La donna di governo/Atto IV

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Atto IV

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Atto III Atto V

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ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Camera di Valentina.

Baldissera e Felicita.

Felicita. No certo, s’io tacessi, sciocchissima sarei.

Come! di cento scudi darmene solo sei?
Baldissera. Vi par poco sei scudi? li avete meritati?
Certo con gran fatica li avete guadagnati!
Felicita. A voi per dir il vero costano gran sudori!
Se non mi date il resto, vi saran dei gridori.
Baldissera. Se più vi do un quattrino, poss’essere ammazzato.
E mi dispiace ancora di quelli che vi ho dato.
Felicita. Ecco, se li volete.
Baldissera.   Dateli pur.
Felicita.   Briccone!

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Vorreste ancora questi giocarli al faraone?

Baldissera. Io giocar?
Felicita.   Poverino! egli non gioca mai.
Che sì che nelle tasche un soldo più non hai?
Baldissera. Chi v’ha detto ch’io gioco?
Felicita.   Da cento l’ho saputo,
E uscir dalla biscaccia io stessa vi ho veduto.
E se il sa Valentina...
Baldissera.   Felicita, badate
Che da voi non lo sappia.
Felicita.   E ben, cosa mi date?
Baldissera. Tutto quel che volete.
Felicita.   Vo’ dieci scudi ancora.
Baldissera. Vi darò dieci scudi.
Felicita.   Via, metteteli fuora.
Baldissera. Subito?
Felicita.   immantinente.
Baldissera.   Ve li darò tra poco.
Felicita. Ho capito, ho capito, voi li perdeste al gioco.
Baldissera. Maladetta fortuna! tu vuoi precipitarmi.
Per carità, Felicita, non state a palesarmi.
Felicita. Se non ho i dieci scudi, tacere io non m’impegno.
Baldissera. Ma dove ho da trovarli?
Felicita.   Dammi l’anello in pegno.
Baldissera. Qual anello?
Felicita.   L’anello che da lei ti fu dato.
Baldissera. Da Valentina?
Felicita.   Appunto.
Baldissera.   Anche l’anello è andato.
Felicita. L’hai venduto?
Baldissera.   L’ho in pegno.
Felicita.   E per che far?
Baldissera.   Pel gioco.
Ma la fortuna ingrata s’ha da cangiar fra poco.
Felicita. Povera mia sorella! sta fresca in verità.

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Sì, la voglio avvertire.

Baldissera.   Ah no! per carità.
Felicita. Per carità ch’io taccia? Sì facile non è.
La carità, fratello, dee principiar da me.
Se resta miserabile per voi la Valentina,
Se a lei giocate tutto, che farò io meschina?
Baldissera. Non temete di nulla; saprò il debito mio,
Felicita, vel giuro, giocar più non vogl’io.
Fate che Valentina mi sposi immantinente,
Vi sarò buon amico, vi sarò buon parente.
E se col vostro mezzo si viene a conclusione,
Io di trecento scudi vi fo l’obbligazione.
Felicita. La metterete in carta?
Baldissera.   Sì, di mia man firmata.
Felicita. Da un pubblico notare la voglio autenticata.
Baldissera. Fatta solennemente sarà, come volete.
Felicita. Ecco qui l’occorrente. L’obbligazion stendete.
(tira innanzi un piccolo tavolino con quel che occorre)
Baldissera. Subito fo il servizio.
Felicita.   Fatel come va fatto.
Baldissera. (Anche mille in tal caso gliene darei per patto).
(scrive a suo modo)
Felicita. (Nasca quel che sa nascere, più strologar non vo’.
Questi trecento scudi da parte io metterò.
E se qualche altra cosa mi riescirà avanzarmi,
Può essere ch’io trovi ancor da maritarmi). (da sè)
Baldissera. Che dirà Valentina?
Felicita.   Non vi saran litigi;
Anzi farà il notaro un viaggio e due servigi.
Se posso persuaderla sposarvi a dirittura,
Potrà del matrimonio stendere la scrittura.
Baldissera. Voi avete una testa acuta e sopraffina,
Degnissima sorella siete di Valentina.
Fate che si concludano le nozze in questo giorno.
Vado per il notaro, e quanto prima io torno. (parte)

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SCENA II.

Felicita e poi Valentina.

Felicita. Non cedo a Valentina anch’io nel saper fare.

Siam figlie di una madre che ci potea insegnare.
Onde col buon esempio che in vita sua ci ha dato.
La buona inclinazione abbiam perfezionato.
Valentina. Che fate qui, sorella?
Felicita.   È un’ora che vi aspetto.
Valentina. Sono stata col vecchio.
Felicita.   Ove si trova?
Valentina.   In letto.
Ogni dì dopo pranzo dorme due ore almeno.
Felicita. Dunque sei per due ore in libertade appieno.
Valentina. Sì, quando per la rabbia non si destasse in pria.
Credo che in questa casa il diavolo ci sia.
Hanno le due sorelle mangiato da sè sole;
Il vecchio inviperito veder più non le vuole.
E la maggior di loro, che meco è indiavolata,
A forza in un ritiro doman sarà cacciata.
Felicita. Buon per te che sen vada quella superba e scaltra.
Ma perchè non procuri sia chiusa anche quell’altra?
Valentina. Rosina è assai più buona, e senza la germana
Meco l’avrei trovata condiscendente e umana.
Anzi perchè non dicano di me quel che hanno detto,
Vo’ maritar Rosina, vo’ farlo per dispetto.
Io so ch’è innamorata di un giovane onorato,
Di un giovane innocente che Ippolito è chiamato.
Da me verrà fra poco, l’ho detto al padron mio,
E mi ha dato l’arbitrio di far quel che voglio.
E quella signorina che meco è sì orgogliosa,
Fremerà nel vedere che la germana è sposa.
Felicita. E tu, cara sorella, quando vuoi maritarti?
Valentina. Lo farò, ma vi è tempo.
Felicita.   Eh, dovresti spicciarti.

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Valentina. Per or non son sì pazza; sai che, se mi marito,

È per me col padrone l’affar bello e finito.
Di quel che ho conseguito, ancor non mi contento:
Vo’ veder se mi riesce ch’ei faccia un testamento,
E che mi lasci erede, e dopo la sua morte
Poter esser sicura almen di cambiar sorte.
Intanto Baldissera farà un po’ di giudizio.
Felicita. Povero Baldissera! s’egli non ha alcun vizio.
Valentina. So che giocar gli piace, e che giocò non poco.
Felicita. Oh lo so di sicuro: ha abbandonato il gioco.
Valentina. Davver? tu mi consoli.
Felicita.   La sera e la mattina
Non fa che sospirare per la sua Valentina.
Dice: non vedo l’ora di vivere con lei.
Perchè non lo consoli?
Valentina.   Se potessi, il farei.
Ma se di qua men vado, cosa di noi sarà?
Felicita. Non lo potresti prendere, e far ch’ei stesse qua?
Valentina. Come?
Felicita.   Sei una donna che di saper pretendi,
E di riuscir in questo il come non comprendi?
Dimmi, sorella, il vecchio testè non mi ha creduta
Sposa di Baldissera?
Valentina.   È ver, se l’ha bevuta.
Felicita. Ad ambi egli non diede la libertade intera
Di venire in sua casa di giorno, e ancor di sera?
Valentina. Per me che non farebbe?
Felicita.   Dunque per te dei fare,
Ch’ei ci permetta in casa di poter alloggiare.
Di giorno già sappiamo che mio marito il crede,
Di notte con chi dorma il vecchierel non vede.
Valentina. Affè, non dici male; potria passar l’inganno.
Ma facciamo i sponsali.
Felicita.   Prestissimo si fanno.
Valentina. Chi batte? Vo a vedere. (va alla finestra)

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Felicita.   Aspettar non mi fate.

Valentina. Lo sposo di Rosina. A ritrovarla andate, (a Felicita)
Ditele pian pianino, che l’altra non vi senta,
Che venga qui da me.
Felicita.   Ci verrà poi contenta?
Valentina. Sì, di già l’ho avvisata. Siamo d’accordo in questo.
Felicita. Ma se vien Baldissera....
Valentina.   Andate, e fate presto.
Felicita. Non ti pentir, sorella, di far a modo mio.
(Se mi riceve in casa, potrò mangiare anch’io).
(da sè, e parte)

SCENA III.

Valentina, poi Ippolito.

Valentina. Caro il mio Baldissera, mi ama davver non poco.

Quanto son io contenta che abbia lasciato il gioco.
Ippolito. Si può venir? (Ji dentro)
Valentina.   Sì, venga.
Ippolito.   Perdoni.
Valentina.   Favorisca.
Ippolito. Non vorrei...
Valentina.   Venga innanzi.
Ippolito.   Non so, se mi capisca.
Valentina. Cosa vuol dir?
Ippolito.   Mi scusi.
Valentina.   Parli.
Ippolito.   Per amminicolo...
Di quattro bastonate non vi saria pericolo?
Valentina. Signor, mi maraviglio. Son donna di giudizio.
Ippolito. Eh, lo credo.
Valentina.   Venite....
Ippolito.   Dov’è il signor Fabrizio?
(con timore)
Valentina. Dorme.
Ippolito.   Dorme?

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Valentina.   Vorrei che l’affar si spicciasse.

Ippolito. Dite piano.
Valentina.   Perchè?
Ippolito.   Non vorrei si svegliasse.
Valentina. Siete sì timoroso?
Ippolito.   Oibò! siete in errore.
Valentina. Dunque, signor Ippolito... (un poco forte)
Ippolito.   Non facciamo rumore.
(timoroso)
Che fa la mia Rosina?
Valentina.   Sta bene, or la vedrete.
Ippolito. Dove?
Valentina.   Qui.
Ippolito.   Vado via.
Valentina.   Veder non la volete?
Ippolito. Vorrei e non vorrei.... È ver che le parlai,
Ma di giorno nel viso non l’ho veduta mai.
Valentina. E per questo?
Ippolito.   E per questo, se viene in questo loco.
Se mi vede, ho paura di vergognarmi un poco.
Valentina. Credete esser sì brutto?
Ippolito.   Brutto? Signora no.
Mi vedo nello specchio, e non son brutto, il so.
Ma non ho fatto mai l’amore in vita mia,
E per la prima volta ho un po’ di ritrosia.
Valentina. Quanti anni avete?
Ippolito.   Avrò ventitrè anni e mezzo.
Valentina. E di ventitrè anni siete in amor sì grezzo?
Ippolito. Vi dirò, finchè visse la mia signora madre
Mi ha tenuto lontano da femmine leggiadre.
Una volta ch’io feci un scherzo a una signora,
Mi ha menato uno schiaffo che mel ricordo ancora.
Valentina. Volete maritarvi?
Ippolito.   Io sì che lo vorrei.
Valentina. Ecco qui la ragazza.

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Ippolito.   Mi raccomando a lei. (a Valentina)

Valentina. (Quest’è uno scioccarello; essa poco ne sa.
Con questi capi d’opera sto bene in verità). (da sè)

SCENA IV.

Rosina e detti.

Rosina. Chi mi vuole?

Valentina.   Son io.
Ippolito.   Oh bellina!
(compiacendosi del volto di Rosina, ma allontanandosi per vergogna.)
Rosina.   Chi è quello? (a Val.)
Valentina. Ippolito.
Rosina.   Davvero?
Valentina.   Noi conoscete?
Rosina.   (Oh bello!) (da sè)
Valentina. So pur che gli parlaste.
Rosina.   Sempre di notte fu.
Valentina. Ed or come vi piace?
Rosina.   Mi piace ancora più.
Valentina. Nè men vi salutate?
Rosina.   Serva.
Ippolito.   Servo di lei.
Valentina. Via, dite qualche cosa.
Rosina.   Che ho da dir?
Ippolito.   Non saprei.
Valentina. Rispondetemi almeno. Amate voi Rosina? (ad Ippolito)
Ippolito. (Ride.)
Valentina. Ridete? Che vuol dire la vostra risatina?
Spiegatevi; l’amate? Ditelo colla bocca.
(ad Ippolito, che fa cenno di sì col capo)
Ippolito. Mi vergogno. (piano a Valentina)
Valentina.   A confondermi con voi sono pur sciocca.
Ippolito. Ma non andate in collera.

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Valentina.   L’amate sì o no?

Ippolito. Ma sì, non ve l’ho detto?
Valentina.   Or che lo dite, il so.
E voi, signora mia, me lo volete dire? (a Rosina)
Rosina. Ma che bisogno c’è che mi fate arrossire?
Non ve l’ho detto in camera?
Valentina.   Replicatelo qui.
L’amate o non l’amate?
Rosina.   L’amo.
Ippolito.   Ha detto di sì.
(saltando per allegrezza)
Valentina. La volete in isposa?
Ippolito.   Io?
Valentina.   Sì, voi; la volete?
Ippolito. Dorme il signor Fabrizio?
Valentina.   Dorme. Di che temete?
Aprite quella bocca. Spicciatevi. E così?
Ippolito. Dirò quel ch’ella dice. (accennando Rosina)
Valentina.   Voi cosa dite? (a Rosina)
Rosina.   Sì.
Ippolito. Viene il signor Fabrizio? (tremando con allegrezza)
Valentina.   Non viene, e s’ei venisse,
A tutto quel che ho fatto, giammai mi contradisse.
Oggi sarete sposi; lo zio darà la dote
Per legge di natura dovuta alla nipote.
Ma poi circa la dote, ci parleremo insieme. (ad Ippolito)
Ippolito. Io che ho da far di dote? La dote non mi preme.
Bastami.... (arrossendo)
Valentina.   Via, che cosa? Perdeste la favella?
Ippolito. Bastami (voglio dirlo) quella grazietta bella.
Valentina. Voi nelle vostre camere a ritirarvi andate. (a Rosina)
Voi nel caffè vicino ad aspettar restate. (ad Ippolito)
Ippolito. Fate presto. (a Valentina)
Valentina.   A momenti.
Rosina.   Non mi tenete in pene, (a Valentina)

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Ippolito. Io sono sulle brace.

Rosina.   Io son fra le catene.
Valentina. Vi sentite d’amore imbestialir così,
E pregar vi faceste a pronunziare un sì?
Ippolito. Vado via.
Rosina.   Mi ritiro.
Ippolito.   (Che pena!) (da sè)
Rosina.   (Che martello!)
Ippolito. Addio, sposina cara.
Rosina.   Addio, sposino bello. (partono)

SCENA V.

Valentina, poi Felicita.

Valentina. Han fatto come gli orbi talor sogliono fare.

Un soldo a dar principio, tre soldi a terminare.
Felicita. Come va la faccenda?
Valentina.   Va bene; innanzi sera
L’affar sarà concluso.
Felicita.   Ecco qui Baldissera.
Valentina. Venga; del nostro affare possiam parlare adesso.
Felicita. (Ma non vo’ ch’ella sappia quello che mi ha promesso).

SCENA VI.

Baldissera, un Notaro e dette.

Baldissera. Venga, signor notaro. (Oh, Valentina è qui?)

Felicita. È il notaro codesto?
Notaro.   Son io, signora sì.
Baldissera. (Come far?) (piano a Felicita)
Felicita.   (State cheto). (a Bald.) . Senti, sorella mia.
Se mi ho preso un arbitrio, non mi dir villania.
Sentendo che sposarlo non ti saria discaro,
Ho detto a Baldissera che venga col notaro.
Ho fatto mal?

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valentina.   Ma quando glielo diceste?

Felicita.   Or ora.
Dopo che sono andata a chiamar la signora.
Valentina. Che dice Baldissera?
Felicita.   Giubila dal contento.
Venga, signor notaro, a fare un istrumento,
Un contratto di nozze fra questi che son qui.
Vogliono maritarsi. È ver? non è così? (ai due)
Baldissera. Se Valentina accorda.
Valentina.   Per me son contentissima.
Felicita. Scriva, scriva; s’accomodi vossignoria illustrissima.
(al Notaro)
Notaro. (Siede, e si mette a scrivere.)
Si accosti la fanciulla.
Valentina.   Eccomi, son da lei.
Notaro. Ditemi quel ch’io devo rogar negli atti miei.
( Valentina parla pian piano al Notaro, il quale va scrivendo)
Felicita. (Che dite, Baldissera? Son donna di talento?
Merto I trecento scudi? Ne voglio quattrocento).
Baldissera. (Tutto quel che vi piace).
Felicita.   (Di più saper dovete,
Che a bevere e a mangiare in casa resterete).
Baldissera. (Meglio; ma come il vecchio non sarà poi geloso?)
Felicita. (Egli che mio vi crede....)
Notaro.   Venga da me lo sposo.
(a Baldissera)
Baldissera. (Va vicino al Notaro, mostrando di dire il suo sentimento.)

Valentina. Mi tremano le gambe, quando ci penso su. (a Felicita)
Felicita. Quando la cosa è fatta, non ci si pensa più.
Valentina. Se il vecchio ci scoprisse, sarebbe un precipizio.
Stare attenti conviene.
Felicita.   Tocca a te aver giudizio.
Valentina. Col marito vicino finger d’esser fanciulla
È una cosa difficile.
Felicita.   È una cosa da nulla.

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Valentina. Solamente in pensarlo sento strapparmi il cuore.

Felicita. Che diavol! col marito vuoi star da tutte l’ore?1
Se non vuoi perder tutto, qualcosa hai da soffrire.
Valentina. Ma nasceran dei casi che mi faran scoprire.

SCENA VII.

Fabrizio e detti.

Fabrizio. Che cosa è quest’imbroglio?

Valentina.   (Oh diavolo! il padrone).
(a Felicita)
Baldissera. (È fatta la frittata). (da sè)
Felicita.   (Ritrova un’invenzione).
(a Valentina)
Valentina. (Eh sì sì, non mi perdo). (a Felicita)
Fabrizio.   Che si fa, Valentina?
Valentina. Un contratto di nozze.
Fabrizio.   Per chi?
Valentina.   Per la Rosina.
Venne il signor Ippolito, saran pochi momenti.
Parlai colla ragazza; entrambi son contenti.
Ho chiamato il notaro; ei stende il suo contratto,
E voi lo vederete allor che sarà fatto.
Siete forse pentito?
Fabrizio.   No, ma in tal matrimonio
Che c’entra Baldissera?
Valentina.   Serve di testimonio.
Fabrizio. Schiavo, signor notaro.
Notaro.   Servo, padrone mio.
Fabrizio. Con sua buona licenza, voglio vedere anch’io.
Notaro. Chi siete voi?
Fabrizio.   Chi sono? Un che non conta nulla!
Chi sono? Oh, questa è bella! Lo zio della fanciulla.
(in collera)

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Valentina. Oh via, non vi scaldate, s’egli non sa chi siete.

Ecco qui l’istrumento; prendetelo, e leggete.
(leva la carta dal tavolino)
Dove avete gli occhiali? eh! vi vorran due ore
Prima che li troviate; leggerò io, signore.
Venite qua, sentite, se il notar si contenta.
Leggiamo pian, che alcuno di casa non ci senta.
In questo giorno eccetera dell’anno mille eccetera,
Alla presenza eccetera di me notaro eccetera.
Promette Rosa Panfili, nipote di Fabrizio,
Sposarsi con Ippolito Moschin quondam Maurizio.
E per dote promette lo zio di detta sposa
Dar diecimila scudi, e più qualch’altra cosa.
Con patto che dal sposo sui beni ereditati
I diecimila scudi le siano assicurati.
Ed obbligando eccetera, e protestando eccetera.
Alla presenza eccetera di me notaro eccetera.
Parvi che vada bene?
Fabrizio.   Che dite voi?
Valentina.   Benissimo.
Fabrizio. Se siete voi contenta, per me son contentissimo.
Valentina. Dunque se ciò va bene, e se contento siete,
Il contratto di nozze voi pur sottoscrivete.
Fabrizio. Subito volentieri l’approvo e lo confermo.
Io Fabrizio de Panfili di propria mano affermo.
(si sottoscrive)
Bravo, signor notaro.
Notaro.   Signore, a lei m’inchino.
(a Fabrizio)
Valentina. Dategli la sua paga. (a Fabrizio)
Fabrizio.   Eccovi un bel zecchino.
Notaro. Obbligato. Perdoni; non l’avea conosciuto.
Fabrizio. No, non vi è mal nessuno.
Notaro.   Servo suo. (in atto di partire)
Fabrizio.   Vi saluto.

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Felicita. (Trattenetevi abbasso, vi ho da parlare anch’io).

(piano al Notaro)
Notaro. (Vi servirò).
Felicita.   (Aspettatemi).
Notaro.   (Quest’è l’obbligo mio).
(parte)
Valentina. Terrò io questa carta.
Fabrizio.   Date a me la scrittura.
Valentina. Eh no, nella mia cassa la terrò più sicura.
Fabrizio. Bene, dov’è Rosina?
Valentina.   La vederete poi.
Ora di un’altra cosa si ha da parlar tra noi.
Fabrizio. Di che?
Valentina.   Vorrei pregarvi...
Fabrizio.   Pregar? così parlate?
Dite quel che vi piace, chiedete e comandate.
Valentina. Vorrei, per non star sola tutta la vita mia,
Che venisse Felicita a farmi compagnia.
Ella con suo marito potrebbero aiutarmi,
Da cento e cento cose potrebber sollevarmi.
Basta che voi gli date una camera e un letto.
Fabrizio. Voi siete la padrona, voi sola in questo tetto.
Vengan liberamente, quando voi lo aggradite.
Fate quel che volete, non vo’ che me lo dite.
Valentina. Vi son tanto obbligata.
Fabrizio.   Che cerimonia è questa?
Valentina. Tanta bontà...
Fabrizio.   Finitela di rompermi la testa. (parte)
Felicita. Brava, brava, sorella. Tutto va ben, l’ho caro.
(Andiamo a far soscrivere l’obbligo dal notaro).
(piano a Baldissera, e parte)
Valentina. Che vi par, Baldissera?
Baldissera.   Vi guardo, e mi confondo.
Di che mai son capaci le donne in questo mondo!
(parte)

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Valentina. Oh, le donne, le donne la sanno lunga affè;

Ma poche sono quelle da mettere2 con me.
Se corrisponde il fine all’opra incominciata.
Merito fra le donne d’essere incoronata. (parte)

Fine dell’Atto Quarto.


Note

  1. Ed. Zatta: a tutte l’ore?
  2. Ed. Zatta: da mettersi.