Il Ripostiglio di Como

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Solone Ambrosoli

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Il Ripostiglio di Como Intestazione 7 ottobre 2011 75% Numismatica

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IL RIPOSTIGLIO DI COMO




Sul principio dello scorso febbraio, a Como, nei lavori di demolizione per aprire una nuova via di fianco al Palazzo municipale, si rinvenne un tesoretto di circa 6000 monete d’argento e mistura, che furono esaminate dalla Commissione di quel Civico Museo, unitamente al sottoscritto.

Dalla composizione del ripostiglio si può arguire che il suo nascondimento deve essere avvenuto verso la fine del Sec. XIV. Ecco alcune notizie più particolareggiate:

La speranza, ben naturale, di veder rappresentata riccamente la zecca comasca, fors’anco da tipi nuovi, andò delusa. Le monete di Como nel ripostiglio sono soltanto 52, tutte viscontee, anzi, com’è ovvio, tutte di Azzone, quantunque due non ne rechino il nome.

Queste 52 monete si dividono fra le cinque varietà seguenti:

a) Denaro.

D/ (rosetta) S’ • ABONDIV’ (rosetta).
Busto mitrato del Santo, entro cerchio di perline.

R/ (rosetta) CVMANVS (rosetta).

Biscia viscontea nel campo.
(Litta, Famiglie celebri d’Italia: Visconti, Monete di Azzo, n. 7).

Esemplari 2.


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b) Denaro.

D/ • VICECOMES •
A-Z, entro cerchio di perline.
R/ (rosetta) CVMANVS (rosetta).
Croce vuota, entro cerchio c. s.
(Litta, l. c, n. 12).

Esemplari 17.


c) Varietà senza i punti nel diritto.

Esemplari 2.


d) Denaro.

D/ — • (rosetta)• |•AZO• |•VICE• |COM• |• (rosetta).
R/ (rosetta) CVMANVS • (rosetta).
Croce potenziata e ornata, entro cerchio di perline.
(Simile al n. 10 del Litta, ma colla Z non rovesciata).

Esemplari 9.


e) Simile, colla Z rovesciata.

(Litta, n. 10).
Esemplari 22.

Come si vede, nessuna fra queste varietà può dirsi interamente nuova; è tuttavia da notare che (a differenza dalle restanti monete comasche di Azzone, piuttosto comuni), il primo tipo, cioè quello col S. Abbondio, ha pregio di grande rarità. Esso sarebbe anzi, di gran lunga, la moneta più rara di tutto il ripostiglio, se non vi si trovasse, — in tre esemplari, — il prezioso denaro repubblicano di Alessandria (Sec. XIV), col busto di S. Pietro1.

[p. 165 modifica] Le altre monete non milanesi si suddividono come segue:

PAVIA. — Imperatori. Denaro. Esemplari 63.
" — (Galeazzo II Visconti (1369-78). Pegione. Esemplari 633 (di due tipi).
CREMONA. — Azzone Visconti (1336-39). Denaro. Esemplari 4 (var.).
VERONA. — Repubblica. Denaro. Esemplari 2.
" — Bartolomeo e Antonio Della Scala (1376-81). Quattrino. Esemplari 2.
" — Antonio Della Scala (1381-87). Denaro. Esemplari 5.
" – Giangaleazzo Visconti (1387-1402). Sesino, Moltissimi esemplari.
PADOVA. — Repubblica. Quattrino. Esemplari 3.
VENEZIA. — Andrea Contarini (1367-82). Soldino col leone alato. Un esemplare.
FERRARA. — Nicolò II d’ Este (1361-88). Quattrino. Un esemplare.
PARMA. — Repubblica. Picciolo. Un esemplare.
PAPA GIOVANNI XXII (1316-34). Denaro. Un esemplare.
" (1326). Denaro coniato in Parma. Esemplari 9.
BOLOGNA. — Repubblica (Sec. XIII-XIV). Denaro. Un esemplare.
" — Gregorio XI Papa (1370-76). Picciolo. Esemplari 2.
ANCONA. — Repubblica (Sec. XIV). Denaro. Esemplari 4.
ASCOLI. — Repubblica ((Sec. XIII-XIV). Quattrino. Un esemplare.
SAVOIA. — Conti (Sec. XIV). Denaro. Esemplari 2.
CHIVASSO. — Giovanni I, marchese di Monferrato (1338-72). Obolo bianco. Esemplari 2.
GENOVA. — Repubblica (Sec. XIII-XIV). Denaro. Esemplari 5.
BERNA. — Repubblica (Sec. XIV). Mistura. Esemplari 3.
GIOVANNI RE DI BOEMIA (1310-46). Denaro. Un esemplare.
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Le monete milanesi sono le seguenti:

Enrico V, imp. (1106-26) — Denaro — Esemplari 1.
Enrico VII (1310-13) — Denaro — Esemplari 2.

(Gnecchi, tav. LVII, n. 9).
Lodovico V (1314-29) — Denaro — Esemplari 3. (Gnecchi, tav. V., n. 4).
Azzone Visconti (1329-39) — Ottavo di soldo — Esemp. 56.
(Gnecchi, tav. V, n. 8).
" — Denaro — Esemplari 17.
(Gnecchi, tav. V, n. 9).
Luchino (1339-49) — Denaro — Esemplari 14.
(Gnecchi, tav. V, n. 10).
Giovanni (1349-64) - Denaro — Esemplari 7.
(Gnecchi, tav. VI, n. 6).
(Azzone, Luchino o Giovanni, denari sconservati). Circa 350.
Bernabò e Galeazzo (1364-78) — Pegione — Esemplari 418.
(Gnecchi, tav. VI, n. 11).
" — Sesino — Un esemplare.
(Gnecchi, tav. VI, n. 12).
Galeazzo (1364-78) — Pegione — Esemplari 23.
(Gnecchi, tav. VII, n. 4).
" — Sesino — Un esemplare.
(Gnecchi, tav. VII, n. 6).
Bernabò (1364-86) — Grosso o pegione — Esemplari 135.
(Gnecchi, tav. VII, n. 8).
" — Pegione — Esemplari 60.
(Gnecchi, tav. VII, n. 10).
" — Sesino — Esemplari 4.
(Gnecchi, tav. VII, n, 14).
" — Imperiale — Esemplari 170.
(Gnecchi, tav. VII, n. 16).
Giangaleazzo (1386-1402) — Pegione — Esemplari 866.
(Gnecchi, Galeazzo, tav. VII, n. 3).
" — Sesino — Esemplari 3000 e più.
(Gnecchi, tav. VIII, n. 10).

Fra tutte codeste migliaia di monete milanesi, non v’è nessun pezzo che abbia vanto di rarità [p. 167 modifica]o che per altri motivi possa interessare il numismatico. I più pregevoli, relativamente, sarebbero i pegioni2 colle secchie, di Galeazzo II (Gnecchi, tav. VII, n. 4), e gli ottavi di soldo di Azzone, ma sgraziatamente questi ultimi sono tutti sconservati, le monete di quel principe essendo fra le più antiche del ripostiglio. Anche i grossi o pegioni di Bernabò, col cimiero nel campo del diritto ed il biscione in quello del rovescio (Gnecchi, tav. VII, n. 8), non si possono chiamare veramente comuni, quantunque se ne siano ritrovati molti dopo la pubblicazione dell’opera dei Gnecchi: il nostro ripostiglio tuttavia, col suo contingente di oltre un centinaio, contribuisce senza dubbio a rinvilirli.

Sotto il riguardo della rarità e del pregio dei singoli pezzi che lo compongono, il ripostiglio di Como non aggiunge insomma nulla di nuovo alle nozioni che già possediamo intorno alla Numismatica milanese del Sec. XIV.

Ma, sotto un altro riguardo, il ripostiglio assumerebbe un’importanza non lieve, perchè ci conduce [p. 168 modifica]forse a sciogliere in modo plausibile una questione agitata inutilmente sinora fra i numismatici.

La vexata quaestio della pertinenza di alcune monete milanesi a Galeazzo II oppure a Giangaleazzo, indusse infatti anche da ultimo i ch. fratelli Gnecchi a scrivere negli avvertimenti preliminari della loro opera: «II fiorino d’oro e alcune e forse tutte le monete d’argento fin qui attribuite a Galeazzo II Visconti, da taluno vorrebbero invece attribuirsi a Gian Galeazzo Visconti, e le ragioni addotte sono tutt’ altro che deboli e inconcludenti. Noi siamo stati lungamente titubanti fra l’una e l’altra ipotesi; ma, considerando che le ragioni addotte a favore dell’attribuzione a Gian Galeazzo, per quanto buone, non sono affatto incontestabili, non abbiamo osato urtare troppo radicalmente contro l’opinione fin qui prevalsa e abbiamo conservato quelle monete a Galeazzo II, salvo a ricrederci quando nuovi studi e nuove ricerche facessero mutare l’attuale nostro dubbio in certezza»3.

Ora, il ripostiglio di Como mi ha forse fatto trovare il bandolo in quest’intricatissimo argomento.

Sulle prime, infatti, si osservava un singolare fenomeno, cioè che il tesoretto racchiudeva un numero strabocchevole di sesini di Giangaleazzo, mentre vi mancavano assolutamente i suoi pegioni che sono pur comunissimi. Da questa circostanza, e dall’essere molti di que’ sesini a fior di conio, argomentavo anzi che il nascondimento dovesse risalire al principio del dominio di Giangaleazzo (tuttavia non innanzi al 1387, perchè su alcuni sesini assume il titolo di «signore di Verona», città di cui s’impadroni soltanto [p. 169 modifica]in quell’anno). Supponevo che Giangaleazzo avesse tardato qualche tempo a coniare monete maggiori, provvedendo dapprima alle necessità del minuto commercio; ed ero suffragato in tale mia supposizione dal fatto che le monetuccie di piccolo taglio appartenenti ai principi anteriori, benché abbastanza numerose, sono sciupate e consunte, talché i nuovi sesini di Giangaleazzo appaiono emessi per sopperire ad un’immediata necessità.

Ma continuando a fantasticare sulla completa assenza dei pegioni di Giangaleazzo, ed esaminando il problema sotto tutti gli aspetti, fui ricondotto involontariamente allo studio dei tipi; ed il risultato cui giunsi sarebbe che il pegione n. 3, tav. VII Gnocchi, attribuito sinora a Galeazzo II (v. Litta, ecc.), debba essere dato invece a Giangaleazzo, in quel modo stesso in cui il chiar. nostro collaboratore Cav. Gavazzi rivendicò a Giangaleazzo il fiorino d’oro colla corona (n. 1, Tav. VII Gnecchi), attribuito anch’esso a Galeazzo II.

A quest’ultimo principe non resterebbero allora che le tre monete n. 2, 4 e 5, Tav. VII Gnecchi, le quali tutte (si noti) hanno l’impresa delle secchie (propria appunto di Galeazzo) ed il cimiero cristato, che sul bellissimo fiorino d’oro sociale è attribuito espressamente a Galeazzo, in opposizione al cimiero piumato di Bernabò4.

La mia congettura è fondata su questa circostanza di fatto: — il pegione n. 4, Tav. VII Gnecchi (cioè col cimiero cristato), che rimarrebbe a Galeazzo II, è affatto simile a quello di Pavia, il quale indubbiamente appartiene a Galeazzo stesso5; invece [p. 170 modifica]il pegione n. 3, tav. VII Gnecchi, che io vorrei dato a Giangaleazzo, è per cosi dire identico a quello n. 4, tav. VIII Gnecchi, ch’è indiscutibilmente di Giangaleazzo perchè reca il titolo di «conte di Virtù». Si ponga mente, fra l’altro, alle foglioline che accantonano l’ornato quadrilobo del diritto, ed al panneggiamento del Sant’Ambrogio, assolutamente eguale a quello del pegione del Conte di Virtù, mentre differisce moltissimo da quello del pegione col cimiero cristato.

Mi sono quindi permesso, nello specchietto delle monete milanesi del ripostiglio, di togliere a Galeazzo II gli 855 pegioni n. 3, tav. VII Gnecchi, per darli a Giangaleazzo.

La mancanza, nel ripostiglio, di qualsiasi esemplare del pegione (o grosso) n. 4, tav. VIII Gnecchi, di Giangaleazzo, col titolo di Conte di Virtù, si spiega da sé per la grande rarità di quel pezzo, ch’è forse da considerarsi piuttosto come una prova di zecca del pegione definitivo e comunissimo, ch’io vorrei attribuire a Giangaleazzo.

La obbiezione più grave sarebbe che Giangaleazzo assume sulle altre monete il titolo di Conte di Virtù, mentre su questo pegione tal titolo manca, essendovi invece il VICECOMES che non si legge sulle monete di Giangaleazzo, ma su quelle di Galeazzo II: a questo proposito si osservi però che la forma «Galeaz Vicecomes» s’incontra pure nei documenti di Giangaleazzo, e che il fiorino d’oro fondatamente rivendicato dal Cav. Gavazzi a Giangaleazzo non ha il titolo di Conte di Virtù ma bensì la semplice espressione «Galeaz Vicecomes».

Nel Gabinetto di Brera, tutte le monete attribuite a Galeazzo II si trovano collocate fra quelle di Giangaleazzo; a mio avviso tuttavia, mentre il fiorino d’oro colla corona, nonché il pegione di cui ho [p. 171 modifica]discorso a lungo, devono essere trasportati a Giangaleazzo, le tre monete colle secchie e col cimiero cristato devono essere lasciate a Galeazzo II, specialmente perchè il pegione col cimiero cristato presenta troppa somiglianza con quelli di Pavia, che nessuno, credo, vorrà togliere a Galeazzo II.

Si avrebbe insomma una soluzione non priva di eleganza, inquantochè i tipi si aggrupperebbero naturalmente, e la scarsa monetazione di Galeazzo II formerebbe almeno un tutto omogeneo, con distintivi propri ed affatto peculiari.

Note

  1. Bellini, De monetis Italiæ medii ævi, postrema dissertatio, Ferrariæ, 1774: — «Nummus æreus est, et summæ raritatis, exhibetque in anteriori parte Sancti Petri Apostoli Urbis Protectoris imaginem cum ejus nomine in circuitu: in posteriori vero Crucem lemmate circumseptam: alexandria», n (pag. 1, tav. I, n. 1).

    Promis (D.), Monete del Piemonte inedite o rare, Torino, 1862 (tav. I, n. 6).

  2. A proposito di questo nome di pegione sul quale si è discusso a lungo senza giungere ad un risultato soddisfacente, mi si permetta una breve digressione. Si vuole che esso derivi (per servirmi delle parole del compianto Prof. Biondelli) «dall’emblema di una colomba o di un piccione, che Gian Galeazzo Visconti avrebbe effigiato su di una sua moneta. Noi faremo però osservare» — continua il Biondelli, — «che si conoscono pegioni anteriori a Gian Galeazzo e precisamente di Galeazzo II e di Bernabò, mentre non si conosce alcuna moneta di Gian Galeazzo che porti effigiata la colomba, emblema cbe vediamo riprodotto solamente in alcune monete degli Sforza.» È vero: esistono pegioni sociali di Bernabò e Galeazzo (Gnecchi, tav. VII, n. 11), e sono anzi monete comunissimo. Ma questi pegioni recano appunto, sopra la biscia, l’aquila imperiale, che il popolo avrà scambiata facilmente per un piccione, donde il nome alla moneta. Non altrimenti, oggi, il nostro popolo chiama «quattrini del pettine» i centesimi del primo regno italico, per la corona radiata che hanno nel campo del rovescio e che grossolanamente rassomiglia ad un pettine.
  3. Gnecchi, Le monete di Milano, pag. XXV.
  4. Cfr. Gavazzi, Ricerca del fiorino d’oro di Giangaleazzo Visconti (nella presente Rivista Anno I, 1888, fasc. IV).
  5. Brambilla, Monete di Pavia.