I Nibelunghi (1889)/Avventura Trentanovesima

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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Trentanovesima
Avventura Trentottesima Indice

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Avventura Trentanovesima

In che modo Gunthero e Hagene e Kriemhilde furono uccisi


     Allora ei stesso, principe Dietrico,
Tolse l’usbergo suo. Mastro Hildebrando
Per ch’ei s’armasse l’aiutò. Piangea
Di tanta forza l’uom gagliardo e prode,
5Che di sua voce incominciò d’attorno
La casa a risuonar. Ma poi la sua
Alma da eroe riprese ancora. Egli era,
Il buon guerriero, in suo disdegno armato,
E un forte scudo in pugno avea. Ne andavano
10Ambo di là rapidamente allora,
Egli e mastro Hildebrando. Hàgene disse,

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Quei da Tronèga: Vedo là venirne
Sire Dietrico! Ed egli, dopo tante
Forti sventure che qui gli hanno incolto,
15Contrastar con noi vuole. Oggi la gente
Chi dir dovrà il miglior, vedrà davvero.
Che se costui ch’è da Verona, prence
Dietrico, sè medesmo anche non puote
Non creder così forte e sì tremendo.
20Ed egli vuol, per ciò che gli si fece
(Hàgen così dicea), pigliar vendetta,
Io cor verace avrò di stargli a fronte.
     E Dietrico e Hildebrando este parole
Udìano intanto. E quegli venne1 dove
25Ambo starsi trovò que’ due guerrieri2
Fuor dalla casa, alla parete quivi
Appoggiati dell’aula. Ivi depose
Prence Dietrico la sua targa buona
E con affanno di dolor fe’ un detto:

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     30Gunthèr, possente re, che feste voi
A me tapino? A voi che feci io mai?
D’ogni conforto mio qui derelitto
Ecco ch’io resto! E nella gran sventura
Non vi sembrò pienezza, allor che a noi
35Feriste a morte principe Rüedgero,
Se ora tolti m’avete i prodi miei
Tutti d’un tratto. No davver! che a voi,
Prenci ed eroi, non feci io tal rancura!
Ora pensate a voi medesmi e al vostro
40Cruccio, pensate se de’ vostri amici
L’acerbo fato e la fatica vostra
Non aggravan di nulla a voi, valenti
Guerrieri, il core. Oh! in qual mai cruda guisa
Morto Rüedgero voi mi feste! In terra
45Mai non avvenne ad uom dolor più grave,
Nè al mio, nè al vostro duol pensaste voi.
Ed or per voi qui giace estinta quella
Parte ch’ebbi di gioia, e non poss’io
Li miei congiunti degnamente piangere.
     50Hàgene disse: Non di tanto noi

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Colpevoli ne siamo. A questa sala
Vennero i prodi vostri, ed eran elli
Armati assai, con un drappello ampio.
Penso che detta a voi conforme al vero
55La novella non fu. — Quale degg’io
Credere adunque? Dissemi Hildebrando
Che, come dimandâr li prodi miei
Del suol degli Amelunghi perchè voi
Fuor dall’aula rendeste a lor Rüedgero,
60Nulla dall’alto a’ valorosi offriste
Fuor che scherno e vergogna. — Il re del Reno
Così parlò: Volere elli diceano
Portar di qui Rüedgero. Ed io fêi cenno
Che ciò, d’Ètzel per doglia e per rancura,
65Non per gli uomini tuoi, si ricusasse,
Fin che di questo incominciò Wolfharto
A farne ingiuria. — E di Verona il sire
Così rispose: E puote esser cotesto!
Ma tu, Gunthero, nobil re, per quella
70Tua cortesia, compensami de’ mali
Che per te m’incogliean, fanne tu ammenda,

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Prestante cavalier, per ch’io ti possa
Tutto cotesto perdonar! Ti rendi,
Renditi a me in ostaggio, e teco rendansi
75Gli uomini tuoi. Proteggitor per quanto
Meglio poss’io, sì ti sarò, che nulla
Altri a te faccia presso a gli Unni; e tu
Nulla in me troverai, fuor che leale
Fede e bontà. — Non voglia Iddio dal cielo,
80Hàgene disse, che due eroi si rendano
A te così, quali a te innanzi stanno
In lor difesa armati e scendon liberi
Di questa guisa contro a’ lor nemici.
     Niegar cotesto non potete voi,
85Gunthero ed Hàgen, rispondea Dietrico.
Ambo voi due sì gran dolor mi feste
E nell’alma e nel cor, che ove l’ammenda
Far ne voleste a me, fareste voi
Cosa giusta d’assai. La fede mia
90Offro e la mano mia secura e salda
Ch’io cavalcando ascenderò con voi
Alle vostre contrade, al vostro tetto.
Con onor condurrovvi, o estinto anch’io

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Giacerò. Sì vogl’io scordar per voi
95Ogni sventura mia più dura e grave.
     Ora, non tanto disïar vi piaccia,
Hàgene disse. Nè s’addice invero
Che altri narri di noi che vi si arresero
Due prodi tanto ardimentosi. E niuno
100Starsi appo voi si vede, ove sol togli
Hildebrando. — Sa Iddio, Hàgene sire,
Mastro Hildebrando disse; ove qualcuno
Pace v’offre ad aver, giungesi a tempo
Che accoglierla potreste. E del mio prence
105Far potreste anche voi che vi piacesse
L’offerta pace. — Quest’ammenda, disse
Hàgene allora, sì davver che accolgo
Pria che da l’aula sì vilmente io fugga
Sì come feste voi, mastro Hildebrando.
110Io mi credea che innanzi da’ nemici
Meglio resister voi sapeste. — E a lui
Hildebrando rispose: A che di tanto
Mi fate voi rimprovero? E chi mai
Era colui che innanzi a Waskensteine
115Su la targa sedea, quando gli uccise

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Tanti amici Walthero?3 Oh! voi medesmo
Assai cose a mostrar davver che avete!
     Prence Dietrico disse allor: Cotesto
Non s’addice ad eroi che piatir deggiano
120Sì come annose donne; ed io di tanto,
Hildebrando, perchè più dir vogliate,
Vi fo divieto. Grave assai m’opprime,
Infelice, l’ambascia. — Hàgene eroe,
Soggiunse poi, fatemi udir che mai
125Ambo qui dicevate, cavalieri
Gentili, voi, come vedeste ch’io
Armato m’avanzai. Diceste allora
Soltanto voi che innanzi a me vorreste

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Nella pugna restar. — Nessuno, disse
130Hàgene eroe, vi può mentir cotesto,
Ed io ne vo’ con poderosi colpi
Tentar la prova, se di Nibelungo
Non mi si rompe il ferro. Ecco! disdegno
Mi vien, perchè altri voglia noi captivi!
     135Come Dietrico l’animo feroce
D’Hàgene intese, rapido la targa
Levò in alto, ei guerrier nobile e ardito.
Con qual impeto allor giù da’ gradini
Hàgene a lui balzò di contro! Forte
140Di Nibelungo risuonò la spada
Sulla persona di Dietrico, ed ei
Ben sapea che dell’uomo ardimentoso
L’alma feroce era d’assai. Que’ colpi
Tremendi incominciò l’uom da Verona
145A pararne, chè molta esperïenza
D’Hàgene avea, guerrier perfetto e grande.
Anche temeva ei di Balmunga, un’arma
Forte d’assai, ma con arte frattanto
Ne ribattea Dietrico i colpi, e alfine
150Hàgene nell’assalto ei superava;

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Una ferita gli assestò, che vasta
Era e profonda. Pensò allor Dietrico:
     Tu vigor perdi in la distretta omai,
E poco onor m’avrei se tu dovessi
155Morto giacere innanzi a me. Deh! ch’io
Tentar vo’ se domarlo sì m’è dato
Per ch’ei mi sia captivo. — E ciò per lui
Si fe’ con arte e cura. Egli lo scudo
Lasciò cader; sua forza era ben grande,
160Sì ch’ei cingea delle sue braccia quello
Hàgene da Tronèga. Or fu per esso
Vinto l’uom tracotante, e fe’ principio
A dolersi per lui Gunthero illustre.
     Dietrico allor Hàgene avvinse. Il trasse
165Là ’v’ei trovò la nobile regina
E abbandonolle in potestà colui,
Il più superbo cavalier che mai
Spada portasse. Dopo tante e forti
Angoscie, ella d’assai ne fu gioiosa.
     170D’Ètzel la donna, per piacer ch’ell'ebbe,
Dinanzi al cavalier della persona
Piegossi e disse: Eternamente sii

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D’alma e di corpo tu felice! Tutti
Li miei dolori compensasti assai,
175Ed io per sempre, ove morte non tolga,
Devota a te sarò. — Deh! che v’è d’uopo
Incolume lasciarlo, a lei rispose
Prence Dietrico, o nobile regina.
Anche avvenir potrìa ch’ei bene assai
180Di ciò che fece a voi, vi ricompensi,
Ed egli intanto, perchè starsi in ceppi
Il vedete voi qui, soffrir non debbe.
     Al suo carcere allor fe’ la regina
Hàgene addurre là ’v’ei giacque chiuso,
185Là ’ve nessuno il vide. E incominciava
Gunthero intanto, il nobile signore,
Alto a gridar: Dove n’andava il prence
Di Verona? Ei m’ha fatto aspro dolore!
     Corsegli incontro allor sire Dietrico.
190Degno di lode assai era il valore
Di re Gunthero, ed ei non s’indugiava
Più a lungo, ma dall’aula uscìa correndo
D’un balzo a lui. D’ambe le spade allora
Gran fragor si levò. Per quanto illustre

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195In armi fosse principe Dietrico,
Troppo cruccioso e vinto era Gunthero
Da selvaggio furor, poi che nemico
Erasi fatto a quello omai di core
Per l’aspro duol toccato; e si dicea
200Ch’era prodigio se Dietrico a lui
Incolume scampò. Grande il valore,
Grande la forza di cotesti assai,
E risonava di lor colpi intorno
Con sue torri il palagio, allor che sopra
205Agli elmi buoni ei si battean coi brandi.
Avea sire Gunthero anima fiera.
     Ma il vinse poi, come d’Hàgene in pria
Accadde ancor, quel da Verona. Il sangue
Per le maglie all’eroe scorrer fu visto
210Sotto alla spada che recava acuta
Prence Dietrico. Pur s’avea difeso,
Dopo tanta stanchezza, in guisa assai
Degna di lode, re Gunthero. Il sire
Fu dalla mano di Dietrico avvinto
215Di foggia tal, che regi mai ritorte
Non soffron pari; e quei pensava intanto

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Che ove disciolto con l’uom suo fidato4
Lasciato avesse il re, tutti là innanzi
Dovean morti giacer quanti incontravano.
     220Lui dunque di sue mani si prendea
Dietrico da Verona, e sì l’addusse
Avvinto là ’ve ancor trovò Kriemhilde.
Dopo l’angoscia sua, così cacciata
Iva da lei sua cura, ed ella disse;
     225Voi benvenuto, o dal burgundio suolo
Gunthero! — E quei rispose: A voi degg’io
Chinar la fronte, o nobil mia sorella,
Se con favor sincero esser mai puote
Il vostro salutar. Ma so, regina,
230Che crucciata voi sête, e poco assai
Ad Hàgen fa ed a me vostro saluto.
     Donna d’inclito re, disse quel prence
Ch’è da Verona, mai non fu captivo
Illustre cavalier quanto costui
235Che a voi qui affido, nobile signora.
V’è d’uopo intanto questi due tapini

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Bene accôrre per me. — Disse colei
Che volentieri fatto avrìa cotesto,
E con occhi piangenti andava intanto
240Lungi da questi eroi degni di laude
Prence Dietrico. Vendicossi poi
D’orribil guisa d’Ètzel re la donna,
Ch’ella ad ambo gli eroi, fior d’ogni prode,
Tolse la vita. Ella fe’ che diviso,
245Per lor carcere, l’un dall’altro fosse,
Perchè nessun vedesse l’altro intanto,
Fin che d’Hàgene poi nella presenza
Del fratel suo portò la testa.5 Piena
Sovr’ambedue fu sua vendetta allora!
     250Là ’v’Hàgene trovò, sen venne quella
Donna regal. Con qual nemico accento
Ella al prode parlò! Se ciò che tolto
Avete a me, ridar volete,6 forse
Vivo potrete anche tornarvi a casa
255Appo i Burgundi. — E il fiero Hàgen rispose:

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     Nobil regina, vana e stolta è questa
Parola omai. Giurai che in tutto il tempo
Che vivrà alcuno de’ signori miei,
Non mostrerò il tesor, per ch’io noi deggia
260Dare ad alcuno mai. — Cotesto a fine
Io porterò, disse la nobil donna.
     E tosto indisse che al fratello suo
Tolta fosse la vita. A lui fu il capo
Reciso, ed ella per il crin quel capo
265Recò dinanzi di Tronèga al sire.
     Grave dolor gli fu cotesto, ed ei,
Già corruccioso, come vide il capo
Del suo prence e signor, così a Kriemhilde,
L’uom prode, favellò: Tu la faccenda
270Compisti omai conforme al voler tuo,
E tutto veramente in quella guisa
Andò ch’io mi pensava. Or, de’ Burgundi,
È morto il nobil re, morto è Gislhero
Giovinetto, e Gernòt anche. Il tesoro
275Niun conosce ove sta, fuori di Dio,
Fuori di me. Donna d’inferno, ei dee
Eternamente a te restar celato.

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     E quella disse: Male assai mi feste
Ammenda voi. Pur, di Sifrido il brando
280Serbar mi vo’. Lo sposo mio diletto
Questo recava nell’estremo istante
Ch’io lo vidi, e da esso al cor mi venne,
Per colpa vostra, acerbo duol. — Traea
Dalla guaina quella spada intanto,
285Nè quei potè impedirla.7 E già pensava
Di tôr con quella al principe la vita,
Per ch’ella in alto di sua man levolla
E il capo gli troncò. Vedea cotesto
Ètzel monarca, e ciò gli fu dolore.
     290Sventura! disse il re. Di qual mai foggia
Morto si giacque per mano di donna
D’ogni gagliardo il fior, qual mai recasse
Scudo e scendesse a contrastar! Per quanto
Nemico gli foss’io, ciò m’è dolore
295Grave d’assai. — Ma goderne costei

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No! non dovrà, disse Hildebrando antico,
Perch’ella osò ferir! Qualunque sia
Mal che m’incolse, anche se al passo estremo
Costui mi trasse, vendicar la morte
300Vogl’io del prode di Tronèga. — Allora,
Contro a Kriemhilde si balzò in furore
Hildebrando, e di spada con un fiero
Colpo raggiunse la regina. A lei
Male arrecò il terror per Hildebrando;
305Ma che potea, se alti ne fe’ lamenti,
Recarle aita? Là distese intanto
Tutte di tali già devoti a morte
Le spoglie sono, e quella nobil donna
Giace, squarciata la persona. A piangere
310Incominciâr Dietrico ed Ètzel; tutti
I lor congiunti e i prodi elli piangeano
Dal profondo del cor. Così cadea
Spento l’onor già grande, e pianto e duolo
Avean le genti tutte, e la regale
315Festa nel pianto si finìa, chè suole
Amicizia fruttar doglia alla fine.

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     Anche dirvi non so, dopo cotesto,
Che avvenne là. Sol vi dirò che donne
E cavalieri piangere fûr visti,
320Nobili paggi ancor, dei cari amici
L’acerbo fato. E qui ha fine il racconto;
Questa dei Nibelunghi è la rovina.





Note

  1. Dietrico.
  2. Hagene e Gunthero, i soli superstiti dei Borgognoni.
  3. Quando Walther di Spagna combatteva coi Burgundi e uccideva tanti amici di Hagen, costui stava a guardare inerte, perchè Walther gli era amico. Cfr. Waltharius manu fortis, poema composto nel 920 da Eckehardo, abate di San Gallo. Walther fu ostaggio con Hagen presso Ètzel e fuggì con la bella Hildegonda. V. Avventura diciottesima (in fine) di questo poema dei Nibelunghi.
  4. Hagene.
  5. Si riferisce a ciò che si sta per narrare.
  6. Il tesoro dei Nibelunghi.
  7. Hagen portava (vedi sopra) la spada di Sifrido. Essendo ferito, non potè impedire che Kriemhilde gliela togliesse.