Il flauto nel bosco/L'anello che rende invisibili
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L’anello che rende invisibili.
Da bambina aveva sentito raccontare di un anello che messo al dito rende invisibili. E un altro bambino suo amico, figlio di un pescatore, affermava che quest’anello era lo stesso che tutti gli anni il giorno dell’Ascensione il vescovo della diocesi venuto apposta nel piccolo villaggio gittava in mare da una barca infiorata per celebrare le nozze e quindi la pace fra la terra e l’oceano.
Quest’anello col diamante veniva sempre ripescato dai ragazzi figli dei marinai e dei pescatori che abitavano il villaggio; ripescato e rivenduto allo stesso segretario del vescovo, che era poi l’arciprete e serbava l’anello per la cerimonia dell’anno venturo.
E il fortunato che lo ripescava non osava metterlo al dito, perchè a metterlo al dito, rendeva sì, invisibili, ma perdeva il diamante e quindi il valore.
È vero che, rendendosi invisibili, si potevano acquistare ben altri valori: ma, insomma, è meglio un uovo oggi che una gallina domani, e i ragazzi poi erano tutti religiosi, e ci tenevano a rendere l’anello al segretario del vescovo.
Avveniva che il mare defraudato dell’anello, quasi tradito e sbeffeggiato dalla terra per mezzo dei suoi abitanti il giorno stesso delle nozze, facesse poi il comodo suo, continuando a esser calmo solo quando gli piaceva e ingoiando barche e uomini nei suoi giorni di nervi.
Ma questo non c’entra. La bambina sognava dunque di avere l’anello e poichè sapeva anche lei nuotare sopra e sott’acqua a occhi aperti avrebbe voluto e potuto ripescarlo; ma le era proibito. Era figlia di pescivendoli che guadagnavano molto e la facevano studiare: e il giorno dell’Ascensione prendeva parte alla festa con le altre bambine della scuola, vestita di bianco e con una ghirlanda di rose in testa: eppoi una volta un bambino che cercava sott’acqua con gli altri fu preso da male e si annegò.
*
Poi gli anni passarono ed ella diventò la maestra del villaggio: gli anni passarono ed ella cessò di credere alle leggende e ai sogni; e tanti ne passarono, di anni, che una volta ella, che aveva velleità poetiche, scrisse in un suo libriccino di pensieri: «M’è venuta l’idea di scrivere dei versi sotto il titolo «ho ucciso i sogni», ma a pensarci bene in mia coscienza mi avvedo che i miei sogni sono morti tutti da sè, di morte naturale».
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Eppure in fondo era rimasta la bambina che desiderava l’anello magico; e adesso vecchia e malaticcia, nei giorni che doveva starsene a letto nella sua piccola camera il davanzale della cui finestra sembrava la riva del mare, mentre sonnecchiava pensava ancora a quel sogno.
Potersi rendere invisibili! Viaggiare senza pagare, entrare nella casa e nei giardini, avvicinarsi alle persone che sono più inaccessibili del re!
Un giorno d’inverno, che una lieve febbre le faceva parer caldo come un giorno di giugno, venne a trovarla un vecchio capitano di lungo corso che dopo aver sguazzato per tutti i mari del mondo se ne tornava con un carico di denari al villaggio; ed era giusto quel bambino che un tempo le raccontava dell’anello.
— Ne ho comprato uno nelle Indie, — le disse con semplicità; — ed è più buono di quello del vescovo perchè non ha il diamante e quindi non corre il rischio di perdere la sua virtù.
Ella spalancò gli occhi e si scosse tutta per assicurarsi che non vaneggiava: poi ricordò che gli uomini di mare amano raccontare cose un po’ fantastiche.
— Tu non mi credi? — egli disse come quando giocavano sulla spiaggia; — ebbene, se vuoi posso non solo farti vedere l’anello, ma prestartelo, purchè tu mi dia la parola che lo terrai solo fino a doman l’altro a quest’ora.
Ella chiuse gli occhi stordita. Pensò che se partiva subito faceva in tempo a prendere il treno per la capitale, starvi un giorno e ritornare. Dopo tutto non si sentiva molto male, e il muoversi forse le avrebbe giovato.
— Parola, — mormorò.
E l’uomo senz’altro trasse l’anello dal taschino e glielo infilò nel dito.
E subito ella vide sè stessa abbandonata sul lettuccio e l’uomo che se ne andava in punta di piedi come per non svegliarla.
Non c’era tempo da perdere: chiuse la casetta dove viveva sola e mise la chiave sotto la porta come quando andava alla scuola. E via, lieve, lungo la riva del mare, senza lasciar orme neppure sulla sabbia: arrivò in tempo alla stazione e naturalmente salì in prima classe.
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La mattina all’alba era nella capitale. Non si sentiva stanca nè aveva voglia di mangiare. Conosceva già la città perchè c’era stata una volta in pellegrinaggio e un’altra volta per un congresso.
Durante il viaggio aveva stabilito bene il suo itinerario. E andò anzitutto in casa del Re: ma qui l’aspettava la prima delusione: belle scale, belle sale, bei tappeti, e ufficiali e gente ben vestita: ma il re era alla guerra e la regina malata, stesa anche lei tranquilla e sofferente su un piccolo letto come la maestra del villaggio: solo che la finestra era chiusa e non si vedeva il mare.
Vediamo allora i giardini; bellissimi, pieni di sole e di fiori come a primavera: ma un vecchio giardiniere piangeva, col gomito appoggiato sul manico del rastrello, e dava melanconia al luogo.
Ella vagò qua e là pensando che infine la pineta in riva al suo mare dove tutti potevano entrare e starci a fare anche merenda non era da meno di quel luogo; poi se ne andò. L’ora passava e bisognava sbrigarsi. Andò dunque nella casa di una donna ch’ella aveva lungamente ammirato e invidiato; una poetessa celebre della quale conservava come un tesoro un aureo autografo.
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Che farà a casa sua, nella sua intimità, l’eccelsa donna? Seduta al suo scrittoio adorno di fiori, aspetterà forse guardando in alto l’ispirazione per i suoi versi letti e riletti da migliaia di persone che l’amano come una innamorata; o sdraiata sui cuscini del suo studio fumerà una sigaretta orientale, o si abbiglierà per recarsi a colazione presso qualcuno dei potenti della terra.
Ebbene, l’eccelsa donna, con un fazzoletto bianco stretto intorno ai capelli, scopava: e di tanto in tanto sollevava, sì, il viso serio e accigliato per vedere se c’era qualche ragnatela negli angoli, e tendeva l’orecchio per sentire se la serva finalmente si degnava di tornare dalla spesa.
Ella fuggì inorridita. E per confortarsi, finalmente, andò in un luogo dove certo non poteva esser delusa: nella casa appunto di uno di quei potenti della terra ch’ella credeva capaci di offrire, oltre che laute colazioni alle persone di talento, bene e felicità a tutti i piccoli mortali.
Era un uomo davvero potente, portato ad esempio per la sua forza di volontà e di azione: non più giovane, ma neppure vecchio; uno di quelli che «guidano i destini della patria». Ed ella voleva vederlo non veduta, perchè per lunghi anni quest’uomo in altri tempi, era stato il segreto pensiero, il fuoco della sua vita scolorita: perchè anche lui era nato nel villaggio, donde aveva spiccato il volo come gli aquilotti delle roccie costiere.
Ella entra dunque trepidando nella casa di lui, e la casa è bella, più calda, più intima della casa del re; ma solo i servi l’abitano; la moglie del grand’uomo è in giro, e lui è nel suo ministero. Ella però non vuol tornarsene al villaggio senza vederlo: va al ministero e passa avanti a file e file di persone che nella sala d’aspetto pazientemente sperano di essere ricevute da lui. Altre sale sono piene di uomini e donne che scrivono o vanno e vengono tutti affaccendati per il bene della patria. Che farà, lui? Ella trema, nel volgere silenziosa la maniglia dell’uscio sacro vigilato da un usciere coi galloni d’oro. Ma anche il «gabinetto» grande e decorato come un salone è vuoto: ella si guarda attorno, e sente nella stanza attigua un ronfare profondo, sonoro. Guarda dall’uscio: l’uomo è là, grasso, pallido, addormentato su un sedile come un vecchio operaio sulle panchine pubbliche: la bocca aperta lascia vedere i denti d’oro: d’oro, ma non più denti.
Dopo questa visita, sebbene altre ed altre ce ne fossero nel suo programma, ella decise di tornarsene al villaggio. Il villaggio era tutto come in festa: i bambini e le bambine delle scuole marciavano in fila lungo le strade soleggiate, i marinai e i pescatori, insolitamente calzati, venivano su dal porto.
Anche la sua casa, che qualcuno s’era permesso di aprire, rigurgitava di gente: e il corpo di lei, sempre disteso sul lettuccio, era coperto di fiori, con un crocifisso in mano.
Allora intese la verità: l’avevano creduta morta. E il suo primo desiderio fu di lasciar le cose come stavano, ma poi pensò che è meglio vivere e sognare che esser morti e veder la sola verità: s’avvicinò quindi al vecchio capitano lì presente e gli rese l’anello.
Il suo corpo si rianimò subito, e i funerali furono naturalmente sospesi; ma ella non poteva muoversi per la gran debolezza, ed era contenta che tutti affermassero di non aver mai veduto il vecchio capitano, per convincersi di aver sognato e così continuare a sognare.