In morte di Lorenzo Mascheroni (1831)/Prefazione editore
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Prefazione
Fra le cause che sostennero, malgrado la perversità dei fati, l’Italia nella linea dei popoli colti o che piuttosto la spinsero sovra una grand’orbita di luce dalla quale emanò il principio della seconda civilizzazione europea, fu primamente un idioma fluido, sonoro, insinuante e prestantesi alle più sottili sfumature delle sensazioni e passioni dell’animo nostro: fu quindi il Genio italiano sempre fausto alle arti belle che suscitando dalle rovine del medio evo l’immaginosa e fera eloquenza dell’Alighieri produsse una rivoluzione nelle idee e nella poesia, la quale divenne la foriera di nuove speculazioni dell’intelletto e di una nuova foggia di pensare. Pure Dante, tuttocchè poeta unico e sì degno di studio, era caduto nel secolo scorso in obblio, colpa di scioli e ventosi rimatori e di depravato gusto nel bello poetico a ridestare il quale più che le teorie d’ingegnosi retori, valse l’esempio del Varano, del Cesarotti dell’Alfieri, e più d’ogni altro, del Monti, che nella Bassvilliana ci presentò, possiam dire, la musa dantesca ringiovanita; e alla quale tenne dietro bentosto colla cantica in morte del Mascheroni, che le circostanze, i tempi e alcuni personaggi e casi contemporanei a cui allude il poema, non permisero all’autore di pubblicare, per intiero, come facciam noi per la prima volta.
Questa nobilissima rivale della Bassvilliana è un argomento tutto cittadino e che intieramente si aggira su vicende politiche, speranze ed infortunj, virtù ed errori di tempi, i quali costituiscono un’era famosa, e su cui il poeta con dantesca arditezza pronuncia, in nome della rettitudine, un indipendente e severo giudizio. A’ dì nostri in cui tanto si ragiona di libertà, della quale più d’uno si foggia un’idea analoga alle sue inclinazioni, sarà pur bello abbandonarsi alla soave prepotenza di una musa incantatrice, la quale, trascinandoci alcuni decenni indietro, ci sforza ad istruirci sugli altrui traviamenti, e a fare il paragone tra le invasate dottrine del fanatismo rivoluzionario e la petulanza di deliranti o rapaci oclocratici, colle dottrine veraci figlie della ragione dell’ordine e di un più saggio ed umano incivilimento.
Meno epico della Bassvilliana e più elegiaco il poema in morte del Mascheroni abbonda egualmente di quei sublimi lirici voli e di quelle tragiche attitudini che tanto rapiscono nella prima: a cui si arroge egual copia di robusti pensieri e di ben nodrita filosofia, non di quella filosofia frigida e pedantesca la quale si marita così sovente colla gelata musa francese; ma di quella che investita di tutto il fuoco e di tutta la vitalità della poesia, leggiera e volatile del pari, elettrizza, infiamma, penetra e stampa la sua immagine nel più profondo dell’anima. Imperocchè, rapiti dall’estro immaginoso dal poeta, siamo ora trasportati sull’alto de’ cieli in mezzo agl’immortali concenti: ora accompagnati dalla mesta, ma fiera sua fantasia, passeggiamo assorti in gravi meditazioni sulle rovine di questa povera Italia tanto travagliata dalla rabbia degli uomini e più di tutto dagl’insani rancori dei proprj suoi figli: ora ci troviamo sulle sponde del Nilo e seguitiamo, quasi sognando, il vittorioso vessillo di Napoleone: ora dalla cima del san Bernardo discendiamo seco lui nel piano famoso di Marengo: or eccoci sulla tomba del ferrarese Omero fatti uditori di quell’illustre, il quale prorompe in disdegnoso ed energico lamento sui guai della sua terra; imitazione felicissima, che il moderno poeta ha saputo ritrarre dal tanto decantato episodio di Sordello. E chi fia mai di così agghiacciati spiriti che non sentasi del tutto commovere dalle vivacissime descrizioni di que’ tanti flagelli onde fu la bella patria nostra desolata a que’ tempi? E chi non fia dolcemente distratto dalla bella digressione sui varj effetti della divina virtù che informa le create cose, la quale rammenta alcuni de’ più felici pezzi del paradiso dantesco: o dal soavissimo episodio sulla tomba del Parini, che alla ingenuità dell’Idillio accoppia la tenerezza e la nobiltà dell’Elegia? Franchi tratti e decisi che al vero ti presentano gli oggetti, forti concetti e squisita scelta d’immagini e di colori tolti dalla natura o desunte dalle medesime sensazioni dell’anima, sono il pittorico linguaggio che massimamente distingue la poesia montiana or epica, or tragica, or lirica, or patetica e persino drammatica e satirica; ma pur sempre abbandonata a così precipitosi slanci, che bene a ragione soleva dire il Parini, sublimarsi il Monti tanto alto che minacciava ognor di cadere e non cadeva mai. Da tutte le quali cose risulta essere quella un’aggraziata imitazione unica nel suo genere, della robusta e sempre personificata poesia di Dante. Se non che Dante suole non di rado sagrificare l’eleganza alla forza dei concetti ed all’arditezza de’ pensieri; la qual cosa mostra pure di fare anco il Monti; ma quest’artifiziosa sua negligenza di vocaboli, anzicchè urtare il buon gusto, lo solletica vieppiù per la novità e verità delle parole e delle immagini.
È però vero che l’autore suole troppo sovente riprodurre in questa secondogenita alcune espressioni e figure della Bassvilliana e che l’invenzione e la macchina sono poco meno che le stesse in ambedue. Ma giova primamente osservare che la natura medesima del soggetto non permetteva forse di trattarlo diversamente. Altronde quest’apparente somiglianza nella distribuzione delle parti va quasi quasi smarrita sotto la totale differenza dei colori. L’ossatura della Gerusalemme non è punto più diversa da quella dell’Iliade, eppure è sì fattamente dissimile il vestito che appena puossi accorgere di quell’occulta rassomiglianza. Quanto poi alle frasi e alle figure oltre che poste in diversa similitudine sono lumeggiate in modo nuovo con nuovi contorni con fondi o chiaroscuri variati da cui risulta una varia armonìa. Le quali cose, anzicchè le scarse dovizie del poeta, provano in lui una somma abilità e una somma ricchezza di linguaggio, di pensieri e d’immaginazione nel presentare più d’una volta la stessa cosa sotto forme distinte.
La Mascheroniana, scritta sono omai trent’anni, è il poema classico de’ nostri tempi per gl’insegnamenti che contiene, come lo sarà di tutti i tempi per la sublimità dei concetti e per l’alta ed irresistibile eloquenza. Ed è perciò che, fattasene rara la prima edizione dell’anno IX, già per sè stessa imperfetta non tanto per la meschinità e sconcezza tipografica, quanto perchè priva del quarto e quinto canto, si è per noi usata ogni diligenza onde presentarne al pubblico una nuova, la quale, oltre ad essere compiuta anco per quella parte rimasta finora inedita, risplendesse eziandio per nitidezza e correzione, massimo dovere di un tipografo e massimo pregio materiale di un libro qualunque, e più ancora se di alto dettato.
Alle brevi note dell’autore, distinte con asterisco, ne abbiamo aggiunte altre nostre, le quali per noi si sono credute indispensabili a richiamare l’attenzione de’ lettori ad allusioni contemporanee chiare in allora, ma divenute alquanto recondite adesso specialmente pei giovani, o per le persone non troppo versate nelle cronache di quei tempi. Una bella variante del frammento del Canto IV, già conosciuto perchè stampato più volte unitamente alla celebre Triodìa dei Sepolcri, aggiugnerà pregio a questa edizione, la quale a buon titolo dovrà essere considerata siccome la prima della Mascheroniana.
Ove la fama del Monti non fosse già una valevole raccomandazione ad ogni cosa che porta il suo nome, il favorevole giudizio del pubblico sui tre primi canti dev’essere uno stimolo a gustare i due rimanenti, ancor più sublimi, noti finora a pochi e ristretti amici del poeta, e desiderati indarno di comune diritto da tutti i ben educati ingegni italiani. In quanto a noi, se con questa nostra tenue fatica avremo potuto in qualche modo contribuire al propagamento di utili dottrine, e a richiamare gl’inesperti da quei sogni di farnetica libertà, che la ciarlataneria dei settarj va per tutto disseminando con danno gravissimo della libertà vera, legittima e santa: non sarà già nostro il merito, ma saranno tutt’al più alcuni fiori, che si vanno spargendo per nostra mano sulle onorate ceneri dell’illustre Cantore.
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