Istituzioni di diritto romano/Introduzione/Sezione III/Primo periodo/Capitolo I

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Primo periodo - Capitolo I - Stato primitivo di Roma ed avvenimenti politici.

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Primo periodo - Capitolo I - Stato primitivo di Roma ed avvenimenti politici.
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CAPITOLO I.

stato primitivo di roma ed avvenimenti politici.

§. 42. L’Odierna critica della Istoria ha dimostrato, che le narrazioni degli Scrittori Classici intorno alle Origini di Roma ed al Governo suo, nei priori tempi, tuttochè molto circostanziate, sono una pretta ripetizione di tradizioni volgari, di popolari leggende, e nulla di più. Scrivevano essi senza appoggio di documenti istorici, perocchè per lunghi anni fu rarissimo o mancò ogni uso di lettere presso i Romani; e Fabius Pictor, lo istorico più antico di Roma del quale ci parla Tito Livio, pare vivesse ai tempi di Annibale. Laonde la istoria dei primi tempi di Roma, se non favolosa o mitica assolutamente, con la favola e col mito è spesso innestata; ed i fatti da lei narrati se non inventati del tutto, sono meravigliosamente alterati e travisati, per guisa che riesce malagevole il separare il vero dal favoloso, la Istoria dal Mito.

Si ammette oggi dalla Critica Istorica più illuminata, che Roma fosse da primo un piccolo Stato degli Aborigeni o Siculi, gente Pelasgica. Furono costoro soggiogati da una Tribù di gente Latina, i Ramnes, i quali ne invasero il territorio. Ai vinti furono tolte pressochè tutte la terre, confiscate a vantaggio dei vincitori; ai vinti non furono accordati Diritti Politici nel nuovo Stato, che i Vincitori a loro sovrapponendosi, costituirono. A questo nuovo Stato si aggiunse ben presto una Tribù di gente Sabina, i Tities, detti ancora Quirites; attalchè Roma divenne uno Stato in cui due popoli, i Romani ed i Quiriti, stavano raccolti con uguaglianza di Diritti. Durarono per qualche tempo le traccie delle differenti origini di questi popoli, [p. 37 modifica]Rames e Tities. Il primo di razza Latina obbediva a Romolo, l’altro di razza Sabina a Tito Tazio. I Ramnes abitavano il Monte Palatino, i Tities abitavano il Quirinale; ed i Re furono scelti alternativamente in seno a queste due Tribù. In seguito, alle medesime se ne aggiunse una terza di razza Etrusca, i Luceres. Questa non ebbe da primo uguali Diritti alle altre due, e solamente col correre dei tempi fu a quelle parificata.

§. 43. Ognuna di queste tre Tribù era divisa in dieci Curie, ogni Curia in dieci Decurie o Gentes, talchè trecento Gentes formavano il populus Romanus. Ciascheduna di queste Gentes si componeva di più famiglie, le quali avevano avuto una origine comune; avevano lo stesso nome, comunanza di Sacri, Diritti e Obbligazioni scambievoli le legavano insieme; diritti in special modo di successione legittima in mancanza di Agnati, e corrispondenti Diritti di Tutela. I componenti la stessa Gens dicevansi fra loro Gentili, nome che indicava appunto relazioni giuridiche, politiche e religiose, fra le più famiglie componenti questo sodalizio. Quelli che costituivano una Gens, dicevansi Patres; e si distinguevano in Juniores e Seniores. Fra i Seniores si sceglievano i Senatori, uno per Decuria. Gli Juniores erano i cavalieri (celeres), i quali entravano nel Senato dopo aver fatto il servigio militare.

§. 44. L’assemblea delle trecento Gens nei Comizj dicevasi Comitia Curiata. In essa risiedeva il potere sovrano; essa si occupava degli affari tutti dello Stato; esercitava il Potere Legislativo; deliberava sulla Guerra e sulla Pace; creava i Magistrati, giudicava in appello dei Delitti Pubblici, ed eleggeva il capo dello Stato, chiamato Rex, Re, o rettore politico e militare. In questi Comizj Curiati, i Voti si contavano per Curie, ed in ogni Curia era vinto quel partito, nel quale consentiva la maggioranza delle Gentes. In ciascheduna Gens aveva voto il solo capo di ogni famiglia.

§. 45. L’elezione del Re era fatta sulla proposizione del Senato; il popolo la confermava, e l’eletto, presi gli auspicj, convocava di nuovo il popolo, che mediante un Decreto (lex curiata de imperio) gli conferiva il potere supremo (justum [p. 38 modifica]imperium). Il re era eletto alternativamente fra i Ramnes, come lo furono Romolo e Tullio, e fra i Tities, come Numa ed Anco. Era eletto a vita, aveva il potere supremo militare, era capo del Sacerdozio, aveva il Diritto di convocare il popolo nei Comizj, di scegliere i Senatori, di presiedere al Senato; aveva dunque l’amministrazione interna ed esterna dello Stato, in pace ed in guerra; era, come oggi si dice, il Capo del potere esecutivo.

§.46. Fra il Populus ed il Rex stava il Senato, specie di consiglio del Re, e composto di rappresentanti delle trecento Gentes, scelti, come abbiamo detto dal Re. Il Senato fu composto da primo di cento, poi di duecento, in ultimo di trecento Senatori, che tanti furono quando le tre Tribù Ramnes, Tities, Luceres, costituirono un solo Stato. I Ramnes, perchè i più antichi fra queste tre schiatte associatesi, conservarono alcuni privilegi, come quello, esempigrazia, che i loro Rappresentanti votassero i primi; privilegio importante per la sua morale efficacia. Il Senato, consiglio del Re, preparava e studiava i Progetti di Legge, che il Re gli sottoponeva, su i quali poi votava il Populus nei Comizj. I Comizj deliberavano sulla guerra e sulla pace, sulla legislazione, non che sulla scelta dei Magistrati; ma in tutte queste questioni dovevano aspettare la proposizione del Senato, proposizione che potevano rigettare, ma cui non potevano sostituirne altra.

§ 47. L’elezione del Re, l’abbiamo detto, si faceva dalle Curie sulla proposizione del Senato, ma nel tempo necessario alle Curie per votare e conferire il Potere, il Senato provvedeva all’interregno, nominando nel suo seno un Magistrato fra i primi dieci Senatori, che del Re faceva le funzioni (Interrex), il quale si rinnuovava ogni cinque giorni.

§ 48. Magistrature principali dopo il Re erano il Tribunus Celerum pel comando militare dello Esercito, ed il Custos Urbis pel Governo Civile dello Stato. Dopo il Tribunus Celerum venivano i tre Tribuni, o capi delle tre Tribù costituite dalle tre schiatte Ramnes, Tities e Luceres, poi i trenta Curioni capi delle trenta Curie, poi i trecento Decurioni o Capi delle [p. 39 modifica]trecento Decurie. Assento il Re, lo rappresentava il Custos Urbis, Magistratura che andava congiunta alla Dignità di Primo Senatore, e che era a nomina Regia. Generalmente sulla proposizione del Senato, o previa la approvazione del Populus, venivano dal Re nominati i Magistrati. Il Re, amministratore delle Pubbliche Rendite o Entrate, preponeva a quest’ufficio due Quæstores, Custodi dell’Erario Pubblico. Oltre a questi Magistrati esistevano due Questori per la persecuzione dei Delitti, Quæstores Parricidii, presieduti dal Re, i quali giudicavano del parricidium. I Duumviri Perduellionis erano dei giudici, che il Re faceva nominare e cui presiedeva, perchè giudicassero sul Delitto di Perduellione. Dalle Sentenze di questi Giudici potevasi appellare al Popolo riunito nei Comizj.

§. 49. Per formarsi una idea della Costituzione di Roma in quanti primi tempi, è necessario parlare dei Clienti e della Plebe.

a) I Clienti, secondo l’opinione del Niebhur, erano gli stranieri che venivano a stabilirsi in Roma, e che essendo senza Diritti nello Stato, si ponevano sotto la protezione o Patronato dei Patres. Clienti erano pure gli Schiavi manomessi, Clienti i sudditi di uno Stato col quale esistevano trattati di alleanza, che venendo in Roma si sceglievano un Patrono. È molto probabile che le tre Schiatte primitive, che formarono lo Stato, fossero prima di venire a comporlo, già accompagnate e seguitate da dei Clienti; avvegnachè la Clientela fosse istituzione comune a tutti i popoli della Italia in quell’epoca. La Clientela era una relazione fra il Cittadino, che godeva di Diritti nello Stato e la persona che ne era priva, la quale appunto per questo si poneva sotto la protezione, o Patronato dell’altro. A Roma il Forestiero, perchè non era della Città, era fuori del Diritto; il Diritto era per i soli Cittadini. I Clienti erano tollerati nello Stato, perchè sotto il Patronato dei Patres, che generalmente facevano loro coltivare le proprie Terre, ed ai quali dovevano ossequio, fedeltà o devozione; e ciò in contraccambio della protezione che i Patres loro accordavano. La Condizione dei Clienti [p. 40 modifica]era dunque molto simile a quella, che nel Medio Evo ebbero i Vassalli e ricorda eziandio il Famulato Omerico.

b) I Plebei erano i liberi abitanti del Territorio conquistato, ai quali erano state lasciate le loro terre, che formavano un distretto intorno a Roma. Questi popoli vinti erano ricevuti è vero come membri dello Stato, ma ridotti ad una condizione subalterna, specialmente di fronte al Diritto Pubblico, ossia all’esercizio dei Diritti Politici. Erano in miglior condizione dei forestieri, perchè membri dello Stato, ma ben lontani dal godere i Diritti dei Cittadini che componevano il populus, ossia la razza dei Vincitori, i quali chiamavansi anche Patres. I Plebei appartenendo a schiatta diversa dai Patres, non avevano il Connubium con quelli. I Plebei non molti da prima, aumentarono di numero a mano a mano che il Popolo Romano estese le sue conquiste; quindi acquistarono a poco a poco una certa importanza. Essi spontaneamente fissarono la loro residenza in Roma, abitando specialmente il Celio e l’Aventino. Poi furono incorporati nelle Tribù e nelle Curie, perchè prestassero il Servizio Militare, pagassero le imposizioni, e prendessero parte alle Cerimonie del Culto. Ma non ebbero Diritti Politici, non poterono essere Senatori, nè votare nelle Curie, nè far parte delle Gentes.

§. 50. Sembra che Tarquinio Prisco concepisse sul primo l’idea di parificarli ai Patres, Patrizj; lo chè non gli venne fatto, ed egli dovè limitarsi a far ricevere nelle Curie un certo numero delle più illustri famiglie delle Città sottomesse, che presero allora il nome di Ramnes, Tities, e Luceres secundi, o Patres minorum Gentium.

§. 51. I Patrizj erano sostenuti dalla religione e dala preponderanza che loro assicuravano le ricchezze, e la clientela. Depositarj dei Misteri Religiosi, fra essi soli reclutavasi il Sacerdozio, composto di Pontefici, di Auguri e di Sacerdoti; ai quali tutti presiedeva il Re, cui spettava il supremo indirizzo delle cose Religiose.

§. 52. La Milizia era compsta di tre Legioni, una per Tribù. Ogni Tribù forniva tremila fanti e trecento Cavalieri o Ce[p. 41 modifica]leri, in tutto novemila fanti e novecento Cavalieri. Dopo Tarquinio Prisco pare che l’esercito fosse raddoppiato.

§. 53. Una causa importante della potenza dei Patrizj era l’ager publicus. I Romani avevano l’abitudine di confiscare la maggior parte del territorio dei popoli vinti.

a) Le terre coltivate, misurate, erano vendute o locate a dei privati. Lo stato talora le distribuiva a dei Coloni che vi mandava, o le dava ai più poveri abitanti di Roma (agri limitati, assignati)

b) I Pascoli rimanevano indivisi, ed ogni Cittadino poteva farvi pascolare il proprio bestiame pagando una contribuzione.

c) Le Terre assolutamente incolte non erano divise, ma si promulgava un editto pel quale chiunque voleva coltivarle ne poteva pigliare possesso, pagando allo Stato un Tributo, che consisteva in un decimo delle biade, ed in una doppia decima delle frutta. I soli Patrizj potevano occupare questi terreni. Quest’occupazione non dava la Proprietà, ma un semplice Possesso, (possessio) che lo Stato poteva revocare, e che difendeva e proteggeva finchè durava. Questi terreni non erano soggetti a misura od assegna, ma erano occupati fino ai confini naturali, onde si dicevano agri arcifinales o arcifinii. I Patrizj davano a dissodare e coltivare questi terreni ai Clienti, precariamente, (precario) cioè dietro le preci di questi; ai quali le ritoglievano a loro beneplacito. I Plebei non godevano di questi Diritti, sull’ager publicus, e potevano profittare soltanto dell’uso dei pascoli pubblici.

§. 54. I Plebei ebbero spesso dai Re protezione, perchè questi si appoggiavano volentieri su quelli, per bilanciare il potere dei Patres. Tullio Ostilio distribuì fra i Plebei delle Terre; Tarquinio Prisco fece, come abbiamo veduto, ricevere dei Plebei fra i Patres: ma il Re che più degli altri favorì la Plebe fu Servio Tullio. Egli cominciò a dividere la Città e la Campagna in trenta Distretti o Regioni, quattro in città e ventisei in campagna, per modo che tutti i plebei di ciascheduna regione, componevano uniti una Tribù Locale, presieduta da un capo suo proprio. Le Regioni della Città furono suddivise in Vici, [p. 42 modifica]quelle delle Campagne in Pagi. In ciascheduno Vico o Pago gli abitanti Plebei formavano un Comune separato, retto da un capo speciale, il quale teneva un Registro esatto dei nomi, delle abitazioni e dei possessi. I capi di queste Tribù avevano facoltà di riunire le Plebe, e queste adunanze delle Tribù Plebee furono i Comitia Tributa, Comizj, che deliberavano sopra gli affari che interessava esclusivamente la Plebe. Costituita così la Plebe in Comune, essa poteva cominciare a misurarsi col Patriziato che si riuniva nelle Curie. La Nazione rimase per qualche tempo divisa in questa guisa.

§. 55 Ma Servio Tullio volle spingere più oltre le sue Riforme; non volle antagonismo, sibbene fusione fra Plebei e Patrizj, volle che la Plebs fosse riconosciuta qual parte dello Stato, e che anche essa divenisse Populus. Per conseguire questo intento egli stabilì un uffizio del Censo, che permetterse di far pagare a tutti gli abitanti dello Stato una contribuzione in proporzione degli averi, contribuzione che sostituì all’antica capitazione o testatico, ossia tassa personale. Poi divise tutti gli abitanti sia Patrizj, sia Plebei, in cinque Classi:

a) La prima composta di ottanta Centurie, comprendeva coloro che avevano 100,000 assi o più.

b) La seconda, composta di venti Centurie, comprendeva coloro che avevano 75,000 assi o più, ma non 100,000.

c) La terza, composta di venti Centurie, comprendeva coloro che avevano 50,000 assi o più, ma non 75,000.

d) La quarta, composta di venti Centurie, comprendeva coloro che avevano 25,000 assi o più, ma non 50,000.

e) La quinta, composta di trenta Centurie, comprendeva quelli che avevano 12,500 assi o più, ma non 25,000.

Ogni Classe era suddivisa in Juniori e Seniori; ed in ogni Classe tante erano le Centurie degli Juniori, quante quelle dei Seniori. Astrazion fatta del Censo, furono unite alla prima ed alla quarta Classe tre o quattro Centurie di armajoli, falegnami, e suonatori di bellici istrumenti. Dietro a queste cinque Classi furono aggiunte quattro Centurie separate. Le due prime composte di Cittadini che non avevano 12,500 assi, ma che [p. 43 modifica]avevano più di 1,500 assi. I componenti queste Centurie si chiamavano Accensi Velati, o forse Relati (accensi cioè aggiunti al Censo, et relati cioè riportati in questa Centuria per punizione). Le altre due Centurie erano composte, la prima dei Proletarii, che non avevano più di 1,500 assi; la seconda dei Capite Censi, (i più piccoli possidenti, coi quali si chiudeva il Capitolo del Censo), i quali non avevano più di 375 assi. Coloro che non potevano entrare neppure in quest’ultima Centuria supplementaria, dicevansi Ærarii.

§. 56. Questa divisione serviva ad un triplice scopo: 1.° era base alla formazione dell’esercito; 2.° serviva all’esercizio dei Poteri politici; 3.° ed alla repartizione delle Imposizioni.

a) Era base alla formazione dell’esercito, perchè tutti gli ascritti alle Centurie erano Militi. I Seniori componevano la Guardia della Città; gli Juniori l’esercito mobile o attivo; da ogni Centuria si reclutava un contingente, proporzionato al numero di persone che la componevano. I militi della prima classe avevano l’armatura più grave, e combattevano in prima fila; i militi della seconda erano l’infanteria leggiera. Gli Accensi Velati o Relati andavano senza armatura, e si cuoprivano con quella dei caduti, dei quali occupavano il posto. I Proletarj per lo più non facevano parte dell’esercito, ma in caso di bisogno erano armati a spese del Comune. I Capite Censi non militavano mai. Le Centurie degli armajoli e falegnami, erano quello che oggi sono i Pionieri; e le Centurie dei suonatori, le nostre Bande musicali. Quanto alla Cavalleria, Servio Tullio conservò le Centurie primitive dei Celeri; ma le portò fino a sei; esse rimasero composte di soli Patrizj. A queste Sei Centurie ne aggiunse Dodici, che trasse dalla Plebe sopra un Censo a noi ignoto.

b) Questa divisione in Classi servì, oltre che all’organamento dell’esercito, all’esercizio dei Poteri politici. Servio se ne valse per introdurre una nuova forma di Comizj, che comprendevano tanto i Patrizj quanto i Plebei, i Comizj Centuriati. Tutti i Cittadini ascritti a Centurie avevano il Diritto di dare [p. 44 modifica]il Suffragio, peraltro ogni Centuria contava di rimpetto all’altra per un solo voto. Con questa accorta disposizione veniva assicurata ai facoltosi una assoluta preponderanza, poichè la prima Classe avendo ottanta Centurie, anche senza contare le diciotto di Cavalieri, aveva una maggiorità numerica; mentre le altre Classi non ne avevano che venti, e trenta al più, l’ultima. Eziandio all’età si era avuto il debito riguardo, perocchè i Seniori delle singole Classi, benchè inferiori di numero, avevano lo stesso numero di Suffragj degli Juniori. Attalchè queste centonovantacinque Centurie, che tante sono in tutte, costituivano l’esercito, e rappresentavano la Nazione. Quindi esse deliberavano nei Comizj Centuriati (Comitia Centuriata) sulle Leggi, sulle elezioni dei Magistrati, sulla nomina dei Re. Ciò non pertanto i Comizj delle Curie non furono aboliti; anzi le deliberazioni dei Comizj Centuriati furono per molto tempo obbligatorie, solamente dopo l’approvazione delle Curie.

c) Ogni Classe pagava delle imposizioni differenti; più gravi la prima, meno gravi la seconda, e così via via in progressione decrescente.

§. 57. Queste ardite innovazioni di Servio Tullio gli inimicarono i Patrizj, e Tarquinio col loro ajuto lo assassinò, e fu creato Re. Questi volle togliere alla Plebe quanto per Servio Tullio erale stato conceduto, e non contento di farsi avversa cotale importantissima parte dei cittadini, volle farla da tiranno rimpetto pure ai Patrizj ed al Senato. Scoppiò allora una sollevazione generale: egli fu scacciato, e la Regia Dignità abolita. Nella Repubblica instaurata, i poteri che prima competevano al Re, furono attribuiti ai Consoli, chiamati in origine Pretori; primi dei quali, come è noto, furono Tarquinio Collatino, e Giunio Bruto; quest’ultimo di origine plebea.

§. 58. I Patrizj ebbero sul principio del nuovo ordinamento molta condiscendenza per i Plebei, e le Leggi di Servio Tullio furono ritornate in vigore; ma ben presto riprese piede l’antico sistema di oppressione. I Consoli, eletti annualmente e sulle proposizioni del Senato, intendevano ad amicarselo, e però favorivano il Patriziato nel quale si reclutava. Arme formidabile, [p. 45 modifica]che i Patrizi si erano fabbricata, era la Dittatura; dignità cui non poteva aspirare chi Patrizio non era, e la quale sebbene istituita contro i nemici esterni, contro la Plebe veniva troppo di frequente rivolta. Di Comizj il Patriziato aveva, per così dire, la Supremazia, perocchè grande potere esercitavano in quelli coi sacri riti, i Sacerdoti, (Patrizj tutti) e lo stuolo dei Clienti, col numero. Esenti dalle imposizioni fondiarie, perchè l’ager publicus, nel quale consisteva la massima parte di loro ricchezze, non pagava imposizioni; queste cadevano tutte sulla Plebe, la quale non poteva nuppure, per ottenere uno alleviamento alle medesime, far diffalcare dal valore nominale dei patrimonj, i debiti che li gravavano. Aggiungasi un sistema rovinoso di usure, che impoveriva i Plebei, e che portava ad esecuzioni personali crudelissime. Angariata da tante parti la Plebe, si sollevò ed abbandonò la città, ritirandosi sul Monte Sacro e sull’Aventino. E questa fu la secessio che avvenne 260 anni dopo la fondazione di Roma. Atterriti i Patrizj scesero agli accordi.

§. 59. Per transazione vennero istituiti due Tribuni eletti dai Comizj Tributi, i quali ebbero per missione la difesa degli interessi della Plebe; furono dichiarati inviolabili, (sacrosancti) ebbero facoltà di opporre il loro veto a tutti gli atti del Senato e di qualsivoglia Magistratura; poterono tradurre dinanzi al popolo, chiunque ne avesse avversato i voleri. Furono prima due, poi cinque, in seguito dieci. A supplirli furono eletti degli Edili, incaricati della polizia, e specialmente destinati alla custodia del Tempio di Cerere, ove si accoglievano gli Archivj delle Stato. Tuttavolta questa Istituzione del Tribunato non valse a salvare i Plebei dalla prepotenza dei Patrizj, i quali osarono perfino trucidare dei Tribuni.

§. 60. Stanca la Plebe per tanti abusi, volle che alla per fine le fosse assicurata uguaglianza col Patriziato di fronte alla legge. Laonde dopo lunghi e laboriosi contrasti, si fermò l’accordo, che i Magistrati tutti dovessero cessare dalle respettive funzioni; che la somma dei loro poteri passasse nelle mani di dieci Patrizj, Duemviri, incaricati di compilare una Legge o [p. 46 modifica]Statuto fondamentale dello Stato. Il resultamento dei lavori di costoro, furono dieci Tavole che pubblicarono; le quali essendo sembrate in qualche parte manchevoli e difettose, l’anno di poi, furono accresciute di altre due Tavole compilate da dei nuovi Decemviri, fra’ quali cinque erano Plebei. In questa guisa, 304 anni dopo la fondazione di Roma, ebbe vita quella famosa Legislazione, che fu detta delle XII Tavole.