Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 61

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A D. GIOVANNI


MONACO DELLA CERTOSA IN ROMA


IL QUALE ERA TENTATO E VOLEVA ANDARE AL PURGATORIO DI S. PATRIZIO, E NON AVENDO LICENZA, STAVA IN MOLTA AFFLIZIONE DI MENTE (A).

I. Desidera vederlo illuminato con vero lume, dimostrando come vi sono due lumi, uno perfetto, l'altro imperfetto; e come da questo si giunga al perfetto.

II. Di due virtù, che dimostrano, quando sia infuso detto lume nell’anima, come che son da esso guidate, accompagnate dalla fortezza e perseveranza, e partorite dalla carità; la prima delle quali è l’obbedienza. Della seconda virtù che dimostra, cioè, della pazienza e suoi effetti.

III. Esorta il detto monaco ad entrare nella cella del conoscimento di sè stesso, e della divina bontà per acquistare ogni perfezione, e specialmente la pazienza e l’obbedienza al proprio prelato.

Lettera 61.


Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

I. ilarissimo fratello e figliuolo di Maria dolce in Cristo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava dei servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi fondato in vero e per[p. 124 modifica]\ fellissimo lume, perocché senza il lume non potremmo discemere la verità. Ma attendete, che sono due lumi, e l’uno non impedisce l’altro, ma unisconsi insieme, siccome" la legge nuova non tolse via la vecchia, tolse sì bene la imperfezione, perocché la legge vecchia era fondata solo in timore, unde era imperfetta, ma poiché venne la legge nuova, si conformò 1’ una coll’altra, la quale è legge d’amore, così è uno lume imperfetto, ed uno lume perfetto. Il lume imperfetto è il lume che naturalmente Dio ci ha dato, col quale cognosciamo il bene: è vero che i uomo offuscalo dalla propria fragilità non il cerca, dove egli il debba cercare, ma in cose transitorie, nelle quali non è perfezione di bene, e non il cerca in Dio colà, dov’è sommo, ed eterno bene; ma se questo lume naturale esercitala con virtù, cercando il bene colà dov’egli è, cioè, che l’anima cognosca la bontà del suo Creatore, e i amore inestimabile che egli ci ha, il quale amore e bontà trovarà nel cognoscimento di sè per questo modo con sollicitudine, e non con negligenzia, esercitando la vita sua, acquistarà il secondo lume, che è soprannaturale, non lassando però il primo; ma levarassi dalla sua imperfezione, e farassi perfetto col lume perfetto soprannaturale. Che fa questo lume nell anima ? e a che si cognosce che ella lo abbi? Dicovelo. Il primo lume vede le virtù; quando elle sono piacevoli a Dio ed utili all’anima che le possiede, e quanto è spiacevole e nocivo il vizio, il quale priva l’anima della grazia. Il secondo lume abbraccia le virtù, e parluriscele vive nella carità del prossimo suo. L’essere giunto al secondo lume dimostra, che d primo naturale non fu impedito dall’ amore proprio, e però ha ricevuto il soprannaturale.

II.

Chi dimostra cli

questo lume sia infuso nell’anima per grazia? le virtù reali, tra le (piali virtù due sono le principali, che più realmente cel1 dimostrino guidate dal lume della santissima fede, perchè

[p. 125 modifica]nel lume sono state acquistate. Queste due virtù sono sorelle vestite di fortezza, e di lunga perseveranzia.

La principale virtù di queste due prima partorite dalla* carità col lume della fede è la vera e perfetta ohe-» dienzia. L’obedienzia tolle la colpa, e la imperfezione, perchè uccide la propria volontà, unde nasce la colpa, perocché tanto è colpa o virtù, quanto procede dalla volontà, unde se l’anima fusse tutta ansietala di molte diverse cogitazioni e battaglie del dimonio, o dalle creature, o che la fragile carne impugnasse con disordinali movimenti, e la volontà stia salda e ferma, che non tanlo che ella non consenta, ma dispiacciali infino alla morte, non offende, anco nò merita e crescene in maggiore perfezione, colà dove ella voglia cognoscere la verità, vedendo che Dio gli*!

permette per farla venire a più perfetto cognoscimento di sè e della bontà sua in sè, per lo qual cognoscimento cresce in maggiore amore e umilità, e però dissi, che cresceva in maggiore perfezione: così la virtù non è virtù solamente Tatto, ma in quanto ella è fatta volontariamente con dritta e santa intenzione. Adunque la.volontà è quella che offende, e però l’obedienz’a, la quale uccide la propria volontà, leva via la colpa, uccidendo quella che la commette. L obediente non si fida mai di sè, perchè cognosce il suo infermo e basso vedere, e però come morto si gilla nelle braccia dell’Ordine, e del prelato suo con fede viva e lume soprannaturale,^ credendo che Dio farà discernere al prelato suo la necessità della sua salute, eziandio se ’I prelato fusse imperfetto, ed idiota senza lume, averà viva fede, che Dio 1’allumini per la sn;i necessità; e perchè nel lume ha veduto lume, però s’è fatto suddito. Chi manifesta questo lume, la vera obedienzia, ella è lunga e perseverante, e non corta, cioè, che’l vero obedienle non obedisce pure in uno modo, nè in uno luogo, nè a tempo, ma in ogni’ modo, in ogni luo;ro ed in ogni tempo, secondo che piace al prelato suo, egli non cerca le proprie con[p. 126 modifica]1 26 soluzioni mentali; ma solo cerca d’uccidere la propria volontà, e propone il coltello in mano all’obedienzia, e con essò coltello 1’ uccide, perchè ha veduto nel lume, che se non l’uccidesse, sempre starebbe in pena ed in offesa della perfezione, alla quale Dio 1* ha chiamato, e vederebbesi privato della ricchezza del lume soprannaturale; il quale lume è mostrato essere nell’anima dalla virtù d’obedienzia. Quale è l’altra virtù che manifesta questo lume? è la pazienzia, la quale è uno segno dimostrativo, che in verità amiamo, perchè ella è il mirollo della carità!

ella è sorella dell’obedienzia: anco la obedienzia è quella che fa paziente l’anima, perchè non si scandelizza di veruna obedienzia imposta a, lui dal prelato suo: ella è vestita di fortezza, e però porta pazientemente le riprensioni ed i costumi dell’Ordine; quando gli è retta la propria volontà, non attedia, mà gode ed esulta con grande giocondità; non fa come il disobediente, che ogni cosa fa e sostiene con fatica, e con molta impazienzia, intanlochè alcuna volta, dimandando al prelato suo una licenzia di cosa che gli sia molto ferma nella volontà, non avendola, piglia pena, che eziandio il corpo pare che infermi;. meglio li sarebbe con l’odio santo uccidere la propria volontà, la quale gli dà tanto tormento. Questa pazienzia sta sul campo della battaglia con l’arme della fortezza e collo scudo della santissima fede ripara i colpi, e sostenendo vince, e col. coltello dell’odio e dell’amore percolo i nemici suoi; prima uccide il principale nemico della perversa legge, che sempre impugna contra la Spirito, e con essa uccide i diletti e piaceri del mondo, i quali per amore del suo Creatore egli odia, e le cogitazioni del dimonio, il quale ne dà molle con diverse fantasie e con pensieri veri

santi le. caccia da sè, conservando la buona e santa volontà, che non vada dietro ad essa. Questa pazienzia guidata dal lume non vuole combattere in luoghi dubbiosi con speranza di non avere poi a combattere

[p. 127 modifica]più, non vuole così, perocché ella si diletta di stare in battaglie, perchè nella battaglia si prova, e provata riceve la gloria, ed in altro modo no. ?son fa come il semplice, che ancora è imperfetto in questo lume soprannaturale, e per Io poco lume, sentendosi molto passionato, per tollersi questa fatica, e per timore di non offendere si vorrà mettere a cosa, che sarà di tanto pericolo, che a un tratto ne potrebbe andare l’anima, il corpo, e farassene Si forte imaginazione per illusione del dimonio e per volontà ch’egli ha di vivere senza passione; unde egli riceve le pene che colui che l’ha governare non li potrà trarre questa fantasia; e se egli non li dà licenzia di quello che vuole fare, ne viene a tedio, a confusione di mente e ad impazienzia, e spesse volte entro la disperazione.

Questo egli è segno, che quello che vuole fare, non è secondo la volontà di Dio, che se così fusse, direbbe; Signore, se questo è secondo la tua volontà, danne lume a chi m ha licenziare, e quando che no, dimostrarlo, e con fede viva si pacifìcarebbe nella mente sua, vedendo che il negare, o il concedere qualunque si fusse procedesse dalla volontà di Dio!

non voglio, dolcissimo-e carissimo figliuolo, che siate voi di questi cotali; ma voglio che col lume, come vero obediente e paziente stiate nel campo della battaglia, come detto è, dove comunemente combattono i servi di Dio: non volendo pigliare battaglia nuova, nè particulare, la quale sia oscura e dubbiosa; pigliate quella che è lucida e generale, ed in tutto annegate qui la vostra volontà, ed in ogni altra cosa, ma singularmente vi parlo al presente per quello che mi disse il visitatore, lassatevi guidare alla volontà sua, la quale non è sua, ma è da Dio, perocché il vostro credo che sia inganno di dimonio,.che coll’amo del bene vi vuole pigliare. Son certa che con questo lume cognoscerete la verità, cognoscendoln, ringraziarete il sommo ed eterno Padre j che con La santa obedienzia v’ ha campato di questo pericolo, [p. 128 modifica]1 28 altrimenti no. E però considerando io quanto v’è di necessità.questo lume, dissi, che io desideravo di vedervene illuminato. L’obedienzia e^la pazienzia dimostrano s*egli è in voi, cioè, che non ricalcitriate alla volontà del prelato, ma con pazienzia la portarete come vero obediente. dilettandovi di rompere la vostra volontà.

III. E se non trovaste in voi questo lume, come vorreste, e.come si debba avere, intrate con odio santo nella cella del cognoscimento di voi e di Dio in voi’, e nel sangue del dolce ed amoroso Verbo s’inebrii l’anima vostra, nel quale cognoscimento s’acquista ogni grande perfezione con fede, sperando nel sangue sparto con tanto fuoco clamore, senza pena o tedio di mente. Figliuolo mio dolce, chinate il capo airobedicnzia santa e permanete ili cella abbracciando l’arbore della santissima croce. Altro non vi dico. Guardate quanto avete cara la vita dell’anima vostra, e quanto temete d’offendere Dio, che voi non seguitate a vostra volontà. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore. [p. 129 modifica]✓ t 29 Annotazione alla Lettera 6*Jf.

(A) Se poco o nulla altri curerà sapere chi fosse questo tnouaco cbe starasi in gran pena del non poter recarsi a visitare il purgatorio di s. Patrizio, bramerà forse intendere alcuna cosa di quel luogo famoso pel molto cbe ne fu scritto da diversi. Egli Tedeasi a poca distanza dal Lago di Earne nella contea di Dnngal spel* tan’e alla provincia di Ulster ( l’Ultonia de’ Romani) !a più settentrionale dell’ Irlanda. Gli autori delle patrie leggende e della storia di s. Patrizio, vescovo ed apostolo di quell* isola, scrissero dome il santo, a vincere * ostinazione di quelle genti, ed acqnistar fede alle *ue parole impetrasse dal cielo, che, apertasi la terra entro un cerchio da lui segnato col bastone, vi si formasse un profondissimo pozzo onde pareano uscire orribili strida e spaventose fantrsime.

( Padre Ilii“t. Pari. Geog. Part. 2, lib. 3, c. 12 § 4). Ebbe ftoi nome di Purgatorio dada credenza d’una rivelazione, che qualunque gran peccatore contrito fosse entralo colà entro e dimoratovi un giorno, ne verrebbe rimondo d ogni renio pnre di pena.

Coiì ne favellano que’ scrittori, sebbene discordi fra loro intorno a molle circostanze ed allo stesso operatore del prodigio, ascrivendolo alcuni ad nn s. Patrizio abbate diverso dal precedente, e aggiognendo poi concordemente che di quanti entravano ninno mai ne uscisse.

I\la di tutto ciò non trovandosi memoria presso gli scr (tori delK età di s. Patrizio, è da credere cogli eruditi, che o nulla li avesse di prodigioso in quel fallo, o se ve n’ebbe mai. abbia cessato!

di ciò fece solenne testimonianza ad Alessandro VI, nel 149^, un canonico regolare recatovisi * farvi diligenti osservazioni; di che per ordine di quel pouteùce venne chiuso il pozzo, affinché non si tenesse più a lungo in inganno la semplice pietà de popoli, della quale a^sai valeansi i custodi, traendosene di grosse somme.

A’ tempi di santa Caterina mantenessi ancora il credito a questo pozzo: e quel buon religioso a calde istanze cbiedea di poterlo visitare, non già a sciogliersi d’altro debito di pena, ma a francarsi ogimr meglio da colpe iutnre;d!a vila di quel decantato segnale della giustizia divina.

5. Caterina. Opera T. IV.