Il romanzo della fortuna/XVI

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Secondo inverno a Milano

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XV XVII

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XVI.

Secondo inverno a Milano.

Molto affacendata fu Chiarina negli ultimi mesi dell’anno.

Come suo fratello le aveva già annunciato nuovi affari lo obbligavano ad assentarsi dal negozio che rimaneva per tal modo sotto la sua responsabilità e intanto che la mente speculativa del giovane spaziava verso campi più vasti e più audaci, ella vedeva crescere il suo umile lavoro di pazienza e di abnegazione. Un commesso era stato posto ai suoi ordini, ma nulla sfuggiva alla vigilanza minuziosa di Chiarina che dalle prime ore del mattino fino al tramonto trovavasi inchiodata al suo posto dietro il banco; facesse nebbia o freddo o gelo, [p. 222 modifica]splendesse limpido il sole o dilagasse la piova ognuno poteva vederla ritta sull’alto seggiolone, sempre dolce e un po’ mesta nel suo sorriso astratto di vecchio bassorilievo, colle sue vesti color d’ombra.

Aveva ottenuto di poter condurre in un asilo la piccina dell’operaia in nastri e se ne incaricava ella stessa levandosi più presto del solito per arrivare in tempo a tutto. La Gigia intanto declinava rapidamente e colla prima neve finì di soffrire.

— Povero vaso di basilico — diceva Chiarina il giorno del funerale accarezzando la testina dell’altra bimba — non mi resti che tu!

Ella aveva affidato per un poco il negozio al commesso, sì da poter comporre nella bara la piccola martire vestendola con un abito bianco cucito in fretta la sera prima e ravviandole amorosamente le chiome lungo le guancie disfatte. La madre assisteva senza batter ciglio, come se la cosa non la riguardasse, tanto che una signora entrando dall’uscio che avevano lasciato aperto si rivolse a Chiarina, credendola la madre, per chiederle il permesso di vedere la morticina. [p. 223 modifica]

Era la signora del primo piano subentrata a donna Ersilia. Chiarina la vedeva per la prima volta: una tomboletta insaccata in un lungo soprabito verde con grossi bottoni dorati ai quali, evidentemente per la circostanza, era stato sovrapposto un cappuccetto di crespo nero allo scopo di palliarne il luccicore: e la faccia della signora, rotonda e gioviale, su cui la funebre cerimonia rifletteva il suo lutto, aveva pure una certa somiglianza coi bottoni della casacca. La prima impressione certo non poteva a meno di essere buffa; ma la schietta bontà che traspariva attraverso il ridicolo conquistò subito l’animo di Chiarina.

Chiusa la cassa, mentre il malinconico corteo si avviava giù per la scala, apparve Giovanni con un mazzolino di fiori che fece scivolare nelle mani di sua sorella.

— Tieni — disse — sono per la tua piccola amica.

Chiarina fu molto sensibile al delicato pensiero e la signora dal soprabito verde lo approvò pure con replicati cenni del capo. Tutte e due seguirono la bara prima in chiesa, poi al cimitero, lor due sole, sotto la neve che cadeva lentamente. [p. 224 modifica]

— Lei è della famiglia? — domandò la signora.

— No.

— Parente remota — Nemmeno. Sono appena una vicina.

La signora gonfiò il petto pieno di singulti:

— Buon cuore, buon cuore. — esclamò tutta commossa — Ce ne fossero tanti!

Da quel giorno Chiarina e madama Cauda furono amiche. Non si vedevano molto a dir vero perché il negozio assorbiva Chiarina, ma quando si incontravano si sorridevano a vicenda e Chiarina col volto di madama Cauda dinanzi agli occhi restava allegra per un po’ di tempo. Quel volto aveva la particolarità di un naso speciale, un piccolo naso rialzato con una punta così audace che si sarebbe aspettato da un momento all’altro di vedervi posar sopra un uccello; quando madama Cauda rideva il suo naso sembrava un campanelluzzo agitato dalla Follia, e quando era triste somigliava in modo straordinario alla coda di un cane rimasta per distrazione per aria nel momento di tirarsela fra le gambe.

Madama Cauda era piemontese, vedova da quindici anni dopo un matrimonio durato [p. 225 modifica]una settimana. Suo marito era morto nel viaggio di nozze «Appena vidi il sol che ne fui priva», diceva madama Cauda che aveva un debole per le frasi ricercate.

In mezzo alle sue occupazioni monotone e sotto il giogo ferreo che le imponeva il negozio fu un raggio di sole per Chiarina la visita che le fece Mariuccia in una fredda domenica di dicembre, sorprendendola ad accendere la piccola stufa di ghisa che accumulava la duplice funzione di riscaldare le camere e di cuocere il modesto desinare.

Mariuccia indossava quel giorno un abito di drappo color tortora, una giacca di lontra e un tocco di velluto nero; nè a Chiarina sfuggì il sottile profumo che emanava da un mazzolino di violette seminascosto nel suo manicotto. Ella sedette con aria indifferente sull’ottomana nuova e Chiarina si accorse solamente allora che il pavonazzo era un colore antipatico, di cattivo gusto, di pessimo effetto in una camera così modesta. Era stata tanto felice, tempo addietro, pensando al momento in cui Mariuccia l’avrebbe veduta quell’ottomana ed ora faceva il possibile per nasconderla a’ suoi sguardi. [p. 226 modifica]

Gentilissima, al solito, Mariuccia le fece un complimento generico sulla abitazione senza entrare in minuti particolari e prima di partire disse che la aspettava con Giovanni a fare il Natale da loro.

Oh! come era contenta, come era contenta Chiarina. Quando venne a casa suo fratello, appena varcata la soglia egli disse:

— Che buon odore si sente.

— È di Mariuccia! — esclamò.

— C’è stata?

— Sì, sì, c’è stata. Diventa tutte le volte più bella.

— Fu sempre bella.

— Questo è vero, ma mi sembra ancora più bella. Tanto simpatica poi!

Giovanni si era levato il cappello e scaldandosi le mani alla stufa senza voltarsi domandò:

— Che cosa ha detto?

— Oh! tante cosine graziose. Il signor Firmiani sta bene. Enzo... il signor Enzo...

— Aveva un tocco di velluto nero?

— Chi?

— Lei, per bacco, la signorina Firmiani.

— Appunto, un tocco di velluto nero. [p. 227 modifica]

— Le sta magnificamente.

— Come fai a saperlo?

— L’ho veduta alcuni giorni or sono.

— E non mi hai detto nulla!

Siccome Giovanni non rispose subito, Chiarina soggiunse con slancio:

— Io invece ti dirò subito che ci hanno invitati a pranzo per il giorno di Natale.

— Davvero?

— Molto gentile da parte loro, che ne dici?

— Dico che bisognerà che mi decida a comperare delle camicie. Queste che ho non mi vanno bene.

Chiarina non fece osservazioni, ma intanto che trotterellava per la stanza ad ammanire il loro pasto frugale, Giovanni, dall’ottomana dove si era seduto, lanciò un’altra proposta.

— Bisognerà anche che tu ti provveda di un cappello.

Giovanni aveva ragione. Egli era diventato oramai un cittadino perfetto e non poteva permettere che sua sorella gli venisse accanto in tenuta troppo dimessa; ma questa faccenda del cappello occupò Chiarina per parecchi giorni. [p. 228 modifica]

Fu la signora Cauda che venne in suo soccorso accompagnandola da una di quelle modiste a buon mercato che aprono bottega in via Torino. Ivi trovò per il prezzo di nove lire e mezza una modestissima capote nera ornata da un lato da un ciuffo di fiorellini azzurri. Non le stava nè bene nè male, ed era appunto ciò che Chiarina voleva per restar fedele alla sua abitudine di passare inosservata.

Giovanni sì che si era fatto bello per il giorno di Natale. Rasato di fresco, coi baffi ben tesi, una cravatta di seta sulla sua camicia nuova e un abito scuro che secondava con grazia le membra giovanili egli formò fin dal mattino l’ammirazione di Chiarina la quale cedette a un movimento di orgoglio entrando con lui nella chiesa di S. Eustorgio per sentire le tre messe d’uso.

Tutta compunta e raccolta nella sua cappella favorita in fondo al tempio Chiarina pregò quel giorno con un fervore giulivo, entrando nel sentimento di pace che diffondevano sull’altare i paramenti candidi del sacerdote e il velo frangiato d’oro che distendeva al di sopra della sacra mensa le sue pieghe seriche a guisa di grandi ali spalancate. I giorni tristi [p. 229 modifica]della adolescenza erano lontani, lontani i giorni della povertà. Chiarina ringraziò il Signore per la sua casa che rifioriva sulle rovine della casa antica, per il suo buon fratello Giovanni, per sè stessa, e raccogliendo in uno slancio ardente tutti coloro che essa amava li presentò all’Altissimo con un fervido atto di umiltà.

Un pensiero improvviso venne tuttavia a turbarla. Dove era Giuseppe in quel giorno consacrato alla più intima, alla più cara di tutte le feste? Non tornerebbe dunque mai il figliuol prodigo al perdono de’ suoi fratelli? Perchè egli solo, dei tre, aveva rotto il dolce incanto che li univa a un medesimo destino? Signore, Signore — diceva Chiarina giungendo le mani in una muta supplicazione — l’avrò dunque perduto per sempre?

Verso le ore cinque del pomeriggio fratello e sorella si avviarono lentamente alla casa dei signori Firmiani. Già era per le vie quel silenzio specialissimo del giorno di Natale che va crescendo sempre più verso il tramonto, all’ora cara delle riunioni di famiglia, quando solo i peggiori disgraziati si vedono errare quali cani randagi lungo i muri, privi di letto e di mensa. Il pensiero di Giuseppe lontano [p. 230 modifica]fece correre ancora un brivido nelle vene a Chiarina. Ella così per la squisita conformazione del suo animo non aveva mai gioie sfrenate ne disperati dolori, ma il bene e il male procedevano concordi nella sua vita mitigandosi a vicenda.

Ebbe un sussulto entrando dai signori Firmiani perchè la prima persona che le venne incontro fu Enzo, Enzo che ella non vedeva da tanti anni e che non era preparata a trovare cambiato da quel giorno luminoso in cui le era apparso come una visione di cielo. Una vampa di rossore, quale non le accadeva da gran tempo, le salì alla faccia.

— Come sta? — fece il giovane movendo verso di lei.

E in quel tempo di verbo cambiato, nella attitudine cerimoniosa, Chiarina lesse la marcia inesorabile degli anni più ancora che sulla fronte di lui.

Il signor Firmiani e Mariuccia accorsero prontamente facendo festa ai loro invitati. Mariuccia condusse Chiarina nella sua camera per farle deporre il cappello, per offrirle un pettine ed uno specchio da amica cordiale. Volle assolutamente che conservasse il tu dei [p. 231 modifica]loro primi anni e per metterla subito a suo agio ritornò in sala tenendosela sotto il braccio.

Sulla tavola già apparecchiata Chiarina riconobbe le antiche posate d’argento e fu con vera commozione che prese posto fra Enzo e il signor Firmiani, avendo di fronte Mariuccia e Giovanni. Una frase pronunciata da Enzo nel giorno indimenticabile le tornava con insistenza alla memoria: «Noi non sappiamo nulla di ciò che ci riserba l’avvenire».

Il pranzo fu animato, quasi allegro, poichè l’elemento giovanile predominava; Giovanni era buon parlatore e sapeva servirsi a meraviglia della istruzione che andava formandosi da sè con poco metodo, ma con molta intelligenza. Mariuccia compiva a perfezione i suoi doveri di padrona di casa ed Enzo pure parlò più del solito animandosi ai ricordi della fanciullezza, evocando i bei giorni passati alla Villa.

— Pensa Chiarina, sono dieci anni che non la vediamo più — esclamò Mariuccia.

— Deve essere affatto rovinata — soggiunse il signor Firmiani. [p. 232 modifica]

Mariuccia ebbe un pensiero della sua età e lo espresse ridendo:

— La faremo mettere a nuovo quando Enzo prenderà moglie.

Al balzo che le diede il cuore Chiarina comprese bene che tra i misteri dell’avvenire ci poteva essere anche quello e volse di nascosto una occhiata profonda al giovane, quasi potesse leggergli in fronte un nome di donna. Ma sulla pallida fronte di Enzo nulla apparve. Anche più tardi quando, sparecchiata la mensa il signor Firmiani si adagiò in poltrona a fare un sonnellino e i giovani si posero a guardare gli albums, Chiarina stava attenta per poter indovinare se tra le figure femminili ci fosse quell’una che Enzo doveva amare. A un tratto Giovanni esclamò:

— Come è bella questa signora!

Enzo chinò un istante il volto e disse subito:

— Non mi piace.

— Possibile! — fece Giovanni.

— In genere non mi piacciono le bionde — spiegò Enzo.

— Ed a me tanto! — riprese Giovanni con candore. [p. 233 modifica]

La bionda Mariuccia rise; ma Chiarina che rideva con minore facilità stette seria pur sentendosi improvvisamente invasa da una misteriosa dolcezza. Senza causa? senza ragione? così, perchè Enzo aveva dichiarato di non amare le bionde?...

Forse. Di sì poco si accontenta talora il [p. 234 modifica]cuore.