Fingal poema epico di Ossian/Canto primo

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Canto primo

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Introduzione Canto secondo


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CANTO PRIMO




ARGOMENTO.


Cucullino postosi a seder solo sotto d’un albero alla porta di Tura, mentre gli altri capitani erano iti a caccia sul vicino monte di Cromla, è avvisato dello sbarco di Svarano da Moran figliuolo di Fitil, uno de’ suoi scorridori. Egli raduna i capi della nazione; si tiene un consiglio nel quale si disputa se debbasi dar battaglia al nemico. Conal regolo di Togorma, ed intimo amico di Cucullino, è di parere che debbasi differire sino all’arrivo di Fingal; ma Calmar, figlio di Mata, signor di Lara, contrada del Connaught, è d’opinione che si attacchi tosto il nemico; Cucullino già desideroso di combattere, s’attiene al parere di Calmar. Nella rassegna de’ suoi soldati non vede tre de’ suoi più valorosi campioni, Fergusto, Ducomano e Catbar. Giunge Fergusto e dà notizia a Cucullino della morte degli altri due capitani. L’armata di Cucullino è scoperta da lungi da Svarano, il quale manda il figliuolo ad osservare i movimenti del nemico, mentre egli schiera le sue truppe in ordine di battaglia. Descrizione del carro di Cucullino. Le armate si azzuffano; ma, sopraggiunta la notte, la vittoria resta indecisa. Cucullino, secondo l’ospitalità di que’ tempi invita Svarano ad un convito per mezzo del suo bardo Carilo. Svarano ricusa ferocemente l’invito. Carilo narra a Cucullino la storia di Grudar e Brassolis. Si mandano, per consiglio di Conal, alcune scorte ad osservare il nemico; e con questo termina l’azione del primo giorno.


    Di Tura accanto alla muraglia assiso1,
Sotto una pianta di fischianti foglie
Stavasi Cucullinn 1: lì presso, al balzo

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Posava l’asta, appiè giacea lo scudo.
5Membrava ei col pensiero il pro Cairba
Da lui spento in battaglia, allor che ad esso
L’esplorator dell’oceàn sen venne,
Moran figlio di Fiti. ― Alzati, ei disse,
Alzati, Cucullin: già di Svarano
10Veggo le navi; è numerosa l’oste,
Molti i figli del mar. ― Tu sempre tremi,
Figlio di Fiti, a lui rispose il duce
Occhiazzurro d’Erinan 2, e la tua tema
Agli occhi tuoi moltiplica i nemici;
15Fia forse il re de’ solitari colli,n 3
Che a soccorrer mi vien. ― No, no, diss’egli,
Vidi il lor duce; al luccicar dell’arme,
Alla quadrata torreggiante mole
Parea masso di ghiaccio: asta ei solleva
20Pari a quel pin che folgore passando
Disfrondato lesciòn 4: nascente luna
Sembra il suo scudo. Egli sedea sul lido
Sopra uno scoglio, annubilato in volto,
Come nebbia sul colle. O primo, io dissi,2
25Tra’ mortali, che fai? son molte in guerra
Le nostre destre, e forti; a ragion detto
Il possente sei tu, ma non pertanto
Più d’un possente dall’eccelsa Tura
Fa di sè mostra. Oh, rispos’ei, col tuono
30D’un’infranta allo scoglio, e mugghiante onda,
Chi mi somiglia? al mio cospetto innanzi
Non resistono eroi; cadon prostrati
Sotto il mio braccio. Il sol Fingallo3, il forte
Re di Morven nembosa, affrontar puote
35La possa di Svaran. Lottammo un tempo
Sui prati di Malmorre, e i nostri passi
Crollaro il bosco; e traballàr le rupi
Smosse dalle ferrigne ime radici;
E impauriti alla terribil zuffa
40Fuggir travolti dal suo corso i rivi.
Tre dì pugnammo, e ripugnammo: i duci
Stetter da lungi, e ne tremàr. Nel quarto
Vanta Fingàl, che’ re dell’oceàno
Cadde atterrato, ma Svaran sostenta
45Ch’ei non piegò ginocchio, e non diè crollo.

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Or ceda dunque Cucullino oscuro
A lui, che nell’indomita possanza
L’orride di Malmòr tempeste agguaglia.
― No, gridò il duce dal ceruleo sguardo,
50Non cederò a vivente: o Cucullino
Sarà grande, o morrà4. Figlio di Fiti,
Prendi la lancia mia, vanne, e con essa
Batti lo scudo di Cabàrn 5 che pende
Alla porta di Tura: il suo rimbombo
55Non è suono di pace: i miei guerrieri
L’udiran da’ lor colli. Ei va, più volte
Batte il concavo scudo: e colli e rupi
Ne rimbombaro, e si diffuse il suono
Per tutto il bosco. Slanciasi d’un salto5
60Dalla roccia Curàn; Conallo afferra
La sanguinosa lancia; a Crùgal forte
Palpita il bianco petto; e damme e cervi
Lascia il figlio di Fai: Ronnàr, Luganten 6,
Questo è lo scudo della guerra, è questa
65L’asta di Cucullin: qua, qua, brandi, elmi;
Compagni all’arme: vèstiti l’usbergo,
Figlio dell’onda: alza il sanguigno acciaro,
Fero Calmàr: che fai? su sorgi, o Puno,
Orrido eroe: scotetevi, accorrete
70Eto, Calto, Carbàn: tu il rosseggiante
Alber di Cromla, e tu lascia le sponde
Del patrio Lena, e tu t’avanza, o Calto,
Lunghesso il Mora, e l’agil piede impenna.
    Or sì gli scorgo6: ecco i campion possenti,
75Fervidi, accesi di leggiadro orgoglio.
La rimembranza delle imprese antiche
Sprona il valor natio. Son i lor occhi
Fiamme di foco, e dei nemici in traccia
Van dardeggiando per la piaggia i sguardi.
80Stan su i brandi le destre: escon frequenti
Dai lor fianchi d’acciar lampi focosi.
Ciascun dal colle suo scagliossi urlando
Qual torrente montan. Brillan i duci
Della battaglia nei paterni arnesi,
85Precedendo ai guerrier: seguono questi
Folti, foschi terribili a vedersi,
Siccome gruppo di piovose nubi7

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Dietro a rosse del ciel meteore ardenti.
S’odon l’arme a stridir; s’alzan le note
90Del bellicoso canto: i grigi cani
Le interrompon cogli urli, e raddoppiando
L’indistinto fragor Cromla rintrona.
Stettersi tutti alfin sopra il deserto
Prato di Lena, e l’adombrâr, siccome
95Nebbia là per l’autunno i colli adombra,
Quando oscura, ondeggiante in alto poggia.
    ― Io vi saluto, Cucullin comincia,
Figli d’anguste valli, oh vi saluto,
Cacciatori di belve; a noi ben altra
100Caccia s’appresta, romorosa, forte
Come quell’onda che la spiaggia or fere.
Dite, figli di guerra: or via, dobbiamo
Pugnar noi dunque, od a Loclinn 7 la verde
Erina abbandonar? Parla, Conallo;n 8
105Tu fior d’eroi, tu spezzator di scudi,
Che pensi tu? più d’una volta in campo
Contro Loclin pugnasti; ed or vorrai
Meco la lancia sollevar del padre?
    ― Cucullino, ei parlò placido in volto,8
110Acuta è l’asta di Conallo, ed ama
Di brillar nella pugna, e diguazzarsi
Nel sangue degli eroi: pur se alla guerra
Pende la man, sta per la pace il core.
Tu che alle guerre di Cormànn 9 sei duce,9
115Guarda la flotta di Svaràn: stan folte
Sul nostro lido le velate antenne
Quanto canne del Legon 10: e le sue navi
Sembran boschi di nebbia ricoperti,
Quando gli alberi piegano alle alterne
120Scosse del vento: i suoi guerrier son molti:
Per la pace son io. Fingàl, non ch’altri,10
L’incontro scanserìa, Fingallo il primo,
L’unico fra gli eroi, Fingal che i forti
Sperde qual turbo la minuta arena.
    125A lui rispose disdegnosamente
Calmar figlio di Mata: ― E ben, va, fuggi
Tu pacifico eroe, fuggi, e t’inselva

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Tra’ colli tuoi, dove giammai non giunse
Luce d’asta guerriera: ivi di Cromla
130I cervi insegui, ivi coi dardi arresta
I saltellanti cavrïol del Lena
Ma tu di Semo occhi-ceruleo figlio,
Tu delle pugne correttor, disperdi
La stirpe di Loclin; scagliati in mezzo
135Dell’orgogliose schiere, e latra, e ruggi.
Fa che naviglio del nevoso regno
Più non ardisca galleggiar sull’onde
Oscure d’Inistòrn 11. Sorgete o voi
Voi d’Inisfelan 12, tenebrosi venti,
140Imperversate tempeste, fremete
Turbini e nembi. Ah sì, muoja Calmarre
Fra le tempeste infranto, o dentro a un nembo
Squarciato dall’irate ombre notturne;
Muoja Calmar fra turbini e procelle,
145Se mai grato gli fu suono di caccia,
Quanto di scudo messaggier di guerra.
    ― Furibondo Calmàr, Conàl riprese11
Posatamente, è a me la fuga ignota;
Misi l’ale al pugnar: bench’anco è bassa
150La fama di Conallon 13, in mia presenza
Vinsersi pugne, e s’atterràr gagliardi.
Figlio di Semo, la mia voce ascolta:
Cura ti prenda del regal retaggio
Del giovine Cormàn; ricchezze e doni,
155E la metà della selvosa terra
Offri a Svaràn, finchè da Morven giunga
Il possente Fingallo in tuo soccorso.
Quest’è ’l consiglio mio; che se piuttosto
La pugna eleggi, eccomi pronto; e lancia
160Brandisco e spada; mi vedrai tra mille
Ratto avventarmi, e l’alma mia di gioja
Sfavillerà nei bellicosi orrori.
    ― Sì, sì, soggiunse Cucullin; m’è grato
Il suon dell’armi, quanto a primavera
165Tuono forier di desïata pioggia.
Su dunque tosto si raccolgan tutte
Le splendide tribù, sicch’io di guerra

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Ravvisi i figli ad uno ad un schierarsi
Sulla pianura, rilucenti come
170Anzi tempesta il sol, qualora il vento
Occidental le nubi ammassa, e scorre
Il sordo suon per le morvenie querce.
    Ma dove son gli amici? i valorosi
Compagni del mio braccio entro i perigli?
175Ove se’ tu Catbarre? ove quel nembo
In guerra Ducomano? e tu Fergusto
M’abbandonasti nel terribil giorno
Della tempesta? tu de’ miei conviti
Nella gioja il primier, figlio di Rossa,
180Braccio di morte. Eccolo; ei vien, qual leve
Cavrïol da Malmorre. Addio, possente
Figlio di Rossa, e qual cagion rattrista
Quell’anima guerriera? ― In su la tomba12
Di Catbarre, ei rispose, in questo punto
185S’alzano quattro pietren 14, e queste mani
Sotterràr Ducomàn, quel nembo in guerra.
Catbarre, o figlio di Torman, tu eri
Raggio sulle colle; o Ducomàn rubesto
Nebbia eri tu del paludoso Lano,
190Che pel fosco d’autunno aer veleggia,
E morte porta al popolo smarrito.
O Morna, o tra le vergini di Tura
La più leggiadra, è placido il tuo sonno
Nell’antro della rupe. Ah! tu cadesti
195Come stella fra tenebre che striscia
Per lo deserto, e ’l peregrin soletto
Di così passeggier raggio si dole.
    ― Ma di’, riprese Cucullin, ma dimmi
Come cadder gli eroi? cadder pugnando
200Per man dei figli di Loclin? qual altra
Cagion racchiude d’Inisfela i duci
Nell’angusta magion? ― Catbar cadeo
Per man di Ducomàno appo la quercia
Del mormorante rio; Ducomàn poscia
205Venne all’antro di Tura, e a parlar prese
All’amabile Morna: O Morna, o fiore
Delle donzelle, a che ti stai soletta
Nel cerchio delle pietre, entro lo speco?
Sei pur bella, amor mio: sembra il tuo volto
210Neve là nel deserto, e i tuoi capelli
Fiocchi di nebbia13 che serpeggia, e sale
In tortuosi vortici, e s’indora

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Al raggio occidental. Sembran le mamme
Due liscie, tonde, luccicanti pietre
215Che spuntano dal Brano;n 15 e le tue braccia
Due tornite marmoree colonne,
Che sorgon di Fingalo entro le sale.
   E donde vieni? l’interruppe allora14
La donzelletta dalle bianche braccia:
220Donde ne vieni, o Ducomàn, fra tutti
I viventi il più tetro? oscure e torve
Son le tue ciglia, ed hai gli occhi di bragia.
Comparisce Svaran? di’, del nemico
Qual nuova arrechi, Ducomàno? O Morna,
225Vengo dal colle, dal colle de’ cervi
Vengone a te; coll’infallibil arco
Tre pur or ne trafissi, e tre ne presi
Coi veltri della caccia. Amabil figlia
Del nobile Cormante, odimi: io t’amo
230Quanto l’anima mia: per te col dardo
Uccisi un cervo maestoso; avea
Alta fronte ramosa, e piè di vento.
   Ducomàn, ripigliò placida e ferma
La figlia di Cormante: or via, non t’amo;
235Non t’amo, orrido ceffo; hai cor di selce,
Ciglio di notte. Tu Catbàr, tu solo
Sei di Morna l’amor, tu che somigli
Raggio di sole in tempestoso giorno.
Di’, lo vedesti amabile, leggiadro
240Sul colle de’ suoi cervi? in questa grotta
La sua Morna l’attende. E lungo tempo
Morna l’attenderà, ferocemente
Riprese Ducomàn: siede il suo sangue
Sopra il mio brando. Egli cadeo sul Brano:
245La tomba io gli alzerò. Ma tu donzella
Volgiti a Ducomàno, in lui tu fisa
Tutto il tuo core, in Ducomàn che ha ’l braccio
Forte come tempesta. Oimè! cadeo
Il figlio di Torman? disse la bella
250Dall’occhio lagrimoso; il giovinetto
Dal bel petto di neve? ei ch’era il primo
Nella caccia del colle? il vincitore
Degli stranier dell’oceàno?n 16 ah! truce,
Truce sei, Ducomàn; crudele a Morna
255È ’l braccio tuo: dammi quel brando almeno,

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Crudo nemico, ond’io lo stringa; io amo
Il sangue di Catbar. Diede la spada
Alle lagrime sue: quella repente
Passògli il petto: ei rovinò qual ripa
260Di torrente montan. Stese il suo braccio,
E così disse: Ducomàno hai morto;
Freddo è l’acciaro nel mio petto: o Morna
Freddo lo sento. Almen fa che ’l mio corpo
L’abbia Moina: Ducomàno il sogno
265Era delle sue notti; essa la tomba
Innalzerammi; il cacciator vedralla,
Mi loderà: trammi del petto il brando,
Morna; freddo è l’acciar. Venne piangendo;
Trassegli il brando: ei col pugnal di furto
270Trafisse il bianco lato, e sparse a terra
La bella chioma: gorgogliando il sangue
Spiccia dal fianco; il suo candido braccio
Striscian note vermiglie: ella prostesa
Rotolò nella morte15, e a’ suoi sospiri
275L’antro di Tura con pietà rispose16.
     — Sia lunga pace, Cucullin soggiunse,
All’alme degli eroi: le loro imprese
Grandi fur ne’ perigli. Errinmi intorno
Cavalcion sulle nubi, e faccian mostra
280De’ lor guerrieri aspetti; allor quest’alma
Forte fia ne’ perigli, e ’l braccio mio
Imiterà le folgori del cielo.
Ma tu, Morna gentil, vientene assisa
Sopra un raggio di luna, e dolcemente
285T’affaccia allo sportel del mio riposo,
Quando cessò lo strepito dell’arme,
E tutti i miei pensier spirano pace.
Or delle mie tribù sorga la possa,
Alla zuffa moviam. Seguite il carron 17
290Delle mie pugne: a quel fragor di gioja
Brìllivi l’alma: mi sien poste accanto
Tre lancie, e dietro all’anelante foga
De’ miei destrier correte. Io vigor quindi
Novo concepirò, quando s’offusca
295La mischia ai raggi del mio brando intorno.
     Con quel rumor, con quel furor che sbocca
Torrente rapidissimo dal cupo
Precipizio di Cromla, e ’l tuon frattanto
Mugge su i fianchi, e sulla cima annotta;
300Così vasti, terribili, feroci

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Balzano tutti impetuosamente
D’Inisfela i guerrier. Precede il duce,
Siccome immensa d’oceàn balena,
Che gran parte di mar dietro si tragge.
305Lungo la spiaggia ei va rotando, e a rivi
Sgorga valor. L’alto torrente udiro
I figli di Loclin: Svaran percosse
Lo scudo, e a sè chiamò d’Arno la prole.
— Dimmi, che è quel mormorio dal monte,
310Che par d’un sciame di notturni insetti?
Scendono i figli d’Inisfela, o ’l vento
Freme lungi nel bosco? in cotal suono
Romoreggia Gormàl, prima che s’alzi
De’ flutti miei la biancheggiante cima.
315Poggia sul colle, o figlio d’Arno, e guata
L’oscura faccia della piaggia. Andonne,
Ma tosto ritornò: tremante, ansante
Sbarra gli occhi atterriti, e il cor nel petto
Sentesi palpitar; son le voci
320Rotte, lente, confuse. — Alzati, o figlio
Dell’oceàn, veggo il torrente oscuro
Della battaglia, l’affollata possa
Della stirpe d’Erina: il carro, il carro17
Della guerra ne vien, fiamma di morte,
325Il carro rapidissimo sonante
Di Cucullin figlio di Semo. Addietro
Curvasi in arco, come onda allo scoglio,
Come al colle aurea nebbia: i fianchi suoi
Son di commesse colorate pietre
330Varïati, e distinti, e brillan come
Mar che di notte ad una barca intorno
De’ remi all’agitar lustra e s’ingemma.
Forbito tasso è ’l suo timone, e ’l seggio
Di liscio e lucid’osso: e quinci e quindi
335Aspro è di lancie, e la più bassa parte
È predella d’eroi: dal destro lato
Scorgesi il generoso, il ben-crinito,
Di largo petto, di cervice altera,
Alto-sbuffante, nitritor destriero;
340L’unghia sfavilla, ed i suoi sparsi crini
Sembran quella colà striscia fumosa.
Sifadda ha nome, e Duronallo è l’altro,
Che al manco lato del terribil carro
Stassi, di sottil crin, di robusta unghia,
345Nelle tempeste dell’acciar bollente
Veloce corridor, figlio del colle.
Mille strisce di cuojo il carro in alto
Legano; aspri d’acciar bruniti freni
Nuotano luminosi in biancheggiante

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350Corona ampia di spume, e gemmi-sparse:
Liscie sottili redini scorrendo
Libere van su’ maestosi colli
De’ superbi destrieri: essi la piaggia
Libano velocissimi, qual nebbia
355Le acquose valli, e van ferocemente
Con la foga de’ cervi, e con la possa
D’aquila infaticabile che piomba
Sulla sua preda, e col fragor del verno
Là per le terga di Gormàl nevose.
360Sul carro assiso alto grandeggia il duce,
Il tempestoso figlio della spada,
Il forte Cucullin, prole di Semo,
Re delle conchen 18: le sue fresche guance
Lustrano a paro del mio tasso; e ’l guardo
365De’ cerulei suoi lumi ampio si volve
Sottesso all’arco delle ciglia oscuro.
Volagli fuor come vibrante fiamma
Dal capo il crin, mentr’ei spingesi innanzi
Crollando l’asta minacciosa: fuggi
370O re dell’oceàn, fuggi; ei s’avanza
Come tempesta. — E quando mai, rispose,
Mi vedesti a fuggir? quando ho fuggito,
Figlio di codardia? Che? di Gormallo
Le tempeste affrontai, quando dei flutti
375Torreggiava la spuma; affrontai fermo
Le tempeste del cielo, ed or vilmente
Fuggirò da un guerrier? Foss’ei Fingallo18,
Non mi si abbuierìa l’alma di tema.
Alzatevi, versatemivi intorno,
380Forti miei millen 19, in vorticosi giri
Qual rotante profondo, il brando vostro
Segua il sentier del luminoso acciaro
Del vostro duce, e dei nemici all’urto
Siate quai rupi del terren natio,
385Che baldanzosamente alle tempeste
Godon di farsi incontro, e stendon tutti
Al vento irato i tenebrosi boschi.
     Come d’autunno da due balze opposte
Iscatenati turbini focosi

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390S’accavallan tra lor, così l’un l’altro
S’avviluppan gli eroi; come dall’alto
Di rotte rupi rotolon cadendo
Due torrenti spumosi urtansi in giostra
Con forti cozzi, e poi con le miste onde
395Van rovinosi a tempestar sul piano;
Sì romorose, procellose, e negre
Inisfela, e Loclin nella battaglia
Corronsi ad incontrar: duce con duce
Cambiava i colpi, uomo con uom, già scudo
400Scudo preme, elmetto elmo, acciar percosso
Rimbalza dall’acciaro: a brani, a squarci
Spiccansi usberghi; e sgorga atro e fumeggia
Il sangue, e per lo ciel volano, cadono
Nembi di dardi, e tronchi d’aste, e schegge;
405Quai circoli di luce, onde s’indora19
Di tempestosa notte il fosco aspetto.
     Non mugghiar d’oceàno, e non fracasso
D’ultimo tuono assordator del cielo,
Può uguagliar quel rimbombo. Ancor se presso
410Fosservi i cento di Cormàn cantori,
Per dar al canto le guerresche imprese,
Pur di cento cantor foran le voci
Fiacche per tramandar ai dì futuri
Le morti degli eroi; sì folti e spessi
415Cadeano a terra, e de’ gagliardi il sangue
Sì largo trascorrea. Figli del canto,
Piangete Sitalin; piangi, Fïona,
Sulle tue piagge il grazïoso Ardano.
Come due snelli giovinetti cervi
420Là nel deserto, essi cadèr per mano
Del feroce Svaràn, che in mezzo a mille
Mugghiava sì, che il tenebroso spirto
Parea della tempesta assiso in mezzo
Dei nembi di Gormàl, che della morte
425Del naufrago nocchier s’allegra e pasce.
     Nè già sul fianco ti dormì la destra,
Sir della nebulosa isola: molte
Del braccio tuo furon le morti, e ’l brando
Era un foco del ciel quando colpisce
430I figli della valle; incenerite
Cadon le genti, e tutto il monte è fiamma.
Sbuffan sangue i destrier; nel sangue guazza
L’unghia di Duronàl, Sifadda infrange
Pesta corpi d’eroi: sta raso il campo
435Addietro lor, quai rovesciati boschi20
Nel deserto di Cromla, allor che ’l turbo
Sulla piaggia passò carco de’ tetri
Spirti notturni le rugghianti penne.

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Vergine d’Inistorre, allenta il freno21
440Alle lagrime tue, delle tue strida
Empi le balze, il biondo capo inchina
Sopra l’onde cerulee, o tu più bella
Dello spirto dei colli in su ’l meriggio,
Che nel silenzio dei morveni boschi
445Sopra d’un raggio tremulo di luce
Move soavemente: egli cadeon 20.
È basso il tuo garzon, pallido ei giace
Di Cucullin sotto la spada; e ’l core
Fervido di valor, più nelle pugne
450Non fia che spinga il giovinetto altero
De’ regi il sangue ad emular. Trenarre,
L’amabile Trenàr, donzella, è morto.
Empion la casa d’ululati i fidi
Grigi suoi cani, e del signor diletto
455Veggon l’ombra passar. Nelle sue sale
Pende l’arco non teso, e non s’ascolta
Sul colle de’ suoi cervi il corno usato.
     Come a scoglio mille onde, incontro Erina
Tal di Svaràn va l’oste, e come scoglio
460Mille onde incontra, di Svaran la possa
Così Erina incontrò. Schiude la morte
Tutte le fauci sue, tutte l’orrende
Sue voci innalza, e le frammischia al suono
Dei rotti scudi: ogni guerriero è torre
465D’oscuritade, ed ogni spada è lampo.
Monti echeggiano22 e piagge, al par di cento
Ben pesanti martelli alternamente
Alzantisi, abbassantisi sul rosso
Figlio della fornacen 21. E chi son questin 22,
470Questi chi son che tenebrosi, orrendi
Vanno con tal furor? veggo due nembi,
Due folgori vegg’io: turbati intorno
Sono i colli minori, e trema il musco
Sull’erte cime delle rupi annose.
475E chi son questi mai, fuorchè il possente
Figlio dell’oceàno, e il nato al carro
D’Erina correttor: tengon lor dietro
Spessi sul piano ed anelanti sguardi
Dei fidi amici, alla terribil vista

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480Turbati, incerti: ma già già la notte23
Scende, e tra nubi i due campioni involve,
E all’orribil conflitto omai dà posa.
     Di Cromla intanto sull’irsuto fianco
Pose Dorglante i cavrïoli e i cervi;
485Felici doni della caccia, innanzi
Che lasciassero il colle i forti eroi.
Cento guerrierin 23 a raccor scope in fretta
Dansi, trecento a scer le lisce pietre,
Dieci accendon la fiamma, e fuma intanto
490L’apprestato convito. Allor d’Erina
Il generoso duce il suo leggiadro
Spirito ripigliò: sulla raggiante
Lancia chinossi, e a Carilo si volse,
Canuta prole di Chinfena, e dolce
495Figlio de’ canti: — E per me solo adunque
S’imbandirà questo convito, e intanto
Starà il re di Loclin sulla ventosa
Spiaggia d’Ullina abbrividato, e lungi
Dai cervi de’ suoi colli, e dalle sale
500De’ suoi conviti? or via, Carilo sorgi,
Porta a Svaran le mie parole: digli
Che la mia festa io spargo: ei venga in queste
Ore notturne ad ascoltare il suono
De’ miei boschetti, or che gelati, acuti
505Pungono i venti le marine spume.
Venga, e la dolce arpa tremante, e i canti
Ascolti degli eroi. Carilo andonne
Con la voce più dolce, e così disse
Al re dei bruni scudi: — Esci dall’irte
510Pelli della tua caccia, esci, Svarano,
Signor dei boschi: Cucullin diffonde
La gioja delle conche, e a sè t’invita.
Vieni, o Svaran. Quei non parlò, muggìo24,
Simile al cupo brontolio di Cromla
515Di tempeste forier: — Quand’anche, Erina25,
Le giovinette tue mi stendan tutte

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Le lor braccia di neve, e faccian mostra
Dei palpitanti petti, e dolcemente
Girino a me gl’innamorati sguardi,
520Fermo quai mille di Loclin montagne
Qui Svaran rimarrà, finchè ’l mattino
Venga co’ raggi suoi dal mio orïente,
A rischiarar di Cucullin la morte.
Grato mi freme nell’orecchio il vento
525Che percote i miei mari: ei nelle sarte
Parlami, e nelle vele, e mi rimembra
I verdi boschi di Gormàl, che spesso
A’ miei venti echeggiàr, quando rosseggia
La lancia mia dietro le belve in caccia.
530A Cucullin tu riedi: a ceder pensi
L’antico trono di Cormàno imbelle;
O i torrenti d’Erina al nuovo giorno
Alle sue rupi mostreran la spuma
Rossa del sangue del domato orgoglio.
     535Carilo ritornò: – Ben, disse, è trista
La voce di Svaràn. – Ma sol per lui26,
Ripigliò Cucullin: tu la tua sciogli,
Carilo intanto, e degli antichi tempi
Rammenta i fatti; fra le storie e i canti
540Scorre la notte; entro il mio core infondi
La dolcezza del duol; chè molti eroi,
E molte vaghe vergini d’amore
Già fioriro in Erina, e dolci all’alma
Scendon le note del dolor che s’ode
545Ossian cantar là d’Albïon su i monti,
Quando cessò la romorosa caccia,
E s’arresta ad udir l’onda del Cona.
     – Venne in Erina nei passati giorni27,
Ei cominciò, dell’oceàn la stirpe.
550Ben mille navi barcollàr sull’onde
Ver l’amabile Ullina. Allor s’alzaro
I figli d’Inisfela, e fèrs’incontro
Alla schiatta dei scudi. Ivi Cairba
Cima dei duci, ed ivi era pur Gruda,
555Maestoso garzon: già lunga rissa
Ebber tra lor pel varïato toro,
Che nella valle di Golbun muggìa.
Ciascun volealo, e fu spesso la morte
Già per calar sulle taglienti spade.
560Pur nel gran giorno l’un dell’altro a lato
Pugnàr que’ prodi, e gli stranier fuggiro.
Qual nome sopra il colle era sì bello
Quanto Gruda e Cairba? Ah perchè mai
Tornò ’l toro a muggir? quelli miràrlo
565Trescar bizzarro e saltellar sul prato,

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Candido come neve: e si raccese
L’ira dei duci; in sull’erbose sponde
Del Luba essi pugnaro, e ’l maestoso
Gruda cadèo. Venne Cairba oscuro
570Alla valle di Tura. Ivi Bresilla,
Delle sorelle sue la più leggiadra,
Sedea soletta, e già pascendo il core
Coi canti della doglia. Eran suo canto
Le prodezza di Gruda, il giovinetto28
575De’ suoi pensier segreti; ella il piangea
Come già spento nel campo del sangue.
Pur sosteneala ancor picciola speme
Del suo ritorno. Un cotal poco uscìa
Fuor delle vesti il bianco sen, qual luna
580Che da nubi trapela: avea la voce
Dolce più ch’arpa flebile gemente:
Fissa in Gruda avea l’alma, era di Gruda
Il suo segreto sospiretto, e il lento
Furtivo sogguardar delle pupille.
585Gruda, quando verrai? guerriero amato,
Quando ritorni a me? Venne Cairba,
E sì le disse: Or qua, Bresilla, prendi
Questo sanguigno scudo, entro la sala
L’appendi per trofeo: la spoglia è questa
590Del mio nemico. Alto tremor le scosse
Il suo tenero corn 24; vola repente
Pallida, furibonda; il suo bel Gruda
Trovò nel sangue, e gli spirò sul petto.
Or qui riposa la lor polve, e questi
595Due mesti tassi solitari usciro
Di questa tomba, e s’affrettâr l’un l’altro
Ad abbracciarsi con le verdi cime.
Tu sul prato, o Bresilla, e tu sul colle
Bello eri, Gruda; il buon cantor con doglia
600Rimembrerà i tuoi casi, e co’ suoi versi
Consegnerà questi amorosi nomi
Alla memoria di remote etadi.
     – Dolce è la voce tua, Carilo, e dolce
Storia narrasti: ella somiglia a fresca
605Di primavera placidetta pioggia,
Quando sorride il sole, e volan levi
Nuvole sottilissime lucenti.
Deh tocca l’arpa, e fammi udir le lodi
Dell’amor mio, del solitario raggio

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610Dell’oscura Dunscaglian 25, ah tocca l’arpa,
Canta Bragela: io la lasciai soletta
Nell’isola nebbiosa. Il tuo bel capo
Stendi tu, cara, dal nativo scoglio
Per discoprir di Cucullin la nave?
615Ah che lungi da te rattienmi, o cara,
L’invido mar: quante fïate, e quante
Per le mie vele prenderai la spuma
Del mar canuto, e ti dorrai delusa!
Ritirati, amor mio, notte s’avanza,
620E ’l freddo vento nel tuo crin sospira.
Va nelle sale de’ conviti miei
A ricovrarti, e alle passate gioje
Volgi il pensier; chè a me tornar non lice,
Se pria non cessa il turbine di guerra.
625Ma tu, fido Conal, parlami d’arme,
Parla di pugne, e fa m’esca di mente29;
Che troppo è dolce la vezzosa figlia
Del buon Sorgàn, l’amabile Bragela
Dal bianco sen, dalle corvine chiome.
     630– Figlio di Semo, ripigliò Conallo
A parlar lento30, attentamente osserva
Del mar la stirpe; i tuoi guerrier notturni
Manda all’intorno, e di Svaràn la possa
Statti vegliando. Il pur dirò di nuovo,
635Per la pace son io, finchè sia giunta
La schiatta del deserto, e che qual sole
L’alto Fingallo i nostri campi irraggi31.
Cucullin s’acchetò, colpì lo scudo
Di scolte ammonitor; mòssersi tosto
640I guerrier della notte, e su la piaggia
Giacquero gli altri al zufolar del vento.
L’ombre de’ morti intanto ivan nuotando
Sopra ammontate tenebrose nubi;
E per lo cupo silenzio del Lena
645S’udìano ad or ad or gemer da lungi
Le fioche voci e querule di morte.


Note

  1. Cucullino, figliuolo di Semo, e nipote di Cathbaith, druido celebre nella tradizione per la sua saviezza, pel suo valore. Nella sua gioventù sposò Bragela, figliuola di Sorgian; ed essendosi trasferito nell’Irlanda, visse qualche tempo con Conal, nipote, per via d’una figlia, di Congal regolo di Ulster. Dopo una serie di grand’imprese, fu ucciso in una battaglia in un luogo della provincia di Connaught. Vedi il poemetto intitolato La morte di Cucullino. Era tanto rinomato per la sua fortezza, che passò in proverbio per dinotare un uomo forte: egli ha la fortezza di Cucullino. Si mostrano le reliquie del suo palazzo a Dunsaich nell’isola di Schye; ed una pietra, alla quale egli legò il suo cane Luath, conserva ancora il suo nome. Trad. ingl.
  2. Erin, nome dell’Irlanda, da ear, o jar occidente, e da in isola
  3. Fingal.
  4. Questa iperbolica immagine della persona di Svarano corrisponde alla gigantesca statura dei popoli settentrionali, attesta da tutti gli storici. Avvertasi inoltre che quel che parla è un uomo spaventato.
  5. Cathbaith, avolo di Cucullino rinomato pel suo valore. Lo scudo d’un eroe antico si conservava nella famiglia con una specie di rispetto religioso, e i suoi posteri ne facevano spesso uso per chiamar le genti a battaglia.
  6. I due guerrieri qui nominati si chiamano vicendevolmente, e s’incitano l’un l’altro alla guerra.
  7. Nome celtico della Scandinavia. In un senso più ristretto s’intende per questo nome la penisola di Jutlandia.
  8. Conal, amico di Cucullino, era figliuolo di Cuthbaith, principe di Togorma, probabilmente una dell’isole Ebridi.
  9. Cormac, figlio di Arth re d’Irlanda, rimasto erede del regno in età assai tenera, sotto la reggenza di Cucullino. Trad. ingl.
  10. Lago nella provincia di Connaught, appresso il quale restò ucciso Cucullino. Trad. ingl.
  11. Innis-tore, propriamente l’Isole delle Balene: ma spesso vengono comprese sotto questo nome tutte l’isole Orcadi. Trad. ingl.
  12. Altro nome dell’Irlanda, così chiamata a cagione d’una colonia di Falani colà stabilita. Inis-fail, cioè l’isola dei Fail, o Falani. Trad. ingl.
  13. L’eroe parla così per eccesso di modestia, poichè anzi era uso de’ principali campioni di quei tempi e Cucullino, in questo poema, si pregia d’aver appresa da lui l’arte della guerra.
  14. Le quattro pietre appresso gli antichi scozzesi contrassegnavano costantemente la sepoltura.
  15. Torrente nell’Irlanda.
  16. Cioè dei popoli della Scandinavia. Straniero appresso Ossian prendesi alle volte per nemico. Lo stesso doppio senso avevahostis appresso agli antichi latini.
  17. I regoli e signori della Bretagna usavano il carro in segno del loro grado.
  18. Si è già detto che gli Scozzesi ne’ loro conviti usavano di ber nelle conche, come pure lo usano i montanari ai giorni nostri. Perciò il termine conche in queste poesie si usa spesso in cambio di convito. Re delle conche significa re de’ conviti, cioè re ospitale e cortese.
  19. Mille appresso di Ossian significa esercito, benchè composto di maggior moltitudine. Il numero finito è posto per l’infinito. Così Virgilio; mediisque in millibus ardet.
  20. Chi? bella ed interessante sospensione!
  21. Il ferro rovente
  22. Questa è una maniera generalmente usata da Ossian per scuotere improvvisamente lo spirito, e fissar l’attenzione sopra un oggetto importante. Un tal modo è pur frequentissimo nella poesia ebraica, che ha moltissima affinità con quella di Ossian.
  23. La tradizione ci ha trasmessa l’antica maniera d’apprestar il convito dopo la caccia. Formavasi un pezzo intonacato di pietre liscie. Intorno ad esso si raccoglieva un cumulo d’altre pietre lisce e piatte del genere delle focaje. Queste ugualmente che il pozzo si riscaldavano con le scope. Poi si deponeva una parte della cacciagione nel fondo del pozzo, ricoprendola con uno strato di pietre, e così facevano successivamente, sin che il pozzo veniva a riempirsi. Il tutto poi si ricopriva con le scope per impedir il fumo. se ciò sia vero, non posso dirlo. So bene che si mostrano anche al giorno d’oggi alcuni pozzi, i quali il volgo dice che solevano servir a quest’uso. Trad. ingl.
  24. Cairba non aveva detto che il mio nemico, col qual termine poteva intendersi un Danese. Ma per il cuor d’una amante la possibilità equivale alla certezza.
  25. Dunsaich. Nome del palagio di Cucullino.

Osservazioni al canto primo

  1. [p. 28 modifica]Il poeta si mostra tosto qual egli è in tutte le sue opere. Egli entra francamente in materia, e senza perdersi in preamboli. La proposizione veramente serve alla chiarezza e fissa l’idea e l’unità dell’azione: pure non è assolutamente necessaria. Tutto giorno si raccontano mille storie e novelle, senza premettervi alcuna cosa. La Musa era una divinità incognita ad Ossian: però non poteva implorarne il soccorso. Ma quando egli l’avesse conosciuta, io credo che potesse dispensarsi da questo cerimoniale. L’invocazione, dicono i critici, acquista fede alle cose, giustifica il mirabile, e concilia dignità al poeta, facendolo comparire ispirato. Quanto al primo, potrebbe dirsi piuttosto ch’ella genera diffidenza. «Sappiamo, dicono le Muse appresso Esiodo, raccontar molte bugie, simili al vero.» Riguardo al mirabile, se questo mal s’accorda col verìsimile, e col conveniente, l’invocazione disonora la Musa, in luogo di giustificar il poeta. Ossian, il cui mirabile non ripugna al buon senso, non avea bisogno di mallevadori. Finalmente è meglio che l’ispirazione apparisca dallo stile, che dall’avviso dell’autore. Ossian non espone l'affisso di poeta. Si crede d’ascoltar un uomo ordinario, che racconti un fatto. Ma la divinità che lo agita non si farà sentire che con più forza. Non fumum ex fulgore, sed ex fumo dare lucem postulat.
  2. [p. 28 modifica]Le relazioni per dialogismo sono molto in uso appresso per i poeti antichi. Esse hanno molta energia ed evidenza, e perciò sono più confacenti alla poesia. Ma è da osservarsi che questa bellezza poetica deve l’origine alla rozzezza delle menti nei secoli primitivi. Il rilevar lo spirito d’un discorso, e farlo suo nel riferirlo non è proprio che d’un ingegno riflessivo ed esercitato. Così vediamo che le relazioni del volgo sono quasi sempre drammatiche.
  3. [p. 28 modifica]Una delle regole intorno al carattere dell’eroe d’un poema si è che la prima idea che si presenta di lui, ci prevenga favorevolmente. Alcuni poeti fanno essi medesimi i ritratti dei loro eroi. Ma il modo più semplice insieme e più artifizioso è quello di farli risaltare indirettamente. Nessuno conobbe questa finezza meglio di Ossian. Fingal non comparisce che nel terzo canto, e sembra che il principale attore sia Cucullino. Ma il suo nome si [p. 29 modifica]presenta sul bel principio in un tale aspetto, che fa presentir ben tosto l’eroe del poema. Svarano, il suo nemico, l’invasore dell’Irlanda, in mezzo alle sue bravate non teme che il paragone di Fingal. Qual idea non dobbiam concepirne! Vedremo vari altri tratti d’ugual finezza. Omero non si è piccato d’una condotta sì delicata. Appresso di lui gli eroi più importanti dello stesso partito, non che i nemici si trattano reciprocamente da vili. Come potrà ammirarli il lettore, se si dispregian tra loro?
  4. [p. 29 modifica]Fingal è il primo eroe del poema: Cucullino il secondo. Il carattere dell’uno e dell’altro è grande, generoso, ed interessante. Ma quel che più particolarmente distingue Cucullino in questo poema, si è un delicatissimo senso d’onore. Ossian con uno squisito giudizio distribuì le parti a questi due gran personaggi, senza che lo splendor dell’uno pregiudicasse a quello dell’altro. Cucullino è l’eroe del primo atto: Fingal compisce l’azione.
  5. [p. 29 modifica]Può vedersi un quadro più vivo, più animato, più variamente atteggiato di questo? «L’arte del poeta considerato puramente come descrittore (dice un celebre autore moderno), è di non offrir alla vista se non oggetti in moto, ed anche di ferir se si può molti sensi ad un tempo.» Se così è, Ossian merita il nome di poeta per eccellenza.
  6. [p. 29 modifica]Questo è il quadro istesso sotto un altro punto di vista. Il primo cagionò una commozione più viva: questo fa un impressione più forte e profonda.
  7. [p. 29 modifica]Ossian è abbondantissimo di comparazioni, qualità la quale è comune ai poeti più antichi di tutte le nazioni. L’imperfezione della lingua le introdusse, e il grand’effetto che fanno, le accreditò nella poesia. La loro soverchia frequenza può bene essere disapprovata dai critici rigidi che meditano a sangue freddo: ma qualora questo magnifico difetto ci si presenta, esso abbaglia e seduce nel punto che si vorria condannarlo; e il sentimento, come è dritto, la vince sopra il riflesso. Giova qui di osservare che lo spirito di comparazione è forse la qualità più essenziale della poesia. L’uffizio del poeta come rappresentatore fantastico, è di raccoglier tutte le somiglianze delle cose: e il corpo del linguaggio poetico è in gran parte composto di comparazioni ristrette. Del resto, le frequenti comparazioni sono comuni ad Ossian, e a tutti i poeti antichi: ma pochi dividono con lui la gloria della loro straordinaria bellezza.
  8. [p. 29 modifica]Il carattere di Conal è anch’esso d’un genere di cui non v’ha esempio in Omero. Egli è un’eroe saggio e moderato. Benchè gran guerriero, consiglia sempre la pace. E’ prudente, ma non della prudenza ciarliera di Nestore. Non si altera nè per la poca riuscita de’ suoi consigli, nè [p. 30 modifica]per gli altri rimproveri ingiusti: ma segue tranquillamente a far l’uffizio di saggio capitano, e d’amico fedele.
  9. [p. 30 modifica]Notisi questo tratto. Il dissuader Cucullino dal combattere coll’idea del suo pericolo, sarebbe stato un offendere la grandezza d’animo di quell’eroe. Conal con queste parole gli mette in vista che qui non si tratta principalmente della sua gloria, ma della salvezza del suo pupillo, ed insinua questa eccellente massima, che l’onor privato deve cedere al dovere.
  10. [p. 30 modifica]Questo sentimento, benchè sembri derogare all’eroismo di Fingal, pure tende ad innalzarlo. Egli è qui rappresentato come il modello del valore; e il dire ch’egli scanserebbe la battaglia, non è per altro, se non perchè Cucullino troppo delicato in queste materie, non si recasse a disonore di far lo stesso. Così Agamennone nel VII dell’Iliade per dissuadere Menelao dal combatter contro di Ettore, gli dice che Achille istesso tremava di scontrarsi con quel guerriero, quantunque sapesse ch’Ettore all’opposto non osava uscir dalle mure per timor d’Achille. E si osservi ch’ivi Agamennone dice crudamente a Menelao, ch’Ettore è assai più forte di lui. Qui Conal non paragona il valore di Svarano con quello di Cucullino, ma solo la superiorità delle forze del primo colla scarsezza delle truppe irlandesi.
  11. [p. 30 modifica]La sedatezza eroica di Conal fa un eccellente contrasto con la ferocia di Calmar, espressa poc’anzi coi più forti colori. Questo discorso è nel suo genere un modello di perfezione. Conal ribatte con dignità, e con una modestia piena di grandezza gl’insulti di Calmar; poi trascurandolo, si rivolge gravemente a Cucullino; lo consiglia a sacrificar la sua gloria alla sicurezza del suo pupillo, e termina con una risoluzione rispettosa insieme ed eroica.
  12. [p. 30 modifica]Ossian è fecondo d’episodii. Le regole più severe vorrebbero che questi fossero come strumenti dell’azione principale, e servissero di mezzo, o d’ostacolo. Ma nissun poeta si assoggettò perpetuamente a questa eccessiva e non necessaria rigidezza. Quasi la metà dell’Eneide è composta d’episodii che potrebbero levarsi senza che l’azion principale ne soffrisse danno. Basta dunque che gli episodii sieno chiamati naturalmente da qualche circostanza del soggetto, e che sieno collocati in luogo opportuno. Il presente, e vari altri hanno tutte e due queste qualità. In qualche altro sembra che manchi un poco la prima. Vedi più sotto l’osservazione (27).
  13. [p. 30 modifica]Chi avrebbe mai creduto che la nebbia potesse presentarci una comparazione così gentile? Peccato che la bocca d’un brutale, come costui, la disonori un poco. Certo non poteva immaginarsi una cosa più vaga, più [p. 31 modifica]fina, e più propria, per rappresentar con un solo oggetto una chioma liscia, bionda, crespa, e ondeggiante tutto ad un tempo. Ecco di quelle squisitezze che si cercherebbero indarno in Omero. L’autor degli Annali tipografici, parlando della differenza che passa tra Omero ed Ossian, trova un vantaggio a favore del primo nella natura del clima. «Esso è ridente, dice egli, nella Grecia, e nell’Asia minore: laddove il nostro poeta non aveva altri spettacoli, che immense foreste, vasti e sterili deserti, montagne coperte di neve, nebbie eterne, mari burrascosi e cinti d’orribili scogli». Ciò è verissimo. Con tutto ciò non si vede che il clima ridente di Grecia abbia ispirata ad Omero una gentilezza d’immaginazione molto distinta: laddove l’occhio sagace di Ossian, rischiarato dalla finezza del suo spirito, fa scorgere in quei tetri spettacoli delle grazie invisibili a qualunque altro, e talora la sua fantasia sforza la natura a cangiar d’aspetto.
  14. [p. 31 modifica]Il carattere di Morna è quello d’una donna accorta insieme e risoluta. Ella sfugge una dichiarazione, e cerca di distrar Ducomano con una ricerca che dovrebbe interessarlo. Quando si vede stretta, abbandona le riserve, e lo rigetta con un sangue freddo il più disperante.
  15. [p. 31 modifica]Moriensque suo se in vulnere versat. Virg. L’espressione di Virgilio è più naturale, quella di Ossian più energica. La morte dice molto di più. Una ferita fa una sola immagine visibile: la morte ne presenta un ristretto, e lo spirito del lettore ha la compiacenza di svilupparlo.
  16. [p. 31 modifica]Non v’è poeta paragonabile ad Ossian nelle narrazioni tragiche. Questa ha tutte le qualità di sorprendere e scuoter lo spirito. Il carattere fiero di Ducomano; l’atroce negligenza colla quale colui riferisce la morte del rivale; l’accortezza donnesca, e l’arditezza virile di Morna; lo stile rapido e conciso: infine que’ due gran colpi, ambidue, benchè simili, inaspettati, percotono e crollano l’anima, e lascianvi un’impressione profonda e complessa, che poi va a sciogliersi in una dolce tristezza. Io osserverò un artifizio ch’egli usa costantemente in sì fatte narrazioni, e che mostra il gran maestro. Egli da prima interessa il cuore coi modi i più toccanti. Come se n’è reso padrone, lo precipita violentemente alla meta, senza dargli tempo di presentirla. Di più, egli omette spesso qualche circostanza che rischiarerebbe il fatto, ma ne snerverebbe la forza. Come qui, non si concepisce chiaramente il modo onde Ducomano ferisce Morna. Ma Ossian sa troppo bene i colpi segreti dell’arte per non curarsi di ciò. Scoppia il fulmine, stordisce, abbaglia, e lascia in un’oscurità che mette il colmo all’orrore.
  17. [p. 31 modifica]Questa è la descrizione più ricca, più magnifica, e [p. 32 modifica]più ampia di quante si trovino in Ossian, e somiglia più d’ogni altra alla maniera abbondante d’Omero. Se questo carro si considera isolatamente, esso sfolgora di vivacità e di bellezze. Ma l’aggiustatezza imparziale della critica ci obbliga a confessare che la descrizione pecca alquanto d’intemperenza, e quel ch’è più, non si accorda coi rapporti delle persone e del tempo. L’esploratore tornò troppo presto, ed è troppo spaventato per aver osservate tutte queste particolarità, e riferirle così distesamente, quasi con un’oziosa compiacenza. Svarano era poi egli uomo da ascoltar tranquillamente questi dettagli che tendevano a magnificar la pompa del suo nemico, e ad esortar lui alla fuga? Sembra che questo carro abbia qui abbagliato co’ suoi lumi lo stesso Ossian, nè gli abbia lasciato scorgere abbastanza chi parlava, e a chi parlava. La convenienza, e la misura sono le due ministre del gusto, e non v’è bellezza poetica, se non accorda con esse.
  18. [p. 32 modifica]Il poeta non ci lascia dimenticar del suo eroe. Noi eravamo immersi in Cucullino, e nel suo terribile apparato. Fingal si mostra obliquamente, e ci richiama a sè. Non c’è pericolo che la sua assenza gli pregiudichi. La sua immagine ci segue per tutto.
  19. [p. 32 modifica]Questa adattissima e vaga comparazione slancia un colpo di luce improvvisa sulla terribile scena di questa descrizione, e fa sullo spirito dei lettori un effetto del tutto corrispondente a ciò ch’ella rappresenta.
  20. [p. 32 modifica]Non si può ammirare abbastanza la forza, l’aggiustatezza, e la finezza di queste comparazioni. Non può negarsi che Omero non ne abbia molte piene di sublimità e d’evidenza; ma bisogna parimenti accordare, che egli ne ha forse altrettanto basse e sconvenienti; e quelle stesse che sono le più pregevoli, rare volte abbracciano insieme tutte le qualità necessarie. Di più, nelle sue comparazioni non si scorge certa rarità di scelta, nè molta lode d’ingegno. Omero per lo più accetta gli oggetti che si presentano: Ossian spesso gli sceglie, e talvolta in certo modo li crea.
  21. [p. 32 modifica]Osservisi quest’artificiosa alternativa d’affetti forti e patetici. Poco è ad Ossian d’esser ammirabile: il suo massimo studio è d’esser toccante. Sono rari in Omero questi tratti preziosi di sentimento, o appena abbozzati. Egli tocca alle volte qualche particolarità interessante, ma lo fa con uno stile così disteso ed unito, che fa pochissimo effetto. Il tono delle sue narrazioni somiglia molto al canto delle sue cicale: è lungo ed uniforme. La tenera apostrofe di Ossian rompe la monotonia dello stile e corregge la ferocia che ispirano le scene di guerra. Solo sarebbe stato desiderabile che quell’amabile guerriero avesse potuto piuttosto cadere per man del feroce [p. 33 modifica]Svarano, che dal virtuoso Cucullino. Ma questi almeno non l’insulta villanamente come fa quel brutale d’Idomeneo col generoso giovine Otrionèo nel XIII dell’Iliade.
  22. [p. 33 modifica]Cento martelli sembrano piccola cosa dopo tanto fracasso. Però il poeta non intende qui di spiegare la grandezza del rimbombo, ma solo il frequente e vicendevole rimbalzo dell’eco; nel qual senso la comparazione ha tutta la proprietà.
  23. [p. 33 modifica]Dopo averci messi in un’aspettazione sì grande, il poeta ci pianta, e copre la scena. Questa è una crudeltà molto artificiosa. Ella attacca, e tiene in moto lo spirito: delude la curiosità per eccitarla maggiormente, e per soddisfarla a suo tempo con maggior diletto.
  24. [p. 33 modifica]Non ci volea meno per prepararci a una risposta così brutale.
  25. [p. 33 modifica]Il Vico riconoscerebbe con piacere nella cruda selvatichezza di costui que’ primi Polifemi, che, secondo Platone, erano i capi di famiglia nella natura selvaggia, e viveano nelle loro grotte, ricusando qualunque commercio e società. Nec visu facilis, nec dictu affabilis ulli. Abborre tutto quello che non è suo, e si fa centro della natura. Il mattino non ha altro ufficio che di servir alla sua fierezza. L’oriente appartiene a lui. Se il sole spuntasse dall’Irlanda, l’abborrirebbe come suo nemico. Il suismo di questo gran carattere ciclopico, e la stranezza che ne segue sono scolpiti con una forza che sbalordisce.
  26. [p. 33 modifica]In due sillabe che gran senso! Notisi la naturalezza e la disinvoltura del passaggio per introdurre il seguente episodio.
  27. [p. 33 modifica]Se qualcheduno domandasse qual relazione abbia quest’episodio con l’azione principale, si può rispondere che nelle parti oziose di un poema il poeta è libero d’inserirvi quelle descrizioni che gli sembrano più naturali e opportune. Quindi in tutti i poemi veggiamo gl’intervalli dell’azione riempiuti con giochi, feste, sagrifizii, e altre cose relative ai riti, agli usi, e ai trattenimenti di quella nazione. Ora bisogna mettersi seriamente nello spirito, che il canto appresso i Celti era tutto, e che nulla si facea senza il canto. Il passar la notte fra i canti era costume solenne ed universale. Le loro istorie, la sacra memoria dei lor maggiori, gli esempi degli eroi, tutto era confidato alle canzoni dei bardi. Il bisogno, il diletto, la gloria, la pietà, il dovere, tutto cospirava a fomentar in quelle nazioni il violento trasporto che nutrivano per la poesia. Ora se i canti dei bardi aveano tanti diritti per essere introdotti nel poema di Ossian, e se il canto, come tale, non ha veruna relazione al soggetto, io non ci veggo maggior necessità che le storie contenute in quei canti debbano riferirsi al medesimo. Ma se alcuni dei canti
  28. [p. 34 modifica]Una delle maggiori bellezze di Ossian sono gli amori, i quali vengono da lui maneggiati con una delicatezza così particolare, che merita d’essere esaminata. Basta notare la diversità con cui fu trattata questa passione da’ poeti dell’altre nazioni. L’amore dei Greci e dei Latini è un bisogno fisico e materiale: quello degl’Italiani è spirituale: quel dei Francesi bel-esprit. L’amor di Ossian è di un genere che non rassomiglia a verun di questi. Esso ha per base il sentimento, perciò è tenero e delicato, e ’l suo linguaggio non è spiritoso, ma toccante. Si riferisce ai sensi, ma tra questi sceglie i più puri, quali sono la vista e l’udito: quindi non è nè astratto, nè grossolano, ma naturale e gentile. Ossian parla spesso del seno e mostra di compiacersi nel dipingerlo. Questo oggetto appresso gli altri poeti s’accosta al lascivo: ma ciò nasce perch’essi accompagnano le lor descrizioni con tali sentimenti che mostrano di non appagarsi della sua vista. In tutto Ossian non si troverà un’espressione che si riferisca al tatto. Da tutto ciò risulta, che l’amore di Ossian è decente, senza affettazion di modestia. La ritenutezza degli altri porta seco un’aria di mistero, ch’è più un incentivo che un freno. Ossian scorre con una franca innocenza sopra tutti gli oggetti del bello visibile, e in lor si riposa così naturalmente, che non dà luogo al sospetto. Non si va più oltre, perchè non si crede che si possa andarvi. Dopo il cuore e la vista, non c’è altro da bramar da una donna.
  29. [p. 34 modifica]Che bel cangiamento d’affetti e di sentimenti! che contrasto toccante fra lo sposo e l’eroe! Non si sa se debbasi ammirar più questo, o interessarsi per quello.
  30. [p. 34 modifica]Epiteto convenientissimo alla prudenza e al sangue freddo di Conal.
  31. [p. 34 modifica]Ecco di nuovo in campo Fingal per la quinta volta. No, senza di lui non v’è speranza. Cucullino è un gran guerriero: pure la salute dell’Irlanda dipende dal solo Fingal. Questa è l’idea con cui il poeta ci congeda.