I Suppositi (versi)/Atto quinto

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Atto quinto

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Atto quarto La Lena

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ATTO QUINTO.




SCENA I.

EROSTRATO.


Questa, in fatti, è pur stata una disgrazia
Grande, che prima che trovare Erostrato
Abbi potuto, così strabocchevole-
mente io sia corso su gli occhi a Filogono;
Dove mi è convenuto a forza fingere
Di non cognoscer chi si sia, e contendere
Con esso lui, e garrire e risponderli
Parole ingiurïose. Ormai accadane
Quel che si vuole, esser non può che offesolo
Non abbia, e gravemente, e che in perpetuo
Non me ne voglia mal: sì che delibero,
Se ben entrare in casa di Damonio
Dovessi, di parlar col vero Erostrato
Immantinente, e farli la renunzia
Del nome e panni suoi; indi fuggirmene
Di qui più tosto che mi sia possibile;
Nè mai più, tanto che vive Filogono,
Tornare in casa sua, dove da tenero
Fanciullo insino a questa età più valida
Allevato mi son. Ma ecco Pasifilo.
Non potea comparir altri più idoneo
Da entrar là dentro e da chiamarmi Erostrato.


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SCENA II.

PASIFILO, e detto.


Pasifilo.(Due novelle ho sentite a me gratissime:
L’una, che in casa di messere Erostrato
Si apparecchia un convito solennissimo;
L’altra, ch’egli mi cerca. Io per levargli la
Fatica d’ir di qua e di là cercandomi;
E perchè ov’è di buono, e in abbondanzia
Si mangi, non è alcun che più desideri
D’intervenir di me, vengo in grandissima
Fretta per ritrovarlo a casa: ed eccolo.)
Erostrato.Fammi un piacer, se tu m’ami, Pasifilo.
Pasifilo.Chi v’ama più di me? chi ha desiderio
Più di me di servirvi? Comandatemi.
Erostrato.Va costà un poco in casa di Damonio,
E domanda Dulippo, e digli...
Pasifilo.                                                     Avvisovi,
Che non potrò parlargli, chè gli è1 in carcere.
Erostrato.Come in carcere? e dove?
Pasifilo.                                           In luogo pessimo:
Non più.
Erostrato.               Sáine la causa?
Pasifilo.                                         Non più: bastivi
Aver da me saputo che gli è in carcere.
Io ve n’ho pur troppo detto.
Erostrato.                                               Pasifilo,
Vô che mi dichi il tutto, se mai grazia
Pensi di farmi.
Pasifilo.                         Non vogliate astringermi.
Che tocca a voi saperlo?
Erostrato.                                         Assai, Pasifilo;
Più che non credi.
Pasifilo.                               Ed anco più che credere
Voi non potreste, tocca ad altri starsene
Cheto.
Erostrato.          Cotesta è la fede, Pasifilo,
C’ho in te? l’offerte tue così riescono?
Pasifilo.Digiunato avess’io più tosto, e statomi

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Senza mangiar tutt’oggi intero, ch’esservi
Venuto innanzi.
Erostrato.                         O mel dirai, Pasifilo;
O che farai pensier mai più non mettere
Piè dentro a questa porta.
Pasifilo.                                          Voglio, Erostrato,
Più tosto che la vostra nimicizia,
La general di quanti son gli altri uomini.
Ma se udite novelle che vi increschino,
Vostra colpa.
Erostrato.                      Nïente può rincrescermi
Più che il mal di Dulippo; nè2 il mio proprio.
Pasifilo.Poi che così vi par, dunque diròvvelo.
È stato ritrovato questo povero
Garzon, che con la figlia di Damonio
Si giace.
Erostrato.               Aimè! l’ha saputo Damonio?
Pasifilo.L’ha una fante accusato, e il patron subito
Prender l’ha fatto; e così ancor la balia
Della fanciulla, che n’è consapevole;
Ed ha fatto amendua cacciare in carcere:
In casa sua però; dove, al mio credere,
Faran de’ lor peccati penitenzia.
Erostrato.Va in cucina, Pasifilo, e fa cuocere
E dispor quelle vivande a tuo arbitrio.
Pasifilo.Se voi certo m’aveste fatto judice
De’ savi,3 non mi avreste dato ufizio,
Che fosse più di questo a mio proposito.


SCENA III.

EROSTRATO.


Più tosto che mi sia stato possibile
Ho spinto via costui, perchè le lacrime
Non vegga nè i sospir oda che ascondere
Non pônno gli occhi più nel petto. Ah perfida
Fortuna! quelli mal, che dispensandogli
A parte a parte sarían stati idonei

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A far tutta sua vita un uom miserrimo,
Tutti insieme raccolti in così picciolo
Tempo mi versi in capo! e apparecchiarmisi
Altri veggo infiniti e memorabili.
Tu, il mio patron, che mai quando era giovene
Non si partì da casa, ora in decrepita
Età condotto hai qui fin di Sicilia,
Appunto quando m’era più per nuocere
La giunta sua. Cresciuti e minuitogli
E temperati gli hai gli austri e le boree
E gli altri venti, sì che prima giungere
O di poi non poteva, ma il dì proprio
Che ’l suo venir m’avea da dar più incomodo.
Non ti bastava avermi questa pratica
Messa tra i piedi, s’anco il dì medesimo
Tu non facevi l’amorosa pratica,
Sin qui condotta con tanto silenzio,
Di Polinesta e del padron mio Erostrato,
Scoprirsi insieme? Già due anni passano,
Che l’hai tenuta occulta; e certo a studio,
Per accozzare in un dì infelicissimo
E pôrre insieme tutti questi scandoli.
Che debb’io far? che posso far? ah misero!
Tempo non ho da immaginarmi astuzie.
Troppo è pericoloso ogni ora, ogni attimo
Ch’io differisco soccorrere Erostrato.
Conviêmmi, in somma, ritrovar Filogono,
E, senza alcuna finzïon, la istoria
Tutta narrargli, acciò ch’egli rimedio
Truovi alla vita del figliuolo, e subito;
Che s’egli non ha ajuto, è in gran pericolo.
Così è meglio; così far mi delibero.
Benchè son certo ch’estremo supplicio
N’avrò a patir: ma il grande amor che al giovene
Patrone io porto, per l’infiniti obblighi
Ch’io gli ho, ricercan che con mio grandissimo
Danno salvar la sua vita non dubiti.
Ma che farò? Cercherò io Filogono
Per la terra, o starò in casa aspettandolo
Che qui ritomi? Se mi truova in pubblico,
Veggo che levarà le voci in aria,
Nè patirà ascoltarmi, e farà correre

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Al grido immantinente tutto il popolo.
Sì che meglio è aspettarlo; chè, indugiandosi
Troppo, non mancherà cercarlo all’ultimo.


SCENA IV.

PASIFILO, e detto.


Pasifilo.Cónciali pur, ma a fuoco non si mettano
Fin che non siamo per entrare a tavola.
(Io spero che il convito andrà per ordine;
Ma s’io non ci ero, accadea qualche scandolo.)
Erostrato.Che scandalo4 accadea?
Pasifilo.                                    Volea por Dalio
La lonza5 a un tempo e i tordi in un medesimo
Schidone al fuoco. Sciocco! non considera
Che questa tarda, e quei tosto si cuocono.
Erostrato.Fusse pur il maggior cotesto scandolo!
Pasifilo.E de’ dua mali un ne seguía certissimo:
Se a par di quella i tordi si lasciavano,
Si sarían strutti ed arsi; se levato li
Avesse prima, freddi e dispiacevoli
Saríano stati.
Erostrato.                       Avuto hai buon judicio.
Pasifilo.Anderò in piazza a comperar, parendovi,
Melarance ed ulive; chè mancandoci
Tai cose, nulla varrebbe il convivio.
Erostrato.Nïente mancherà, non ne aver dubbio.


SCENA V.

PASIFILO.


Poi ch’io gli ho detto che Dulippo è in carcere,
Tutto è tornato bizzarro e fantastico:
Tanto martello ha che crepa. Ma abbilo
Quanto si vuole; il cuor gli crepi e l’anima:
Pur ch’io ceni con lui, c’ho da curarmene?

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Ma non è questo che viene in qua, dominus
Cleandrus? bene veniat. Noi porremoli
Il cimier delle corna omnino in capite.
Polinesta per moglie avrà; chè Erostrato,
Per quel che detto gli ho delle buone opere
Di lei, non ha d’averla desiderio.


SCENA VI.

CLEANDRO, FILOGONO, PASIFILO, LIZIO.


Cleandro.Come potrete voi provar che Erostrato
Non sia costui, essendoci contraria
La presunzion, come vedete, pubblica?
E come proverete che Filogono
Siate voi, se quest’altro dice d’essere
Il medesimo, e adduce in testimonio
Quest’altro, ch’ognun crede che sia Erostrato?
Filogono.Io voglio qui constitüirmi in carcere,
E che si mandi súbito a Catanea,
E vi si mandi6 a le mie spese, e facciasi
Dua uomini venire o tre di credito,
Che Dulippo, Filogono ed Erostrato
Cognoschino; e quei dichin se Filogono
Sono io o colui, e così ancor se Erostrato
O pur Dulippo è questo servo perfido.
Pasifilo.(Io lo vô salutar.)
Cleandro.                               Serà lunghissima
Via, e di gran spesa.
Filogono.                                 E sia.
Cleandro.                                             Ma necessaria;
Ch’io non ci so veder altro a proposito.
Pasifilo.Dio vi conservi, padron mio dolcissimo.
Cleandro.A te dia quel che meriti.
Pasifilo.                                          La grazia
Vostra daràmmi, e godere in perpetuo.
Cleandro.Ti darà un laccio che t’impicchi, perfido.
Ghiotto, ribaldo che tu sei.
Pasifilo.                                              Confessovi

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Ch’io son ghiotto; ribaldo no, nè perfido.
Ma non so già perchè mi dite ingiuria,
S’io vi son servitore ed amico ottimo.
Cleandro.Che servitor? che amico?
Pasifilo.                                          Per dio, ditemi
In che v’ho offeso?
Cleandro.                                 Va alle forche; lievati
Di qui.
Pasifilo.            Sempre vi ho auto in riverenzia.
Cleandro.Traditor, io te ne pagarò, renditi
Certo.
Pasifilo.          E che tradimento può imputarmisi?
Cleandro.Te lo farò ben con tuo danno intendere,
Ladro, imbriaco, furfante e brutto asino.
Pasifilo.Non son però vostro schiavo, ch’io tolleri
Che tuttavía mi diciate ignominia.
Cleandro.Porco, ancor hai d’aprir la bocca audacia?
Io ti farò, se Dio mi lascia vivere...
Pasifilo.Quando ho sofferto e sofferto, che diavolo
Mi farete? non ho roba, nè litigo,
Ch’io tema che me la facciate perdere.
Cleandro.Gaglioffo, manigoldo.
Pasifilo.                                    Io mi credo essere
Tant’uom da ben, quanto voi siate.
Cleandro.                                                            Boja, tu
Ne menti per la gola.
Filogono.                                     Ah no; la collera
Non vi trasporti.
Pasifilo.                              Ve’ chi mi vuol battere!
Cleandro.Io ti giungerò a tempo: lascia,...7 e speroti
Far impiccare.
Pasifilo.                         Orsù, non vô contendere
Con esso lui.
Filogono.                      Voi siate8 entrato in collera.
Cleandro.Questo tristo... Ma torniamo al proposito
Nostro: non cessarò, che come merita
Lo tratterò. Seguite pur, narrandomi
Il caso vostro.
Filogono.                        Quietate un po’ l’animo,

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Chè così mi darete mal udienzia.
Cleandro.No, dite pur; v’ascolterò benissimo.
Filogono.Io dico che si mandi uno a Catanea,
E che si faccia...
Cleandro.                              Questo ho inteso; e, al credere
Mio, non si può miglior partito prendere.
Dite che vostro servo è questo giovane?
Fate ch’io sappia in che modo; informatemi
Appieno d’ogni cosa.
Filogono.                                    Informaròvvene.
Al tempo che li Turchi Otranto presero...
Cleandro.Voi mi tornate i miei danni a memoria.
Filogono.Come?
Cleandro.            Chè allora io fui cacciato, misero!
Di quella terra, ch’era la mia patria;
E tanto vi perdei, che sempre povero
Nè sarò ed infelice.
Filogono.                                 D’ogni incomodo
Vostro mi duol.
Cleandro.                            Seguite.
Filogono.                                          In quel medesimo
Tempo fûro alcun’ nostri di Sicilia,
Li quai quel mar con tre galée scorrevano,
Ch’ebbero spia, che di preda ricchissima
Un legno d’Infedel’ tornava carico...
Cleandro.E v’era su del mio forse in gran copia.
Filogono.E alla volta di quello se ne andarono,
E fûr seco alle mani. Al fin lo presero,
E a Palermo, donde erano, tornaronsi
Con esso: e fra le cose che vi avevano,
Ci avean questo ribaldo, che, al mio credere,
Non dovéa ancora alli cinque anni giungere.
Cleandro.Uno, ah misero me! della medesima
Etade vi perdei.
Filogono.                            E ritrovandomi
Io quivi, e assai l’aspetto suo piacendomi,
Proffersi lor venti ducati, ed ebbilo.
Cleandro.Era il fanciullo turco, o pur l’avevano
In Otranto rapito quei Turchi?
Filogono.                                                Eglino,
Ch’era il fanciullo d’Otranto, dicevano.
Ma che ha a far questo? Io lo comprai, e spesivi

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Il mio danajo.
Cleandro.                         Nol dico, Filogono,
Per disputar se valse o no la vendita.
Deh! fosse egli pur9 quel...
Lizio.                                                  Stiam freschi!
Cleandro.                                                                           Ditemi,
Avéa egli nome allor Dulippo?
Lizio.                                                       Abbiatevi
Cura, patron.
Filogono.                         Che ti vuoi tu intromettere?
Dulippo no, ma Carino era il proprio
Nome.
Cleandro.          Carino? o Dio!
Lizio.                                   Sì sì, lasciatevi
Pur trar di bocca ogni cosa.
Cleandro.                                                  Oh Dio ottimo,
S’oggi volesse10 farmi felicissimo!
E perchè il nome gli mutaste proprio?
Filogono.Dulippo detto fu, perchè nel piangere
Sempre chiamar questo nome era solito.
Cleandro.Io son ben certo, che questo è il mio unico
Figliuol, che insieme perdei con la patria;
Carino, ch’avea il nome di suo avolo:
E quel Dulippo, che chiamar fu solito
Quando piangeva, era un de’ miei dimestici,11
Che lo nudriva e che n’avéa custodia.
Lizio.Altrove ancor che nel regno di Napoli,
Si truova Bari:12 in Ferrara trovatolo
Avrai. Costui ti vorrà dare a intendere
Che del tuo servo è padre, per levartelo.
Cleandro.Non dissi mai bugia.
Filogono.                                   Non ci interrompere,
Temerario.
Lizio.                    Ogni cosa vuol principio.
Cleandro.Deh non abbiate, Filogono, un minimo
Sospetto ch’io vi inganni.

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Lizio.                                          Non un minimo
Sospetto n’ha d’aver, ma sì un grandissimo.
Cleandro.Taci tu un poco. Il fanciullo, o Filogono,
Tenéa del nome del padre memoria,
O della madre, o della sua progenie?
Filogono.Si ricordava della madre, ed hallami
Già nominata; ma non l’ho in memoria.
Lizio.Ce l’ho ben io.
Cleandro.                         Dillo tu dunque, Lizio.
Lizio.Non dirò già.
Filogono.                      Dillo, se ’l sai.
Lizio.                                                Saputone
Ha pur troppo da voi: prima che dirglielo,
Mi lascerei scannar. Dovreste accorgervi
Pur ch’egli va a tenton: se lo sa, dicalo
Prima di noi.
Cleandro.                      Cotesto mi fia facile.
La mia moglie e sua madre era Sofronia
Nominata.
Lizio.                 Per dio, gran fatto, essendovi
Insieme già accordati, che egli dettovi
Abbia che nominata era Sofronia!
Cleandro.Non mi bisogna più evidenti indicii;
Chè questo è il mio figliuol senza alcun dubbio,
Che mi fu tolto, già venti anni passano,
E mille volte ho pianto. Dee nell’umero
Sinistro aver un segno rosso, simile
Ad una mora.
Lizio.                        Il segno v’ha: v’avess’egli13
Così...
Cleandro.            Buone parole.14 Ah Lizio, andiamolo
A ritrovare. O fortuna, ben libera-
mente t’assolvo d’ogni antica ingiuria,
Poichè mi fai ritrovare il carissimo
Mio figliuolo.
Filogono.                      Io gli ho tanto men obbligo,
Chè ’l mio ho perduto: e voi, che favorevole
Speravo avere, or veggo che contrario

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Mi sarete e nimico.
Cleandro.                                Andiam, Filogono,
A trovar mio figliuol; chè par che l’animo
Mi dica che trovarete medesima-
mente il vostro.
Filogono.                           Sì, andiamo.
Cleandro.                                                Poichè truovo le
Porte aperte, entraremo a la dimestica.
Lizio.Deh guardate, padron, che in qualche trappola
Non vi meni costui.
Filogono.                                 Quasi, se Erostrato
Perduto avessi, io mi curassi vivere.


SCENA VII.

DAMONIO, PSITERIA.


Damonio.Vien qua, ciancera e temeraria femmina:
Come sapría questa cosa Pasifilo,
Se tu non glie l’avessi fatto intendere?
Psiteria.Messer, non l’ha già da me inteso, e dicovi
Che egli è stato il primo a domandarmene.
Damonio.Tu ne menti, ribalda: ma delibera
Di dire il vero, o che cotesto fradicio
Carcame d’osso in osso io t’abbia a rompere.
Psiteria.Se ritrovate altrimenti, ammazzatemi
Ancora.
Damonio.               E dove ti parlò?
Psiteria.                                           Qui proprio
Nella via, non è un’ora.
Damonio.                                         E che facevi tu
Qui?
Psiteria.          Andava a casa di mona Beritola,
Per veder una mia tela che a tessere
Le ho data.
Damonio.                     E che accadéa così a Pasifilo
Di parlar teco, se tu già, ria femmina,
Non eri prima a cominciar la favola?
Psiteria.Anzi, egli fu che cominciò a riprendermi
E dirmi ingiuria, che a voi questa pratica
Avevo discoperta; e domandandogli
Io donde lo sapéa, mi disse: — Ho uditoti
Quando testè lo dicevi a Damonio;

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Ch’io stava in parte onde potevo intenderti. —
E credo veramente che appiattato si
Era tra il fieno nella stalla.
Damonio.                                             Ah misero
Me! che farò? che farò? ahi lasso! Lievati
Di qui, gaglioffa. Io ti voglio un dì svellere
Dalle radici cotesta maledica
Lingua. Altrettanto mi duol che Pasifilo
Lo sappia. Chi ben confidar desidera
Un suo segreto, lo dica a Pasifilo,
E lasci far a lui: lo saprà il populo
Solamente, e chi ha orecchie: eccettüandone
Questi dua soli, altri non l’ha da intendere.
Or se ne parla per la terra pubblica-
mente. Sarà Cleandro il primo. Erostrato
Il secondo sarà stato ad intenderlo.
Oh bella, oh ricca dote ed onorevole,
Che gli s’è apparecchiata! Quando, misero!
Quando sperar potrò di maritarnela?15
Misero più che la stessa miseria!
Dio buono, fate almen, che non sia favola
Quel ch’ella mi dicéa testè; che ignobile
Non è, come s’ha finto, questo giovene,
E che è figliuol d’un cittadin ricchissimo
E de’ primi che sien nella sua patria.
Quando a gran pezzo nè ricco nè nobile
Fosse come ella dice, pur che povero
Non fusse in tutto o villano, di grazia
Avrei che fosse sua moglie, e faréiglila
Sposare incontinente. Ma mi dubito,
Che per ridurla a suo disegno, finto si
Abbia Dulippo queste ciance. Vogliolo
Esaminare un poco: mi dà l’animo
Che al suo parlar conoscerò se istoria
È questa vera, o finzione e favola.
Ma quel ch’esce di là non è Pasifilo?


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SCENA VIII.

PASIFILO, DAMONIO.


Pasifilo.O Dio! ch’io trovi in casa ora Damonio!
Damonio.(Che vuol da me?)
Pasifilo.                              Ch’io giunga primo a dirglielo.
Damonio.(Che mi vuol dire? Onde vien tanto gaudio,
Che così salta?)
Pasifilo.                            Oh me felice! veggolo
Là nella via.
Damonio.                      Che novella, Pasifilo,
Mi arrechi? D’onde vien tanta letizia?
Pasifilo.Quïete, pace, contento vi annunzio.
Damonio.Ne avrei bisogno.
Pasifilo.                              Io so che di malissima
Voglia sête d’un caso intervenutovi,
Che forse non pensate che notizia
N’abbia. Ma cessi il duol, fate buon animo;
Chè il servitor che v’ha fatto l’ingiuria,
È figliuol di tal uomo che mendarvi la16
Può; nè voi, benchè siate ricco e nobile,
Vi avete da sdegnar che vi sia genero.
Damonio.Che ne sai tu?
Pasifilo.                        Or suo padre Filogono
Di Catanea, che dovete cognoscere
Per fama della sua grande ed amplissima
Ricchezza, è qui arrivato di Sicilia
In casa di questo vicin.
Damonio.                                      Di Erostrato?
Pasifilo.Anzi pur di Dulippo. Ben credevasi
Che questo vicin vostro fusse Erostrato,
E non è; ma colui ch’avete in carcere,
E si facéa nomar Dulippo, Erostrato
Ha nome, ed è il patron. Quest’altro giovene
Scolaro è il servitor; e non Erostrato,
Ma Dulippo si chiama. Così aveano
Tra loro ordito, acciò ch’entrasse Erostrato
In abito di fante alli servizii

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Vostri; e con questo mezzo, con più comodo,
Venisse a fine del suo desiderio.
Damonio.Dunque, falso non è quel che narrato mi
Ha Polinesta?
Pasifilo.                       Dice ella il medesimo?
Damonio.Sì, ma che fosse una ciancia credevomi.
Pasifilo.State sicur che è verità verissima.
Voi vederete ora venir Filogono
Qui a voi, con quel ch’esser vi voléa genero,
Messer Cleandro. Udite un’altra istoria.
Messer Cleandro trova questo giovene
Che s’ha fatto fin qui nomare Erostrato,
Esser figliuolo suo, che con la patria
Insieme già gl’Infedeli gli tolsero;
Poi fu venduto in Sicilia a Filogono,
Che l’ha allevato da fanciullo piccolo.
Nè il più bel caso, nè il più memorabile
Fu mai: se ne farebbe una commedia.
Da lor potrete chiarirvi benissimo,
Che verran qui; nè credo molto indugino.
Damonio.Io voglio da Dulippo, o sia da Erostrato,
Udir appunto tutta questa istoria,
Prima ch’io venga a parlar con Filogono.
Pasifilo.Sarà ben fatto: io dirò lor che tardino
Ancora un poco. Ma veggo che vengono.


SCENA IX.

SANESE, CLEANDRO, FILOGONO.


Sanese.Non accade nè all’un nè all’altro stendervi,
Per far le scuse, in così lungo prologo;
Chè non mi avendo voi fatta altra ingiuria,
Che l’un di darmi una baja piacevole
E farmi il falso per il vero credere;
L’altro di dirmi oltraggio ed ignominia
Con qualche justa causa; non essendoci
Successo peggio che parole, libera-
mente vi perdono: anzi, per dio dicovi,
Ch’io non vorrei ch’altrimenti accadutomi
Fusse; chè questo mi fia têma17 e regola,

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Che un’altra volta io non sarò sì credulo.
E tanto più leggermente passarmene
Debb’io senza disdegno, essendo pratica
D’amore.
Cleandro.                Così è il vero: è ormai superfluo
A dirne più. Vi può, gentiluomo, essere
Caro, oltra quel che voi dite, che v’abbino,
Senza alcun vostro danno, questi gioveni
Così giuntato, chè avrete una fabula
Da poter dir qualche volta a proposito,
Che fia a chi l’udirà grata e piacevole.
E voi crediate che in cielo, o Filogono,
Era così ordinato; chè possibile
Per altra via non era che a notizia
Venissi mai del mio figliuol carissimo.
Filogono.Credo che sia così, nè che una minima
Foglia qua giù si muova, senza l’ordine
Di Dio.18 Ma andiamo a ritrovar Damonio,
Ch’ogni momento mi par un lunghissimo
Anno, che a ritrovar tardo il mio Erostrato.
Cleandro.Andiam noi. Gentiluom, meglio è tornarvene,
E tu, Carino, in casa; chè non debbono
Tai cose esser trattate dal principio,
Al mio parer, con tanti testimonii.


SCENA X.

PASIFILO, CLEANDRO.


Pasifilo.Messer Cleandro, non debbo aver grazia
Che mi diciate ove v’ho fatto ingiuria?
Cleandro.Pasifilo mio caro, io son chiarissimo
Che quello che t’ho detto, te l’ho indebita-
mente detto: ma avere in causa propria
Dato fede e credenzia a un testimonio
Che di ragion non ci dovéa aver credito,
M’ha fatto in questo fallo teco incorrere.
Pasifilo.Mi piace che non sia dalla malizia
La ragion tutta oppressa. Pur sì facile,
Per dio, non dovevate essere a credere,

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E darmi tanto obbrobrio e tanto incarico.
Cleandro.Non più: tu hai ragione, il mio Pasifilo:
Son tuo, come fui sempre; ed accennandomi,
Son per farti veder la sperïenzia.
Per otto dì t’invito alla mia tavola.
Ma ecco che di casa esce Damonio.


SCENA XI.

CLEANDRO, FILOGONO, DAMONIO,

EROSTRATO vero, PASIFILO.


Cleandro.Veniamo a voi per rivoltarvi in gaudio,
Damonio, la mestizia la qual debita-
mente pensiamo che vi debba affliggere,
Del caso occorso; per certo dicendovi
Che quel servitor vostro, che da giovene
Imprudente v’ha offeso, vi può amplissima-
mente emendare ogni danno, ogni carico
Che v’abbia fatto: perchè questo nobile
Uomo è suo padre, nomato Filogono
Di Catanea; di sangue e di progenie
Non inferiore a voi; ma ben di rendite,
Di possession, di danari e di traffichi
Molto superïor, come per pubblica
Fama dovete aver chiara notizia.
Filogono.Ed io, presente19 questi gentiluomini,
Vi profferisco mio figliuol per genero:
E se per emendar la vostra ingiuria
Altra cosa far posso, comandatemi,
Che mi ci trovarete paratissimo.
Cleandro.Ed io, che vostra figlia in matrimonio
Vi domandavo, di voi contenissimo
Resto, quando la diate a questo giovene;
Al qual, e per l’etade e pel grandissimo
Amor che insieme s’han portato e portano,
Sarà moglie più giusta e più legittima.
Io che moglie volea per farmi nascere

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Erede, non ne ho più nè desiderio
Nè bisogno; quando oggi il mio carissimo
Figliuol, che nella presa della patria
Avea perduto, ho trovato, Dio grazia:
Come più ad agio poi vi farò intendere.
Damonio.Il parentado vostro e l’amicizia,
Per molte condizion che in voi si truovano,
Non men desiderar debb’io, Filogono,
Che voi la mia. Così con sincero animo
L’accetto, e sopra a quante me ne fusseno
Offerte mai, o ch’io cercate abbia, essere
Mi dee grata. Il figliuol vostro per genero
E per figliuolo voglio; e voi, Filogono,
Per ottimo parente e onorandissimo.
E tanto più di ciò mi gode l’animo,
Quanto che voi, messer Cleandro, veggone
Rimaner satisfatto: e appresso piacemi
E m’allegro con voi del vostro gaudio,
Di che informato appieno m’ha Pasifilo.
Eccovi il vostro figliuolo e mio genero;
E questa è vostra nuora!
Erostrato.                                          O mio padre!
Pasifilo.                                                               Eccovi
Quanto sono a’ figliuoli i padri teneri!
Per soverchia letizia non può esprimere
Pur una sola parola Filogono,
Ed in quel cambio singhiottisce20 e lacrima.
Ma che volete voi qui far in pubblico?
Andiamo in casa.
Damonio.                            Ben dice Pasifilo:
Andiamo in casa, e starem con più comodo.


SCENA XII.

NEVOLA, DAMONIO, PASIFILO.


Nevola.Ho portato, padrone, i ferri.
Damonio.                                                Portali
Via.

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Nevola.Che n’ho a far?
Pasifilo.                              Che21 quanto è lungo il manico,
Tu te li chiavi, ben m’intendi, Nevola.
Brigata, addio. Siate contenti, essendovi
La fabula piaciuta de i Suppositi,
Farci alcun segno che lo possiam credere.




Note

  1. Ant. stamp.: che l’è.
  2. ' qui ha forza di neanche. — (Tortoli.)
  3. Vedi la nota al luogo corrispondente della Commedia in prosa (p. 102).
  4. Avvertiamo che così trovasi a questo luogo nella ediz. del Giolito; come negli altri due più vicini è scandolo.
  5. Sono le parole medesime del corrispondente passo della Commedia in prosa; e può rivedersi la nota a ciò relativa (p. 84).
  6. Ant. stamp., con difetto nella misura del verso: E che mandi. La vera lezione è forse: E che si mandi.
  7. Poniamo il segno di reticenza, per far luogo all’interpretazione proposta dal più recente fra i commentatori, cioè: lascia fare, o lascia fare a me.
  8. Siate per Siete, come sì spesso negli autori fiorentini.
  9. Manca pur nelle antiche stampe.
  10. I Barotti ed altri: voleste.
  11. Ecco un esempio di più della voce dimestico nel senso di Servitore.
  12. Crediamo qui pure essersi voluto equivocare tra Bari città, e bari plurale di baro, o barattiere. Parla quel servo medesimo che avea prima supposto potervi essere più d’una Sicilia, d’una Catania e d’una Ferrara (att. IV, sc. 4). E vedi il luogo corrispondente della Commedia in prosa.
  13. Così in tutte le stampe; ed è da leggersi come se fosse unito in una sola parola, avéssegli. Caso, o trasformazione simile a quella del ver. 3, sc. 8 dell’atto IV; ed altre.
  14. Vedi la nota a pag. 107.
  15. Manca questo verso nell’edizione del Pitteri, e in tutte quelle ch’ei dice d’aver riscontrate. Ma il senso (ove egli pure senti mancanza) lo richiede: l’edizione del Pezzana ce lo presenta; e vi è conforme questo passo della Commedia già scritta in prosa dall’autore: O che dote se le apparecchia! Quando la mariterò io mai più? Misero me più che la miseria istessa veramente!. — (Molini.) — Questo verso, giusta le apparenze, fu fabbricato, ma non certo infelicemente, dallo stesso Pezzana.
  16. Nell’edizione del Giolito, per errore: mandarvila; ma più giustamente il Bortoli: emendarvi la.
  17. Esempio. Il Monti fe già osservare una simile significazione nel Furioso, canto XXXVII, st. 54.
  18. Vedi la nota 2 a pag. 110.
  19. Così leggono il Giolito, il Bortoli ed anche il Pezzana. Molti esempi ha il Vocabolario da confermare quest’uso di Presente colla forza d’avverbio o di preposizione (nel qual caso vedrebbesi qui costruito ancora con l’accusativo); ma il più conforme all’uopo sarà quello delle Giunte Veronesi, Vit. S. Gir. 76: «Essendovi presente molti di quella maladetta setta.»
  20. Dal verbo, oggi antico, Singhiottire; che riferisce l’una delle due desinenze usate dai latini, cioè singultire. Così porta la sola edizione del Giolito: in tutte le altre questo verso leggesi: «Ed in quel cambio singhiozzando lagrima.»
  21. Il Pezzana, ma solo fra quelli che lui non copiarono: Vo’.