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L'orto botanico di Padova nell'anno 1842

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Roberto de Visiani 1842 Indice:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf botanica Testi scientifici L'orto botanico di Padova nell'anno 1842 Intestazione 30 settembre 2024 25% Da definire


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L'ORTO

BOTANICO

DI PADOVA

NELL'ANNO MDCCCXLII


PADOVA

COI TIPI DI ANGELO SICCA

Piazza del Duomo, N. 297.

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NOTIZIE STORICHE

DELL’ORTO BOTANICO

E

DE’ SUOI PREFETTI

Se il tessere brevemente la storia delle utili istituzioni fu sempre riputata opera commendevole e fruttuosa, come quella che le cause addita onde sorsero, e gli ostacoli che vi si opposero, e gli accorgimenti usati per superarli, e fa ragione a que’ benemeriti che le imaginarono o le addussero a compimento; ciò a miglior dritto dovrà affermarsi di quelle, la cui fondazione stata essendo di grandissimo giovamento alle scienze cui appartengono, forma ragguardevole parte della storia delle medesime. Tra le quali ultime se io mi farò a riporre l’Orto botanico dello Studio di Padova, rinomato in ogni tempo per la vetustà dell’origine, per l’acconcezza e disposizione delle sue parti, per gli uomini celeberrimi che ne furono reggitori od allievi, certo nessuno che alla utilità sua alcun poco consideri, e vegga nelle opere dei botanici del secolo XVI. e XVII. quanti qui ne accorressero per istudiarne le rare piante, potrà giustamente accagionarmi di parziale affezione a questo insigne ornamento della padovana Università. E fu perciò che quella gloriosa Repubblica, che per ben quattro secoli resse i destini di queste avventurate provincie, trovò giusto il commettere sin dal 1741 al celebre Giulio Pontedera, che qui leggeva Botanica, la storia dell’Orto nostro; ed egli raunò a tal fine documenti e memorie in gran numero, che ora si custodiscono nella biblioteca dell’Orto stesso. Or di questi documenti, e d’altri ancora da me raggranellati frugando qui e colà nell’archivio della Università [p. 4 modifica]e negli scritti de’ botanici di quel tempo, mi venne in animo di valermi onde compilare e far pubbliche alcune brevi notizie sul Giardino di Padova e de ’ suoi Prefetti, con che sopperire nel miglior modo ad una storia circostanziata di lui, che tuttor si desidera nella scienza.

L’Orto di Padova, detto in origine Orto medicinale, ed anche Orto de’ semplici, come quello che serba e coltiva le piante medicinali, che formano la maggior parte de’ semplici medicamenti, fu fondato dalla Repubblica Veneta nella prima metà del secolo XVI. Dell’anno vero di sua fondazione grandemente discordano gli scrittori, altri riferendola al 1533, altri al 1535, alcuni al 1540, al 1545, ed anche dopo. Però doversi ella riportare al 1545 viene incontrastabilmente provato dal decreto stesso con cui il Senato Veneto la comandò, e che esiste nell’archivio della Università e fu da me pubblicato, nonchè dalla testimonianza dei contemporanei Marco Guazzo, Pietro Belon e Pietro Andrea Mattioli. Dalle concordi parole di questi autori, nonchè dagli atti pubblici dell’archivio suddetto, chiaramente raccogliesi come Francesco Bonafede, che sino dall’anno 1533 professava in questo Studio la lettura dei semplici (che è ciò che più tardi chiamossi Materia medica, ed ora Farmacologia), scorgendo la difficoltà d’insegnare ai giovani la cognizione delle piante medicinali senza farne ad essi la materiale dimostrazione; e sull’avviso eziandio dei Professori di Medicina, fra’ quali particolarmente del celebre Giambattista da Monte; espose a quel Magistrato che soprantendeva allo Studio, e dicevasi dei Riformatori, la necessità di piantare un Orto pubblico, destinato alla istruzione dei medici, in cui si ragunassero da tutte parti, e specialmente dai paesi del Levante soggetti al Dominio Veneto, le piante medicinali; e nell’Orto stesso vi fosse una spezieria, ove si accogliessero saggi di tutti i semplici della miglior qualità, perchè potessero ivi studiarsi e distinguersi dai men buoni o dai falsi. Con ciò il benemerito uomo proponeva, oltre la fondazione dell’Orto, quella eziandio d’un Museo farmaco[p. 5 modifica]logico, nel che precorreva di un mezzo secolo l’Aldovrandi.

Questa prima domanda del Bonafede, a cui devesi il pensiero della istituzione dell’Orto nostro, non essendo stata nè rejetta nè acconsentita, il Rettore della Università degli Artisti ( sotto il qual nome s’intendevano tutti i professori e studenti non addetti alle Leggi) con sua lettera degli 8 Novembre del 1543 richiese al Magistrato la concessione della medesima; nè traendone ancora il frutto desiderato, con altra lettera dei 14 Febbrajo 1544 rinnovellò l’inchiesta; e fu a prezzo di sì ferma perseveranza che il Senato, mosso dall’evidente vantaggio di tal proposta, e dalle istanze che e gli scolari ed i dottori ne veniano facendo un dì più che l’altro, in data dei 29 Giugno del 1545 decretò in quel Consiglio, che chiamavano dei Pregadi, di acquistare in Padova un luogo acconcio, non già alla fondazione del Museo proposto dal Bonafede, sì invece alla fondazione di un Orto medico. Al quale incarico essendo stato eletto il dotto senatore Sebastiano Foscarini, ed avendo egli stimato opportuno all’uopo quello spazio di terreno che anche adesso è occupato dall’Orto botanico, ne stipulò di corto la locazione coi monaci di S. Giustina, che ne erano i proprietarii, nel settimo giorno del Luglio successivo. Trovato il luogo, la cura di fondarvi sopra il Giardino fu confidata a M. Piero da Noale, già professore straordinario di Medicina nella nostra Università, ed in questa cattedra predecessore del Bonafede; al patrizio Daniele Barbaro, dottissimo uomo, Patriarca che fu poi d’Aquileja; e per l’esecuzioue a mess. Andrea Moroni da Bergamo, che allora curava la costruzione del tempio di S. Giustina. Sul disegno pertanto imaginatone da quest’ultimo si pose mano al lavoro; e puossi credere che questo sia stato incominciato poco dopo appigionato il fondo, e proseguito molto celeremente, se poco appresSo, cioè nel 1546, l’Orto nostro era tale da meritare il famoso elogio fattone dal cenomano Pietro Belon, e l’altro più particolareggiato di Marco Guazzo. In quest’anno medesimo condotto l’Orto a tal punto da abbisognare dell’opera di un [p. 6 modifica]botanico per essere arricchito di piante, e della vigilanza sua per essere custodito, venne dai Riformatori con lettera de’ 18 Agosto invitato a presiedervi messer Luigi Anguillara, che alcuni tennero per Bolognese, altri per Ferrarese, ma che da Giovanni Kentmanno e da Corrado Gesnero, conoscenti ed amici suoi, nonchè dai contemporanei Marco Guazzo e Bartolommeo Marante, viene chiamato Romano. Il Guazzo anzi ne chiarisce sin la famiglia, dicendolo figlio del q.m Franceто sco Squalermo, physico del SS Papa Leone. È poi molto probabile ch’egli fosse nativo di Anguillara presso Bruciano nello Stato Romano, per cui deposto il cognome gentilizio Squalermo, assunto avesse quello del natio luogo, e si chiamasse Anguillara, come acutamente argomenta il dottissimo Zeno (4). Discepolo l’Anguillara del cel. Luca Ghini, che aveva alcuni anni innanzi insegnata la Materia medicinale in Bologna, stava egli pure in quella dotta città, e per molto studio sugli antichi botanici, e per utili relazioni coi viventi a quel tempo, e per varii viaggi in tutta Italia, in Provenza, in Isviz zera, in Istria, in Dalmazia, nel Peloponneso, nelle isole di Candia e Cipro, s’era levato in fama di sperto ed assai dotto botanico. Questo uomo, forse il primo Italiano che facesse viaggi botanici, che il grande Haller non dubitò di chiamare il maggior botanico che fosse stato sino allora in Italia, e che lo Sprengel appellò eruditissimo, e nella ricerca delle piante esercitatissimo, fu invitato a Padova col titolo di Erbario e Maestro dell’Orto medicinale collo stipendio di ottanta ducati all’anno, cresciuti a cento nel 1551; ned egli tardò guari a pigliarne il governo (6) . Si fu questi il primo Custode e Prefetto dell’Orto nostro, giacchè il Bonafede, comechè promotore dell’opera, non fu mai chiamato a prendervi alcuna parte. Pietro Belon pone in suo luogo un Luigi Mundella, erbario Romano, e sulla di lui fede più altri; ma un tal nome non leggesi in alcun atto privato o pubblico di questo Studio, e dee credersi confuso e scambiato per errore coll’Anguillara. A questo fu dato l’obbligo di attendere all’in[p. 7 modifica]cremento ed alla prosperità del Giardino; e per agevolargliene la sorveglianza gli fu acconciata una casa che già esisteva nel medesimo, col debito di soggiornarvi (7); nè da quel tempo fų più permesso ai Prefetti di alloggiare altrove, quo (giusta il precetto di Catone) assidua domini praesentia cultura melius procedat. Non altro incarico ebbe mai l’Anguillara, nè insegnò qui la dottrina de ’ semplici, come affermò lo Sprengel (8); la qual cattedra restò affidata al Bonalara fu qui . Sotto la prefede per tutto il tempo che l’Anguil fettura di lui nel 1547 si decretò che le immondezze delle pubbliche vie fossero recate all’Orto per ammendarne il terreno, e fu ordinata e compiuta, per facilitarne l’accesso, la costruzione di quel ponte che dicesi delle Priare (9). Durò quindici anni nell’incarico l’Anguillara, dal 20 Agosto 1546 alla fine di Luglio del 1561; nel quale anno, qual che ne fosse la causa, di qui congedatosi, riparò a Ferrara, ove nell’Ottobre del 1570 morì di febbre pestilenziale. A lasciar Padova l’ebbero forse condotto le calunnie con che i malevoli s’erano adoperati di renderlo sospetto ai Riformatori, benchè la Università lo avesse vittoriosamente difeso (ved. Facciol. Fast. Gymn. Pat. Vol. III. pag. 400 et seq.), e i motteggi e le ingiurie del Mattioli e dell’Aldovrandi (ved. Fantuzzi Vita di U. Aldovrandi, Bologna 1774, p . 60-64), come verosimilmente dubita il Tiraboschi (Stor. della Lett. Ital. Vol . VIII . pag. 555, ediz. ven.) . Nell’anno stesso, ch’ei di qui si partiva, pubblicò un assai pregevole libro, contenente osservazioni su varie piante da lui vedute nei viaggi sopraccennati, ed intitolato Semplici (Venezia presso Vinc. Valgrisi 1561 ), nel quale argomentossi d’indovinare quali si fossero alcune piante tuttora oscure, di cui trattarono gli antichi, e segnatamente Dioscoride: lavoro penoso e difficile, in cui riuscì sovente più fortunato di tutti gli altri commentatori; onde il suo libro, cui non potrebbe rimproverarsi coll’Haller che la brevità soverchia delle descrizioni, per cui è talora malagevole il riconoscere la pianta che esse risguardano, fu assai lodato dal Seguier, dall’Haller stes[p. 8 modifica]so, e dallo Sprengel. Lo tradusse, il commentò ed impresse a Basilea il cel . Gio. Bauhino nel 1593. Vantò l’Anguillara a discepolo l’illustre Jacopo Camerario.

Nel tempo stesso ch’egli reggeva l’Orto, i Riformatori, quasi a tutelare più amorosamente l’infanzia di questo loro prediletto Stabilimento, avevano dato incarico al patrizio Pier Antonio Michiel, versatissimo nella cognizione dell’erbe, di promuoverne ei pure l’incremento e l’arricchimento, concedendogli facoltà di trovare e pagare un giardiniere con ducati venti all’anno, e di chiudere affatto il muro circolare dell’Orto, che non essendo compiuto offeriva occasione a frequenti e pregiudizievoli ruberie (10). Il primo giardiniere, di cui resti notizia negli atti della Università, si fu un cotal Jacopo da Treviso, deputato a tener mondo e curato l’Orto medicinale, quale allora questo chiamavasi; ed ei vi prestò l’opera sua dal primo di Gennajo del 1553 a tutto il Gennajo del 1565 (11). Adoperossi con amore il Michiel all’adempimento dell’obbligo assuntosi dal 1551 al 1554, come rilevasi dalla lettera 30 Marzo 1554 dei suddetti Riformatori . E come se ancor ciò fosse poco, il doge stesso Francesco Donato allorchè con lettera dei 23 Sett. nominava nel 1551 il cel. Gabriele Falloppio a Lettore di Materia medica, di Notomia e di Chirurgia, raccomandavagli insieme di non negligere l’Orto suo; e delle cure prodigatevi da quel grande trovasi una testimonianza nelle opere di Pena e Lobelio, i quali affermarono aver veduto nell’Orto nostro un elegantissimo albero di guajaco seminatovi dal Falloppio (12). E si fu appunto per la congiunta opera del Michiel, del Falloppio e dell’Anguillara, che l’Orto stesso era salito, benchè recente, ad altissima rinomanza: laonde il Belon, che sin dall’anno 1546 visitandolo l’aveva predicato pel più magnifico degli Orti da lui veduti, rivedendolo nel 1557 trovò giusto di allargarne le lodi, e di parlare eziandio delle rare piante che vi crescevano, fra le quali non dimentica il falso guajaco sopra citato (13). Duolmi che nessun catalogo sia giunto a noi, da cui desumere il numero primitivo delle sue piante: [p. 9 modifica]deesi però crederlo notevole rispetto ai tempi e dalle parole dello stesso Belon, e dal titolo di ricchissimo di che l’onora il Gesnero ( 14), e dalle frequenti citazioni delle sue piante registrate dall’Anguillara ne ’ suoi Semplici, e meglio ancora da una Informazione sullo Studio di Padova scritta intorno all’anno 1552 da Gianfrancesco Trincavello veneziano ad un gentiluomo suo concittadino, ch’esiste manoscritta nella Biblioteca di S. Marco in Venezia, da cui ritraesi che l’Anguillara avea riempiuto l’Orto d’erbe rare e bellissime, ponendovene più di 1500 sorte; numero non ispregevole se vogliasi considerare alla poca età del medesimo, ed alla ristretta somma delle piante allor note; e se abbiasi a ritenere, com’è molto probabile, che a quel tempo non vi si coltivassero che piante indigene.

Partitone l’Anguillara, volle fortuna che fosse di que’ tempi in Italia Melchiorre Guilandino di Conigsberga, botanico illustre e sventuratissimo. Reduce egli da viaggi fatti per amore della scienza in Asia, in Palestina e in Egitto, mentre naviga dalla Sicilia alla volta del Portogallo, per poi recarsi alle Indie, viene ferito e fatto schiavo dagli Algerini. Francato appena di servitù con duecento scudi d’oro, mandati ai barbari qual prezzo del suo riscatto dal Falloppio, che gli era stretto d’antica e salda amistà, veleggia lieto verso l’Italia; ma dalle rive desiderate per fiera procella rispinto, sbattuto novellamente sulle coste dell’Africa, a nuoto salvasi dal naufragio; ed approdandovi ignudo e rifinito, ottiene a stento per larghe promesse d’essere condotto a Genova. Ivi la liberalità di quei patrizii Battista Grimaldi, Paolo Spinola, Nicolò Doria, Baldassare Lomellino e Franco Lercari sopperisce a’ suoi molti bisogni, e sovviene generosa a’ suoi debiti . Ora quest’uomo, che le patite calamità e la fortezza dell’animo nel tollerarle non rendeano men venerabile che la dottrina, trovandosi per caso in Venezia, fu con mirabile concordia de’ Padri eletto a successore dell’Anguillara cinquanta giorni dopo che questi si era tramutato di qua, come ricavasi dalla lettera di sua nomina, data dal doge Girolamo Priuli li 20 Settembre del 1561, [p. 10 modifica]assegnandogli cenventiquattro ducati . Non appena fu egli preposto alla direzione dell’Orto (15), che rappresentò di corto ai Riformatori le necessità del medesimo; ed avutine i cercati provvedimenti, diessi a tutt’uomo ad arricchirlo di rare piante. Locchè veggendo il Senato, meditando il mezzo di rendere meglio utile e fruttuosa questa nobilissima istituzione, ed avvisando a ragione quali vantaggi ne verrebbero agli studiosi se alcun uomo della cognizione dei semplici addottrinato si facesse a mostrarli e dichiararli ai discepoli nell’Orto stesso ove erano coltivati, venne a deliberare con decreto 20 Febbrajo del 1564 doversi al Guilandino imporre il carico di leggere, mostrare e dichiarare nel medesimo Horto li semplici. Con ciò fu creata allora, cioè diciannove anni dopo fondato l’Orto, la cattedra di Botanica, che per assai tempo si chiamò Ostensione dei semplici, onde distinguerla dalla Materia medica, la quale dicevasi Lettura dei semplici, e trattava dei rimedii composti e di quelli che traevansi dal regno minerale ed animale, ed era stata fondata già per opera del Bonafede sin dall’anno 1533 (16). Attese con molto amore il Guilandino al buon governo ed alla ricchezza dell’Orto, per cui s’ebbe in più tempi assegni straordinarii, quando per ristaurarne i malconci edifizii, quando per acquistarvi novelle piante, e quando ancora per intraprendere egli stesso alcuni viaggi allo scopo di raccorne altre per l’Orto. Fra le opere da lui promosse a vantaggio di questo resta tuttora memoria di una principalissima, quale si fu la costruzione di una macchina idraulica fattasi l’anno 1575, la quale posta in acconcio edificio fuori dell’Orto, e rimpetto al portone che guida ad esso, spinge ‫ ין‬acqua per sotterranei tubi nelle vasche e fontane del medesimo; con che provvedesi all’innaffiamento delle sue piante (17). Sussiste ancora antica e corrosa lapide, che ricorda quest’opera, la quale affissa prima all’interno lato dell’ala sinistra del portone d’ingresso, fu nel 1839 trasportata nell’atrio della casa ove abita il professore, coll’intendimento di sottrarla alle ingiurie delle stagioni. Ivi può leggersi, ed è la seguente: [p. 11 modifica]

HEUS VIATOR BENE PRECARE PRAESTAN
TISSIMIS SENATORIBUS JACOPO FOSCARE
NO DOCTORI PRAETORIQUE PATAVINO ET
FRANCISCO DUODO PRAEFECTO PATAVINO QUI STIRPES SITI ARENTES ADDUCTA IN VI
RIDARIUM AQUA LONGE REFOVERUNT ABI
MDLXXV


Funse il Guilandino con tanto plauso ed utilità la novella scuola, insegnandovi tutto di che poteano abbisognare gli studenti per la piena conoscenza dei semplici, che il Senato trovata soverchia l’altra della Lettura tenuta in allora da Bernardino Trevisan, la soppresse; nè questa cattedra si riebbe se non dopo la morte del Guilandino medesimo (18). Ma quell’inclito Magistrato, crescendogli i carichi, non cessò di onorarlo con sempre nuove significazioni di stima; perlochè riconfermatolo più volte nelle due cattedre, accresciutogli in più epoche lo stipendio, sino a trecento settanta ducati o fiorini, datagli facoltà di scegliere ei medesimo a suo piacere e pagare due giardinieri, in luogo del solo che nominavasi dai Riformatori, volle con novità d’esempio dichiararlo professore in perpetuo, aumentandone lo stipendio fino a 600 ducati; nel quale però, come prima, erano compresi i salarii dei giardinieri ( 19). Dalle quali solenni testimonianze della pubblica fede confortato egli quel più, arricchì l’Orto quant’era in lui, come puossi ritrarre meno dal Catalogo stampatone dal suo discepolo Giorgio Schenck (20), e da quanto ne dice ivi lo Schenck medesimo, ma e più dalle opere dei contemporanei Giovanni Bauhino, Matteo Lobelio, Corrado Gesnero, che ne accennano di molte altre esistenti in quest’Orto all’epoca del Guilandino, e delle quali ha tessuto un indice diligente il benemerito Pontedera nel volume primo della Storia dell’Orto nostro. Uomo nelle lettere ed in ogni parte della naturale filosofia versatissimo si fu il Guilandino, di raro ingegno, di singolare facondia, nello studio dell’erbe dottissimo, per cui il Ponte[p. 12 modifica]dera stesso non dubitò di scrivere aver egli a gran pezza vantaggiato tutti i suoi successori. Onorato dai Magistrati, amato da’ suoi allievi, riverito da tutti, morì di colica in Padova addì 8 Gennajo del 1589, dopo ventitrè anni e tre mesi da che reggeva l’Orto, e la doppia scuola della lettura e della ostensione dei semplici. Pubblicò molte opere, e sono:

Apologiae adversus Petrum Andream Matthiolum. Liber primus, qui inscribitur Theon. Patavii ap. Percacchium 1558, 4.°

Papyrus, hoc est Commentarius in tria C. Plinii majoris de Papyro capita: accessere Hieron. Mercurialis repugnantia, qua pro Galeno strenue pugnatur. Item Melchioris Guilandini assertio sententiae in Galenum a se pronunciatae, ac ejusdem Glossemata in praecedens Hier. Mercurialis caput. Venet. apud Ant. Ulmum 1572, 4.°

Epistola de quibusdam stirpibus ad Conradum Gesnerum.

De stirpibus aliquot Epistolae V. Patav. 1558, 4.°

Problemata XX.

Descriptio aviculae indicae, quae in perpetuo volatu est, quaeque dicitur Manuco- Diaca, vel Manucodiata.

Conjectanea synonimica plantarum. Pat. 1591. Eadem publicante Jo. Georgio Schenckio. Francof. 1600, 8.°

Lasciò morendo i suoi libri, che ora trovansi nella Marciana in Venezia, e buona parte delle sue sostanze alla Repubbliса, che lo avea colmo d’onori e di benefizii; l’altra parte legolla a Benedetto Zorzi, cui era affezionatissimo . Fu sepolto nel chiostro di S. Antonio. Ebbe nemici acerrimi il Mattioli, lo Scaligero, il Casaubono; lodatori i primi botanici del suo tempo; amicissimo il Falloppio; seguaci di sua dottrina moltissimi, fra’ quali un per tutti, Prospero Alpino. Durante la prefettura di lui nella coltura dell’Orto a Jacopo Trevisan era succeduto nel Marzo del 1565 Francesco Farinante, ed a questo il dì 1.° Gennajo del 1566 Matteo Borghesan, che vi stette fino al 1574, così attestandolo gli atti di questa Università. [p. 13 modifica]

Trapassato il Guilandino, fu con ducale dei 10 di Novembre del 1590 di Pasquale Cicogna dato l’incarico di Custode dell’Orto ed Ostensore dei semplici a Jacopo Antonio Cortuso, gentiluomo padovano, nella cognizione dell’erbe spertissimo, e coll’assegno di cento ducati. Assuntone appena il governo, chiese egli ed ottenne che fosse cinto di fossa l’Orto per impedirne le inondazioni (21), e due anni dopo furono a sua richiesta apprestati per Marco Manante fiammingo tubi di piombo per derivare l’acqua dalla macchina posta dal Guilandino alle varie parti dell’Orto stesso (22). Questo fu a di lui cura arricchito per guisa, che ne uscirono in luce due cataloghi ragguardevoli delle sue piante: l’uno sopra citato pubblicatone dallo Schenckio col titolo di Hortus Patavinus, Francof. 1600, 12.°; l’altro intitolato L’Horto dei semplici di Padova. In Venetia appresso Girolamo Porro 1591, 12.°: entrambi i quali danno una medesima enumerazione dei vegetabili che ivi si coltivavano del 1591, e sommavano a 1168; ai quali aggiungendo le varie specie, di cui non fu in quello nominato che il genere coll’aggiunta e sue specie, sarà agevole apporsi come l’Orto nostro potesse allora contare almeno duemila piante. Dalla prefazione posta dal Porro al catalogo per lui stampato si fa aperto come il Senato Veneto avesse risoluto d’abbellire l’Orto con ornamenti vaghissimi di statue rappresentanti gli Iddii od i personaggi dell’antichità più eccellenti nella cognizione delle erbe, di fontane e serbatoi d’acqua opportuni non solo ad innaffiarne le piante, sì ancora ad irrigar tutto il Giardino con grandissima facilità; e sopra tutto di fabbricarvi fuori della muraglia che lo circonda intorno intorno stanze o camerette in quella forma che tuttavia si veggono principiate dall’uno e dall’altro lato della porta verso la strada, per dove s’entra in esso Giardino. Le quali stanze et appartamenti haveranno a servire a varie e diverse operationi attenenti alla materia medicinale, come per gratia d ’ esempio a fonderie, distillatorie, et altre si fatte. Et in altra stanza particolarmente a ciò [p. 14 modifica]deputata sifarà conserva di minerali, terre, pietre, gioje. In altra si conserveranno pesci ed animali marini, e tutti i mostri meravigliosi che manda il mare, sali, sponghe, coralli, e simili. Altre stanze serviranno per gli animali terrestri; altra per li volatili, che vi si terranno secchi e ben conservati. Talche da così vario e diverso ordine di cose si formerà un bellissimo e maraviglioso Museo a pro e beneficio degli studiosi di questa rara professione. Et in questo picciolo Theatro, quasi in un picciol mondo, si farà spettacolo di tutte le meraviglie della natura. Le quali parole, che il Porro scrive avere udite dal Cortuso, ho voluto io qui riferire a far manifesto come il Senato Veneto precorresse di qualche secolo le altre nazioni nel bellissimo divisamento di raccorre in un luogo solo quanti sono i naturali prodotti, onde coll’agevolarne lo studio facilitare ancora lo scoprimento delle utili applicazioni, di che potrebbero eglino vantaggiare la Medicina. Pure, benchè apparisca dal sopra detto ch’erano di già incominciate le stanze per riporvi siffatti oggetti, non fu oltre proseguito il lavoro, nè condotto a termine il generoso proposito. Ignorasi la vera epoca della morte del Cortuso, che alcuni molto verosimilmente riportarono al dì 21 Giugno del 1603. Sembra diffatti ch’egli cessasse dalla vita e dall’ufficio in quell’anno in cui finiva eziandio la riconferma concesságli per anni sei colla ducale 19 Dicembre 1596 di Marino Grimani, giacchè dalla ducale dei 5 Agosto 1606 di Leonardo Donato ricavasi essersi offerto prontamente Prospero Alpino il dì 3 Ottobre del 1603 ad accoppiare in sè solo alla Lettura, ch’ei professava sin dal 1594, la custodia ancora dell’Orto, e l’ostensione dei semplici ( resesi vacanti per la morte del Cortuso ), ed esservi stato anco eletto dai Riformatori d’allora . Nulla pubblicò colle stampe il Cortuso: studiò però molto accuratamente le piante, giovò de’ suoi lumi e fornì di specie ignote il Mattioli, il quale non contento di averne fatto onorevole ricordanza in assai luoghi de’ suoi Commentarii sopra Dioscoride, volle pure intitolargli una pianta dal [p. 15 modifica]Cortuso stesso trovata in Valstagna della provincia Vicentina, che appellò Cortusa, il qual nome tuttora rispettasi nella scienza.

De’ giardinieri dell’Orto non havvi notizia negli atti della Università dal 1574, anno in cui fu rimessa al Guilandino la cura di sceglierli e pagarli del suo, la quale continuò ancora al Cortuso, sino a che nel 1593 fu questi incaricato di stipendiarli per conto pubblico; e solo allora apparisce essere stati scelti da lui a titolo di primo e secondo Gastaldo Melchiorre Zambon e Battista Carraro, i cui salarii si pagarono sempre in appresso dalla cassa della Università. Cominciarono il loro servigio dal 10 Aprile di quell’anno: lo Zambon con ducati ottanta, e poscia novanta sino al 1616; il Carraro con ducati sessanta sino al 1594; a cui li 24 Febbrajo del 1595 successe Bartolommeo Tiso, che morì nell’ufficio in Febbrajo dell’anno 1617.

Il celebre Prospero Alpino di Marostica, che reduce da un viaggio fatto in Egitto nel 1580 con Giorgio Emo, avea già nome illustre fra’ medici e fra ’ botanici per opere pubblicate, e che sin dall’Aprile del 1594 tenea nello Studio nostro la lettura de’ semplici, fu li 3 Ottobre del 1603 incaricato insieme della custodia dell’Orto e della ostensione de’ semplici, come chiaramente ritraesi dalla testè citata ducale dei 5 Agosto 1606 di Leonardo Donato, esistente nell’archivio della Università, coll’aggiunta di soli ducati cinquanta all’anno alla sua paga ordinaria di ducati duecento. I meriti però distinti dell’insigne uomo movendo l’animo del Senato, gli valsero l’anno 1613 il cospicuo e inusitato aumento del suo stipendio sino a settecencinquanta ducati . Illustrò sommamente le due cattedre che copriva, e l’Orto ch’ei dirigeva, e continuò in questi incarichi sino alla morte, avvenuta l’anno 1616. Diede in luce le seguenti opere:

De Rhapontico Disputatio. Patav. apud Petr. Bertolium 1612, 4.°

De Balsamo Dialogus. Venet. 1592, 4.° [p. 16 modifica]

De plantis Ægypti Liber. Venet. apud Franc. de Franciscis 1592, 4.°

De praesagienda vita et morte aegrotantium Libri VII. Venet. 1601.

De plantis exoticis Libri duo. Venet. apud Jo. Guerilium 1629, 4.°

De Medicina Egyptiorum Libri quatuor. Lugd. Batav. 1719, 4.°

Historia naturalis Ægypti. Lugd. Batav. 1735, 2 vol. 4.°

All’Alpino per decreto del doge Giovanni Bembo dei 14 Gennajo del 1616 successe Giovanni Prevozio, nativo di Augst nella Svizzera, città altra volta considerevole, e detta Augusta Ravracorum, ora grosso villaggio a due leghe da Basilea. Insegnava egli allora la pratica straordinaria di Medicina, alla quale venne aggiunta la sola ostensione de ’ semplici, coll’accrescere di ducati sessanta lo stipendio proprio di quella. La lettura invece dei semplici stette per due anni vacante, e solo nell’anno 1618 con ducale dei 26 di Ottobre di Antonio Priuli fu conferita a Jacopo Zabarella. Sotto la prefettura del Prevozio fu ristaurata la casa, fu raccomodata e tramutata di luogo la macchina idraulica, e fu inoltre concesso un assegno annuo a un cotale Maestro Ambrogio, perchè ne curasse la migliore conservazione (23). Morì esso nel 1631, imperversando in Padova la pestilenza, e lasciò maggior fama di medico che di botanico . Pubblicò queste opere:

De remediorum cum simplicium tum compositorum materia. Venet. 1640, 12.°

Hortulus medicus. Patav. ap. Jac. de Cadorinis 1681, 12.º edit. IV.

Medicina pauperum et Libellus de venenis. Lugd. 1693, 12.°

Scrisse ancora un Trattato De compositione medicamentorum, che si pubblicò da’ suoi figli in Padova nel 1666 in 12.°

Nella coltura dell’Orto, sotto la presidenza del Prevozio, era intanto sottentrato a Bartolommeo Tiso nel Febbrajo 1617 Domenico Zanetti, e nel 1625 vi si aggiunse qual secondo [p. 17 modifica]giardiniere Biagio d’Asolo, poi nel 1628 trovasi indicato qual altro giardiniere un Tonello.

Morto il Prevozio, nominò il Senato, come da lettera dei 17 Gennajo del 1631 chiaramente apparisce (24), Giovanni Rodio danese tanto alla cattedra di Botanica e alla direzione dell’Orto, quanto alla lettura de’ semplici, la quale era allora vacante per la morte di Jacopo Zabarella. Non esiste però memoria alcuna negli atti dello Studio nostro od altrove, da cui ritraggasi aver egli assunto questo duplice incarico . Per lo che rifiutatosi il Rodio, qual che ne fosse stata la causa, il Senato con ducale di Francesco Erizzo dei 9 Maggio del 1633 conferì l’uno e l’altro ad Alpino Alpini figlio di Prospero, il quale per le parole della ducale suddetta era da tre anni impiegato nell’ostensione de’ semplici; dal che deducesi aver egli supplito al professore mancante sin dalla morte del Prevozio. Nulla trovasi di rimarchevole operato dall’Alpino nella sua prefettura, nè lasciò scritti nè opere pubblicate che ne raccomandino la memoria. Diè soltanto in luce i due libri De plantis exoticis del padre suo in Venezia nel 1627, e a questo forse accennano per isbaglio, confondendone l’editore coll’autore, le parole della ducale sopra citata, colle quali vien detto aver egli mandato alla stampa un libro nella materia de’ semplici. Morì nel 1637. Prestarono l’opera loro in quegli anni ch’ei presiedeva all’Orto, Giovanni Macchion o Maggion dal 1631 continuando fino al 1694, Gio. Maria Zanchetto dal 1634 al 1637, e Giulio Rizzi o Ricci successo a quest’ultimo in quest’anno medesimo, e sino al 1661.

All’Alpino per ducale di Francesco Erizzo dei 13 Marzo 1638 seguitò sì nella ostensione che nella lettura de’ semplici il celebre Giovanni Veslingio, nativo di Minden nella Vestfalia, conservando insieme l’insegnamento della Notomia e Chirurgia, che da più anni ei teneva nella nostra Università con altissima rinomanza, ed accrescendogli lo stipendio sino a settecento ducati all’anno. E il grand’uomo sostenne tutti e quattro gli incarichi con tal valore, e diè in tutti sì belle prove [p. 18 modifica]sua perizia, da essersi meritato e dai contemporanei e dai posteri durevole e chiara fama di distinto botanico ed anatomico. Nè men lodevole opera prestò il Veslingio all’Orto affidatogli; chè ritrovato da lui affatto privo di piante straniere (25), fu arricchito ben presto di rare specie procacciatesi dall’Egitto, dalla Spagna, dalle Indie. Nè a ciò contento, indusse egli i Riformatori a mandare in Creta a spese pubbliche un botanico raccoglitore, che si fu Ignazio Des Champs fiammingo, il quale di quell’isola trasportò all’Orto quasi trecento fra semi e piante vive, di cui stampò un catalogo il Tommasini (Gymn. Pat. pag. 90). Per le quali cure crebbe il Giardino nostro in numero ed isceltezza di vegetabili, come lo attestano i due elenchi stampatine dal Veslingio; l’uno col titolo: Catalogus plantarum Horti Gymnasii Patavini, quibus auctior erat anno 1642, Praefecto ejusdem Horti D. Jo. Veslingio (Patav. 1642), che nomina 1602 piante; l’altro sotto quello di: Catalogus plantarum Horti Gymnasii Patavini, quibus auctior erat anno 1644 etc. (Pat. eodem anno), che ne annovera 1647, e che venne anche ristampato dal Tommasini alla pag. 99. Alle quali aggiungendo quelle registrate in un autografo del Veslingio posseduto dal Pontedera, il novero delle piante che educavansi nell’Orto nostro a que’ tempi, per testimonianza del Pontedera medesimo, ammontava presso a duemila specie . Aveva il Veslingio, pria di venire a Padova, viaggiato in Grecia, in Palestina e in Egitto; perloché aveva potuto commentare ed illustrare le piante egizie osservate e descritte già dall’Alpino, aggiungendovene altre ancora da quest’ultimo non vedute. Continuò il Veslingio sino a’ tre di Settembre del 1649, cioè sino alla morte sua avvenuta in quel giorno, nel moltiplice incarico, pubblicando le seguenti opere di Notomia e di Botanica.

De plantis Egypti Observationes. Patav. 1638, 4.°

Opobalsami veteribus cogniti vindiciae. Patav. 1644, 4.°

De Balsamo Epistolae duae ad Baldum Baldum in Romano Gymnasio Practicae Medicinae Professori. [p. 19 modifica]

Paroeneses ad rem herbariam publicis plantarum ostensionibus praemissa. Patav. 1644, 4.°

De florum usu Dissertatio habita anno 1602. V. Non. Maj. Pat. typ. Paul. Frambotti, 4.°

Syntagma anatomicum. Pat. 1641, Amstel. 1666.

Oltre ciò scrisse un’elegante lettera a Pietro Servio, professore di Medicina in Roma, che pubblicò poscia il Tommasini (Gymn. Pat. pag. 86), e contiene una descrizione dell’Orto nostro. Fu sepolto nella chiesa di S. Antonio, e gli fu eretto nella medesima per cura degl’illustri Ottavio Ferrario e Giovanni Rodio onorevole monumento.

Continuarono sotto di lui nella coltura dell’Orto Giovanni Macchion e Giulio Rizzi.

Passato di questa vita il Veslingio, gli fu poco stante nominato a successore nella lettura ed ostensione de’ semplici Giorgio Dalla Torre, gentiluomo di Padova, con ducale de’ 6 di Ottobre del 1649 di Francesco Molin, ed a richiesta degli scolari. Sotto la prefettura di lui fu riparata la casa del Prefetto con palafitta nel fiume, che ne lambe il lato settentrionale, e col ristaurarne il coperto; fu quasi rinnovato l’idroforo; fu costruita una conserva per custodirvi le piante di Creta, d’Egitto, delle Indie, e d’altri paesi caldi; fu rallargata d’un terzo e migliorata la casa de’ giardinieri. De ’ quali provvedimenti, che il Dalla Torre riferì allo zelo del senatore Angelo Marcello, allora prefetto della città, volle egli perpetuare la ricordanza con iscrizione da lui composta nello stile del tempo, che fu scolpita in lapide murata nell’interno del portone che guida al Giardino, donde per conservarla fu trasferita l’anno 1839 nell’atrio dell’abitazione del professore. Ivi essa può leggersi come segue: [p. 20 modifica]

ANGELO • MARCELLO
QUOD • MUSARUM • VIRETA • SILVESCENTIA IN
TERLUCAVERIT • ATQUE • CRESCENTIBUS • HERBIS • CAS
TALIOS • LATICES • INDUXERIT • NUDISQUE • STIRPIBUS
FLORUM • CORONAMENTA • NATURAE • MUN
DUM • ADIECERIT • QUO • TEMPORE • URBIS • PRAEFECTUS
ERADICATO • OMNIS • HOSTILITATIS • ACONITO • PACI
FERAS • OLEAS • LAURIS • TRIUMPHALIBUS • INSEREBAT
GEORGIUS • A • TURRE
REI • HERBARIAE • PROFESSOR • ORDINARIUS • HORTIQ. PU
BLICI • PRAEFECTUS. B. M. P.


Attese ancora il Dalla Torre all’arricchimento del Giardino; perlochè ottenne un ordine dal Senato de’ 23 Luglio 1661, affinchè fossero a spese pubbliche raccolte piante a tal uopo. Però un anno innanzi ne aveva egli pubblicato un elenco col titolo: Catalogus plantarum Horti Patavini, Pat. 1660; ed un altro con egual titolo ne diè in luce l’anno 1662; dai quali cataloghi, nonchè da uno serbatoci manoscritto dal Pontedera nel primo volume della sua Storia dell’Orto nostro, ricavasi che a’ tempi del Dalla Torre vi si coltivavano meglio che 2272 piante, fra le quali non poche esotiche, come la Cassia fistula, Tamarindus indica, Canna indica, Arum Colocasia, Jasminum odoratissimum, Coix lachryma, Ipomaea Quamoclit, e molte altre. La estesa fama, di cui godeva il Dalla Torre non solo come botanico, sì ancora qual medico, gli procacciò dal Senato l’onore di essere con ducale 28 Agosto 1666 nominato professore di Medicina pratica straordinaria 9 conservando la ostensione de ’ semplici, ed abbandonandone la lettura, la quale con decreto dei 4 Novembre dell’anno stesso venne affidata ad Ilario Spinelli. Nè gliene venne gloria minore allorchè essendo stato richiesto il Collegio medico dello Studio, se l’aria di Padova e le sue terme potessero essere di giovamento alla malattia di che infermava la Elettrice di Baviera, ei vi rispose col pubblicare un libro intorno all’acqua [p. 21 modifica]ed all’aria, che intitolò: Junonis et Nestis vires in humanae salutis obsequium traductae, Pat. 1668, 4.º La liberalità del Senato gli accrebbe in più volte lo stipendio, sino a che nel 1679 questo ammontava alla cospicua somma di 1550 ducati. Nè a ciò contento, lo promosse nel 1680 alla cattedra di Pratica medica ordinaria in secondo luogo, con ducale di Alvise Contarini dei 29 Ottobre, coll’obbligo però di continuare la ostensione dei semplici e la custodia dell’Orto. I quali incarichi sopravanzando per avventura le forze sue, chiese egli al Senato che quest’ultimo fosse dato a Jacopo Pighi, che leggeva già Notomia da più anni, promettendo di fare ei pure una qualche lezione, e d’invigilare alla miglior coltura dell’Orto; il che fugli accordato con ducale degli 8 Agosto 1681 del doge medesimo Contarini. Ma tal sollievo concesso al benemerito uomo fu di corto interrotto dalla subita morte del Pighi, avvenuta nei primi mesi del 1683, e quindi poco dopo di un anno dalla nomina di lui alla custodia dell’Orto, per cui pochissimo potè operare a pro del medesimo; pure troviamo notizie negli atti pubblici aver il Pighi fatto raccor piante, estesone un catalogo conservatoci dal Pontedera, e fatto ristaurare la macchina idraulica e le fabbriche del medesimo, che ne aveano mestieri (26). Morto il Pighi, profferse di bel nuovo l’opera sua il Dalla Torre quanto alla scuola, proponendo ai Riformatori l’ab. Felice Viali, già stato professore a Pisa, perchè sotto la sua direzione attendesse al Giardino; il che fu concesso dal Magistrato, a condizione che il Dalla Torre seguitasse nella ostensione dei semplici, ed il Viali abitasse costantemente nell ’ Orto, come ritraesi dalla lettera 20 Marzo 1683 del Magistrato medesimo. In appresso avendo il Dalla Torre pubblicata la sua Historia plantarum, e per gli anteriori e lunghi servigi essendosi reso degno di una speciale rimunerazione, il doge Marcantonio Giustinian con lettera dei 3 Aprile 1687, dietro proposta dei Riformatori, lo promosse alla prima cattedra di Medicina pratica nello Studio; e riconoscendo non poterglisi conservare l’altra della ostensione dei [p. 22 modifica]semplici, conferi questa al Viali. Cessò in tal guisa dalla prefettura e dalla ostensione l’uom venerabile, che da ben trentotto anni sosteneva con tanto plauso, e con manifesto vantaggio della scienza e dell’Orto, l’insegnamento dell’una e l’amorevole direzione dell’altro. Diede in luce le opere sopra citate:

Junonis et Nestis vires in humanae salutis obsequium traductae. Pat. 1668, 8.° Historia plantarum. Pat. 1685, fol.

Oltracciò pubblicò due cataloghi dell’Orto nostro:

Catalogus plantarum Horti Patavini, Pat. 1660, al quale fece egli stesso alcuni commenti in un suo manoscritto, che serbasi nella biblioteca dell’Orto stesso, e s’intitola: In Catalogum plantarum Horti Patavini anno MDCLX editum Notae; le quali però non furono pubblicate, ma servirono a lui per la compilazione dell’altro Catalogus plantarum Horti Patavini. Patav. 1662, 16.°

Sotto la prefettura sua lo coltivarono, oltre Giovanni Macchion, Antonio figlio di questo fin dal principio del 1651 in assistenza del padre, e Filippo Picci o Rizzi dal 1660, qual altro assistente gratuito del padre proprio, cioè di Giulio, che già era giardiniere sin dal 1637. Avvenne in questo mezzo, che non albergando il Dalla Torre nel Giardino, ma nella casa paterna, che qual padovano ei possedeva nella città, Giulio attribuendo a sè solo il merito di avere levato l’Orto alla floridezza che allora vi si ammirava, chiese ai Riformatori che per tali benemerenze fosse accordato a suo figlio, sino a che avesse paga e posto fisso, tutto il frutto di quel terreno che circonda l’Orto medesimo, e che prima e poi era stato sempre lasciato a beneficio ed utilità del Prefetto. E ciò eragli stato consentito dal Magistrato con terminazione dei 15 Luglio del 1660; se non che il Dalla Torre, mosso da si sfacciata impudenza, ne fe sì vive doglianze ai Riformatori, e chiarì siffattamente la cupidità insaziabile e la venalità d’ambi i Picci, che questi con decreto dei 30 Febbrajo del 1661 furono cacciati dall’Orto. Per l’accaduto però avvedendosi il [p. 23 modifica]Magistrato essere necessario, a toglimento di nuovi disordini, che il Prefetto continuamente vegli lo Stabilimento affidatogli, fu al Dalla Torre dai Riformatori commesso di dover subito portarsi ad habitare la casa dell’Horto, et nella medesima fermare il suo soggiorno, acciò possa meglio invigilare a tutto quello concerne il servizio dell’Horto, conforme è di sua particolare obbligatione, e di nostra risoluta volontà.» Espulsi i Picci, continuarono i due Macchioni nella coltura dell’Orto; però Antonio vi stette soltanto sino al Febbrajo del 1664, nel qual mese passò di vita, e gli fu eletto a successore il dì 15 del mese stesso Tommaso Andreola, qual secondo giardiniere, o ajutante del primo. Il Macchion in seguito, gravato di 80 anni d’età, de’ quali ne avea consumati 54 nel Giardino botanico, e mal reggendo alle fatiche indispensabili per coltivarlo, chiese ai Riformatori gli fosse concessa la soccorrevole e gratuita opera del nipote Antonio Tita, allevato già fra le piante, e conoscente di loro coltura: quel desso che passò poscia dalla umile condizione di giardiniere a quella di autore, pubblicando nel 1713 il catalogo dell’Orto che teneva in Padova il cav. Gianfrancesco Morosini, e ch’era dal Tita stesso curato; aggiuntovi un suo viaggio botanico pei monti di Feltre, di Bassano e de’ Sette Comuni Vicentini. E i Riformatori vi consentirono, promettendo con lettera 5 Febbrajo 1683, che il Tita succederebbe all’Andreola, quando questi da secondo giardiniere fosse promosso a giardiniere primario.

Assunto ch’ebbe il Viali, per la ducale 3 Aprile 1687 di Marcantonio Giustinian, la ostensione de’ semplici, diessi a tutt’uomo a riparare il Giardino, ad accrescerlo ed abbellirlo; per cui il degno suo successore Giulio Pontedera non dubitò di scrivere in una lettera diretta a Nicolò Comneno Papadopoli, da questo pubblicatasi nella sua Historia Gymnasii Patavini, Ven. 1726, pag. 16, doversi il Viali riputare quasi un secondo padre dell’Orto dopo il Bonafede, non essendo restato per lui che quel Giardino, a cui cedevano d’antichità e d’ampiezza tutti gli altri d’allora, fosse tenuto e predicato ancora primo [p. 24 modifica]di tutti per nobiltà, per eleganza d’architettura, per copia d’acque, per vaghezza di edifizii acconci a ripararne le piante. Nel quale arduo proposito insistendo egli colle esortazioni, colle preghiere e cogli uffizii per tutti i 34 anni che ne tenne il governo, gli venne fatto di lasciarlo a noi di quella bellezza che vi ammiriamo. Furono perciò costruite nel 1694 le numerose fontane e vasche dell’Orto, ed eretto da’fondamenti il gran portone d’ingresso nel 1700, sui colossali pilastri del quale stanno scolpite al di fuori, a regola di chi v’entra, le parole: HIC OCULI, HINC MANUS; al di dentro le altre: FULMINIS OPUS; per indicare come la porta stessa traesse sua origine dall’essere stato incenerito dal fulmine un porticato antichissimo che prima era addossato alla porta vecchia, nella quale occasione fu rinnovata questa nella maestosa forma che or vi si scorge. Nel medesimo anno si fabbricarono presso alla casa del Prefetto quattro svernatoi per le piante; si rinnovò in miglior guisa la macchina idraulica nel 1702; e si fecero altre riparazioni ad essa, e all’edifizio che la rinserra, nel 1715; s’innalzarono nel 1704 due gran portoni del tutto simili al primo a settentrione ed a mezzo dì, fregiando quello di due vasi di pietra contenenti imitate in rame due piante dell’Ananas, a que ’ giorni rarissime. Nel 1706 si sovrapposero eguali vasi con altre piante agli altri portoni, e si costruì il quarto rivolto a levante, che ancora mancava, e che cominciato sin dal 1696, non apparisce terminato che nel 1707. Si eressero statue ai botanici dell’antichità Salomone e Teofrasto, e busti a Fabio Colonna e Gianantonio Saraceno, ponendoli sull’elegante balaustrata che corona la sommità del muro che cinge l’Orto, e che cominciata già nel 1707, fu addotta a tre quarti del muro stesso sino al 1718 (27). Nè ciò bastando, piantato un bosco, procacciate piante dall’India, tutto ravvivato, rinvaghito, ampliato, il Viali lasciò l’Orto di Padova a’ suoi successori in tale stato di floridezza da togliere a quanti lo seguirono la speranza non che di vincerlo, pur di emularlo. Peritissimo nella cognizione delle piante, come at[p. 25 modifica]testano gli encomii di che l’onorarono il Riva, il Pontedera ed il celebre Tournefort, nulla egli pubblicò che sia fino a noi pervenuto. Durò nell’ufficio sino al mese di Marzo del 1719, nel qual mese con ducale di Giovanni Cornaro del giorno 17 al venerabile e benemerito vecchio, siaccato dagli anni e dalle infermità, fu concesso onorato riposo, sostituendogli l’illustre Giulio Pontedera, d’origine Pisano, ma nato in Lonigo nella provincia di Vicenza, che i Padri anteposero al veneziano Lodovico da Riva ed al celebre svizzero Giovanni Scheuchzero, i quali a gara si disputavano questo incarico. Morì il Viali nel 1722.

Nè della fama che già godeva moltissima, nè della destata espettazione, nè dell’accordata preferenza minore mostrossi poi il Pontedera, sia per opere pubblicate a pro della scienza, sia per cose fatte in vantaggio dell’Orto. Continuò egli i lavori lasciati imperfetti dal Viali; ma oltre ciò riparò efficacemente alla povertà di piante, ed alla negligenza estrema della coltura, in che a quel tempo era l’Orto caduto. Avvenuta nel 1694 la morte del primo giardiniere Gio. Macchion, era stato posto nelle sue veci il secondo giardiniere Tommaso Andreola, e in quelle di lui anzichè collocare quel Tita cui già era stato promesso, ma che sdegnava di stare agli ordini dell’Andreola, fu allogato un figlio di quest’ultimo, di nome Santo. Restato così in casa gli Andreola il governo e quasi la possessione dell’Orto, essi lo neglessero di tal guisa, che molte e rare piante se ne perdevano alla giornata, e di tutte era abbandonata la coltivazione; onde che, mentre per opera del Tita, passato a custode dell’Orto Morosini, che allora fioriva nella contrada di S. Massimo in questa città, quest’ultimo cresceva sempre in beltà e rinomanza, l’Orto pubblico cadde in sì basso stato, che il Viali fu costretto a farne lamentanza pubblica al Magistrato. Ma non cavandosene verun frutto, e protetti gli Andreola da troppo validi patrocinii, non ebbe forza il buon vecchio di affrontarne coraggiosamente il potere; per lo che paurosamente accomodandosi ai tempi, si diede [p. 26 modifica] invece ed al tutto a curare la parte degli ornamenti, abbandonandone la coltura e le piante all’arbitrio di que’ due tristi. I quali mandando un dì più che l’altro in dileguo le ricchezze vegetabili accumulate dai precessori, lo avrebbero certamente condotto di corto allo stremo della miseria, se non veniva fortunatamente a ricattarlo dalle infedeli mani la operosa sollecitudine del Pontedera. Nominato alla prefettura ed alla ostensione de’ semplici con ducale dei 16 Marzo 1719 del doge Giovanni Corner, senza mettere tempo in mezzo si fece a ristorar l’Orto dalle sue perdite, a ritornarlo alla buona coltura, ad animarne e in uno ad ammonirne i coltivatori. Ma e le cure e le esortazioni erano gittate; chè un bel dì, mentre egli viaggia pei monti ad oggetto di raccorre altre specie per arricchirnelo, gli Andreola ne sprecano per denaro e gli utensili e le piante: il che conosciutosi dal Pontedera, ed avvisando infruttuoso ogni più mite provvedimento, chiese e, malgrado il mal locato favore, ottenne lettere dei Riformatori del 5 Dicembre 1721, che ordinavano la espulsione di que’ malvagi dall’Orto pubblico. Vi fu sostituito nel giorno stesso un operajo nella persona di Santo Migliorini, e li 3 Marzo 1722 fu nominato a giardiniere Silvestro Latini di Siena, a ciò proposto dal Pontedera. Da una informazione sull’Orto nostro, che leggesi nel volume vigesimo primo degli Atti degli Artisti, ritraesi che al Pontedera erano state consegnate dal suo predecessore soltanto quattrocento piante e centotrenta vasi; locchè basta a far conoscere a che stato fosse ridotto l’Orto. In pochi anni però per cura del suo Prefetto ve n’erano ben 7000 individui, oltre 5000 e più coltivati nei vasi (28). Per opera del medesimo vi si eressero due stufe maggiori e due minori, tutte e quattro riparate da vetri; si costruirono due forni sotterranei per riscaldare le conserve mobili, fabbricandone una nuova lunga 96 piedi, ed ampliando l’altra che già esisteva; e fra la casa del Prefetto e le stufe si edificò una terrazza a vôlta, sotto cui riparare nel verno di molte piante. Oltre ciò, sotto la prefettura del medesimo fu continuata e compiuta la balau[p. 27 modifica]strata che ancor rimaneva a farsi sulla quarta parte del muro che cinge l’Orto, e sta a diritta di chi entra in questo per la porta occidentale, la quale ripresa nel 1726, venne condotta a termine l’anno 1829. Furono ristorati gli altri edifizii dell’Orto stesso, ed assicurato il lato settentrionale del medesimo con fondamenta e con muro dalle corrosioni e dagli straripamenti del fiume. Di molte delle benemerenze del Pontedera resta memoria in una lapide murata nel sianco interno del gran portone esteriore alla diritta di chi entra, che così leggesi:

DANIEL • I • DELPHINUS
SENATOR • PRAESTANTISSIMUS
URBIS • PRAEFECTUS • ET • PROPRAETOR
AEDES • PUBLICAS • AC • STIRPIUM • HYPOCAUSTA
REFECIT • SUBSTRUCTIONIBUS • ET • PARIETE
PERPETUO • CONTRA • FLUMINIS • VIM • MUNIUIT
SUMMO • BOTANICES • FAUTORI
JULIUS • PONTEDERA • HORTI. PRAESES • B. M. P.
ANN. CIↃIↃCCXLIX.

Da molto tempo era costume di assegnare all’Orto per suoi bisogni ordinarii cencinquanta ducati veneti; ma al Pontedera vennero fatti assegni più generosi, e perciò trovasi ch’egli nel 1751 vi spese lire venete 2893: 16; nel 1752 lire venete 3455: 3; nel 1753 lire venete 3153: 17; che a lui vennero compensate, aggiungendovi quel tanto che oltrepassava l’assegno ordinario dei ducati centocinquanta. L’utile suo servigio fu in più occasioni rimeritato di onorevoli encomii dal suo Governo, e gli valse sempre maggiori aumenti dello stipendio, sino a che nel 1752 con ducale 20 Maggio di Francesco Loredan fu portato sino a ducati 1400. Però, oltre la prefettura dell’Orto e la ostensione dei semplici, il Pontedera teneva ancor la lettura, come raccogliesi dalla ducale 7 Agosto 1721 di Gio. Corner, quantunque contemporaneamente avesse tal cattedra il prof. Gio. Maria Rossi; per cui è da credere che il pri[p. 28 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/40 [p. 29 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/41 [p. 30 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/42 [p. 31 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/43 [p. 32 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/44 [p. 33 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/45 [p. 34 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/46 [p. 35 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/47 [p. 36 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/48 [p. 37 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/49 [p. 38 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/50 [p. 39 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/51 [p. 40 modifica]Pagina:L Orto botanico di Padova nell anno 1842.pdf/52 [p. 41 modifica]Pagina:L Orto 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ANNOTAZIONE



Sono avvertitamente escluse dal precedente Catalogo molte piante tuttavia dubbie od anonime, perchè non anco giunte a fiorire e fruttificare, e quasi tutte le varietà numerose, procurate dai fioristi ed orticultori, delle specie o più avvenenti o più utili, come quelle i cui nomi non sono punto scientifici, ed i caratteri che le distinguono assai leggieri e variabili. Si coltivano però anche queste in gran numero, ad ornamento e ricchezza dell’Orto nostro. [p. 154 modifica]

PADOVA

COI TIPI DI ANGELO SICCA

Stampatore dell’Accademia

1842