Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894/Parte I/Capitolo II

Da Wikisource.
Capitolo II

Delle varie opinioni intorno alla fondazione di Benevento, e ai suoi primi abitatori

../Capitolo I ../Capitolo III IncludiIntestazione 26 maggio 2016 75% Da definire

Capitolo II

Delle varie opinioni intorno alla fondazione di Benevento, e ai suoi primi abitatori
Parte I - Capitolo I Parte I - Capitolo III
[p. 16 modifica]

CAPITOLO II.


Quell’ampia distesa di terre nel mezzodì d’Italia, in antico abitata dagli Osci, fu detta primamente Opicia, secondo che risulta dalle più lontane tradizioni. Opi, Dea della abbondanza, che nella teogonia pagana figurava essere sorella e moglie di Saturno, diede origine al nome di Opicia; imperocchè si tenne che una regione tanto ferace, ove la natura spiegava le sue più splendide pompe in belle pianure, gioconde valli, ridenti colline, e fiumi utili al commercio e alla coltura dei campi, esser dovesse la terra prediletta di questa Dea. E come dal nome di Saturno derivò quello di Saturnia terra, così dal nome di Opi quello di Opicia; e i suoi abitanti si appellarono in prima Opici e quindi con voce più scorrevole Osci.

L’Opicia, nei tempi in cui cominciano le storiche tradizioni, si componeva di tutti i paesi abitati dagli Osci, non esclusa la contrada ove fu poscia edificata Benevento, e tutto il terreno adiacente. Ma una tale denominazione non durò molto a lungo da che gli Osci deposero la nativa loro rozzezza, e al nome loro primitivo fu surrogato l’altro di Ausoni; sicchè ora Ausonia, ora Opicia si dissero le anzidette terre dai loro abitatori e dai popoli confinanti. Gli Osci furono ritenuti da molti scrittori come Aborigeni, poichè popolo Opico significava popolo indigeno. Ma io però coll’appellare Aborigeni gli Osci, che furono i primi abitatori delle contrade che poi tolsero il nome di Sannio, non intendo già inferirne che non derivassero da veruna altra nazione del mondo, e che fossero stati indigeni di questa parte d’Italia, come si sostiene da alcuni moderni eruditi; giacchè una tale opinione contradirebbe al principio da me seguito sull’unità originaria dell’umana famiglia; ma credo soltanto che per la loro remotissima antichità non sia possibile [p. 17 modifica]di accertarne l’origine e la stirpe. Gli Osci non furono digiuni di ottime regole di morale, di ordine e di ossequio alla legge; e perciò da essi nacquero popolazioni bellicose, che soprastavano a tutte le altre d’Italia per virtù pubbliche, ed indomato amore alla indipendenza. Laonde i costumi originarii degli Osci serbaronsi schietti ed intemerati, per guisa che l’amore della libertà e la pratica dei doveri morali, che è il massimo bene dei popoli, non mancò che con la loro vita politica.

Egli non pare dubbio che l’intera generazione degli Osci fosse stata sin da tempi immemorabili governata con ordini sacerdotali; e ciò risulta non solo dalle prime loro istituzioni, ma ancora dal costume nazionale delle sacre primavere di cui avrò a toccare indi a poco. E dal domma teocratico prese alimento quel potente senso di religione che prevaleva nei loro istituti e costumi, che non furono gran fatto modificati dalla prossimità dei civilissimi Etruschi e dei Greci, i quali occuparono senza, direi quasi, colpo ferire, molta parte dei lidi meridionali d’Italia; stantechè gli indigeni abitatori, stanziando per lo più tra le alture e nelle valli interne dell’Appennino, lasciarono ad essi libere le terre sulle marine. Ma non è a tacere che l’aere molle e voluttuoso della Campania riuscì moralmente esiziale a tutti coloro che l’abitarono, e si avverò sempre la sentenza del Tasso

«La terra molle, lieta e dilettosa
Simili a sè gli abitator produce;

perchè la tennero successivamente gli Osci, gli Etruschi e i Greci, e vi divennero molli e vi perirono; e gli stessi Sanniti, che l’abitarono, furono i primi della loro stirpe a perdere il coraggio e l’indipendenza dei padri. Ma sebbene sia falso del tutto che i greci dirozzassero i prischi abitatori dell’Italia, pur tuttavia, per amore di verità, è a convenire che i greci, prendendo stanza in quei luoghi, coi loro studii e con le loro arti contribuirono a rendere più florida la civiltà di quell’incantevole regione.

[p. 18 modifica]

La lingua osca ha molta affinità con la latina, ma fu sempre poco nota, poichè tra gli Oschi prevalse l’usanza di molto operare e di scrivere assai poco, e quindi rimase in gran parte dialetto vanamente modificato dalla fusione degli Osci primitivi con altri popoli contermini della medesima schiatta. La loro lingua coi varii suoi dialetti si diffuse dal Tevere fino alle estremità meridionali d’Italia, rimanendo lunga stagione nel popolo dopo che ebbe perduta la sua indipendenza; e infine concorse potentemente alla formazione della lingua latina. E infatti voci e locuzioni osche abbondano nei frammenti di Ennio, e in altri primissimi poeti latini. E agli Oschi è attribuita da molti l’invenzione delle favole Atellane, dai francesi tenute in conto di brevissime commedie, le quali, come è fama, avrebbero preso siffatto nome da Atella, città di Campania ad Oriente di Capua.

Il vero tipo degli Osci primitivi si ravvisa ai nostri giorni nei montanari, e nei pastori degli Abruzzi e delle Calabrie. E il Micali afferma che «in quei luoghi più riposti non è al tutto spenta, nè pure oggigiorno, la semenza di quella indigena schiatta italiana.»

Tali si viveano gli Osci nella nostra contrada, prima che una colonia de’ Sabelli, i quali poi si dissero Sanniti, invadesse il nostro territorio che da loro prese il nome di Sannio. Ma furono gli Osci o pure i Sabelli che fondarono Benevento? o nel lungo intervallo che corre dagli uni agli altri, gli Etruschi e i Greci, i quali abitavano le provincie contermini, e il lembo quasi della nostra contrada, stabilirono ivi qualche colonia? O ebbero luogo, da parte di questi due ultimi popoli, brevi escursioni, durante le quali edificarono l’antica Malvento? Ecco la quistione più ardua ed oscura che si affaccia a questo punto della presente istoria, e che mi studierò di esaminare con la diligenza che potrò maggiore; benchè sia convinto che intorno ad essa non è dato che manifestare congetture più o meno fondate, opinioni più o meno lontane dal vero.

Fra gli scrittori dell’antichità alcuni attribuirono la fondazione di Benevento ad Enea Silvio, altri ad Appio Claudio, [p. 19 modifica]e vari autori credettero invece che fosse stata fondata da Sannio Sabino, e che da questi togliesse il nome la contrada. Ma l’opinione più comune, e che, ammessa generalmente, si tramandò di secolo in secolo, senza essere quasi combattuta, riferì la fondazione di Benevento a Diomede re dell’Etolia, dopo l’incendio di Troia. Una tale opinione ebbe forse la sua prima origine nel seguente verso di Virgilio:

«Mittitur magni Venulus Diomedis ad Urbem».

E che per la città di Diomede intendessero gli antichi Benevento, si rileva da questi versi del Dittamondo di Fazio degli Uberti:

«In Arpi, in Benevento fè dimoro
     Per riverenza di Diomede, il quale
     Porta ancor fama dal principio loro».

Inoltre l’essere stata fondata Benevento tra i due fiumi Sabato e Calore, come la celebre Troia tra Xanto e Simoenta, rifermò la credenza che fosse stata costruita da Diomede. E a tutto ciò si aggiungeva la considerazione che i Greci soleano fondare le città presso le marine ed i fiumi; mentre per lo contrario gli Osci, e in generale tutti gli aborigeni, nella fondazione delle loro città, anteponevano le alture. E lo stesso archeologo Garrucci in una dissertazione sulla via Appia nel Beneventano, pubblicata varii anni or sono, traeva argomento dal primitivo nome di Benevento per ritenere non infondata l’opinione costante che attribuì sempre a Diomede re dell’Etolia la fondazione di Benevento. Ma io che non divisi giammai l’opinione che Benevento sia stata edificata dai Greci, e che la tenni sempre per una delle città osche, mi attengo in cambio all’opinione di non pochi modernissimi scrittori, i quali ritengono che il nome primitivo di Benevento sia d’origine osca o sannitica.

Ma qualunque sia stato il primissimo nome di Benevento, egli è indubitato che questa antichissima città cominciò in prima ad essere nota nella istoria col nome di [p. 20 modifica]Maloento o Maloenton e anche di Malies, e in seguito questo nome sarebbe stato in arcaico latino mutato in Malventum, finchè a questo con migliori auspicii fu dai romani sostituito Beneventum. La causa di questo finale mutamento non è ben chiara nell’istoria, e se ne assegnano ragioni diverse. Secondo Plinio «Coloniam Beneventum, auspicatius mutato nomine, quae quondam appellata Malventum». E Festo con maggiore chiarezza scriveva «Beneventum, cum colonia deduceretur, appellari coeptum esse melioris ominis causa cum eam urbem Graeci incolentes ante Maleventum appellarent». E altri scrittori aggiungono che la nostra città fu appellata Malvento per la perdita di 30 mila Sanniti caduti sotto l’armi romane l’anno del mondo 3612 e 440 dopo Roma; ma che poi fu detta Benevento allorchè divenne amica ed alleata dei Romani, i quali vi condussero una colonia, e propriamente quando sotto le sue mura fu sconfitto il celebre Pirro re dell’Epiro.

Ma non debbo qui omettere che lo stesso Garrucci, il quale nella prima edizione del suo discorso sulla via Appia nel territorio beneventano non tenne per infondata la tradizione di Diomede, riproducendo poi quello scritto nel recentissimo suo lavoro che s’intitola: Le antiche iscrizioni di Benevento, soppresse quel brano, e imprese a sostenere che Benevento fu edificata dagli Oschi. Ed è pure a considerare che la stessa tradizione di Diomede non toglieva all’intutto che Benevento fosse stata in origine città Osca; imperocchè si riteneva comunemente che Diomede avesse solo dilatata, o tutto al più ricostruita la città di Benevento, la quale era stata assai prima diroccata e pressochè distrutta. E siffatta opinione fu seguita anche dagli scrittori patrii, i quali non solo posero cura a indagare su tale argomento le varie opinioni degli antichi scrittori, e le più lontane tradizioni locali, ma studiarono pure gli avanzi dei nostri più antichi monumenti.1

[p. 21 modifica]

Fra gli storici che non diedero fede alla tradizione di Diomede vi fu il Micali il quale, non pago di essersi mostrato poco conoscente dei luoghi, giudicando freddo il clima di Benevento, che è uno dei più temperati climi meridionali asserì pur anche «che una menzognera vanità volea far credere edificata questa città da Diomede col nome più propizio di Benevento, e dove al Segretario di Belisario, che andava in busca di curiosità, fu mostrata per altro misero fumo municipale la testa zannuta del cinghiale Calidonio, emulando in ciò la boria dei Cumani che mostravano nel tempio di Apollo l’orribil teschio della fiera di Erimanto». E lo stesso fatto lievemente modificato fu ripetuto dal vivente scrittore dell’opera sulle cento città d’Italia, colle seguenti parole: «leggenda che per vanità adottarono i suoi abitanti, i quali, ai tempi dello storico Procopio, fiorente nel 57 dopo Cristo, pretendevano di mostrare le zanne del cinghiale Calidonio, ucciso nei boschi dell’Etolia da Meleagro zio del mentovato Diomede.»

Ma io stimo che non ridonderebbe a gloria dei beneventani l’essere stata la loro città edificata da uno straniero, qual era Diomede, ed è falso addirittura che i beneventani si sieno mostrati in altri tempi bramosi di sostenere una tale tradizione; invece furono i Greci stanziati nella Magna Grecia, che, a secondare la vanità nazionale, volsero l’animo a riferire ai loro pretesi eroi la fondazione di tante città delle provincie meridionali. E molte delle più antiche città d’Italia si dissero fondate da Enea, Ulisse, Antenore, Diomede; nello stesso modo che i più fanatici sostenitori della scuola storica, intesi a stabilire quali fossero stati i primi popoli che approdarono in Italia, e l’epoca precisa della loro venuta, attribuirono l’origine delle loro città a Noè, e ai suoi figli Sem, Cam e Jafet.


[p. 22 modifica]Ma a spiegare come molti sagaci scrittori dell’antichità, niente assuefatti a fondare i loro giudizii su incerte tradizioni, tennero per verità inconcussa che Diomede avesse edificata Benevento, il chiarissimo archeologo Garrucci accenna a un fatto nuovo e non mentovato, per quanto io sappia da altri, e però assai rileva ch’io ne riporti l’intero brano. «Ma che diciamo della tradizione sì inveterata che attribuisce all’etolico Diomede la fondazione di Malvento? Si legge in Procopio che Benevento, detto anticamente Malventum, era una città posta incontro alla Dalmazia, dominata da venti sì furiosi, che, quando spiravano, gli abitanti si dovevano tener chiusi nelle loro case, altrimenti correvano rischio di essere balzati in aria, come paglie, e che talvolta anche uomini a cavallo, rapiti dal turbine, si eran veduti balzati qua e là, e poi gettati finalmente a terra morti. Era poi questo Benevento Epulo fabbricato da Diomede che vi lasciò in memoria i denti del cinghiale di Calidonia? Il medesimo racconto leggesi nei Symmicta editi dal Boissonade. Su questo fondamento adunque l’abbreviatore di Stefano Bizantino scrisse che vi furono due Beneventi, l’uno in Campania, e l’altro non sa ben definire dove. Or chi si potrà fidare a queste fonti che mostrano aver sì poco saputo delle cose che scrivono? Servio nei Commentari al libro VIII di Virgilio ci ha detto che Diomede fondò Benevento e Venafro. Beneventum et Venafrum ab eo condita esse dicuntur. Procopio credeva che Malventum si fosse chiamata la città, perchè dominata da un malo vento. Servio pensava che Benevento fosse in Puglia; l’epitomatore di Stefano distingueva Benevendum da Beneventum, e diceva che Beneventum, chiamato anche Malventum, era stata fondala da Diomede in Italia, cioè in Puglia, e che Benevendum era invece in Campania. Qualche fondamento per altro vi deve essere a questo equivoco, che sale fino a Solino, una Benevento cioè omonima in Puglia, come di certo una Benevento trovavasi sulla strada da Brescia a Verona. Indi può esser nato che alla Benevento colonia latina della prima Malventum, siasi attribuito la etolica fondazione che alla Benevento Pugliese soltanto appartiene».

[p. 23 modifica]Anche il Corcia (storia delle due Sicilie) alla pag. 371 del tom. 1° parlando di Benevento dice quanto segue:

«Città cospicua e di remotissima fondazione. Fu dapprima detta Maloento, e gli antichi l’origine ne attribuirono a Diomede di Etolia; e non solo questa tradizione conservavasi nel 14° secolo dell’èra volgare, ma quella ancora delle zanne del cinghiale ucciso dal greco eröe. Queste ed altrettali imposture nascevano dalle invalse tradizioni, e le tradizioni dalle origini alterate delle città e dei popoli. In quella riguardante Diomede, che arriva dopo la guerra troiana nelle nostre contrade per fondarvi non poche città, come più a lungo sarà detto nella descrizione della Daunia, un nume archegete fu scambiato col greco eroe, e lo stesso nome primitivo di questa città l’origine ne disvela in una colonia pelasgica. La favolosa tradizione provenne dal culto di questo nume, il quale si può credere identico ad Apollo, così perchè gli Eneti dell’Adriatico un cavallo bianco, come i persiani al sole, a Diomede sacrificavano, e sì ancora perchè nell’isola di Lesbo, una volta abitata dai Pelasgi, Apollo fu adorato sotto il nome di Maloento...,»

Ai nostri giorni poi niuno è quasi tra i dotti che faccia buon viso alla tradizione che Diomede fondasse Benevento; e in generale si ritiene che o Diomede non toccasse mai la terra d’Italia, o che almeno non varcasse il confine della Puglia.

Comunemente viene ammesso che siccome niun sito si sarebbe potuto eleggere più opportuno di questo, e meglio favorito dalla natura per edificarvi una città, stante la sua posizione topografica, la vicinanza di due fiumi, un tempo più copiosi di acque, e la prossimità dei boschi, così sin dalla più remota antichità è probabile, senza punto ingolfarci nel profondo buio dei tempi preistorici, che i suoi abitatori non avessero tardato a trarne vantaggio col fondarvi una città. E forse una tale origine di Benevento sarebbe apparsa evidente se varii anni or sono, come ne balenò l’idea a un nostro benemerito prefetto, si fossero praticati a spese del comune, e con qualche sussidio del Ministero della [p. 24 modifica]Istruzione, dei profondi scavi in alcuni punti della città e in luoghi prossimi alla stessa.

Ciò che induce anche ora non pochi forestieri a ritenere non favolosa l’antica tradizione risiede nel basso rilievo di marmo pario incastrato nel campanile del nostro arcivescovado, che ritrarrebbe, ed è questa l’opinione di molti, il cinghiale caledonio ucciso da Meleagro zio di Diomede nei boschi dell’Etolia: tanto più che la stessa caccia, secondo essi, trovasi sculta in un basso rilievo rinvenuto nel nostro palazzo arcivescovile. Ma per lo contrario i più recenti studii fatti sul primo basso rilievo han chiarito che negli antichissimi tempi le contrade, che poi composero il Sannio, erano ubertose e fiorenti non meno della Campania Felice e delle altre contrade prossime a Napoli, e che perciò il preteso stemma di Benevento, derivato dalla scoperta di quel basso rilievo, non ritrae il cinghiale caledonio, ma sibbene il maiale del sacrifizio pacifico con la sua infula sul dorso, con la corona di ulivo intorno al capo, e con gli altri segni che i latini appellavano Augumenta, e che circondavano il maiale il quale soleasi immolare come vittima in tutti i riti tellurici.

Invero il maiale si mira effigiato sulle monete, o ne’ monumenti di tutti quei paesi d’Italia, che nell’antichità erano celebrati per la feracità del suolo. E la troia coi suoi dodici maialetti fu il segno avventuroso pel quale Enea ebbe a raffigurare la terra feconda predettagli dal destino. E fu il maiale appunto il segnale scelto nella guerra marsica dai sollevati per indicare la fertilità dei dintorni del lago Fucino, dell’agro sulmontino, e di tutta la vallea dell’Iri. E nelle processioni dette ambarvalia non altro immolavasi se non la troia Praecidanea per impetrare una messe abbondante dal cielo, come dopo il raccolto era immolato il maiale in olocausto alla gran madre Terra.

Or se nei riti greci ed egizii il maiale era l’unico indizio della fertilità del suolo, del culto all’agricoltura e della pastorizia, e della prosperità agricola delle regioni, è a stimare che più del cinghiale Caledonio sia gloriosa [p. 25 modifica]ricordanza pei beneventani l’agricolo porco, il quale per altro non fu mai lo stemma dell’antica Malevento.

Infine non voglio omettere un fatto che avvalora maggiormente la nostra opinione sull’origine di Benevento. Nel 1865 essendosi praticato uno scavo sotto il palazzo Pacca si rinvenne a destra e a sinistra della via selciata, nella direzione da porta S. Lorenzo alla Cappella Pacca, una necropoli, e una tale scoperta ravvivò negli animi la speranza di venire meglio in chiaro del primo popolo che abitò Benevento e della sua fondazione. Essa necropoli, sebbene fosse stata in antica età devastata, — poiché i romani, dovunque fondavano le lore prime colonie, ebbero in uso di sperdere e dissipare ogni vestigio delle precedenti dominazioni, e non li tenne nemmeno la riverenza per quanto vi è di più sacro al mondo, i sepolcri; — pur tuttavia si potette accertare a prima giunta che componevasi di un triplice piano di sepolcri l’uno all’altro soprapposto. E quello che agli altri sottostava non avea che fôsse quadrate e rotonde incavate nella terra vergine, e che conteneano frammenti di vasi e di tazze a color nero.

Il piano superiore avea sepolcri di forma ai primi affatto somiglianti, ma di tufo, fra i quali ne fu trovato uno ancora intatto di forma quadrata, e nel mezzo della lastra, che serviva di coperchio, era un’epigrafe che conteneva le sole lettere: ▷ ◁ Π. Il piano terzo che era a livello della strada constava di sepolcri dell’epoca Irpina e romana, e vi si trovarono con frammenti di vasi alcune figure in terra cotta, le cui forme rivelavano una fabbrica locale di eccellente arte nell’epoca della colonia latina.

La scoperta di una tale ignorata necropoli composta di un triplice ordine di tombe, niuno di forma greca, suggerisce un nuovo argomento a stabilire che non mai i greci presero stanza in Benevento nei secoli più remoti. E lo stesso Garrucci, che osservò accuratamente la detta necropoli, parve mutato di parere dopo una tale scoperta, e tenne per un fatto certo ciò che era per me una semplice congettura, benché assai fondata. Ma andò ancora più oltre poiché [p. 26 modifica]sostenne che nel lungo e indefinito intervallo, il quale trascorse dal tempo in cui la valle di Benevento era abitata dagli Osci finchè vi trassero i Sabelli, vi avesse dimorata una colonia di Tirreni Etruschi di Campania.

Da questa sepolta necropoli si deduce adunque una prova di più per dimostrare che nei tempi primitivi i greci non abitarono giammai la nostra contrada; tanto più che, sebbene avessi più volte udito far menzione di certi vasi greci trovati in Benevento nei diversi scavi che furono operati in questi ultimi anni, non mi venne però mai dato di vederne alcuno.

E non credo inutile aggiungere che neanche un tal fatto costituirebbe un argomento grave per ritenere che Benevento fosse stata ab antico una colonia greca. Imperocchè nei tempi in cui dimorarono i greci nella Campania, che da essi tolse il nome di Magna Grecia, tutti i popoli confinanti ebbero vaghezza di ritrarre nei lavori artistici le forme dell’arte greca, e quindi i vasi di attica foggia si ebbero in pregio anche dai Sanniti e dai latini; i quali perciò presero a imitare i vasi greci, e in ogni occasione li acquistavano dalle fabbriche istituite in tanti luoghi della prossima Campania. Ma è poi falso del tutto che nei sepolcreti, di che si è innanzi toccato, siensi trovati vasi di forma greca, e lo afferma pure lo stesso archeologo Garrucci in un luogo della sua dissertazione sugli scavi della necropoli Albana, ove argomenta che i vasi contenuti nelle tombe della anzidetto necropoli maleventana ritraggono all’intutto la forma dei così detti vasi preistorici, e ciò ribadisce certamente l’opinione che Benevento sia stata fondata dagli Osci.

E forse fu da questo indotto il Garrucci nel proemio del suo recente lavoro sulle nostre antiche iscrizioni ad asserire, senza esitanza di sorta, che Benevento sia città osca. E poco appresso dalla lettera ▷◁, sculta su una tomba della vetusta dissepolta necropoli, trae un indizio per ritenere che il territorio beneventano fosse stato dopo gli Osci occupato da una colonia di Tirreni Etruschi. Ma non [p. 27 modifica]ostante una sì autorevole opinione io credo che una sola lettera dell’alfabeto etrusco sculta su una delle tombe della nostra necropoli sia poca cosa per inferirne che Benevento sia stata dopo gli Osci abitata dagli Etruschi Tirreni; e invece la prova non sarebbe discutibile se più lettere appartenenti alla lingua etrusca si fossero trovate sculte su un intero ordine di tombe.

E che sia cosi basta considerare che ne’ remotissimi tempi anche gli Osci abitarono la Campania, e che la lingua etrusca, come non dissente lo stesso Garrucci, tolse molto dall’osco dialetto. Posto ciò, si può bene ammettere che gli Osci i quali abitarono Benevento usassero nel loro dialetto una lettera che nel volgere del tempo fu anche comune ai Tirreni Etruschi. E se taluno si levasse a redarguirmi coll’asserire che omai c’è noto l’intero alfabeto Osco, a cui manca la lettera sculta su una delle tombe della detta necropoli, io potrei rispondere che da circa quaranta brevi iscrizioni osche, di cui è omai posseditrice l’Italia, non è dato ritenere con certezza che noi possediamo l’intero alfabeto della lingua Osca. Ma volendo pure accogliere l’opinione dei più chiari archeologi dei nostri tempi che non ci faccia omai difetto la conoscenza dell’intero alfabeto Osco, niuno almeno potrebbe negare che siccome la lingua Osca comprendeva varii dialetti, e questi furono in diversi tempi modificati dalla quasi fusione degli Osci propriamenti detti con altri popoli derivati dal medesimo ceppo, così non è dato escludere la possibilità che la seconda lettera etrusca sculta su una delle tombe della disascosta necropoli sia stata in origine una lettera osca. E neppure è improbabile che tra gli Osci i quali presero ad abitare Benevento, vi fossero state poche famiglie di Tirreni Etruschi, per essere entrambi questi popoli reputati aborigeni e perchè vissero contemporaneamente in diverse contrade meridionali.

Inoltre è a riflettere che Benevento per la sua postura non avrebbe potuto essere occupata che assai tardi dagli Etruschi, e quando cioè essi toccarono il colmo della loro civiltà, e, in tal caso, come avvenne in tutti gli altri luoghi [p. 28 modifica]da essi abitati, gli Etruschi avrebbero lasciato anche in Benevento, divenuta una loro colonia, non poche vestigia della loro squisita coltura in iscrizioni, vasi variamente effigiati, ed avanzi di grandiosi monumenti.

Ma che che sia d’una tale congettura la quale, o ch’io m’inganni, non potrà mai rasentare la certezza, essa niente toglie che gli Osci abbiano fondata Benevento, vuoi perchè furono i primi ad abitare le nostre contrade, vuoi perchè la forma primitiva architettonica dell’antichissima Benevento, per quanto è dato conoscere dalle antiche istorie, era al tutto dissimile da quella usata dagli Etruschi nella costruzione delle loro città.

E aggiungo altresì che per la medesima ragione il secondo ordine di tombe, di cui si compone la necropoli maleventana, non può appartenere agli Etruschi, poichè la forma di quelle tombe è grezza, e accusa tutta l’infanzia dell’arte: e niuno ignora che gli Etruschi, i quali percorsero tutti i gradi dell’incivilimento, non appena dallo stato incolto e silvestre si ridussero a civiltà, usarono, come scrisse Atto Vannucci nella sua opera sull’Italia antica, pei riti funebri vasi figurati con egregio magistero, e la forma dei loro sepolcri, a cui posero tanta cura, fu splendida per ornati e artificioso lavoro. E però non potendo negarsi che gli Etruschi erano già potenti e civili allorchè occuparono la Campania, e che da questa estesero man mano le loro conquiste in alcune di quelle contrade, che in appresso presero il nome di Sannio, egli è d’uopo ritenere, fino a nuove prove, che anche le tombe del secondo sepolcreto, di che si compone la nostra necropoli, siano osche come quelle del primo, e che non appartengano ai Tirreni Etruschi.

Laonde dalle cose innanzi dette risulta che sia addirittura infondata e falsa l’opinione invalsa presso molti che Benevento, edificata da Diomede, fosse stata nei vetusti tempi una greca colonia; e che, sebbene dalla scoperta di un’antica necropoli potrebbe trarsi qualche congettura più o meno lieve che i Tirreni Etruschi avessero dopo gli Osci fondata una colonia in queste contrade, egli è tuttavia [p. 29 modifica]impossibile di poter ritenere come accertato un tal fatto, il quale non pure manca di una solida prova, ma è anche combattuto da gravi argomenti contrarii; e che in ultimo molte fondate congetture inducono a credere che Benevento sia stata città osca sino all’invasione dei Sabelli. Nè pare possibile che avendo gli Osci primamente abitata la valle di Benevento, allorchè usciti dallo stato incolto si governarono con lodevoli ordinamenti civili, avrebbero potuto a lungo durarvi, senza dar opera alla fondazione di una città; condizione indispensabile di vita per un popolo colto, e alla esistenza non passaggiera della civile comunanza. Ma con tutto ciò io credo che non si sia ancora, malgrado i più recenti studii degli archeologi e degli eruditi su tale argomento, potuto acquistare una compiuta certezza che Benevento sia stata fondata dagli Osci, e mi fa specie che l’esimio archeologo Garrucci ritenga per verità dimostrata un tal fatto, senza allegarne le prove. E pure a lui, non solo come archeologo di grido, ma anche perchè pochi anni innanzi avea mostrato di accettare la tradizione che attribuiva ai greci la fondazione di Benevento, incombeva forse l’obbligo di avvalorare la sua mutata opinione con novità di argomenti desunti dallo studio profondo, che ei solo potè fare nei molti anni trascorsi in Benevento, dei superstiti nostri monumenti.

E perciò conchiudo che si hanno bastanti ragioni per ritenere che Benevento sia stata edificata dagli Osci, ma senza pretendere che una tale opinione possa finora costituire una storica verità, la quale forse si sarebbe potuto acquistare, se della necropoli scoperta sotto il suolo del palazzo Pacca si fosse fatta levare la pianta; poichè è innegabile, come scrisse il Garrucci, che «lo scavo fortuito non diede tutto il risultato possibile, che se ne sarebbe potuto sperare se si fosse allargato in vantaggio della patria storia»; e se in appresso si fossero eseguiti, come innanzi accennammo, altri scavi in diversi luoghi della parte più antica della città.


Note

  1. In tanta incertezza sull’origine di Benevento, chi crederebbe che un distinto cronista locale, Mario della Vipera, facendo buon viso a quanto ne scrisse un tal Giacomo de Filippo nel terzo libro d’una sua cronaca, che vide la luce in Venezia nell’anno 1420, osò affermare che Benevento fosse stata edificata nell’anno 4034 del mondo, prima della venuta di Cristo anni 1165, e dopo la distruzione di Troia anni 20.