I rossi e i neri/Primo volume/XXVIII

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XXVIII

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XXVIII.

Nel quale si conosce il buon cuore di Enrico Pietrasanta, e della marchesa Maddalena

Giova alla nostra vanità di narratori sperare che il cortese lettore non s’infastidisca di tutte queste minute scavazioni psicologiche. Son cose verissime, e noi, giusta il consueto, vogliamo narrarle per filo e per segno, come le abbiamo notate, rammentando le più sottili e riposte cagioni d’ogni atto, e facendo, stiamo per dire, la diagnosi di quella malattia che s’era appiccicata al cuore del nostro amico Aloise.

Lasciata la marchesa Ginevra nel salotto, dove le si era rifatto intorno un crocchio di cortigiani, Aloise si allontanò, per ritornare nella galleria che aveva già accolto i suoi malinconici soliloqui. Ma in quella che stava per uscire dal salotto, s’abbattè nel Pietrasanta, il quale gli pose una mano sul petto, come avrebbe fatto un solerte carabiniere al malandrino, del quale fosse per l’appunto andato in traccia.

- Orbene, Aloise, che c’è? che cos’hai? La domanda non era inopportuna, dappoichè il giovane appariva cupo e con gli occhi stravolti.

- Ho.... - rispose egli, - ho tal cosa che ti prego a non chiedermi qual sia.

- Così parli ad un amico, Aloise? Tu hai un dispiacere, ed io devo saperlo.

- E quando lo sapessi?

- Diamine! Lo terrei in corpo, e cercherei intanto di darti un buon consiglio. Suvvia, Aloise, non stiamo qui ad armeggiare di sentenze, come due personaggi da tragedia. Sei tutto scombuiato nel viso, ed io voglio saperne il perchè.

- Ma che cosa credi ch’io abbia? - disse Aloise, schernendosi. [p. 246 modifica]

- Vieni laggiù in quella galleria, dove io t’ho veduto già entrare due volte, e ti dirò quello che penso de’ fatti tuoi. -

Aloise lo seguì, sebbene a malincuore. Come furono giunti (e non fu cosa agevole pel Pietrasanta, il quale ebbe a fare il viso ilare per due, correndo in mezzo alle brigate colla mano dell’amico sotto il braccio), il dialogo ricominciò.

- Eccoti dunque quello che penso. Sei innamorato.

- Io? - esclamò Aloise, scuotendo il capo in atto d’impazienza.

- Sì, tu, innamorato! E non mi crollar le spalle, come se io fossi le mille miglia discosto dal vero. Hai ballato colla Ginevra in modo da farla cadere almeno una dozzina di volte.

- Orbene, e che inferisci da ciò?

- La più naturale delle conseguenze. Vedi, Aloise; io ho ragionato di questa conformità: Il mio amico non è un bambino a cui occorrano le dande e il carruccio per star ritto in piedi, e il suo maestro di ballo non gli ha rubato i denari. Basti sapere che dianzi colla Maddalena Torralba s’è fatto il nome di ballerino esercitato e valente: pregio che, a dirla di passata, conduce molto innanzi nelle buone grazie del sesso debole. Anche la Ginevra balla a modo, e sto per dire meglio della Torralba, la quale in fin de’ conti tira sempre in ballo il suo capogiro, quando si tratti di ballare il valzer. O come mai Aloise, che era così destro colla Maddalena, mi diventa colla Ginevra un pulcino nella stoppia? Perchè, sappilo, Aloise, tu non andavi nemmeno in tempo; e per questo ti posi gli occhi addosso. Avevi il viso smorto come un moribondo, le membra aggranchiate.... Insomma mi avevi aria di un collegiale, e il parer tale soltanto allora, mi ha dimostrato che fiamma t’avesse accesa nel cuore la marchesa Ginevra. Ed ora che cosa fai? Il tuo atteggiamento non mi dice egli forse che ho colto nel segno? -

Aloise, durante il discorso dell’amico, non aveva detto parola, nè fatto un gesto che accennasse a diniego. Era in quella vece andato a sedersi, o, per dir meglio, era caduto sopra un divano, rimanendo mezzo arrovesciato, come una nave che mostri il fianco scoperto, con un braccio penzoloni, il capo chino e gli occhi sbarrati che guardavano il pavimento.

- Orbene, - proseguì il Pietrasanta, sedendosi a fianco dell’amico e pigliandolo amorevolmente per mano, - orbene, [p. 247 modifica]Aloise, io ti compiango. È una sirena, costei, che ne ha già adescati di molti, quantunque senza volerlo, e soprattutto senza curarsene più che tanto. Non è una lusinghiera, e guai a chi togliesse i suoi sorrisi, le sue cortesi parole, per una dolce promessa, o per un invito a farsi avanti. Ella è più facilmente da paragonarsi ad una di quelle fortezze, cinte tutt’intorno di verzura, che ti sembra di poter salire dolcemente fino alle cannoniere; ma non è che un errore di prospettiva, e giunto sul ciglione dello spaldo, trovi quaranta metri di fosso, a dir poco. Però mi duole di te, Aloise, mi duole di te, che, vedutala appena, hai perduto il cervello.

- No, Enrico; t’inganni! - rispose finalmente, con accento malinconico, Aloise di Montalto; - non è stato un errore di prospettiva, come tu dici, nè fresco di questa sera, il mio! Già da lunga pezza ero preso.

- E da quando, ch’io non ne ho saputo mai nulla?

- Da sei anni. -

Aloise non poteva più nascondere cosa alcuna al Pietrasanta, poichè questi aveva indovinata la cagione del suo dolore. Nè il Pietrasanta era di quei tali amici da dozzina, i quali non sono degni che si confidi loro un segreto. Innocente segreto, alla perfine, quello di Aloise, che amava Ginevra da sei anni, e le si avvicinava quella sera per la prima volta.

- Da sei anni? e come mai? - esclamò stupefatto il Pietrasanta. - Appunto da sei anni è maritata.

- Sì; - rispose Aloise; - e il tuo povero amico è da quel tempo innamorato. L’ho amata fin dal primo giorno che l’ho veduta. Destino! Vederla e sentir la ferita nel cuore, fu un punto solo. Da quel giorno ho imparato a tacere, a tener segreti i miei patimenti. Credi tu forse, Enrico, che non mi avesse a dolere di nasconderli a te, al migliore de’ miei amici? Dapprima sperai che fosse una cosa da nulla, una passioncella fugace, come tante altre che ti colgono a diciott’anni, e, dopo aver chiuso gli occhi piangendo, ti svegli un bel mattino risanato del tutto. Ma che? era in quella vece un amore sterminato, che vinceva il tempo e la lontananza, e, tacente per lunga pezza nel profondo del cuore, si rifaceva più forte al ricomparire di quella divina bellezza; un amore, insomma, che io, pauroso, ho tentato di spegnere nella solitudine, che tuttavia si è nutrito di sè medesimo, ed è cresciuto tanto da soggiogarmi.

- Ed ella? [p. 248 modifica]

- Ella non si è mai avveduta di nulla. Tu sai che ha sempre fuggite le occasioni di venire in questi ritrovi di gente, a tal segno che tu spesso m’hai accusato di umor nero, di misantropia e che so io. Ora tu intendi il perchè. Era come un’avversione, una riluttanza ad imbattermi in quella donna, che stava in cima a tutti i miei pensieri. Perchè, dicevo tra me, perchè andrei ad accrescere la schiera de’ suoi corteggiatori? Che cosa posso io sperare, io, scarso di que’ pregi che fanno risaltare un uomo al cospetto della donna amata? O non si prenderà giuoco costei di un amore che, quanto più è forte, riesce altrettanto più impacciato e ridicolo? Infine, che ti dirò di più? Mi rattenevano tante altre ragioni, che io medesimo non ho indagate in tutti i loro rigiri, in tutte le loro sottigliezze. Tu stesso, Enrico, rammenterai che mi ero ostinato a non volerla guardare, quando ella comparve per la prima volta in teatro, e tutto il pubblico della platea s’era rivolta a contemplarla.

- Sì, perdio, mi ricordo! Non si vedeva altro che la tua bionda cuticagna superbamente voltata contro il palchetto della bella Ginevra. Mi pare di vederti, ritto e duro come un piuolo, poco lontano dal palchetto, senza voler mai piegare d’un punto a destra o a manca, in quella che tutti, intorno a te, davano le spalle alla scena, e gli amici non rifinivano dal dirti: ma guarda Aloise, che viso stupendo! guarda che occhi splendidi, e che spalle meravigliose! E tu, duro, peggio di sant’Antonio.... quello delle tentazioni, s’intende. Oh Aloise! Come fingevi!...

- Sì; vedi come so fingere adesso! -

Il Pietrasanta non disse verbo, rispettando il dolore di Aloise. Questi, intanto, la cui mente proseguiva a fantasticare, ripigliò spontaneamente il discorso, rispondendo a un rimprovero che il Pietrasanta non gli aveva neppur fatto, ma che egli sentiva in cuor suo di aver meritato.

- Scusami, - disse dunque Aloise, - io non credo che l’amore sia una canzoncina, come nelle opere in musica, da doverla schiccherare ad una moltitudine di spettatori, attenti e disattenti. È uomo dappoco chi non sa tenersi in corpo la sua malinconia. Senonchè, giunti una volta alle strette, non è più dato nascondere i propri mali ad un amico provato....

- Sei dunque contento che io t’abbia letto nel cuore?

- Sì, perchè tu non vorrai rider di me.

- Figurati se ne ho voglia! Ma che cosa intendi ora di fare? [p. 249 modifica]

- Lo so io, forse? - esclamò il Montalto, levandosi da sedere. - Amo fieramente questa donna; e, vedi maledizione, sono impacciato accanto a lei, contegnoso, freddo come un pezzo di marmo. Come se ciò non bastasse, debbo per cortesia stare mezz’ora accanto alla Torralba, ballar due volte di fila con lei, quasi che io fossi venuto per la marchesa Maddalena. E questo, se pure s’è curata un tratto de’ fatti miei, questo avrà potuto pensare la marchesa Ginevra.

- A dirti il vero, Aloise, sulle prime l’ho pensato ancor io. Mi pareva una corte in formis et modis.

- To’, vedi? Pure non c’era ombra di vero. Ma che cosa avrà ella creduto di me, che, avvicinandomi a lei per la prima volta, non so dirle quattro parole, e non ho disinvoltura, nè grazia, fuorchè accanto ad un’altra?

- Sì, questi sono pur troppo i contrassegni dell’amore; sebbene io penso che la natura avrebbe fatto meglio a darcelo senza tanti fastidii. E il peggio è che la donna, quando ci abbia il cuore tranquillo, non bada alla eloquenza delle nostre contraddizioni. Dico nostre, così per dire, che in quanto a me, soglio amare con parsimonia, tanto da non perder mai la tramontana.

- Il che vuol dire non amar punto; - interruppe Aloise.

- Come ti garba, ma essere amati di più. Vedi tu il bel guadagno che hai fatto a perderti d’animo. E nota che a correr diritto ci avevi proprio trovata la strada fatta!

- O come? che vuoi dir tu?

- Che eri stato cercato e pregato. Il marchese Antoniotto che t’invita, e mi raccomanda di farti venire ad ogni costo, perchè t’ha in grandissima stima ed è stato amico stretto di tuo padre, lo dimentichi tu? Sulle prime io non ci avevo badato, a questa novità del tiranno di Quinto; ma poi mi è tornata a mente quando l’ho veduto usarti tante cortesie e farti tanti salamelecchi sull’uscio. Eri nato vestito, Aloise, e non hai saputo agguantar la fortuna. -

Aloise non rispondeva nulla, e si poteva credere che non ascoltasse già più le parole del Pietrasanta.

- Ma vedi, - proseguì, - che sto qui a farti il predicozzo, come se dovesse giovare a qualcosa! Ora è fatta; sei innamorato cotto, e non c’è verso di uscirne. Mio povero Aloise, che farai tu?

- Che fare? Non lo so. Mettendo l’animo ad una cosa, non ho mai badato al bene o al male che me ne potesse derivare, nè pensato quello che avrei fatto il giorno appresso. [p. 250 modifica]

Una sola cosa io so, che quella donna ha da sapere che l’amo, anche se debba poi riderne. E poi.... e poi.... c’è sempre un modo onorato di uscire di pena. -

Questa volta era il Pietrasanta che andava a cascar sul divano.

- Aloise, Aloise! Questo non si chiama ragionare; e c’è di peggio, che non approda a nulla.

- Orbene, sentiamo! - proruppe Aloise, piantandosi dinanzi all’amico. - Che cosa faresti tu nel caso mio?

- Io.... farei.... Insomma, non tremerei tanto; parlerei come sapessi meglio.... e farei istessamente un buco nell’acqua. Credimi, Aloise; quella è una stupenda camelia. Donna senza amore, e camelia senza odore. -

Aloise si strinse nelle spalle.

- Credi di no? Orbene, vedremo. Io t’ho detto l’animo mio, da amico schietto, che ti conosce impetuoso e magnanimo, e non vorrebbe vederti troppo impegnato. Ma poichè hai deliberato di non dare indietro, io non ti lascerò. Un amico è sempre buono a qualche cosa. E per dar principio, balli più con lei questa sera?

- No.

- Perchè?

- Perchè non le ho chiesto altro che quella malaugurata mazurka. Vorresti forse che fossi andato a chiederne un’altra?

- Ora sarebbe tardi; ma c’è il cotillon. Non avevi pensato ad invitarla pel cotillon? Or bene, sappi che l’ho invitata io, e per me. Ti parrà strano, ma è proprio così. Ero andato a pregare la Monterosso, che, a dirtela schietta, mi va a genio; ma ero stato precorso da un altro, fin da ieri mattina. Allora mi volsi alla marchesa Ginevra, la quale non aveva data la sua fede a nessuno; ed eccomi il cavaliere di quella bellissima dama. Per me, che non cerco fragranze arcane, la camelia è già molto, e son certo che parecchi mi vorranno un mal di morte, per averla levata loro di mano. Ora vedi se io sia o no un buon amico! Ti offro la metà della mia preda.

- Enrico! - esclamò Aloise, piantando gli occhi addosso al Pietrasanta. - Enrico, se tu fai tanto per me....

- Sì certo, che lo farò; ma prima di tutto ci vorrà l’assenso della dama, che andremo poi a chiedere in compagnia, e non lo negherà, voglio sperare. Suvvia, animo, e non morirmi di tenerezza prima del tempo.

- Grazie, Enrico! tu sei il migliore degli amici! [p. 251 modifica]

- Benissimo; intanto, - soggiunse il Pietrasanta, - segui il migliore de’ tuoi amici fuori di questo deserto. -

E si mossero per uscire dalla galleria, come coloro che non avevano più niente da fare là dentro.

- Ma, che diamine? il deserto si popola! - soggiunse di subito il Pietrasanta, facendosi rispettosamente da un lato per lasciar passare la marchesa Ginevra e la marchesa Maddalena, le quali entravano nella galleria tenendosi per mano.

Le due dame non s’aspettavano di certo quell’incontro, e, colte alla sprovveduta nel loro andare, misero un grido sottile, effetto di quella nervosa sensibilità che è naturalissima nelle donne. È tuttavia necessario soggiungere che il grido si mutò in una bella risata, non sì tosto le dame riconobbero i due amici; e la marchesa Ginevra, da padrona di casa, stimò conveniente aggiungere due paroline cortesi.

- Il signor di Montalto, - disse ella, - mi aveva narrato di esser rimasto a lungo in questa galleria contemplando i quadri. Debbono in verità essergli andati molto a genio, poichè ci è tornato. -

Aloise s’inchinò arrossendo, senza risponder nulla; ma per lui rispose il Pietrasanta, che poteva a ragione vantarsi di non perdere mai la tramontana.

- E che quadri miracolosi, signore mie, dappoichè si spiccano dalla cornice per muoverci incontro!

- Ah, ah, Pietrasanta! Siamo po’ poi tanto stecchite, da parervi due quadri?

- No, certamente; - rispose il Pietrasanta, cavando accortamente profitto dall’impaccio in cui l’aveva posto quell’arguta considerazione della marchesa Ginevra. - Ma vogliate condonar qualche cosa al nostro turbamento. Eravamo venuti qui.... per saldare un debito di gratitudine....

- Che dite mai?

- Sì, davvero; ci correva obbligo di ringraziare la signora Tullia, quella bella gentildonna che ci guarda dall’alto di quella parete, di aver stabilita in casa Vivaldi la costumanza di queste splendide feste, alle quali voi ci convitate con tanta gentilezza. Nè certo, venendo qui a pagar questo tributo all’antica regina, pensavamo che ci fosse dato di ringraziare ad un tempo la nuova. La regina Tullia è morta; viva Ginevra prima ed unica!

- Questo, - rispose Ginevra, - è un complimento più bello, e meritereste che Ginevra prima ed unica, come voi dite, vi desse da baciare la sua regia mano. [p. 252 modifica]

- Fatelo, signora; io m’inginocchio.

- No, no, più tardi; quando avrò la corona. -

E con un sorriso, con quel sorriso che i lettori conoscono, la bella Ginevra si congedò dai due amici, seguita dalla marchesa Maddalena.

Aloise stette a guardarla, mentre ella correva leggiera verso il fondo della galleria, e sospirò profondamente quando l’ebbe veduta sparire dietro una portiera di velluto cremisi gallonato d’oro.

- Animo, Aloise! Non mi fare il bambino, che in questo modo non si rimedia a nulla!

- Hai ragione; andiamo! -

Ora noi non terremo dietro ai due giovani, i quali non hanno più a dire niente di nuovo per noi; e seguiremo le due dame, che hanno abbandonata la festa, avendo sicuramente gran cose da dirsi.

Passarono esse per una fuga di stanze, fino al pensatoio della marchesa Ginevra, dov’era quella tal Danae di Guido Reni, che ha già turbata la fantasia a parecchi dei nostri lettori. Colà giunte, e poste a sedere, Ginevra entrò ex abrupto in materia.

- Suvvia, Maddalena, sentiamo che cos’hai da dirmi. - La Torralba stette un poco sovra pensiero, come se cercasse le parole con cui dar principio alla sua narrazione.

- Ginevra, - diss’ella finalmente, - tu sai pure se ti amo....

- Sì, Maddalena; siamo amiche fin dal monastero, e queste amicizie durano.

- Oh, ti ricordi di quel tempo? Io ero più grandicella di te; ma ti ho subito amata, come se fossimo entrate nel medesimo giorno. E quando ho dovuto partire, come ho pianto!

- Cara Maddalena, abbracciami! Tu sei sempre stata un’angelica creatura. La madre Scolastica (ti rammenti?) che per dir la verità, ci ha un poco guastate con le sue carezze, ti chiamava il suo pan di zucchero; e non avea mica torto.

- Dolci memorie! - esclamò la Torralba. - Ma veniamo al buono.

- Sì, veniamo al buono. Sono curiosa di sapere che cosa tu abbia a dirmi.

- Oh, non correre tanto con la fantasia. Si tratta di una cosa che saprai già da un pezzo.

- Come? che cosa? [p. 253 modifica]

- Ginevra, - disse la Torralba, accostandosi all’amica e parlando a mezza voce, - c’è qui un uomo che t’ama. -

A questa improvvisa uscita, la bella Ginevra si scosse, non sapendo ancora se avesse a ridere o a corrucciarsene, guardò trasognata la Torralba.

- Maddalena! che significa ciò?

- Sì, lasciami dire, poichè m’ha dato l’animo di cominciare; c’è qui un uomo che ti ama fortemente, e che s’è lasciato sfuggire il suo segreto di bocca.

- Tu non parli da senno, mia buona Maddalena; - disse di rimando Ginevra, in quella che pur si studiava di sorridere. - Se quello che mi vai fantasticando fosse vero, se quest’uomo esistesse, non metterebbe neppur conto parlarne. Un uomo così dappoco che si lascia sfuggir di bocca i suoi segreti.... che il cielo ne scampi te e me!

- Oh, se tu sapessi in che modo!... - soggiunse Maddalena, non badando al piglio di infinita gaiezza che la Ginevra aveva assunto, per non aversi a mettere in contegno.

- Suvvia, poichè si celia, udiamo in che modo!

- Ginevra, - proseguì la pietosa Torralba, - io non parlo per secondi fini, puoi crederlo: ho notato un dolore, e vengo a dirtelo perchè ti riguarda.

- Ma insomma, di chi si tratta?

- Di Aloise di Montalto! -

E pronunziando questo nome, la signora Maddalena si fece tutta rossa, pensando alla impressione che avrebbe fatto sull’animo dell’amica. Ma non fu nulla.

- Ah, ah! lasciami ridere! - esclamò Ginevra, ridendo infatti, e di cuore; - e tu credi proprio....

- Io? ne son certa. Ma come? tu non sai....

- Nulla.

- Nulla? - ripetè meravigliata la signora Maddalena.

- Nulla! proprio nulla. E questo s’intende da parte mia. Per ciò che riguarda il Montalto - penso che tu ti sia ingannata egualmente.

- Oh, qui poi, no!

- Oh, qui poi, sì, mia gentil Maddalena! Come vuoi tu che il signor Montalto abbia a darsi pensiero di me, se oggi mi ha parlato per la prima volta, e non certo con aria di molta sollecitudine, te lo giuro!

- Mi fai stupire, Ginevra! E tuttavia....

- E tuttavia, che cosa? -

Facendo questa dimanda con un piglio tra beffardo ed Amorevole, Ginevra dimostrava chiaramente di volersi tenere [p. 254 modifica]sulla sua, aspettando la fine di quella conversazione che l’aveva molto turbata. Ma di questo turbamento non ne traspariva pur ombra sul viso. Le sue labbra vermiglie sorridevano; i suoi grandi occhi verdi brillavano, guardando argutamente la signora Maddalena, povera colomba smarrita, la quale aveva stimato debito suo di parlare di un fatto che la risguardava, e, dopo aver cominciato, non si sentiva più l’animo di proseguire.

- E tuttavia.... - soggiunse ella, ripigliando le parole di Ginevra, come Ginevra aveva ripigliate le sue, - e tuttavia avrei giurato che tu sapessi ogni cosa. Ma ora ti credo, Ginevra; sebbene gli atti del signor di Montalto mi riescano due volte più strani.

- Udiamo, dunque; che cosa ha fatto il signor di Montalto?

- Sì, poichè ho incominciato, e quantunque non debba premerti punto, ti narrerò tutto quello che ho notato. -

Qui, confortata da un amplesso della sua bellissima amica, la Torralba le raccontò divisatamente ogni cosa. Parlò dei modi eletti e disinvolti di Aloise, quando le fu presentato dal marchese Antoniotto; del suo improvviso mutamento appena fu entrato nella credenza, dov’era Ginevra; della sua trepidanza, dell’arrossire, del balbettare, e di tutti gli altri segni d’angustia morale, di cui le parve indovinar la cagione, quando il discorso cadde sui pregi della Ginevra, ed egli uscì in quelle parole infiammate che i lettori già sanno; della muta e svogliata quadriglia; dell’attenzione con cui il giovane si era fatto ad ascoltarla quando ella ritornava a parlare dell’amica sua e infine di cento altre minuzie che a lei erano sembrate altrettanti argomenti di un amore profondo.

- Se tu avessi veduto, Ginevra, com’egli arrossiva, quando mi usciva di bocca il tuo nome! Se tu avessi sentito come la mano gli tremava, quando nei giri della mazurka noi ci avvicinavamo a te! Una volta le nostre mani sfiorarono il tuo braccio, ed egli a turbarsi, a tremare, a perdere i tempi, per modo che io levai gli occhi, stupita, osservandolo. Si avvide del mio stupore, arrossì, e fu costretto a fermarsi. E poi, bisognava vederlo, con che occhi amorevoli e pieni di gratitudine egli mi guardasse quando io parlavo di te! In fine, che dirti di più? Mi parve che patisse del mal d’amore, e del più forte che si possa immaginare. Però, non sapendo.... scusami, sai!... temendo di qualche malinteso.... di qualche lieve screzio, nel quale potesse tornar [p. 255 modifica]utile una parola amichevole, sono venuta a chiederti un colloquio.

- E t’eri ingannata, mia gentil Maddalena! - disse la Vivaldi, che era stata ad ascoltarla con molto maggiore attenzione, che non occorresse per cosa che non le premeva punto, com’ella diceva; - t’eri ingannata, perchè io ho parlato oggi per la prima volta col signor di Montalto.

- Sì, ma intanto egli ti ama! - soggiunse la pietosa Torralba, seguendo il filo della sua logica femminile.

- Eh via! - interruppe Ginevra, stringendosi nelle spalle.

- Tutto quello che tu hai veduto, o creduto di vedere, non prova un bel nulla. Alla fin fine, che il signor di Montalto sia o non sia innamorato di me, non ha da premermi punto. E se fosse tale davvero, - conchiuse, - che cosa ci potrei far io?

La marchesa Maddalena non rispose nulla. Quella soave creatura era rimasta sovra pensiero.

- Ma no, - riprese Ginevra, - è impossibile. Vedi, Maddalena; notando io pure alcuni atti del signor di Montalto e riscontrandoli con la sua assiduità presso di te, ero anzi giunta ad una conseguenza opposta. Pensaci, Maddalena; egli è innamorato di te.

- Di me? - esclamò trasognata la Torralba.

- Sì, certo, di te. E che ci sarebbe di strano? A me pare una cosa naturalissima.

- Ginevra! - disse la signora Maddalena con accento di dolce rimprovero. - Non sarebbe più naturale che fosse innamorato di te? Povero giovane! Era così malinconico!...

- Tu sei la pietà fatta donna, mia gentil Maddalena. Or dimmi, che faresti tu? Senza parlare di tant’altre cose, che pur vanno messe in conto, ameresti tu un uomo, per la sola ragione che egli è invaghito de’ tuoi begli occhi?

- Io.... - balbettò Maddalena, grandemente impacciata, poichè non s’era proposta una questione di quella fatta, e non aveva considerato il caso sotto quel nuovo aspetto; - che dimanda mi fai? A voler stare sui generali, no certo; ma ci sono dei casi.... Io penso insomma che una donna ha cento modi di mostrarsi grata ad un uomo dell’affetto che egli nutre per lei, se questo affetto è grande e lo mette davvero in gran pena. Una cortese pietà....

- Oh, lasciamola stare, la cortese pietà! È come un burchiello a due remi, che fa conto di non discostarsi molto dalla spiaggia, e la corrente lo porta Dio sa dove.

- È vero, Ginevra, è vero! - disse la Torralba, sospirando [p. 256 modifica]e chinando malinconicamente lo sguardo a terra. - Io m’avvedo che non si possono dar consigli ragionevoli, in queste faccende, e che il dolore del signor di Montalto mi ha fatto correre troppo oltre. Poverino! Due o tre volte sono stata sul punto di dirgli: signor di Montalto, non vi pigliate il fastidio di proseguire a ballare; e se non era il timore che egli l’avesse per una scortesia, certamente glielo avrei detto....

- Orbene, - interruppe Ginevra, - anch’io ho veduto che stava a disagio ballando con me, e mi è venuto lo stesso pensiero, ma non mi sono fermata a mezza strada.

- Come hai fatto, dunque?

- Non gli ho già detto dì smettere, ma ho fatto le mostre d’essere stanca, e a lui non parve neppur vero di farla finita. Mi condusse a posto, e se ne andò.

- Sì, ma tu hai pure veduto testè, - disse di rimando la signora Maddalena, a cui la bontà del cuore inspirava la logica, - che egli non aveva colto il destro di quella tua infinita stanchezza per correre presso un’altra. Egli era nella galleria, solo col Pietrasanta, che credo sia il suo unico amico.

- Non ci sarebbe mancato altro, - rispose Ginevra, - per essere buttato a mazzo con tutti questi vagheggini che ci stanno attorno per loro capriccio, e che noi faremmo assai bene tutte quante a trattare secondo i meriti loro.

- Ah, noti dunque un divario tra lui e tutti gli altri?

- Sì, a primo aspetto mi è sembrato migliore di molti e molti che conosciamo. Ma chi sa che vedendolo più da vicino, e indagando meglio i suoi portamenti, non mostri come tutti gli altri il suo lato maschile?...

- Il lato maschile? Che cosa vuoi dire?...

- Non l’hai tu mai notato, Maddalena? Non t’è mai occorso di stimar molto un uomo, e di aver poi a ravvisarlo per qualche verso manchevole? Quel nuovo lato che tu vedevi allora, e che ti guastava il buon concetto di prima, era il lato maschile. E tutti l’hanno, sai? L’uno è bello e cortese di modi, ma vanaglorioso; l’altro è affettuoso, ma fiacco; altri è di forte ingegno, ma ambizioso ed egoista; altri è sdolcinato, ma vile, invidioso e malvagio; tutti poi cercano al nostro fianco il piacere, l’appagamento della loro vanità, l’aiuto ai loro disegni di autorità e di potenza futura, e nulla dànno in ricambio. Che vuoi? Ci considerano come cose utili ai loro disegni, bellissime cose, amabilissime cose, ma sempre cose, nient’altro che cose. Però quando abbiano [p. 257 modifica]preso in queste cose tutto quello che ad essi giova, quando si siano fatti abbastanza invidiare per la loro assidua presenza accanto a noi, non li vedi più, sono altrove. E di noi dice la gente, quando ci vede passare: o come? Il tal di tale non c’è più? E’ non sapete? N’era stufo. Sì, certo, la più bella cosa a lungo andare.... e via di questo piede. Mia gentil Maddalena, tu l’hai pur voluto, il mio sermone sugli uomini! Io non voglio già che le altre la pensino a modo mio, ma sono contenta della mia opinione; stimarli tutti ragionevolmente, essere cortese co’ miei amici, non rinunziare alla mia qualità di donna, ma altresì non perdere la mia pace per alcuno.

- Hai ragione, Ginevra! - disse la signora Maddalena; - l’esperienza dovrebbe portarci tutte a questa conclusione.

- Non correre tanto, Maddalena! - gridò la bella Ginevra, ridendo. - Non credere che tutte queste belle cose me l’abbia insegnate l’esperienza. Ho pensato molto, ho raffrontati molti casi, e molti ne ho indovinati. Ma vedi dove ci ha condotto questo signor Aloise di Montalto! Certo gli fischiano gli orecchi, per questo lungo discorso che s’è fatto di lui.

- Poveraccio! Ed è proprio quello che a parer mio dovrebbe sbugiardare la tua cattiva opinione sugli uomini.

- Coll’esempio di una eccezione? Tanto meglio per lui, se sarà una eccezione. Ma via, abbiamo già troppo chiacchierato di lui, e gli altri tutti, che non ci vedono da un pezzo, avranno ragione a protestare.

- Andiamo! - disse malinconicamente la signora Maddalena, a cui pareva che Aloise di Montalto meritasse un po’ più di compassione.

Quando le due amiche tornarono nel salone di Flora, la prima parte delle danze era finita, e Ginevra, prendendo il braccio del più ragguardevole tra tutti i suoi convitati, diede il segno di entrare nella credenza, dov’era imbandita la cena.

È un assai brutto momento, quel della cena, in una festa da ballo. E sebbene molti non converranno in questa sentenza, a noi non mette conto mutarla, poichè ella piacerà di sicuro a quanti non pensano col ventre.

Brutta cosa, perbacco, il vedere tutte quelle dame graziose, che erano pur dianzi così leggiere, e stiamo per dir così diafane nel vortice della danza, sedute a mensa, che mangiano come uno sciame di cavallette! I Greci di Omero, i quali pur brancicavano con le mani i quarti di vitello [p. 258 modifica]arrostiti sullo schidione, immaginavano il nettare e l’ambrosia, per non guastare colla grossolana copia del cibo il degno concetto che avevano degli Dei d’Olimpo. Ora le nostre Giunoni non si peritano di farsi scorgere con un’ala di fagiano ai denti; le Ciprigne sbocconcellano alla lesta i pasticcini e li inaffiano col vin di Bordò. E gli uomini? Appaiono forse meno sgraziati? Guardateli, que’ teneri Adoni, che testè saettavano le languide occhiate e si struggevano in lunghi sospiri. Costoro si appigliano alle bottiglie, fanno man bassa su d’ogni cosa, brodo ristretto, selvaggina, salse, savori, tartufi, ostriche, canditi, e va dicendo; non la perdonano nè a prime mense, nè a seconde, nè a tornagusti d’antipasto, nè ad intramessi di pospasto; pregiano egualmente la bottiglia di Bordò ritta sulla base e la bottiglia di Borgogna sdraiata sul tovagliuolo; tuffano i baffi nella spuma dello Sciampagna e nei liquidi topazii del vecchio Reno.

Non venga in mente ad alcuno di coglierci in contraddizione manifesta con quello che abbiamo detto più su, che non rifuggiamo punto dall’immagine della donna che mangia, e con quello che si può sottintendere rispetto all’uomo. Ha da essere pioggia e non gragnuola; ed anco a voler stare nella pioggia, c’è spruzzo ed acquazzone. Epperò noi, se in una festa da ballo non riputiamo grave offesa al senso poetico, all’aureola divina della bellezza, un sorso di tè o qualche dolciume, non possiamo egualmente menar buono il mangiare e il bere, nella loro più grossolana apparenza. Che la cena ci sia, sta bene; se prelibata e suntuosa, prova la liberalità dell’Anfitrione. Ma una bella dama seduta a tavola in atto di sgranocchiarsi un petto di pollo, fosse pur coi tartufi, che orrore!

Quella che si poteva guardare senza tema di guastarci il sangue era la marchesa Ginevra. Ella faceva mostra di mangiare, assaggiando, ed ogni sua cura si rivolgeva al ragguardevole personaggio che le sedeva daccanto. Costui del resto non aveva bisogno di esortazioni; macinava a due palmenti, e trovava buona ogni cosa. Le altre dame, sedute tutt’intorno alla tavola, oltre l’aiuto de’ servi, accettavano i grati uffici dei loro cavalieri, i quali s’inchinavano sulla spalliera delle seggiole, pascendo loro gli orecchi di dolcissimi nonnulla, mentre esse confortavano lo stomaco di cibi più sostanziosi. Di questa guisa, altro non si udì per un pezzo che l’acciottolìo de’ piatti, il cozzar de’ bicchieri, lo zampillare delle bottiglie, e il dimenar delle mascelle. [p. 259 modifica]

Aloise non c’era; neanche il Pietrasanta; neanche il Cigàla. Il primo aveva altri pensieri in capo; il secondo voleva. tener compagnia all’amico, ed aveva perfino lasciato che un altro gli rapisse la marchesa Giulia. Non si creda tuttavia che fosse un grave sacrifizio sull’ara dell’amicizia, il suo; poichè il rapitore era il vecchio De’ Salvi.

In quanto al Cigàla, egli avrebbe potuto andare a cena come tutti gli altri; ma quell’arguto chiacchierone era schiavo di una sua arguzia, s’era messo in trappola con le sue mani. La signora Enrichetta Corani gli aveva chiesto se non andava a cena; ed egli, vedendo che la ci aveva già un altro cavaliere ai fianchi, anzi due addirittura, s’era lasciato andare a risponderle;

- No, signora Enrichetta. Un Cigàla ha da tener fede alla cara bestiuola di cui porta il ricordo nel nome e l’effigie nello stemma.

- E non si pascerà d’altro che di rugiada! - aveva soggiunto la signora Enrichetta.

- Certo; così ha sentenziato Anacreonte. -

Ed ecco per che modo il Cigàla era rimasto insieme col Pietrasanta e con Aloise. Ma se non era andato a dimenare i denti, si ricattava esercitando la lingua.

Mollemente adagiato su d’un canapè accanto ad Aloise, ragionava di cento cose col Pietrasanta, che s’era sdraiato su d’una poltrona, e a voler ripetere tutto quello che dissero tra due (poichè Aloise stava silenzioso ad udirli, ora sorridendo, ora accennando del capo, e non andando mai più oltre del monosillabo), ci sarebbe da fare un altro capitolo, laddove noi non pensiamo ad altro che a finir questo, il quale è ormai troppo lungo.

Basti sapere che il Cigàla ne disse di tutti i colori, e tra l’altre cose, passando in rassegna alcune delle dame, si fe’ lecita una glossa lunga anzi che no sui nuovi amori della bionda Cisneri, e sulla nobiltà del conte Alerami, che era a cena accanto a lei, e che gli era parso molto turbato.

- Non avrà forse ricevuto le sue rimesse dalle Indie; - diceva egli.

- Ma dimmi, e il Salvani?... - chiedeva il Pietrasanta.

- Il Salvani ha durato poco. È la storia delle belle cose.

- È davvero un ottimo giovane! - interruppe Aloise. - Mi duole di non averlo veduto quasi più, e soprattutto che non mi abbia creduto così degno della sua intimità da confidarmi le cose sue. Io gli avrei aperto gli occhi in tempo. [p. 260 modifica]

- Baie! E che male c’è? Ha amato; è stato piantato in asso; ma alla fin fine non è egli che ci ha avuto da perdere.

- È facile a te, Cigàla, il parlare così; poichè tu prendi.... come diamine è il tuo proverbio?

- Vuoi forse dire che prendo gli uomini come sono, le donne come vengono, e gli scudi a cinque lire? Sì certo, e me ne vanto contro ogni maniera di disinganni. -

Questi erano i ragionamenti della triade, e durarono fino a tanto che durò la cena. Ma quando al Pietrasanta parve udire che i convitati si alzavano da tavola, si mosse per andare in traccia della marchesa Ginevra.

- Marchesa, - diss’egli, appena ebbe modo di rimaner solo con lei, - chiedo una grazia.

- Parlate, di che si tratta?

- Una grazia.... cioè, dovrei dire una disgrazia.

- Una disgrazia, Pietrasanta? E la chiedete a me?

- Sì, pur troppo! Ma che non si farebbe egli mai per l’amicizia? - soggiunse Enrico sospirando.

- Per l’amicizia? Non vi capisco. Suvvia, parlate chiaro.

- Ecco qua.... Aloise di Montalto voleva offrirsi per vostro cavaliere nel cotillon....

- Ah, capisco finalmente! - esclamò ridendo la bella Ginevra. - E voi venite a rassegnarmi la vostra rinunzia.

- No, mi guardi il cielo dal perdere il capo a questo modo. Se avessi per caso da impazzire, vorrei andar diritto allo spedale, che nessuno mi vedesse farne di così gravi, come questa che voi pensate di me.

- Ma che volete voi dunque? Qual altra.... disgrazia chiedete?

- Di poter tagliare l’errore a mezzo; di contentare il mio migliore amico, senza scontentar me; di essere in due, dove avrei voluto esser solo. -

In quella che Enrico Pietrasanta faceva questo allegro sproloquio per aiutare il suo Oreste, la marchesa Ginevra pensava:

- Ma che cos’hanno in mente tutti costoro? La Maddalena, Montalto; il Pietrasanta, Montalto; perfino quel pazzo di Cigàla, Montalto, non sa parlarmi d’altro che di Montalto!.... Che siano tutti pazzi, o che costui li abbia tutti stregati?...

- Orbene, marchesa, - disse Enrico, - pronunziate la dolorosa sentenza?

- Sì, se pur la volete tale.

- Se la voglio!... Ve la chiedo con rammarico profondo, ma l’aspetto da voi. [p. 261 modifica]

- Ed io, - rispose la Ginevra, imitando la comica mestizia del Pietrasanta, - con profondo rammarico vi condanno.... ad avere un compagno di catena. Una doppia risata, ma di cuore, pose fine ai dialogo della Ginevra col suo cavaliere.

Il marchese Tartaglia si avvicinò, chiedendo di che cosa ridessero; ma innanzi ch’egli avesse articolata e sputata la sua dimanda, il Pietrasanta era già fuori del tiro; tanto gli premeva di recare ad Aloise la buona novella.