La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1895)/Ricette/Cose diverse

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Cose diverse

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Ricette - Gelati Appendice alla prima edizione
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COSE DIVERSE


566. - Caffè

V’è chi ritiene il caffè originario della Persia, chi dell’Etiopia e chi dell’Arabia Felice; ma di qualunque posto sia, è certamente una pianta orientale sotto forma di un arboscello sempre verde il cui fusto si innalza dai 4 ai 5 metri e non acquista per ordinario [p. 436 modifica]più di 5 ad 8 centimetri di diametro. Il miglior caffè è pur sempre quello di Moka, il che potrebbe convalidare l’opinione esser questo veramente il suo luogo nativo. Si dice che un prete musulmano, a Yemen, avendo osservato che quelle capre le quali mangiavano le bacche di una pianta di quelle contrade, erano più festevoli e più vivaci delle altre, ne abbrustolì i semi, li macinò e fattane un’infusione scoprì il caffè tal quale noi lo beviamo.

Questa preziosa bibita che diffonde per tutto il corpo un giocondo eccitamento, fu chiamata la bevanda intellettuale, l’amica dei letterati, degli scienziati e dei poeti perchè, scuotendo i nervi, rischiara le idee, fa l’immaginazione più viva e più rapido il pensiero.

La bontà del caffè mal si conosce senza provarlo, e il color verde, che molti apprezzano, spesso gli vien dato artificialmente.

La tostatura merita un’attenzione speciale poichè, prescindendo dalla qualità del caffè, dipende dalla medesima la più o meno buona riuscita della bibita. Meglio è dargli il calore gradatamente e perciò è da preferirsi la legna al carbone, perchè meglio si può regolare. Quando il caffè comincia a crepitare e far fumo, scuotete spesso il tostino e abbiate cura di levarlo appena ha preso il color castagno-bruno e avanti che emetta l’olio; quindi non disapprovo l’uso di Firenze, nella qual città, per arrestarne subito la combustione, lo si distende all’aria; e pessima, giudico, l’usanza di chiuderlo tosto fra due piatti, perchè in codesto modo butta l’olio essenziale e l’aroma si sperde. Il caffè perde nella tostatura il 20 per cento del suo peso, cosicchè grammi 500 devono tornare grammi 400.

Come diverse qualità di carne fanno il brodo migliore, così da diverse qualità di caffè, tostate sepa[p. 437 modifica]ratamente, si ottiene un’aroma più grato. A me sembra di ottenere una bibita gratissima con 250 grammi di Portorico, 100 di S. Domingo e 150 di Moka; con 15 grammi di questa polvere si può fare una tazza di caffè abbondante; ma quando si è in parecchi, possono bastare 10 grammi a testa per una piccola tazza usuale.

Tostatene poco per volta e conservatelo in vaso di metallo ben chiuso, macinando via via quel tanto che solo abbisogna, perchè perde facilmente il profumo.

Coloro a cui l’uso del caffè cagiona troppo eccitamento ed insonnia, faranno bene ad astenersene od usarne con moderazione; possono anche correggerne l’efficacia con un po’ di cicoria od orzo tostato. L’uso costante potrebbe neutralizzare l’effetto, ma potrebbe anche nuocere, essendovi de’ temperamenti tanto eccitabili da non essere correggibili, e a questo proposito un medico mi raccontava di un campagnuolo il quale, quelle rare volte che prendeva un caffè, era colto da un’indisposizione che presentava tutti i sintomi di un avvelenamento. Ai ragazzi poi l’uso del caffè sarebbe da vietarsi assolutamente.

Il caffè esercita un’azione meno eccitante ne’ luoghi umidi e paludosi ed è forse per questa ragione che i paesi ove se ne fa maggior consumo in Europa sono il Belgio e l’Olanda. In Oriente, ove si usa di ridurlo in polvere finissima e farlo all’antica per beverlo torbo, il bricco nelle case private è sempre sul focolare.

Su quanto dice il prof. Mantegazza, cioè che il caffè non favorisce in modo alcuno la digestione, io credo sia necessario di fare una distinzione. Egli forse dirà il vero per coloro a cui il caffè non eccita punto il sistema nervoso; ma quelli a cui lo eccita e porta la sua azione anche sul nervo pneumogastrico, è un fatto innegabile che digeriscono meglio, e l’uso invalso di prendere una tazza di buon caffè dopo un lauto [p. 438 modifica]desinare n’è la conferma. Preso poi la mattina a digiuno pare che sbarazzi lo stomaco dai residui di una imperfetta digestione e lo predisponga a una colazione più appetitosa. Io, per esempio, quando mi sento qualche imbarazzo allo stomaco non trovo di meglio, per ismaltirlo, che andar bevendo del caffè leggermente indolcito ed allungato coll’acqua, astenendomi dalla colazione.

            E se noiosa ipocondria t’opprime
              0 troppo intorno alle vezzose membra
              Adipe cresce, de’ tuoi labbri onora
              La nettarea bevanda ove abbronzato
              Fama ed arde il legume a te d’Aleppo
              Giunto, e da Moka che di mille navi
              Popolata mai sempre insuperbisce

Venezia pe’ suoi rapporti commerciali in Oriente fu la prima a fare uso del caffè in Italia, forse fin dal secolo XVI; ma le prime botteghe da caffè furono colà aperte nel 1645, indi a Londra e poco dopo a Parigi ove una libbra di caffè si pagava fino a 40 scudi.

L’uso si andò poi via via generalizzando e crescendo fino all’immenso consumo che se ne fa oggigiorno; ma due secoli addietro il Redi nel suo Ditirambo cantava:

            Beverei prima il veleno
              Che un bicchier che fosse pieno
              Dell’amaro e reo caffè,

e un secolo fa, pare che l’uso in Italia ne fosse tuttora ristretto se a Firenze non si chiamava ancora caffettiere, ma acquacedrataio colui che vendeva cioccolata, caffè e altre bibite.

Goldoni, nella commedia La Sposa persiana, dice per bocca di Curcuma, schiava:

            Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato,
              E dalle caravane in Ispaan portato.

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              L’arabo certamente sempre è il caffè migliore;
              Mentre spunta da un lato, mette dall’altro il fiore.
              Nasce in pingue terreno, vuol ombra, e poco sole.
              Il frutto, non è vero, ch’esser debba piccino.
              Anzi dev’esser grosso, basta sia verdolino.
              Usarlo indi conviene di fresco macinato,
              In luogo caldo e asciutto, con gelosia guardato.
                                     A farlo vi vuol poco;
              Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco.
              Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto
              Sei, sette volte almono, il caffè presto è fatto.


567. - Thè

La coltivazione del thè è quasi esclusiva della China e del Giappone ed è per quegli Stati uno de’ principali prodotti di esportazione. I thè di Giava, delle Indie e del Brasile sono giudicati di qualità assai inferiore.

Le sue foglioline accartocciate e disseccate per esser messe in commercio, sono il prodotto di un arbusto ramoso e sempre verde che non si eleva in altezza più di due metri. La raccolta della foglia ha luogo tre volte all’anno: la prima nell’aprile, la seconda al principio dell’estate e la terza verso la metà dell’autunno.

Nella prima raccolta le foglie, essendo piccole e delicatissime, perchè spuntate da pochi giorni, danno il thè imperiale, che rimane sul luogo per uso dei grandi dell’impero; la terza raccolta, in cui le foglie hanno preso il massimo sviluppo, riesce di qualità inferiore.

Tutto il thè che circola in commercio si divide in due grandi categorie: thè verde e thè nero. Queste poi si suddividono in molte specie; ma le più usitate sono il thè perla, il suchong e il pekao a coda bianca il cui odore è il più aromatico e il più grato. Il thè verde essendo ottenuto con un’essiccazione più rapida [p. 440 modifica] che impedisce la fermentazione, è più ricco di olio essenziale, quindi più eccitante e però è bene astenersene o usarlo in piccola dose frammisto al nero.

Nella China l’uso del thè risale a molti secoli avanti l’èra cristiana; ma in Europa fu introdotto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali sul principio del secolo XVI; Dumas padre dice che fu nel 1066 sotto il regno di Luigi XIV che il thè, dopo una opposizione non meno viva di quella sostenuta dal caffè, s’introdusse in Francia.

Il thè si fa per infusione e ritiensi che meglio riesca nelle tettiere di metallo inglese. Un cucchiaino colmo è dose più che sufficiente per una tazza comune. Gettatelo nella tettiera e versategli sopra tanta acqua bollente che lo ricopra soltanto e dopo cinque o sei minuti, che tanti bastano per sviluppare la foglia, versate il resto dell’acqua in ebollizione, mescolate e dopo due o tre miuuti l’infusione è fatta. Se la lasciate li troppo, diventa scura e di sapore aspretto perchè si dà tempo a sciogliere l’acido tannico delle foglie che è un astringente; però, se durante la prima operazione avete modo di tener la tettiera sopra il vapore dell’acqua bollente, estrarrete dal thè maggior profumo.

L’uso del thè in alcune provincie d’Italia, specie ne’ piccoli paesi, è raro tuttora. Sono pochi anni che io mandai un giovine mio servitore ai bagni della Porretta per vedere se imparava qualche cosa dall’abile maestria dei cuochi bolognesi; e se è vero quanto egli mi riferì, capitarono là alcuni forestieri che chiesero il thè; ma di tutto essendovi fuorchè di questo, fu subito ordinato a Bologna. Il thè venne, ma i forestieri si lagnavano che l’infusione non sapeva di nulla. O indovinate il perchè? Si faceva soltanto passar l’acqua bollente attraverso le foglie che si ponevano in un colino. Il giovane, che tante volte lo aveva fatto in casa [p. 441 modifica]mia, corresse l’errore e allora fu trovato come doveva essere.

Anche il thè eccita i nervi e cagiona l’insonnia; ma la sua azione, nella maggior parte de’ casi, è meno efficace di quella del caffè e direi anche meno poetica ne’ suoi effetti perchè a me sembra che il thè deprima e il caffè esalti. Però la foglia chinese ha questo di vantaggio sopra la grana d’Aleppo, e cioè, che esercitando un’azione aperitiva sulla pelle, fa sopportare meglio il freddo nel rigido inverno; per questo, chi può fare a meno di pasteggiar col vino nella colazione alla forchetta, troverebbe forse nel thè, o solo o col latte, una bevanda delle più deliziose. Io uso un thè misto: metà Souchong e metà Pekao.

568. - Frutta in guazzo

A chi piace le frutta in guazzo, può riuscire gradito il seguente modo di confezionarle.

Cominciate dalle prime che appariscono in primavera, cioè: dalle fragole, dal ribes e dai lamponi, e ponetene in un vaso 50 o 100 grammi per sorte; copritele, con la metà del loro peso, di zucchero e tanto acquavite che le sommerga. Poi proseguite con le ciliege, le susine, le albicocche, le pesche, tutte private del nocciolo e, all’infuori delle ciliege, tagliate a fettine, aggiungendo sempre in proporzione zucchero ed acquavite.

Potete mettervi anche uva spina, uva salamanna e qualche pera gentile; ma poi assaggiate il liquido per aggiungere zucchero od acquavite, a tenore del vostro gusto.

Formato il vaso, lasciatelo in riposo per qualche

mese prima di servirvene. [p. 442 modifica]

569. - Pesche nello spirito

Pesche cotogne non troppo mature, chilogrammi 1.
Zucchero bianco, grammi 440.
Acqua, un litro.
Cannella intera, un pezzo lungo un dito.
Alcuni garofani.
Spirito di vino quanto basta.

Saprete che la pesca cotogna è quella rosso-gialla o semplicemente giallastra, con la polpa attaccata al nocciolo.

Strofinatele con un canovaccio per levar loro la lanugine e bucatele in cinque o sei punti con uno stecchino.

Fate bollire per venti minuti lo zucchero nell’acqua a cazzaruola scoperta e poi gettateci le pesche intere, rimovendole spesso se il siroppo non le ricopre, e quando avranno bollito cinque minuti, contando dal momento che hanno ripreso il bollore, levatele asciutte.

Allorchè le pesche e il siroppo saranno diacci, o meglio il giorno appresso, collocatele in un vaso di cristallo oppure in uno di terra invetriato e nuovo, versateci sopra il siroppo e tanto spirito di vino o cognac che le sommerga e le dosi a giusta misura. Aggiungete gli aromi indicati e procurate che restino sempre coperte dal liquido versandone, occorrendo, dell’altro in appresso.

Tenete chiuso il vaso ermeticamente e cominciate a mangiarle non prima che sia trascorso un mese.


570. - Ciliege visciole in guazzo

Queste ciliege, così conciate, non hanno bisogno di spirito chè lo fanno da sè. [p. 443 modifica]

Ciliege visciole, chilogrammi 1.
Zucchero bianco, grammi 300.
Un pezzetto di cannella.

Dalle suddette ciliege separatene grammi 200 delle più brutte o guaste, estraetene il sugo e passatelo.

Le altre, levato il gambo, mettetele a strati in un vaso di cristallo: uno di esse e uno di zucchero, poi versateci sopra il detto sugo. Levate le anime a una parte dei noccioli delle ciliege disfatte ed anche queste e la cannella gettatele nel vaso, chiudetelo e non lo muovete per due mesi almeno. Vedrete che lo zucchero a po’ per volta si scioglierà e le ciliege da prima staranno a galla del liquido, poi questo convertendosi in alcool le ciliege cadono al fondo e allora sono mangiabili e buone.

571. - Mandorle tostate

Mandorle dolci, grammi 200.
Zucchero, grammi 200.

Le mandorle strofinatele con un canovaccio, poi mettete al fuoco in una cazzaruola non istagnata il detto zucchero con due dita (di bicchiere) d’acqua e allorchè sarà sciolto versate le mandorle rimestandole continuamente e quando le sentirete scoppiettare ritirate la cazzaruola sull’orlo del fornello e vedrete che lo zucchero si rappiglia e divien sabbioso. Allora levatele e separate le mandorle dallo zucchero; poi la metà di questo zucchero rimettetelo al fuoco con altre due dita d’acqua e quando getterà l’odore di caramella versateci le dette mandorle, rimestate e tirato che avranno lo zucchero levatele. Poi mettete al fuoco l’altra metà del zucchero rimasto, con altre due dita d’acqua, e ripetete per la terza volta l’operazione che sarà l’ultima. Versate le mandorle [p. 444 modifica]in un piatto e separate quelle che si saranno attaccate insieme.

Sono buonissime anche senza nessun odore, ma piacendovi potete dar loro il profumo della vainiglia con zucchero vanigliato, oppure il gusto della cioccolata con grammi 30 di questa grattata; ma l’uno o l’altra sarà bene versarli nell’ultimo momento.


572. - Olive in salamoia

Ci saranno forse metodi più recenti e migliori per fare le olive in salamoia; ma quello che qui vi offro è praticato in Romagna con ottimo risultato.

Eccovi le proporzioni per ogni chilogrammo di olive:

Olive, chilogrammi 1.
Cenere, chilogrammi 1.
Calce viva, grammi 80.
Sale, grammi 80.
Acqua per la salamoia, decilitri 8.

Si dice viva la calce quando, dopo averla leggermente bagnata coll’acqua, in forza di un’azione chimica si screpola, si riscalda, fuma, si gonfia e cade in polvere. È in quest’ultimo stato suo che dovete adoperarla mescolandola alla cenere, poi coll’acqua formatene una poltiglia nè troppo densa, nè troppo liquida. Nella medesima immergete le olive in modo che restino tutte coperte e tenetecele dalle dodici alle quattordici ore, cioè fino a tanto che si saranno rese alquanto morbide e perciò guardatele spesso tastandole. Alcuni osservano se la polpa si distacca dal nocciolo; ma questa è una norma talvolta fallace.

Levate dalla poltiglia, lavatele a molte acque e lasciatele nell’acqua fresca quattro o cinque giorni, [p. 445 modifica]ossia finchè non renderanno l’acqua chiara perdendo l’amaro, cambiando l’acqua tre volte al giorno.

Quando saranno arrivate al punto, mettete al fuoco gli otto decilitri di acqua col detto sale e con diversi pezzetti di finocchio selvatico, fate bollire per alcuni minuti e con questa salamoia, versata fredda, conservate le olive in vaso di vetro o in uno di terra invetriata.


573. - Mostarda all’uso toscano

Uva nera dolce, o metà nera e metà bianca, che sarà meglio, chilogrammi 1.
Mele rose o reinettes, grammi 500.
Una pera grossa.
Vino bianco, grammi 120.
Cedro candito, grammi 50.
Senepa bianca e in polvere, grammi 20.

Le mele e la pera sbucciatele e tagliatele a fette sottili, poi mettetele al fuoco col detto vino e quando l’avranno tirato tutto versate l’uva senza i raspi e ammostata.

Rimestate spesso e quando il composto sarà ben tenero passatelo dallo staccio e rimettetelo al fuoco per condensarlo alquanto più della conserva di frutta.

Lasciatelo freddare ed aggiungete la senapa, sciolta prima con un poco di vino, e il candito in minuti pezzetti.

Conservatela in vasetti con un sottil velo sopra di

cannella in polvere. [p. 446 modifica]

574. - Crosta e modo di crostare

Mi fo lecito di tradurre così i due francesismi comunemente usati di glassa, glassare, lasciando ad altri la cura d’indicare termini italiani più speciali e più propri. Parlo di quell’intonaco bianco o nero oppure di altro colore che si suol fare sopra alcuni dei dolci in addietro descritti, come la bocca di dama, il salame inglese del N. 453 e simili, per renderli più appariscenti.

Per crostare di nero prendete grammi 50 di cioccolata e grammi 100 di zucchero in polvere. La cioccolata grattatela e mettetela al fuoco in una piccola cazzaruola con tre cucchiaiate d’acqua. Sciolta che sia, aggiungete lo zucchero e fate bollire a lento fuoco rimestando spesso. L’importante dell’operazione è di cogliere il punto della cottura, il quale si conoscerà quando il composto si stende a filo prendendone una goccia fra il pollice e l’indice; ma questo filo non lo esigete più lungo di un centimetro, altrimenti il punto di cottura vi passa. Levate allora la cazzaruola dal fuoco e ponetela nell’acqua fresca, rimestando sempre, e quando vedrete che il liquido diventa opaco alla superficie come desse cenno di formare una tela, distendetelo sul dolce. Rimettete questo in forno oppure sotto a un coperchio di ferro col fuoco sopra per due o tre minuti e vedrete che la crosta prenderà un aspetto liscio, lucido e duro.

La crosta bianca si fa colla chiara d’uovo, lo zucchero a velo, l’agro di limone e il rosolio; piacendovi di colore roseo, invece di rosolio servitevi di alkermes. Eccovi le proporzioni all’incirca per ognuno dei dolci descritti. [p. 447 modifica]La chiara di un uovo, grammi 130 di zucchero, un quarto di limone, una cucchiaiata di rosolio oppure tanto alkermes che dia il suddetto colore. Sbattete bene ogni cosa insieme e quando il miscuglio è sodo in modo da scorrere leggermente, distendetelo sul dolce, ed esso si seccherà da sè senza metterlo al fuoco.

Se poi invece di distendere la crosta bianca tutta unita, vi piacesse di ornare il dolce a disegno, provvedetevi da chi vende simili oggetti per decorazione, certi piccoli imbuti di latta incisi in cima che s’infilano entro a un sacchetto apposito; cose tutte di questo genere che a nostra vergogna acquistiamo dalla Francia. In mancanza di questi strumenti, potrete supplire alla meglio con cartocci di carta a cornetto. Posto in essi il composto strizzate perchè esca a fili sottili dal piccolo buco del fondo. Se il composto della crosta bianca riesce troppo liquido quando lo formate, aggiungete dello zucchero.


575. - Spezie fini

Se volete usare nella vostra cucina delle spezie buone, eccovene la ricetta:

Noci moscate, N. 2.
Cannella di Ceylan ossia della regina, grammi 50.
Pepe garofanato, grammi 30.
Garofani, grammi 20.
Mandorle dolci, grammi 20.

Se vi aggiungete altre specie di droghe all’infuori del macis, cioè l’arillo della noce moscata, che è ottimo, non farete nulla di veramente buono; vi consiglio anche di non imitare i droghieri i quali, invece [p. 448 modifica]della cannella di Ceylan, adoperano la cassialinea ossia cannella di Goa e vi buttano coriandoli a piene mani perchè questi fanno volume e costano poco.

Pestate ogni cosa insieme in un mortaio di bronzo, passate le spezie da uno staccino a velo di seta e conservatele in un vaso di vetro a tappo smerigliato, oppure in una boccetta col turo di sughero, e vi si conserveranno anche per anni colla stessa fragranza del primo giorno.

Le spezie sono eccitanti, ma usate parcamente aiutano lo stomaco a digerire.