; dico che se questo credessimo in verità, che il lume della fede non fosse offuscato con l’amore proprio di noi, saremmo obbedienti e riceveremmo con reverenzia quello che elli ci dà, e giudici!reminolo in nostro ben dato’a noi per amore c non per odio, come olii è; ma perchè ci è la in fidelità, però riceviamo pena e siamo impazienti delle pene che noi sosteniamo, e disobbedienli verso il prelato, giudicando Ih voluntà del prelato e non la voluntà di Dio in lui;

[p. 85 modifica]85 perocché spesse volte il prelato farà con buona e santa intenzione, quello che dii farà verso del suddito: cd il suddito infedele e disobbedieiite terrà tutto il contrario.

Questo è per la superbia sua, e perchè la radice del1’ amor proprio non è morta in lui; perocché se ella fosse morta, farebbe quello, perchè elli entrò nell’Ordine, cioè d* obbedire schicttamente e senza alcuna passione, siccome fa 1’ umile obbediente; che se il prelato suo fosse uno dimonio, il vero obbediente ciò che gli è fatto, o se gli sono imposte le gravi obbedienzie, ogni cosa riceve con pazienzia, giudicando che voluntà di Dio è di far tenere quelli modi al prelato verso di lui, o per necessità della sua salute, o per farlo venire a grande perfezione;

però ricevo con pace e quiete di mente l’obbedienzia sua, e gusta l’arra di vita eterna in questa vita.


III. E perchè esso ha morta la voluntà, ed è ito con lume della fede e con vera obbedienzia, pelò gusla il dolce ed amoroso fruito della pazienzia con fortezza e perseveranza infino alla morte. Questo frutto ha dimostralo che elli in verità ^ è levato dalla imperfe* zione, e l’è giunto alla perfezione.

IV. Siccome il disobbediente dimostra li difetti suo* con la impazienzia. Onde vediamo che sempre si scandelizzn, se non quando la prosperità andasse a modo suo, ed il prelato facesse quello che egli vuole; ma se fa il contrario si turba: perchè? perchè elli è vivo, perocché se elli fosse morto non gli addiverrebbe. Onde questi cotali sono debili, perocché come la paglia se lo’rivolle Ira’piedi (B), così vengono meno: e se il prelato comanda cosa che non gli piaccia, egli si turba, e se egli è infermo, egli è impaziente per la tenerezza che egli ha al corpo suo: e spesse volte sotto coloro di bene dirà: se io avesse un altra infirmila, io me la portarei più agevolmente; ma questa infermità è una cosa occulta che non si \ede. e però non m s creduta, e impediscemi 1’ ollicio e T altre osservanzie di non poter fare come li altri, e però non pare che I [p. 86 modifica]86, ci possa avere pace. Costui come imperfetto e con poco lume, è ingannato dalla propria passione e tenerezza di sè. Chi cel dimostra? la impazienzia che elli ha, perchè non gli pare che gli altri gli abbino compassione.

Questi vuole eleggere il tempo, e ’l luogo e le fatiche a suo modo; non debbe fare così, ma umiliarsi sotto la potente mano di Dio ed ógni cosa avere in reverenzia j e fare quello che egli può fare. E quando elli non può rendere il debito dell’ officio e degli altri esercizj come gli altri, ed.elli rendere il debito della pazienzia, -perocché Dio non ci richiede più che noi potiamo fare; ma ben ci richiede l’amore col santo desiderio, e con pazienzia portare ogni pena e fatica, ed in ogni tempo ed in ogni luogo che noi siamo con odio e dispiacimento della propria sensualità; perocché così fanno coloro che vogliono essere perfetti, ed a quésto modo gusterà vita eterna.nelle pene sue in,questa vita, ed avendo pena non averà pena, ma la pena gli sarà refrigerio, pensando che egli si possa conformare con li obbrobrj di Cristo crocifisso, e non vorrà elli servo tenere per altra via che’l Signore, e però porterà con reverenzia, bagnandosi ed annegandosi nel sangue di Cristo crocifisso, il quale sangue all’anima che’l gusta con affetto di carità, rimane morta la volontà sua: morta la volontà, gli è tolta ogni pena, perocché solo la volontà è quella cosa che le pene e le tribulazioni ci fa essere pene, ma morta, la volontà nostra e vestiti della volontà di Dio la pena c’è diletto, e il diletto sensitivo per odio santo di noi ci farebbe fatica, perocché vedremo che la via del diletto non èia via di Cristo crocifisso, vede santi che l’hanno seguitato, e vede che’l regno del cielo vita eterna non si vende, nè acquistasi per diletto, anco si acquista e si guadagna il- regno di Dio con povertà volontaria, e con avere la pena per diletto, e con molto sostenere, ed il diletto ci pnja fatica, corno detto è: la volontà allora, accordata con la volontà di Dio ne riceve l’arra, e però dicevo, cli

in questa vita gusta 1’ arra di vita eterna.

[p. 87 modifica]V. Costui non cade nel terzo difetto del giudicio, cioè di giudicare la volontà di Dio, altro che giustamente e con amore, e vedendosi amato da lui per amore riceve ogni cosa; nè cade ancora in giudicale la volontà dejdi uomini in alcuna cosa o in alcuno modo del mondo, nè per strazio, nè per ingiurie o j er persecuzioni che gli fossero dette o fatte da loro; ma giudica con una santa considerazione che Dio il permetta per suo bene, e che essi il fanno per provarlo in virtù, nè non gtudicarà mai li servi di Dio, nè le operazioni d’alcuna creatura, eziandio se vedesse il male espressamente, noi vede nè debbe vedere per giudicio, nè per mormorazione, ma per compassione il debbe portare dinanzi da Dìo, ponendo i difetti del prossimo sopra di sè. Così vuole l’affetto della carità, e non vuole che si faccia come fanno gl’ imperfetti acciecati ancora d’uno proprio amore di loro medesimi, che pare che si notrichino del giudicare lo creature, e non tantoché li uomini del mondo, ma li servi di Dio, volendoli mandare a loro modo, e se non vanno a loro modo, sono iscandalizzati in loro, e spesse volte sotto colore di compassione caggiano nella mormorazione.

Costui vuole ponere legge allo Spirito San lo, e non se n’avvede; perchè non se n’avvede? perchè lo dimonio l ha velato col velame della compassione, ma ella è più tosto una radicala invidia * e presunzione’, presumendo di sè di sapere alcuna cosa più che compassione; perocché s’ella fosse compassione e zelò della saltale dell’ani me ed onore di Dio, usarebbe la carità e dischiararebbe sè medesimo alle proprie persone di cui elli avesse’ pena, e così guadagnarebbesi

il prossimo suo e godarebbe se elli fosse largo in verità e con vero lume di vedere i differenti modi, e vie che Dio tiene co’servi suoi; onde dimostra la ìomma bontà che elli ha che dare, e pero disse Cristo benedetto; nella casa del Padre mio sono molte mansioni: e quale sarà quella lingua che possa narrare tanti diversi modi, e visitazioni, e. doui, e grazie che Dio fa, non tanto

[p. 88 modifica]88 in molte creature, ma in una anima medesima? perocché come le virtù sono diverse, poniamo che tutto tragghino nel segno della carità, così sono diversi e diversi modi e costumi de’ servi di Dio, non che chi ha perfettamente la virtù della carità, non abbi tutte quante 1* altre virtù, ma a cui è propria una virtù, ed a cui un’altra sopra la quale principal virtù tira tulle l’altre. Onde-altri modi vediamo in colui a cui è propria la virtù della carità, e tutto dilettato nella carità del prossimo suo, e l’altro modo a colui a cui è appropriata la virtù dell’uniiltà con una fame di solitudine; in un altro la giustizia; in un altro una-libertà con una fede viva, che di niuna cosa pare che possa temere; ed altri in una penitenzia. dandosi tutti a mortificare li corpi loro; ed altri studia ad occidere la propria volontà, con vera e.perfetta obbedienzia.

Or così sono i diversi modi e costumi loro, e ciascuno corre però nella virtù della carità, onde abbiamo che i sunti che sono a vita eterna, tutti sono, andati per la via della carità, ma in diversi modi, che l’uno non è simile all’altro, ed eziandio nella natura angelica è differenzia, perocché non sono tutti eguali: und

tra gli altri diletti che abbi l’anima a vita eterna, si è di vedere la grandezza di Dio ne* santi suoi, in quanti diversi modi gli ha rémunerati; ed in tutte le cose create troviamo questa differenzia, cioè di vederle variate in qualche cosa, perocché tutte non sono a uno modo: poniamo che sieno fatte tutte da uno medesimo affetto, cioè creato da Dio in uno medesimo amore; e questa è la grande dignità a vedere in Dio a chi avesse lume e volesse punto cognoscerc la sua grandezza, perocché la troverebbe nelle cose visibili èd invisibili, come detto é: dunque bene é matto e folle colui che vorrà mandare le creature a suo modo, c chi non andarà secondo il. suo parere, ne sarà scandalizzato in lui, non debbe dunque cadere in questo terzo gindicio, ma debbe godere cd avere in reveren* zia li modi c costumi de’ servi di Dio, dicendo in sé

[p. 89 modifica]89 medesimo con umiltà: grazia sia a te, Signore, di tanti modi e vie, quante tu dai e fai tenere alle tue creature.

E quando spressamente vedesse il difetto, o nei servi di Dio o ne’servi del mondo, portilo con grande comj assione dinanzi da Dio, e se può caritativamente dirlo al prossimo suo, il debbe dire: così fa colui che è perfetto in carità ed umd

che non presuma di sè medesimo: costui è veramente fondato, e non si scaridelizza in sè per pena che sostenga, nè nel prelato per la grave obbedienzia, anco. obbedisce infino alla Ynorte in ogni cosa, se non in quello che vedesse che fosse fuora della voluntà di Dio; perocché cosa che elli vedesse che fosse offesa di Dio, noi debba fare, ma ogni altra cosa sì; e non si scandalizza nel prossimo, nè per ingiuria che li fosse fatta da lui, nè per modi e costumi diversi che in loro vedesse; ma d’ogni cosa gode e guadagna, e trae il frutto a sè per la virtù della carità che è dentro nell’ anima sua. Chi *1 dimostra questo? la virtù della pazienzia che ha fatto chiaro e manifesto la virtù nel perfetto, ed il mancamento della virtù nello imperfetto, vedendovisi il contrario, cioè la impazienzia. Adunque bene è vero che la virtù della pazienzia è uno segno dimostrativo che mostra l’uomo perfetto ed imperfetto: voi sete posto nello stato della grande perfezione, e però dovete essere paziente per lo modo che detto è, bagnata ed annegata la propria volontà nel sangue di Cristo crocifisso; perocché in altro modo offendereste la vostra perfezione, alla quale sete entrato a » servire, e così cadereste nella seconda impazienzia, della quale facemmo menzione, e però vi dissi ch’io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienzia, acciocché fra le fatiche godeste e gustaste l’arra di vita eterna, e nell’ultimo riceveste il frutto delle vostre fatiche, e però riposatevi in croce col dolce ed immaculalo Agnello.


Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore. [p. 90 modifica]9° Annotazioni alla Lettera SS.

... ì i (4) Questo D. Jacomo fu sanese della nobile famiglia de’Tondi, tra le antiche di Siena, e fu procuratore della Certosa di Ponti* gnnno,"allorché eravi priore il beato Stefano flaconi, di cui fu egli stretto confidente; e forse nacque tra di loro corrispondenza infioo dal tempo di santa Caterina, cbe egli pure come il Macooi avea in luogo di madre e di maestra. Succedette poi D. Jacomo nel governo di questa certosa al beato Stefano, andato a governare la Certosa di Milano, ed è addotto in testimonio della santità della nostra santa nel processo fattosi a Venezia l’anno 1411. La Certosa di Pontignano è distante di tre miglia da Siena, e fu fondata l’anno i343 da Bindo Petroni nobil sanese, e di famiglia oltremodo generosa in verso questo Ordine. Nella chiesa di questo inonistero serbasi tra altre preziose reliquie il dito anulare di santa Caterina, e credesi esser quello che ebbe l’anello, con cui il celeste sposo la volle a sè unita quale sposa diletta, e fu dono lasciatovi dal beato Stefano Macooi. " » „ v (B) Perocché come la paglia se lo* rivolle jra piedi. Lo’ in luogo di loro usa assai volte la santa, onde è couie dicesse: se la paglia rivolle loro fra piedi. Non intendendo’questa maniera di favellare della santa chi procurò la. impressione di queste lettere presso il Farri, raggirò di lai maniera questo sentimento. Questi tali per il vero, sotto monaci molto deboli di spirito, parò non è meraviglia se essi poi qual paglia vengono meno, cc.

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