I bambini delle diverse nazioni/I bambini della Russia e della Polonia

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I bambini della Russia e della Polonia

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I bambini della Russia e della Polonia
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I BAMBINI DELLA RUSSIA E DELLA POLONIA



               Vieni, primavera, o dolce primavera,
               Vieni con la speranza e vieni con i tesori,
               Vieni con il tuo lino ondato e porta
               Grano in abbondanza, balli e piaceri.

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uesta nenia è cantata dalle madri russe mentre cullano i propri bambini per addormentarli, e pensano con gioia che il lungo e freddo inverno sta per dare il posto alla ridente estate.

Anche i bambini si rallegrano e corrono fuori di casa alle prime piogge, e ballano, e ridono e cantano. Dopo i ghiacci dell’inverno, la pioggia, messaggera della primavera, è salutata con gioia.

In alcuni luoghi le fanciulle si radunano in riva ai fiumi quando i ghiacci si rompono, e con le mani giunte, fanno un movimento cadenzato, pregando la primavera di non ritardare la sua venuta. Il primo giorno di maggio, bambini e genitori vanno nei boschi, vagando lungamente, e riportano a casa i giovani germogli delle piante e i giovani fiori. [p. 60 modifica]

La primavera, in Russia, è breve, brevissima. Nei tempi lontani essa non era neppur classificata fra le stagioni. Viene improvvisamente e non ha tempo neppure di destare le piante dal lungo sonno invernale, nè di vedere i fiorellini spuntare fra l’erba dei pirati e sulle sponde dei ruscelli. Sparisce improvvisamente come è venuta, senza rivedere il cuculo, la lodola e la rondine. Nei giorni consueti, riappariscono tutti quei cari uccellini, riappariscono reduci dal paradiso, come dice la leggenda, portando con sè il calore.

Ogni stagione ha le sue canzoni. Dopo che i bambini hanno cantato le lodi della primavera, danno la benvenuta alla estate, con le lunghe e calde giornate, durante la quale, nel settentrione della Russia, il sole resta quasi sempre sull’orizzonte. Poi cantano l’autunno e l’inverno, ma quei canti sono malinconici, sono lamenti per la partenza degli uccelli, per la caduta delle foglie e per la morte dei fiori; sono canzoni di bambini smarriti nella neve, sbranati dagli orsi, o divorati dai lupi affamati.

I bambini dei ricchi in Russia, sono educati con molto lusso e vivono in case bellissime. I figli dei nobili vanno raramente a scuola; sono invece istruiti da precettori o governanti. Tanto i precettori quanto le governanti vengono di Francia, di Germania o di Inghilterra, e i bambini, che sentono parlare quelle lingue fino dalla loro infanzia, le imparano generalmente con molta facilità. Finchè sono piccoli, i bambini dei signori, e specialmente i maschi, sono molto graziosi e vestiti pittorescamente. I caftans di stoffa persiana ricamata, o di panno di Circassia, sono legati alla vita da fusciacche bellissime, nelle quali sono infilati piccoli pugnali dalle tre else, e berretti e turbanti di ogni forma o colore coprono le testoline ricciute dei [p. 61 modifica]signorini russi, i quali portano stivali alti, con rivolte rosse e bianche e con piccoli sproni d’oro.

Le bambine, nelle città, sono vestite alla foggia parigina, ma in campagna molte portano il costume nazionale.

I bambini non rimangono lungamente bambini in Russia. Presto prendono l’aspetto di piccoli signori o signore. I ragazzi indossano l’uniforme o entrano nei collegi militari e doventano paggi imperiali; le bambine, crescendo in case eleganti dove si riceve molta gente, imparano troppo presto a preferire le conversazioni alle bambole, e sanno già fare gli onori di casa, quando le bambine degli altri paesi saltano e giuocano spensieratamente.

È vero che adesso anche le figlie e i figli delle famiglie signorili, sono educati con più severità che una volta, e molti fanno a gara con i figli dei mercanti e degli impiegati nelle scuole, nei licei e nelle università per fare onore al proprio paese.

Generalmente i bambini russi sono gentili e cortesi; forse troppo calmi in confronto dei bambini di altre nazioni. Imparano a esser cortesi e ospitalieri dai loro genitori, i quali credono di essere in dovere verso tutti quelli che hanno diviso con essi il pane e il sale, che sta pronto per ogni ospite in una coppa d’argento nell’ingresso della casa. Questa cortesia e ospitalità non è dimostrata dai russi altro che verso i loro simili. I domestici, il tchornï narod (popolo nero) sono trattati diversamente. Al tempo della servitù, le persone che nascevano in quella disgraziata condizione, erano battute e maltrattate.

Il piccolo Iwan, che nasce ora libero, menerà certo una vita migliore di quella che hanno menata il suo babbo e il suo nonno, i quali dipendevano interamente dai capricci del padrone, e quando si ribellavano, venivano mandati in Siberia. [p. 62 modifica]

Il muschik (contadino) costruisce da sè l’izba (capanna) e il solo strumento che adopera è l’ascia. L’izba è fatta di tronchi d’albero; gli interstizii sono colmati con foglie secche e terra; il pavimento è formato di concime e terra mescolati insieme, e all’esterno della izba, addossata alle pareti, c’è una grande quantità di terra, per impedire che il freddo penetri dentro. La capanna è riscaldata da una grandissima stufa, sulla quale dormono gli adulti. I bambini sono coricati nelle hamacs sospese alle travi intorno alla stufa, o sono distesi su delle panche al muro, quando la famiglia è numerosa.

Ma è difficile che una famiglia di muschick sia numerosa, specialmente dacchè è cessato l’uso che ogni «razza» viva insieme in due o tre izba nello stesso dvor (cortile). La parola «razza» indica tutti quelli che hanno legami di parentela fra loro, come padre, madre, nonni, avoli, zii, zie, cugini. Tutti vivono in modo patriarcale sotto la dipendenza di un vecchio, che è spesso l’avolo. Egli governa la sua famiglia con molta abilità, aiutandosi col bastone.

Il piccolo Iwan è ancora sporco. Deve assuefarsi a tollerare il freddo e le privazioni di ogni specie. Quella educazione incomincia presto, e spesso è la sola che gli vien data, perchè vi sono poche scuole rurali, e il contadinello ha raramente occasione di imparare a leggere e scrivere.

La sua educazione principale è simile a quella che si dava in antico ai piccoli spartani. Dopo che il pope (prete) del villaggio l’ha battezzato immergendolo tre volte nell’acqua e ripetendo una specie di formula per scacciare lo spirito maligno, il piccolo Iwan passa la sua infanzia, ad eccezione delle brevi estati, nella atmosfera caldissima e malsana della sudicia izba, coperto d’insetti d’ogni specie, [p. 63 modifica]oppure fuori a tremare nella neve, con un freddo così forte, che fa gelare le provvisioni; e il denaro e i metalli, se si toccano, bruciano e portano via la pelle, come se fossero roventi.

L’izba ha, in generale, un camino o un foro per fare uscire il fumo, ma molti lo turano per aver più caldo, e Izba russa una piccola finestra spesso coperta di pelle di pesce. Ma per quanto sia povera e sporca l’izba russa, non raggiunge mai la povertà e il sudiciume delle izbe dei contadini polacchi, specialmente se sono ebrei, perchè gli ebrei in Polonia, sono diversi da quelli che vivono nelle altre contrade d’Europa. In quelle izbe manca il camino, manca la finestra, e manca pure spesso il focolare. [p. 64 modifica]

Naturalmente alcune capanne sono più pulite delle altre, secondo l’indole delle famiglie che le abitano. L’izba riprodotta nella illustrazione che va unita a quest’articolo, nonostante la sua grande semplicità, nonostante che vi stieno ragazzi e polli, ha una certa aria di benessere, e il trogolo da lavare, collocato accanto all’uscio, indica nella madre di famiglia una certa tendenza alla pulizia.

Quando il muschik sta bene, la sua izba rivela una certa pretensione alla comodità. Allora nell’izba ci sono due finestre e un vecchio scenario ad una delle estremità della stanza, nasconde appena un vecchio canapè che somiglia a un letto. Allora ci sono pure ceste o casse dipinte contenenti i tesori della famiglia, come vestiti e denaro, ma sugli scuri tronchi d’albero che tengono luogo di muro, non c’è traccia di pialla nè di pennello, e degli eserciti interi di grossi ragni e di tarakans (scarafaggi neri) vi passeggiano tranquillamente in ogni direzione.

Iwan non fa attenzione nè ai ragni nè ai tarakans; forse li crede necessari all’esistenza; non si cura neppure del bastone. Difatti, c’è un proverbio russo che dice: «Il ragazzo o l’uomo che è stato ben bastonato vale quanto due che non sono stati mai bastonati» e ce n’è un altro che dice: «Non ci sono che i padroni pigri che non battono i loro servi.»

Il piccolo muschik è molto pulito — una volta la settimana. La religione russa vuole che ogni seguace suo faccia il bagno una volta la settimana, e questa prescrizione è generalmente osservata. Però, fra settimana, non si lava mai e dorme vestito.

Il bagno del piccolo Iwan sarebbe un vero tormento per un bambino italiano. Prima è messo in un buco sotto la stufa in uno dei bagni a vapore costruiti rozzamente nei [p. 65 modifica]villaggi russi; e vi rimane finchè non è mezzo soffocato dal caldo. Allora salta fuori e la madre lo inonda con paioli d’acqua bollente; poi gli getta addosso dell’acqua gelata, oppure lo manda fuori a rotolarsi nella neve. Dopo, il piccolo Iwan si veste, tutto altero, e per una settimana si crede pulito. Un suonatore ambulante sulla porta dell’Izba

Dal nobile al contadino, tutti i russi sono ambiziosissimi di portare stivali alti. Si narra di un ministro polacco, il quale non li portava mai più di due volte e poi li appendeva in una bella sala per mostrarli ai suoi amici. Un viaggiatore di un altro paese, che aveva appunto [p. 66 modifica]traversata la Polonia, esclamò, vedendoli: «Ora capisco perchè i contadini polacchi vanno scalzi; tutti i loro stivali sono stati requisiti per il ministro!»

Benchè i polacchi sieno poverissimi, pure passano le lunghe serate invernali ballando, e nell’estate cantano. Siccome in Russia, la musica, specialmente se è dolce e malinconica, esercita una grande influenza su tutti, così non v’è cantatore ambulante che non abbia un numeroso uditorio. Egli suole posare in terra cappello e bastone e sedersi su una panca rozza vicino all’izba. Il contadino corre sulla porta ad ascoltarlo, le ragazze restano incantate con le secchie in mano e dimenticano di attinger l’acqua al pozzo; i vicini si aggruppano, i lontani accorrono a sentirlo, e il vecchio è sicuro, di avere un bicchiere di quass, un pezzo di pan nero e asilo per la notte.

L’inverno è una stagione terribile per il povero muschik. I bambini ricchi non sentono il freddo nelle case bene scaldate, con le doppie finestre, nè quando escono imbacuccati nelle loro pelliccie. Il cibo stesso, abbondante e sostanzioso, mantiene in attività il sangue e impedisce loro di soffrire del rigore della stagione. A proposito del cibo, vi dirò che i bambini russi, alzandosi da tavola, sogliono baciar la mano ai genitori per ringraziarli.

Il Samowar, la grande macchina da thè, scaldata a carbone, si trova in tutte le famiglie russe. Il thè lo chiamano tchaï, parola che deriva dal chinese, ed è probabile che il thè fosse importato in Russia direttamente dalla China.

Il povero muschik crede di riscaldarsi bevendo molto vodni (acquavite) ma invece con quel mezzo gela più presto.

Per passare meno tristamente le lunghe serate invernali, le fanciulle e i bambini dei villaggi si riuniscono nella più grande izba e lì filano accanto e narrano fiabe. [p. 67 modifica]

Vi convengono pure spesso ragazze e giovinotti, e allora tutti ballano al suono della balalaika (il liuto russo). Le loro canzoni sono tutte malinconiche, piene di superstizioni, di speranze, di paure, ma hanno in sè molta poesia.

Mentre cantano le canzoni, che appunto per la loro malinconia furono chiamate le lagrime della Russia, la coppa con il quass (che è una birra fatta con farina d’orzo, sale e miele) gira fra i presenti. Se poi ricorre l’onomastico di un bambino o di una bambina, danno pure il börsch che è la loro pietanza prediletta, fatta di carne di manzo, cavolo inacidito e barbabietola, e dopo, al lume di una loutchines (torcia di legno resinoso) ballano una delle loro graziose danze nazionali, come la tressaka o la polka, o la roosrala accompagnata da graziosi movimenti delle braccia, o il korowad.

Questa ultima danza è più bella e pittoresca quando è fatta all’aria aperta, nelle serate d’estate. I giovani formano un cerchio, si prendono per le mani e cantano canzoni nazionali. Due ragazzi o giovanotti entrano nel cerchio e accompagnano il canto con gesti e movimenti espressivi, poi scelgono due compagni con i quali eseguiscono diverse figure graziosissime. Allora le ragazze gettano i fazzoletti sulle teste dei ballerini e li fanno prigionieri e ballano esse per ultime. Dopo il ballo tutti tornano a casa e in quel ritorno accadono spesso terribili sventure. Spesso le comitive gelano per la strada andando da una izba all’altra. Talvolta sorprese da una bufera di neve, smarriscono la via e dopo aver girato per ore e ore si ritrovano allo stesso posto da cui mossero. I bambini cadono nella neve sorpresi dalla letargia che precede la morte. Spesso hanno le orecchie e il naso gelati di giorno. Se Iwan Iwanovitch vede Dmitri Dmitrovich col naso paonazzo, gli corre [p. 68 modifica]incontro con una manciata di neve e glielo strofina più forte che può, ma di notte Dmitri, figlio di Dmitri, non può vedere se il naso d’Iwan, figlio d’Iwan doventa paonazzo; può soltanto aver cura del suo.

Prima di terminare bisogna che parli delle feste e delle solennità che procurano tanta gioia ai piccoli russi.

Queste feste e solennità incominciano nella settimana di Pasqua quando i rami del salcio sono tuffati, nell’acqua benedetta e il pope tocca con essi i fedeli esclamando: «Iddio vi benedica e vi accordi la salute!» Questa cerimonia si fa la domenica delle Palme; quella seguente è «Pascha» o Pasqua. Dopo questa festa vien quella da russalki o ninfe dei fiumi, che rammentano le Loreley di Germania, dopo una festa per commemorare la nascita di San Giovanni Battista, che il popolo chiama «Iwan Kupalo» perchè cade nella stesso giorno in cui in antico si festeggiava il Dio delle mietiture. In seguito viene «Petrowsko» una specie di festa della mietitura. In quel giorno, prima che comincino le funzioni nella chiesa, che è l’edificio centrale di ogni villaggio russo, è scannato un bue; dopo le funzioni è mangiato. La sera i bambini si mascherano.

Dopo viene Jujew (San Giorgio) che si festeggia due volte all’anno, il 23 aprile e il 26 novembre.

Sarebbe troppo lungo il menzionare tutte le feste e solennità, che si celebrano nel vasto impero di Russia, e descrivere le feste dei villaggi con quel miscuglio di costumi e usi orientali e barbari: la tiara che portano in capo alcune fanciulle e l’ordinario fazzoletto rosso chiazzato di giallo, che altre portano legato intorno alla testa, e i libri di preghiera, e le ricche immagini sacre e tutto ciò che caratterizza quel paese così diverso dal resto di Europa. [p. 69 modifica]

Basterà che accenni al swjatki, un’epoca dell’anno dedicata alle negromanzie ed alle superstizioni, che cade insieme con la nostra settimana di Natale, lasserà di Wassili, che è l’ultima sera dell’anno, e finalmente la Masslianitza (carnevale russo o settimana del burro) con la quale terminano tutte le feste invernali.

A Pietroburgo specialmente si fanno molti preparativi per quella festa. La città è piena di giocolieri ambulanti, di teatri, di serragli di bestie feroci. Uomini vestiti da contadini con grandi barbe bigie posticcie fanno di tutto per divertire l’uditorio narrando storie curiose, e facendo gesti e giuochi.

In quella occasione ogni bimbo russo mangia il blini, che è fatto di fior di farina, burro e crema. Senza il blini la settimana del burro non sarebbe completa. I ricchi vi stendono sopra il caviale, i poveri burro o crema acida, ma nessuno ne fa a meno, come in Italia, per Natale, non si fa a meno del panettone o del panforte.