L'amante cabala/Parte I

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Parte I

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Personaggi Parte II
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PARTE PRIMA.

SCENA PRIMA1.

Lilla e Filiberto.

Lilla.   Resti, resti, e non s’incomodi.

Filiberto.   Vuò venir; questo è il mio debito.
Lilla.   Nol permetto, in verità.
Filiberto.   Se comanda, io resto qua.
Ma fra di noi, che siam promessi sposi,
Son superflue cotante cerimonie;
Conviene il galateo
Al marito non già, ma al cicisbeo.
Lilla. Io fui accostumata

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In diversa maniera

Dal fu signor Anselmo mio consorte.
Ahi memoria fatale! ahi cruda morte!
Egli volea che seco
Trattassi2 in complimento; e allora quando
La maggior confidenza era dovuta,
Mi voleva civile e sostenuta.
Filiberto. Oh allora poi...
Lilla.   Quello era un buon consorte.
Ahi memoria fatale! ahi cruda morte!
Filiberto. Ecco l’usato stile
Delle vedove donne: ogni momento
Bestemmiano la morte,
Piangono tutto il giorno
La felice memoria del consorte;
E pur, tanto che visse3
Non vedevano l’ora che morisse.
Lilla. Oh, io non son di quelle.
Quando prendo ad amar, amo davvero,
Nè mai per il pensiero
Mi passa un sentimento odioso e rio.
(Basta ch’io possa 4 fare a modo mio).
Filiberto. Dunque, se l’è così...
Lilla. Io mi ricordo5
Di quel gran ben che mi voleva, oh sorte!
Ahi memoria fatale! ahi cruda morte!
Filiberto. Su via, signora Lilla,
Lasci questo dolor troppo eccessivo;
Si scordi ’l morto e la consoli ’l vivo.
Finalmente le tocca
Un consorte ben fatto,
Nobile, ricco, manieroso e saggio.

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Filiberto son io,

Conte di Transilvania,
Famoso per le imprese
Fatte in più d’un paese.
Oh quante, oh quante donne 6
Piangon per mia cagione
Afflitte e disperate!
Oh quante... (che da me furon gabbate!)
Stupisco e raccapriccio,
Che mirandomi in volto
Sì garbato e pulito,
Non si debba scordar l’altro marito.
Lilla.   Forte chiodo in trave affisso,
  Benchè fuor di là si tragga 7,
  Lascia sempre quella piaga
  Che una volta egli formò.
  Così pur nel seno mio
  Quella ria piaga fatale,
  Che mi fece il primo strale,
  Non ancora si sanò 8.
Filiberto. Creda però senz’altro,
Che un chiodo per lo più discaccia l’altro.

SCENA II.

Catina9 dalla finestra, e detti.

Catina. Oimè! respiro un poco,

Quando vegno al balcon;
Sia malignazo pur la suggizion.
Siora mare me tien... Veh là, per diana,
La siora squincia 10 con un cicisbeo.
Vardè che sfazzadona!
Xe un mese che gh’è morto so mario,

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E ai omeni cussì la corre drio!

Filiberto. Oh che volto gentil! (guardando Catina
Via, facciami presto; (a Lilla
Conchiudiamo il negozio.
E peccato che lei
Perda la gioventù vivendo in ozio.
Lilla. Ma non è già concluso?
Questa è pur la scrittura,
La parola è già data, ai nostri patti...
Filiberto. Non bastan le parole:
Vi vogliono de’ fatti.
Lilla. Come sarebbe a dir?
Filiberto.   Far che preceda
La dote stabilita.
Lilla. Dunque vussignoria
Ama più la mia dote,
Che la persona mia?
Filiberto. Mi meraviglio:
Amo il suo personale,
E all’interesse l’amor mio prevale.
Sol le chiedo la dote,
Perchè con questo patto
Fra di noi stabilito fu il contratto.
Catina. Quanto che pagherave
Sentir cossa che i dise!
Filiberto. (Ella mi sembra (guardando Catina
Giovine di buon cuore).
Lilla. Ehi, signor sposo,
Cosa vuol dir? Quelle finestre han forse
Più della casa mia dolce attrattiva?
Filiberto. Dirò la verità, parmi quel volto
Altre volte aver visto, e tutta tutta
Ella si rassomiglia
A una parente mia nobile figlia.
Catina. (Certo i parla de mi; forsi culia

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Me taggia i panni adosso;

Me sento proprio che me crepa el gosso11.
Filiberto. È (orse qualche dama? (a Lilla
Lilla.   Oh, oh, che dama!
Nè dama, nè pedina;
Ella è una simoncina12
Che ha più fumo che arrosto.
Smania la madre sua per maritarla;
Ma un pretesto vorria per non dotarla.
Filiberto. Come sarebbe a dir?
Lilla.   Il mio costume
Non è di mormorar, ma ben vi giuro,
Che se volessi dir... Basta, non voglio
Parlar dei fatti d’altri.
Filiberto.   È forse questa
Facile con gli amanti?
Lilla.   E in che maniera!
Sempre mattina e sera
In casa di costei chi va, chi viene:
L’altro giorno... Ma no, tacer conviene.
Catina. (Orsù, voggio andar via,
Perchè se me n’incorzo,
Certo ghe digo de chi l’ha nania 13. (si ritira
Lilla. È una senza creanza,
Superba, pretendente,
Temeraria, insolente;
Io mi vergognerei di praticarla,
Nè mi degno nemmen di salutarla.
Filiberto. Non perdiamo più tempo;
Vada a prender...
Lilla.   Iersera,
Sotto le sue finestre,
V’erano più di dieci giovinotti.

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Filiberto. Vada a prender le doppie...

Lilla.   E pur è brutta,
Come il brutto demonio.
Filiberto. Le doppie della dote,
Giusta14 il nostro contratto,
Altrimenti, signora, io me la batto.
Lilla. Senta questa, e poi vado:
A un giovine mercante,
Cui parlò dal balcone una sol volta,
Ha avuto tanto ardir questa sfacciata
Di chieder una veste ricamata.
Oh se volessi dir! Ma son prudente,
Abbado a quel che faccio,
E le cose degli altri osservo, e taccio.
Però di quella smorfia
Mormora il vicinato,
Parlan male di lei tutti d’intorno...
Vado a prender le doppie, e presto torno. (parte

SCENA III.

Filiberto solo.

Sia ringraziato il Ciel che se n’è andata.

Oh che donna prudente!
Guard’il Ciel se parlasse!
Ma vengano le doppie, e parli poi
E de’ fatti degli altri, e delli suoi.
S’inganna ben, se crede
Che io la voglia in consorte; il mio pensiero
Presto le sarà noto:
Bramo la dote sua; questo è il mio voto.

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SCENA IV.

Catina e detto.

Catina. Za che più no ghe xe (torna alla finestra

Quella tarizadora15 temeraria,
Vôi tornar al balcon per chiappar aria.
  Per altro son pur matta,
  A starme a travaggiar;
  Sul muso una zavatta16
  Piuttosto ghe vôi dar.
Filiberto. Ecco già ritornata
La giovine garbata: eh, già non credo
Tutto il mal che di lei Lilla m’ha detto;
Il solito difetto
Delle femmine è questo: altro non fanno
Che dir quello che sanno e che non sanno.
Vuò tentar, se con questa
Vi fosse da far bene; io già non cerco
Finezze, amplessi, o vezzi,
O simili tesori immaginari.
Non mi curo d’amor, cerco denari.
Catina.   Se la me salta suso,
  Col so parlar roman;
  Ghe voggio dar sul muso
  Un pugno venezian.
Filiberto. Io mi voglio introdur, ma per poterla
Maggiormente adescar, finger conviene
Un altro personaggio,
Cangiar nome, paese, ed il linguaggio17.
Servitor riverente alla patrona.
Catina. Patron, la reverisso.

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Filiberto. Ella no me cognosse.

Catina.   No seguro.
Filiberto. Gnanca se fusse scuro!
No la cognosse Toni,
Marzer de Marzaria18
All’insegna del Gambaro da mar?
Catina. Me par e no me par.
Seu forsi?...
Filiberto.   Giusto quello...
Catina. Che m’ha vendù quei merli?...
Filiberto.   Giusto quello...
Catina. Che me n’ha robà19 un brazzo?
Filiberto.   No son quello.
Catina. Donca no ve cognosso.
Filiberto. Mo via, no la se fazza dalla villa20,
La me varda in la ciera:
Son amigo de casa, e so sior pare
Me voleva un gran ben quando el viveva.
Tonin, el me diseva,
Te voggio mandar; mi gh’ò una fia
Che gh’à nome...
Catina.   Catina?
Filiberto.   Sì, Catina,
Bona come una pasta,
Beila come una stella.
Catina. Sior sì, sior sì, xe vero, e mi son quella.
Filiberto. Sempre dall’ora in qua
In mente ho conserva
La memoria e ’l respetto
Per so sior pare, e per la fia l’affetto.
Catina. Grazie alla so bontà; se la comanda
Vegnir de su, ghe xe mia siora mare;

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La parlerà con ella, e se la vuol,

Effettuar se pol
La prudente intenzion de mio sior pare.
Filiberto. Ma no sarave meggio,
Ch’ella vegnisse zoso? In do parole
S’aggiustaremo presto tra de nu;
Sta sorte de negozi
I vuol esser trattadi a tu per tu.
Catina. Che l’aspetta un pochetto:
Finzerò co mia mare,
Che la ventola21 zo me sia cascada,
Onde co sta finzion vegnirò in strada. (entra
Filiberto. Il principio va bene;
Se questa è figlia ricca,
Mi saprò approfittar de’ beni suoi;
Ma s’ella fosse poi
Povera di sostanze,
Farò presto svanir le sue speranze.
Oh, vien la vedovella:
Non vorrei s’incontrasse con quest’altra.
Eh, non mancan pretesti a mente scaltra.

SCENA V.

Lilla e detto.

Lilla. Eccomi; in questa borsa

Cento doppie vi sono,
Parte della mia dote a lei promessa.
Per far qualche spesetta
Questa somma cred’io che sia bastante,
E nel dì delle nozze avrà il restante.
Filiberto. Con il far tanti conti, (prende la borsa
Ci possiamo 22 imbrogliar; meglio sarebbe
Darmele tutte assieme.

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Lilla. Questo poco mi preme,

Se tutte in una volta ella le vuole,
Dunque mi renda queste, e avrà l’intero,
Quando degli sponsali il dì fia gionto.
Filiberto. Voglio facilitar; le tengo a conto.
Lilla. Ma per amor del Cielo,
Sollecitiam l’affare.
Filiberto. Si puoi assicurare,
Ch’io non mi perdo in ozio;
Penso la notte e il giorno a tal negozio.
Lilla. Sopra tutto bisogna,
Ch’ella mi voglia ben con amor forte,
Se mi devo scordar l’altro consorte.
Filiberto. Non dubiti; prometto
Di mantenerle ognor lo stesso affetto.
  Gioia mia, voi solo adoro,
  Voi sarete il mio tesoro,
  La mia pace, il mio conforto;
  Per voi spero entrar in porto
  Della mia felicità.
(finge parlare con Lilla, e parla con la borsa23
Lilla. Persuasa da queste
Dolci parole sue, parto contenta,
Signor consorte mio.
Filiberto. Signora sposa.

a due Addio. (Lilla parte


SCENA VI.

Filiberto solo, poi Catina.

Filiberto. Cento doppie di Spagna

Son poche al mio bisogno;
Coltivare convien la vedovella,
Convien esser costante,

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Finchè vien il restante.

Ma ecco qui la Veneziana: or via,
Tosto si cangi Filiberto in Toni,
Il marchese in mercante;
Così l’oltramontano
In un punto si cangi in veneziano.
Catina. La diga, mio patron,
M’hala forsi chiamà per testimonio?
Filiberto. Testimonio? De cossa?
Catina.   Dei so amori
Con quella forastiera.
Filiberto. Amori? Oh la s’inganna.
Catina. Donca che grand’affari,
Che interessi gh’aveu donca con ella?
Filiberto. Gh’ò venduo della roba de bottega,
Un abito de ganzo 24,
Un andriè 25 de veludo, e altre cossette.
Onde la m’ha paga
Co ste doppie de Spagna che xe qua.
Catina. Un abito de ganzo?
Un andriè de veludo?
Come diavolo fala a far ste spese?
Certo dal so paese
Intrade no ghe vien. Da so mario
No l’ha fatto sta grand’eredità.
Come donca tant’oro hala acquistà?
Filiberto. La sarà la so dota.
Catina. Dota? Sì ben. La xe vegnua a Venezia
Con un strazzo d’andriè de tela indiana,
E la mostrava el cesto26
Per non aver sottana.
Filiberto. So mario giera un omo
Però che guadagnava.

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Catina. Sì, ma tutto in tel ziogo el consumava.

Filiberto. Donca cossa vuol dir,
Che la xe così ricca?
Catina.   Mi nol so,
E po anca sel so, nol vôi saver.
La xe una vardabasso27,
Che sa far con maniera i fatti soi.
Quando viveva ancora so mario,
L’aveva l’amicizia
D’un certo sior tenente
Ricco, ma ricco... Orsù, no vôi dir gnente.
Filiberto. (Oh questa sì ch’è bella!
Ancor questa è prudente come quella).
Catina. Se un pochetto alla longa
Culia28 vu pratichessi,
De che taggia la xe cognosceressi.
Filiberto. E a vardarla in tel viso...
Catina. Oh oh, cossa credeu,
Che quel bianco e quel rosso
Sia color natural? Oh poveretto!
L’al gh’à alto tre dea 29.
Filiberto.   Cossa?
Catina.   El sbeletto.
E po la xe cattiva com’el diavolo,
Ogni otto dì la scambia el servitor.
Un zorno col sartor
La s’ha taccà a parole, e lu el gh’à ditto:
Tasi, che ti è una brutta...
Filiberto.   Zitto, zitto.
Lassemo andar custia, tendemo a nu.
Se la se contentasse...
Catina.   El barcariol
Ghe ne sa dir de belle; el me ne conta

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Tante che fa paura. El dixe un zorno:

Sì ben, la mia parona fa la casta,
E pur gieri de notte...
Filiberto.   Basta, basta.
Catina. Quando vedo ste bronze coverte30,
  Propriamente me vien el mio mal.
  Benedette ste ciere scoverte
  Benedetto quel muso genial!
Quel che varda continuo la terra,
  Par che gh’abbia col Cielo una guerra,
  E ch’el sia so nemigo mortal.
Filiberto. Sì, sì, la gh’à rason; donca per questo
El so viso genial za m’ha piasesto.
Ma la me fazza grazia,
Cara siora Catina, hala acquistà
Da so sior pare bona eredità?
Catina. Quattro mille ducati de contai
EH m’ha lassà per dota.
Filiberto. \10 (E sono assai).
Via, se la se contenta,
Femose esecutori
Della paterna volontae: la man,
Se la vuol, mi ghe toco.
Catina. Non abbiè tanta pressa 31, adasio un poco.
Alle vostre parole
No me voggio fidar. Voggio saver
Chi sè, dove che stè;
Vôi véder che negozio che gh’avè.
Filiberto. (Quest’è l’imbroglio! A noi).
Sì, sì, la gh’à rason; ma za gh’ò ditto,
Che stago in Marzaria
All’insegna del Gambaro da mar.
La puoi, quando ghe par,

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In maschera vegnir

Za che xe carnevai,
A véder la bottega e el capital.
Catina. Ben, acetto l’impegno.
Filiberto. (Ora sì che vi vuol arte ed ingegno!)

SCENA VII.

Lilla che si trattiene veggendoh, e detti 32.

Lilla. (Che osservo! Filiberto

Si trattien con Catina?)
Catina. Vegnirò domattina.
Filiberto. E mi l’aspetterò.
Lilla. (Il geloso amor mio tacer non può).
Olà, così si tratta?... (a Filiberto
Filiberto. (Oh diavolo!) Signora.
Lilla. Queste son le promesse? (s'avanza
Quest’è la fedeltà?
Catina.   Oe, cossa diseia?
Filiberto. La se n’ha buo per mal33, perchè mi subito
No gh’ho portao el so veludo a casa,
Ma bisogna che tasa. (piano a Catina
Lilla. Quali interessi avete con costei?
Catina. Cossa xe sta costei? Me maraveggio.
Se no parlarè meggio,
Colle mie man ve strazzerò i cavei.
Lilla. Temeraria! Così?...
Filiberto.7 No, no, tacete. (piano a Lilla
Questa povera figlia
È divenuta pazza,
Ed ora su la piazza

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Si facea maltrattar dalle persone,

Ond’io la soccorrea per compassione.
Catina. Eh, lassè che la diga.
Mandemola in malora.
Filiberto. Me despiase de perder l’avventora.
Lilla. Senti, ti compatisco, (piano a Catina
Perchè non hai cervello,
E con i pazzi tollerar bisogna.
Catina. Una matta sè vu, siora carogna.
Lilla.   A me carogna?
Catina.   Carogna a ti.
Filiberto.   Oh che vergogna
  Gridar così!.
Lilla.   Sfacciata.
Catina.   Impertinente.
Lilla.   Avrai da far con me.
Catina.   Ti gh’à da far con mi.
Filiberto.   Compatitela, ch’è pazza. (a Lilla
Lilla.   Non la voglio sopportar.
Filiberto.   No ve fe nasar 34 in piazza. (a Catina
Catina.   No la voggio sopportar.
Lilla.   Io non voglio che più le parliate.
Catina.   Mi no voggio che più la vardè.
Filiberto.   Farò quel che volete. (a Lilla
  Farò quel che volè. (a Catina
Catina.   Vederò, se veramente
  Me volè gnente de ben.
Filiberto.   Mia signora, certamente
Tutto a lei donato ho il cuor. (a Catina
Catina. Tutto a lei? Come parleu?
Filiberto. (M’ho imbrogliato). Tutto a vu.
Lilla. Se mi amate io scoprirò. (a Filiberto
Filiberto. Tutto, cara, v’ho donao

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  El mio cuor, el mio figao. (a Lilla

Lilla.   El figao? Che cosa dite?
Filiberto.   (Ho sbagliato). Compatite,
  Son confuso.
Lilla.   Ehi sentite.
Filiberto.   Son da lei.
Catina.   Sentì.
Filiberto.   Da ella.

Lilla. Dal furor

Catina. Dal velen
Filiberto. Dal timor

non posso più.


Fine della Prima Parte.


Note

  1. Conserviamo per comodo dei lettori la divisione in scene che si trova solamente nell’ed. Zatta (cl. 4, t. I, 1794).
  2. Nelle stampe del Settecento: trattass’in ecc.
  3. L’ed. Zatta corregge: E pure allor che visse.
  4. Così Zatta. Nelle edd. Valvasense (1736), Tevernin (t. IV, 1753) ecc.: Basta che possi.
  5. Zatta: No, non mi scordo.
  6. Zatta: Oh quante donne.
  7. Per la rima, nelle edd. del Settecento è stampato: traga.
  8. Segue nelle vecchie stampe: Forte ecc.
  9. Nelle edd. Valvas., Tevernin ecc., è sempre stampato: Cattino.
  10. Vanerella, affettata, smorfiosa: v. Boerio.
  11. Gozzo: v. Boerio.
  12. Pag. 194.
  13. Significa ogni sorta d’ingiurie: vol. VIII, 156; vol. XII, 133 e 182; e Boerio.
  14. Valvas. e Tev.: giusto.
  15. Criticona: v. Patriarchi. Nel Boerio c’è solo il verbo tarizar (tarizini, ossia critici, v. nel glossario in fine al t. III del Bertoldo "in lengua veneziana" di Isepo Pichi, Padova, 1747). Ma nelle edd. Tevernin e Zatta leggesi raziradora (nel Boerio c’è solo razirar, ingannare e razirona, raggiratrice).
  16. Ciabatta.
  17. Zatta: aria, linguaggio.
  18. Merciaio che ha il negozio nella famosa Merceria.
  19. Nelle stampe del Settecento: robbà.
  20. Farsi dalla villa, farsi nuovo d’una cosa, fare lo gnorri: vol. XII, 477 e XIII 319; e v’ Patriarchi e Boerio.
  21. Ventaglio.
  22. Valvas. e Tev.: potiamo.
  23. Valvas. e Tev.: e parla alla borsa delle doppie.
  24. Broccato: v. Boerio.
  25. Vedi pp. 33 e 148.
  26. Il significato è evidente: vol. XII, 169 e 439; vol. XIII, 310.
  27. Una finta degli occhi bassi: v. Boerio.
  28. Culia, colei e più sotto: cusila, costei.
  29. Qualche volta per déi (dita) ch’è più comune: v. Boario.
  30. Brage sotto la cenere, ossia ipocrite, finte semplici: v. Boerio.
  31. Fretta.
  32. Così Zatta. Nelle edd. precedenti, che non hanno nessuna divisione in scene, c’è questa sola didascalia: torna dì casa.
  33. Se n’è acuta a male.
  34. "Farsi scorgere, farsi burlare” da nasar, fiutare: Boerio. Vedi vol. XII, 145, 164, 191, 483; XIII, 343. 348 ecc.