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Il Dio dei viventi/XXXVIII

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Parte XXXVIII

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XXXVII XXXIX

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La mattina seguente il suonatore venne a trovare Bellia come fossero amici da lungo tempo e della stessa condizione. Depose il suo strumento avvolto in un panno all’ombra di uno scoglio e si sdraiò sulla sabbia accanto a Bellia e al cane.

La madre non osò dirgli nulla; lo guardava però con diffidenza e trovava veramente qualche cosa di strano e d’inquietante in quel lungo corpo bruno tutto ossa, in quei piedi grandi e piatti, e sopratutto nel viso olivastro e camuso simile a quello dei negri. Anche i capelli erano neri e crespi, mentre gli occhi grandi e tristi avevano un colore indefinito a volte verdastri come quelli dei gatti.

Non parlava: Bellia si divertì a buttargli manciate di rena sui capelli ed egli lasciò fare scuotendo solo la testa come l’avesse bagnata: il cane si aggirava loro intorno e dapprima parve ostile al [p. 222 modifica]suonatore abbaiandogli contro e tentando di mordergli i piedi, poi rassicurato dai gridi e dai cenni del padrone si sdraiò tra i due e divenne subito amico del vagabondo.

La madre provò gelosia anche di questo: avrebbe voluto che Rosa parlasse male al suonatore: e infatti appena Bellia fu in acqua, la serva si avvicinò e frenando la sua stizza disse piano:

— Non ti venga in mente di bagnarti qui, oh; i nostri ospiti non vogliono.

Il suonatore la guardò sorpreso con i suoi occhi d’uomo triste; e senza rispondere balzò in piedi riprese il suo strumento e andò a mettersi più lontano, di là degli scogli. Il cane lo seguì e Bellia gli faceva cenni dal mare quasi avesse indovinato le parole della serva e volesse chiedergli scusa.

Allora la madre rimproverò Rosa:

— Non si scaccia così un poveretto, come un cane. Adesso Bellia s’irriterà.

— Lasciate che si irriti, altrimenti finirà col portarvi quel lebbroso in camera vostra.

Bellia non s’irritò, non disse nulla, ma [p. 223 modifica]nel pomeriggio se la svignò di nuovo e questa volta col cane. L’idea che egli fosse col cane rassicurava in qualche modo la madre: le pareva che la bestia lo guardasse dai pericoli ai quali andava incontro.

Quali fossero questi pericoli ella stessa non sapeva, ma non voleva precisarli neppure a sè stessa; sentiva però che li esagerava spinta da un sentimento superstizioso, dalla paura di quella fatalità che da qualche tempo gravava sulla sua famiglia e su Bellia in particolare.

Ecco ch’ella sta seduta sulla duna di sassi a scrutare il sentiero della brughiera pensando appunto a questa fatalità. Perchè il male predilige da qualche tempo Bellia? Ammesso pure che esista una colpa nel padre, tacitamente riconosciuta e scusata da tutta la famiglia, perchè deve scontarla Bellia? Ma perchè Bellia è il cuore del cuore della famiglia, e il castigo si concentra in lui come la luce nel prisma, per essere maggiormente irradiato intorno. [p. 224 modifica]

In fondo ella sentiva di soffrire veramente e solamente lei, adesso: il ragazzo si divertiva nella sua scorribanda e godeva del male stesso che faceva, della liberazione dalla sua innocenza, dalla sua soggezione e anche dal suo amore di figlio. E alla sua pena ella sentiva aggiungersi per aggravarla lo sdegno di non aver più potere sul figlio: era dopo tutto una cosa sua, era una sua proprietà assoluta, che le sfuggiva. Come non soffrirne? Ed era una sofferenza che quasi rasentava il terrore: come se ella vedesse uno stesso suo membro staccarsi da lei, o peggio ancora qualche cosa sua interiore, la sua ragione stessa, il suo stesso amore di madre, abbandonarla a poco a poco.

Si strinse la testa fra le mani e chiuse gli occhi quasi per impedire che davvero la ragione le volasse via come un uccello dalla gabbia.

Rosa la trovò così e credendo che piangesse le battè dolcemente una mano sulla spalla, la invitò ad alzarsi a fare qualche passo con lei, sorpresa nel vedere che la [p. 225 modifica]padrona cedeva, che obbediva quasi umilmente.

Andarono lungo la spiaggia verso la foce del fiume: in certi punti la vegetazione della brughiera con le sue tamerici nane, i corbezzoli e l’alloro selvatico, raggiungeva la riva, e il suo odore si fondeva con quello delle alghe; e pareva che la terra e il mare si parlassero coi loro profumi e che i sassi sempre più fitti volessero impedire il passaggio dell’uomo per serbare intatta la divina solitudine della natura.

Rosa e la padrona dovettero fermarsi per riprendere fiato. Eppure i sassi, ai loro piedi, avevano qualche cosa di dolce e domestico; alcuni parevano pani appena tolti dal forno, altri uova, frutti, legumi, confetti, utensili dell’epoca della pietra. Anche i cespugli dei cardi d’un lilla cinereo bronzato che crescevano qua e là solitari fra i sassi della cui natura partecipavano, parevano piante preistoriche nate prima che il mare si ritirasse e destinate a vivere sempre.

Le donne riuscirono, passo passo, [p. 226 modifica]l’anziana aiutata dalla giovane, ad attraversare quel piccolo deserto di pietre; di là ricominciava qualche striscia di sabbia, e l’acqua quasi immobile e limpidissima copriva un fondo di seta dorata tutta marezzata e scintillante.

Grandi scogli s’ammucchiavano di tratto in tratto neri fra il verde delle onde, simili a rovine di castelli caduti nel mare: su alcuni si stendevano forme di bestie alle quali non mancava il vello fatto di alghe secche e di musco; e l’onda vi si aggirava intorno con un movimento felino, gelosa della loro immobilità e intenta a roderli pur fingendo di carezzarli.

Le due donne procedevano vinte dalla bellezza del luogo; e la madre si sentiva un po’ rasserenata poichè la sua pena si sperdeva come un cattivo alito nella purezza di quell’atmosfera vergine.

Così arrivarono alla foce del fiume e sedettero sul greto sassoso.

Il letto del fiume era largo, d’un bianco abbagliante, ma l’acqua affluiva scarsa in tanti rivoletti che si riunivano in una foce [p. 227 modifica]poco più larga di due passi; e pareva che invece di scaricarsi nel mare vi scaturisse. Grida di uccelli salivano dalle isole di giunchi, liquide e fievoli come venissero di sott’acqua.

E d’un tratto a quest’incantesimo di azzurro di luce di lontananze argentine si unì un suono che fece palpitare di gioia e di pena il cuore della madre: il suono della fisarmonica. Donde veniva? Dal mare o dal fiume? Pareva che i due compagni d’avventure si fossero nascosti come gli uccelli nelle fragili isole del greto o fra gli scogli della riviera, e di là irridessero l’inquietudine di chi li cercava: eppure la madre era contenta di sentire almeno così la voce del suo Bellia.

E volle star lì finchè si sentì la fisarmonica; ma col cadere del sole il suono s’allontanava, taceva col tacere degli uccelli, finchè cessò come una voce della natura: allora le due donne ritornarono verso casa. E la madre si sentiva meno inquieta poichè le pareva che Bellia avesse sentito e diviso la sua inquietudine. [p. 228 modifica]

Infatti Bellia era già tornato e la cercava, ma perchè aveva fame e non riusciva a trovare la chiave dell’armadio dov’erano le provviste. E dopo mangiato uscì di nuovo; questa volta però senza allontanarsi. Rosa lo teneva d’occhio e vide che andava verso lo spiazzo della casa bianca, dove tutti i bagnanti si riunivano per una festa da ballo alla quale prendevano parte anche i bambini e le serve.

La fisarmonica suonava un ballabile adatto per tutti, una polka grottesca e saltellante che invitava e derideva i danzatori.

Ecco perchè Bellia era accorso lassù, pensava la madre con gelosia, era accorso lassù come la falena verso il lume.

— Andiamo a vedere anche noi — disse Rosa, — ci vanno anche le nostre ospiti.

Ma la madre non andò; era stanca e triste e rimase presso la finestruola della stanza dalla quale si vedeva lo spiazzo illuminato dalla luna con le figure che saltellavano come lepri. Tutti gli abitanti della casetta compresa Rosa erano andati alla festa; lei rimaneva sola, come la luna [p. 229 modifica]sopra il mare; e contava i giorni che la separavano da quello beato del ritorno a casa. Oramai la mano di Bellia era guarita; il sole e il mare avevano seccato la piaga: ma perchè lei non se ne rallegrava? Aveva il presentimento angoscioso di altre disgrazie e sempre in fondo al cuore quel pensiero oscuro, quel male segreto che di giorno in giorno si faceva più grave.

Le parve dunque di non meravigliarsi quando Rosa tornata sul tardi tutta eccitata per aver ballato anche lei disse che Bellia aveva combinato per il domani con altri giovani della casa bianca la famosa gita alla grotta della Sirena.

— E prenderanno anche quell’africano col suo organetto, per rendere più allegro il viaggio. Donne non ne vogliono, altrimenti sarei andata anch’io.

La madre non parlò, ma attese che Bellia rientrasse: un furore mai prima conosciuto le faceva ribollire il sangue; si sentiva capace di percuotere il figlio, di legarlo come un puledro indomito. [p. 230 modifica]

E quasi prevedesse questa bufera Bellia tentò di rientrare furtivo; ma lei dalla finestruola lo vedeva avanzarsi, ne distingueva le orme sulla sabbia. Anche lui la vide e sollevò la testa spavaldo: i suoi capelli ricciuti inargentati dalla luna parvero alla madre divenuti ribelli: avevano preso qualche cosa di quelli del suonatore, qualche cosa dei capelli cornuti del diavolo: lei però si sentiva capace di raderglieli come da bambino quando si ricorreva a questo mezzo per liberarlo dai pidocchi che gli venivano attaccati dai monelli del vicinato.

Appena fu dentro, lo affrontò:

— È la seconda sera che tu fai così. La prima va bene, la seconda no; la terza poi se intendi di continuare così la passerai fuori.

— Meglio, — disse lui sottovoce.

— Ah, meglio! Ti dico però che io intendo tornarmene subito a casa: verrà tuo padre a riprenderti.

Egli ripetè, con un sorriso di derisione che la esasperò:

— Meglio. [p. 231 modifica]

Allora lei gli andò vicino, lo guardò con furore.

— E ripeti quella parola! Ripetila, sfrontato malvagio! E guardati bene, domani, di andare via senza il mio permesso. Guardatene, Bellia, perchè io sono capace di tutto.

— Calma, calma, — egli disse sempre con aria di beffe; ma la madre sentiva qualche cosa di atroce, sotto la calma di lui, e avrebbe preferito che egli gridasse, che si ribellasse apertamente.

— Tu dovresti vergognarti, di andare con quel vagabondo che è la vera immagine dei vizio. Se in due giorni ti ha ridotto come lui, finto e perfido, al terzo ti condurrà alla perdizione. Tu sei un ragazzo che ancora non capisce niente: un giorno ti pentirai di aver disobbedito così giovane a tua madre, ma sarà tardi e Dio ti castigherà.

— Dio mi ha già castigato — egli disse fra i denti, quasi suo malgrado, con una voce rauca che non pareva la sua.

E la madre cominciò a tremare di una passione che non sapeva se di collera o di terrore: le pareva di aver sentito una voce [p. 232 modifica]misteriosa che veniva, sì, dalla bocca di Bellia, ma saliva da una profondità spaventosa, come se egli fosse posseduto dal demonio e fosse il demonio a parlare.

E mille parole amare le salirono alla gola ma vi si fermarono in un groppo che parve soffocarla: aveva paura che Bellia se lei continuava nei suoi rimproveri pronunziasse anche lui altre parole imprudenti fino a rivelare a loro stessi e alle donne che già ascoltavano dalle altre stanze la radice del loro male.

Non parlò più, anzi corse a distendersi sul lettuccio accanto a quello di Rosa e si chiuse con la mano la bocca per fermare anche i singhiozzi convulsi coi quali almeno voleva espandersi il suo dolore.

Per qualche tempo Rosa cercò di consolarla, parlandole sommesso, pentita di aver provocato lei suo malgrado tanta pena: poi tacque e s’addormentò; e nel sonno rideva e s’agitava tutta finchè si svegliò di soprassalto e disse:

— Mi sembrava d’essere in barca e di andare alla grotta. [p. 233 modifica]

La padrona non rispose: pareva dormisse, ma i suoi occhi chiusi s’aprivano in un vuoto più gelido e tumultuoso di quello del mare nella notte: la paura angosciosa di una disgrazia imminente non l’abbandonava più; ed ella cercava invano di ragionarci sopra, di rassicurarsi: sentiva che la disgrazia era dentro di lei e che nessuno più, forse neppure Dio, poteva scongiurarla.

Verso l’alba si assopì: e le parve di sentire la fisarmonica, con un motivo nuovo dolce, con una nota sola quasi di flauto che invece d’inquietarla la calmava: ed era Bellia che suonava, che le parlava con la sua antica voce innocente e le ripeteva la ninna nanna ch’ella cantava a lui bambino.

Quando si svegliò e si alzò, egli già era uscito. Uno dei ragazzi dell’ospite disse di averlo veduto in una barca dove c’erano altri giovani della casa bianca e il suonatore di fisarmonica.

— C’era ancora la luna, e sono andati verso la grotta.

La madre si fece pallida d’ira: andò a sedersi al solito posto sulla sabbia che [p. 234 modifica]conservava ancora le impronte del corpo di Bellia e pianse come se quella fosse la tomba di lui.

Invano le ospiti la confortavano.

— Sono ragazzi, bisogna compatirli, eppoi è una bella giornata, non c’è pericolo di nulla: è come se egli fosse nell’orto a giuocare.

— Non è questo, non è questo, — ella diceva.

— Eh già si capisce, figlio unico, così ancora giovane disobbedire così! Segno di poco amore.

— Non è questo, non è questo, — ella ripeteva; perchè la sua pena più profonda era che le pareva di esser lei a non amare più suo figlio.