La scienza nuova - Volume I/Introduzione dell'editore/III

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III. Ristampe e traduzioni della seconda Scienza nuova

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III. Ristampe e traduzioni della seconda Scienza nuova
Introduzione dell'editore - II Introduzione dell'editore - IV

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III



La terza Scienza nuova ebbe destino ancora più avverso della prima e della seconda. A una certa conoscenza superficiale e diffusione di queste contribuirono in qualche modo la fama che il Vico godeva anche di là dal Tronto, se non come filosofo, almeno come decano dell’università napoletana e uno degli uomini più dotti del suo paese; appoggio che alla nuova edizione, raccomandata soltanto alla filiale pietà di Gennaro Vico e al ricordo che serbavano del maestro scolari fatti più per amarne il cuore caldo e affettuoso che per intenderne la mente vasta e profonda, mancò. Gli esemplari dell’opera, un po’ donati, un po’ venduti, s’andarono esaurendo lentamente, fino a diventare rarissimi1; senza che in quel paese, che pur era stata la culla della filosofia italiana, si riuscisse a condurne a termine, per tutto il resto del secolo decimottavo, una sola ristampa. Un disegno di riprodurla, a dir vero, fu fatto, non si sa con precisione in quale anno, ma forse verso il 1760, dai pochi vichiani superstiti2; quando cioè il libraio Michele Stasi, per consiglio «doctissimorum quorumdam virorum», affidò a Gennaro Vico l’incarico di ripubblicare le opere [p. xlix modifica]cipali del padre, tra le quali, naturalmente, come c’informa Gennaro in un frammento di prefazione a quella raccolta, anche «Novam scientiam anno 1744 typis cusam... quæ est duabus prioribus emendatior, illustrior auctiorque»3 . Ma quel disegno non andò innanzi; e poiché col «saccheggio anglo-russo-turco-napoletano del 1799», al dir di Vincenzo Cuoco4, andarono dispersi tutti i materiali raccolti in quel torno di tempo da lui e da un suo amico per un’altra grande edizione delle opere del Vico (tra le quali senza dubbio doveva esservi la seconda Scienza nuova), bisogna saltare fino al 1801 per imbattersi in una prima ristampa dell’opera capitale del Vico5.

L’arrivo a Milano di alcuni esuli napoletani del 1799, e principalmente del già ricordato Cuoco, «le cui opere, così il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana come il Platone in Italia sono le prime nelle quali l’influenza del Vico appaia non estrinseca, ma intrinseca e profonda >6, produsse colà un notevole movimento di studi vichiani, la cui manifestazione più cospicua è per l’appunto la ristampa avanti citata. Suggerita, a quanto pare, dal medesimo Cuoco7, certamente non fu curata da lui, perchè [p. l modifica]egli, scrivendo qualche anno dopo (1804) al Degérando, lamentava che «tra le precedenti edizioni si era seguita quella che forse era pessima, e molte cose vi mancano»8. Fino a qual punto tali critiche sieno fondate non è possibile dire senza un esame particolareggiato dell’edizione; esame che ci siamo creduti dispensati dal fare. Di certo il testo seguito è quello del 1744, e dagli indici dei capitoli non risulta che ne sia stato saltato via alcuno.

Se non è stato inutile spendere qualche parola di più per questa prima ristampa, diventata oggi forse ancora più rara dell’edizione originale, basterà appena ricordare altre due, che sono materiali riproduzioni di questa: l’una pubblicata a Napoli nel 18119, la seconda a Milano nel 181610. Sei anni dopo compariva la prima traduzione della Scienza nuova: vogliam dire la versione tedesca dovuta al dottor Guglielmo Ernesto Weber11. Mosso dal gran [p. li modifica]parlare che s’era fatto in Germania del Vico dopo la pubblicazione dei Prolegomena ad Homerum del Wolff e della Storia romana del Niebuhr12, e spinto all’impresa da alcuni amici (il prof. Beier, Adolfo Wagner, l’editore del Bruno, il dottor Borsch, il bibliotecario Ebert, il Vömel e, principale tra essi, Gaspare Orelli, cui si debbono due buoni articoli sui rapporti tra il Vico e il Niebuhr13), il Weber vi si accinse, aiutato da essi, con grande amore nel 1817, conducendola a fine nel luglio del 1821. La versione, sia per la forma stessa del Vico, che si presta a esser vòlta in tedesco meglio che in ogni altra lingua, sia per l’accuratezza del traduttore, che, non contento d’avere innanzi l’edizione del 1744, volle servirsi comefonte sussidiaria d’interpetrazione anche della prima Scienza nuova non poteva riuscir migliore. Basti dire che il Weber, ogni qual volta ha qualche dubbio su d’un passo, o teme che questo, tradotto com’è a parola, possa riuscir poco chiaro a un lettore tedesco, lo riferisce integralmente in italiano a pié di pagina. Il Weber inoltre fu il primo (e finora il solo) a fare un riscontro, se non completo, almeno parziale delle citazioni vichiane. «Alla fatica — egli scrive14 — di riscontrare e indicare le citazioni, a fine di risparmiare ad altri tale molestia, io non credetti, una volta che mi ero messo al lavoro, di potermi sottrarre; ma lo spaventevole tormento, che mi cagionò il porre in atto questo proposito, non saprei augurarlo al più tristo dei pedanti. Non solamente il Vico ha mescolato tra loro una quantità di luoghi e citato falsamente o l’autore o l’opera, ma anche, cento volte, si trova nel luogo al quale egli allude cosa affatto diversa [p. lii modifica]da quella che egli suppone, o corrispondente soltanto a metà». E vero che il Weber ebbe più di mira l’additare le fonti classiche che quelle medievali e moderne, delle quali trascurò parecchie; è vero che le sue note (quantunque l’avvertenza da lui fatta possa indurre a credere il contrario) per lo più si limitano a indicare sommariamente il luogo cui il Vico si voleva riferire, senza precisare se il testo vichiano corrisponda effettivamente al passo citato; è vero ancora che non mancano citazioni inesatte di seconda mano; è vero infine che il Weber di regola non appose alcuna nota quando la ricerca da compiere sarebbe stata troppo lunga e complicata: ma tutto ciò non toglie che il suo eccellente lavoro sia stato quello di cui abbiamo potuto maggiormente giovarci, e che a esso andiamo debitori d’aver risparmiato almeno un buon quinto della nostra fatica.

Sarebbe da credere che una traduzione preparata con tanta diligenza contribuisse a rendere popolare il Vico in Germania, e procurasse a chi aveva saputo condurla a termine quella fama che egli si era meritata per tanti rispetti. Viceversa, essa passò quasi inosservata15, e, cosa assai più strana, quel pochissimo che si sa tuttora del Vico, tra la maggioranza delle persone colte, nella patria del Kant e dell’Hegel, è dovuto, più che ad altro, a una traduzione francese della Scienza nuova; la quale, tanto inferiore a quella del Weber, godè, per una delle bizzarrie del destino, reputazione europea, e anzi fu la prima a rivelare in modo cospicuo nel mondo degli studi quale ignorato precursore aveva avuto l’Italia in Giambattista [p. liii modifica]Vico. Intendiamo discorrere della traduzione francese del Michelet, comparsa per la prima volta nel 182716. Se il filosofo napoletano avesse potuto vederla, sarebbe certamente entrato in una di quelle «collere eroiche», ch’egli sapeva così efficacemente descrivere nella commemorazione della Cimini. E invero, il fatto stesso di riprodurre quella sua prosa grave, maestosa, oscura, dai periodi lunghissimi e involuti, in una prosetta leggiadra, piacevole, chiara come limpidissima acqua, dai periodetti brevi e snelli, significava già dare dell’opera vichiana (traducibile in francese meno che in ogni altra lingua), non il ritratto più o meno fedele, ma saremmo per dire la caricatura. Ma il Michelet fece di peggio. Qui soppresse, li riassunse; ora anticipò, ora pospose; insomma rimaneggiò tutta l’opera17, rimpicciolendo perfino il classico titolo di Scienza nuova (così rispondente allo scopo, che si proponeva l’autore, di [p. liv modifica]compiere una vera instauratio magna in tutto lo scibile umano) nell’altro improprissimo di Principes de la Philosophie de l'histoire; non ultima forse tra le cause perchè il Vico sia stato e sia tuttora ritenuto semplicemente per un filosofo della storia (nell’accezione comune ed errata della parola). S’intende che lo storico francese fece ciò a fin di bene: per rendere, cioè, l’opera vichiana di più facile intelligenza e più accessibile al gran pubblico. Ma se l’effetto, diremo così, commerciale fu in apparenza raggiunto (in apparenza, perchè in sostanza, nella nuova veste datale dal Michelet, la Scienza nuova riesce ancora più oscura), filosoficamente e quindi anche letterariamente parlando, quello commesso dal traduttore francese resta sempre un mezzo sacrilegio18. Giacché si può bene (si deve anzi), per fare intendere la Scienza nuova frantumarla a colpi di piccone, e coi frammenti risultanti da codesta demolizione, mettendovi di proprio assai cemento, ricostruire ex novo; ma non si può in alcun modo, lasciando intatta l’ossatura interna, dare dell’opera una semplice rielaborazione letteraria, anche quando (anzi allora più che mai) il rielaboratore sia un artista come Giulio Michelet.

Ormai la Scienza nuova era diventata di moda: pochi anni dopo (1830) essa penetrava anche in Inghilterra19 [p. lv modifica]mercè la traduzione del terzo libro, dovuta a Enrico Nelson Coleridge; e tutti, perfino romanzieri e uomini politici20, la citavano a proposito e a sproposito. Sicchè era finalmente tempo che ne comparisse in Italia, se non un’edizione critica, almeno una ristampa decorosa. Tali non furono certo quella pubblicata a Milano nel 183121 e l’altra uscita a Napoli nel 1834 per cura di Nicola Corcia22: amendue riproduzioni materiali dell’edizione del 1744. Ma già in quegli anni Giuseppe Ferrari aveva incominciato a preparare la sua prima edizione delle opere complete del Vico, della quale il volume quinto, comprendente la seconda Scienza nuova, vedeva la luce, nel 183623. La distanza [p. lvi modifica]tra l’edizione del Ferrari e quelle che la precedettero è enorme. Il testo, a dir vero, non è troppo migliorato, né anzi, è esente qua e là da qualche arbitraria correzione; ma è accompagnato da un apparato critico, che ne fa crescere assai il valore. «Nello stampare la seconda Scienza nuova — dice il Ferrari24 — abbiamo seguito l’ultima edizione del 1744; ma non ci siamo accontentati di questa lezione, a cui si limitarono tutte le edizioni antecedenti: abbiamo notato tutte le varianti dell’edizione del 1730 e tutte le aggiunte inserite in quella del 1744: così ogni lettore potrà assistere allo spettacolo delle ultime idee di Vico, vedere in qual modo il suo sistema andava continuamente soggiogando nuovi fatti, in qual modo egli stesso si avvedesse di avere naufragato contro la realtà isterica; e potrà conoscere le intime esitazioni delle idee e dell’orgoglio di Vico dinanzi all’indifferenza de’ suoi contemporanei. Perchè riuscisse facile di attendere a questo movimento del pensiero di Vico, abbiamo stese due tavole, l’una de’ brani della seconda esclusi dalla terza edizione della Scienza nuova che abbiamo sempre riportati in calce come varianti, segnati con lettere alfabetiche; l’altra de’ brani inseriti nell’edizione del 1744 in aggiunta alla stampa del 1730». — Questo lavoro è condotto con sufficiente diligenza. Di certo, il non essere allora conosciuta la più importante delle redazioni intermedie (CMA3) il non aver potuto il Ferrari, per la lontananza da Napoli, tener conto di CMA4, di cui aveva conoscenza mediante l’opuscolo del Giordano, dal quale riproduce i due brani da questi pubblicati; l’avere per distrazione, in questa prima edizione, trascurato anche CMA1 e CMA2 ed eseguita in generale la collazione tra SN3 e SN2 con una certa frettolosità, la quale gli fece sfuggire [p. lvii modifica]non pochi brani di questa, che pur avrebbero meritato di essere riferiti: tutto ciò non può far tributare al raffronto da lui compiuto una lode incondizionata. Ma averne avuto pel primo l’idea è già non piccolo merito. E merito ancora maggiore fu senza dubbio quello d’aver «posta all’intestazione di ogni capitolo una nota che potrà servire ad un tempo a fissare la storia delle idee, il movimento del pensiero, a rannodare la seconda Scienza nuova a que’ lavori precedenti di cui essa presenta o il riassunto o lo sviluppo o la continuazione; e finalmente a riassumere brevemente le idee esposte nel capitolo. Cosi si vedrà l’intima connessione delle idee di Vico nella loro generazione isterica e nella loro logica sistemazione; sarà facile di scorgere la continuità del suo pensiero a traverso i diversi ordinamenti che egli vi sovrappose nelle opere diverse; si illumineranno le idee, trovandosi ravvicinate per riferimento alle loro premesse naturali; infine, leggendo anche continuatamente le nostre note, si avrà l’estratto più esatto che ci fu possibile di fare della Scienza nuova»25. — Su questa parte non ci sono da fare riserve: il lavoro, veramente assai difficile, è condotto con tanto acume e con conoscenza così piena delle opere del Vico, che, per conto nostro, non abbiamo trovato nulla di sostanziale da mutarvi.

L’edizione del Ferrari ebbe molta voga26, ed essa ormai, anziché l’edizione originale del 1744, fu presa a base di tutte le seguenti ristampe. Per altro, del largo apparato critico ond’è arricchita (ossia dei confronti con l’edizione del 1730) non tennero conto né lo lovene27, né [p. lviii modifica]la Cristina Trivulzi principessa di Belgioioso nella sua nuova traduzione francese28, né altre due non belle ristampe italiane, che comparvero rispettivamente a Firenze nel 184729 e a Milano nel 184830. Al contrario, parziale riproduzione del lavoro del Ferrari, quantunque sorta in concorrenza con questo (del quale, naturalmente, si dice il maggior male possibile), è l’altra edizione che, a cura di Francesco Predari, vide la luce a Torino nel 185231. A voler credere all’altisonante prefazione, il Predari, avendo assodato che nella SN3 il Vico «bene spesso stringe in poche frasi un pensiero che nelle precedenti edizioni era materia a un intiero capitolo», avrebbe istituito un raffronto non già solamente fra SN2e SN3, ma fra tutte tre le Scienze nuove, collocando ai debiti luoghi le aggiunte, ossia i capitoli e brani di capitoli che il Vico omise nella redazione definitiva. Per tal modo — egli dice con evidente allusione contro il Ferrari, — «noi crediamo di poter veramente chiamare questa nostra [p. lix modifica]edizione per la prima volta integrata ed illustrata con aggiunte e note tratte da altri scritti dell’autore». Ma quando poi dalla prefazione si passi al libro, si scorge con assai sorpresa che il Predari non fece altro che riprodurre una parte delle varianti della SN2 già date dal Ferrari (che non si tratti di nuova collazione, risulta dal fatto che nemmeno lui tenne conto di CMA1 e CMA2 limitandosi ad aggiungere (assai breve e facile fatica), ai luoghi in cui il Vico li cita esplicitamente, soltanto quei tre capitoli della SN1 a cui s’è innanzi accennato e pei quali il filosofo napoletano diceva di non essersi pentito di avere scritta quell’opera. — Inoltre, nella stessa prefazione il Predari si vanta d’avere scoperto che il Vico solesse attingere le sue citazioni, quasi tutte sbagliate, al Lessico dell’Hoffmann; e mette sempre innanzi l’enorme fatica da lui durata (mostrando così di non conoscere l’opera del Weber, ignota d’altronde anche al Ferrari) a rettificarle sui testi. «Ciò anzi — egli esclama, aggiungendo alla bugia uno sproposito — costituisce la parte più vitale della critica delle teorie vichiane», e «tutti saranno indarno gli sforzi di questa a comporre un giudizio integrale e sicuro della Scienza nuova, senza avere innanzi operato questo minuzioso esame»32. — Ora, non solamente l’edizione del Predari non reca nemmeno una nota, ma tutta la faccenda dell’Hoffmann, da lui messa in giro, risulta completamente infondata. La causa degli errori eruditi del Vico è ben altra, come vedremo in appresso; e il Lessico dell’Hoffmann, lungi dall’essere quella silloge di false citazioni che vorrebbe far credere il Predari, è tra i migliori del tempo. Noi almeno, sempre che vi siamo ricorsi con la speranza di trovare la chiave di qualche errore vichiano, abbiamo provata una delusione. [p. lx modifica]Chè anzi, fino al punto a cui siamo giunti del nostro lavoro, una sola volta, e in un particolare insignificante, ci è stato dato di trovare nell’Hoffmann la probabile fonte del Vico. E infatti è verisimile che da quel lessico pigliasse a prestito la sua erudizione chi coglieva tutte le occasioni per deplorare «la necessità che hanno gli uomini di lettere d’oggidì d’assecondare il genio del secolo, vago più di raccontare in somma ciò che altri seppero che profondarvisi per passar più oltre»; e volendo manifestare il suo odio contro i Dizionari, le Biblioteche e i Ristretti, menzionava per l’appunto «gli Ofmanni, Moreri e Baili»?33.

L’edizione del Predari ebbe la fortuna che meritava: passata quasi inosservata, finì sui muricciuoli e sui panchetti, e oggi è diventata una rarità bibliografica34. Sorte su per giù simile toccò a una cattiva riproduzione materiale del solo testo dell’edizione ferrariana, pubblicata a Milano nel 185235, e che cinque anni dopo ebbe, parimente a Milano, una ristampa36. Nel frattempo, esaurita l’edizione del Fetrari del 1836, tanto che se ne dovette compiere, non si sa precisamente in quale anno (giacché non risulta dal frontespizio), una ristampa, lo scrittore 37 [p. lxi modifica]milanese ne mandava fuori nel 1864 una seconda, abbastanza migliorata. «Abbiamo posto ogni cura — avvertono gli editori — perchè la presente edizione riuscisse nitida e scevra di quelle mende, che noi medesimi avevamo di già notate e che da altri ci erano state fatte notare per entro la prima». E l’asserzione risponde a verità. Nemmeno qui il Ferrari pose a profìtto, per le varianti, CMA4 si bene sfruttò CMA138 e CMA2] e insieme fece qualche ritocco ai sommari e aggiunse una decina di noterelle erudite. — Finalmente integra ma brutta ristampa di questa seconda del Ferrari è quella pubblicata a Napoli nel 1859 da Francesco Saverio Pomodoro39; alla quale l’esser messa parecchie volte a nuovo con mutati frontespizi (qualcuno dei quali reca la data del 1880) non è riuscito a evitare l’ingloriosa fine di essere esposta, fino a pochi anni addietro, lungo i marciapiedi di via Toledo, durante le feste natalizie o pasquali, agli occhi di coloro che colgono quell’occasione per metter su una bibliotechina con pochi soldi. Dal 1859, ossia da oltre mezzo secolo, non si è inteso mai il bisogno di ristampare la seconda Scienza nuova; indice assai significativo del triste periodo filosofico che l’Italia ha attraversato. Ma era naturale che, con l’idealismo rinascente e ormai trionfante, codesto bisogno si facesse sentir vivo. E fin dal 1904 Benedetto Croce augurava che «qualche sodalizio scientifico, risparmiando tempo e denaro in lavori meno fecondi, volesse assumersi [p. lxii modifica]l’onore e l’onere di una nuova edizione del Vico»40. L’augurio purtroppo restava lettera morta; ma per fortuna, due anni dopo, il benemerito editore Laterza imprendeva la Collana dei classici della filosofia moderna; nella quale, tra i volumi da pubblicarsi uno dei primi posti veniva assegnato, naturalmente, alla seconda Scienza nuova. E poichè l’opera, per la sua stessa natura, richiedeva la cura, più che d’uno studioso specialista di filosofìa, di chi avesse un po’ di pratica con gli studi d’erudizione e vivesse a Napoli, ov’era più facile rintracciare nei vecchi fondi delle biblioteche quei libri che un giorno erano stati compulsati dal filosofo napoletano, l’onore altissimo di vegliare alla nuova edizione fu affidato a noi. Lo accettammo con vero entusiasmo; e quantunque gravati da altre cure letterarie, che occupano quasi tutto il nostro tempo, cercammo di condurre a termine il lavoro quanto più presto si poteva. Ed eccoci a renderne minuto conto ai lettori.

  1. Un esemplare si vendeva già nel 1776 per 6 ducati (Croce, Bibliogr., p. 47. n). Inoltre nel principio del sec. XIX, «fattosi raro piuttosto che trascurato il libro della Scienza nuova, l’illustre raccoglitore degli Economisti italiani, Pietro Custodi, ardendo di possederlo, tutto lo volle con un suo amico e compagno di studi trascrivere (ediz. Ferrari 2, prefaz. degli editori, p. vi).
  2. Croce, Bibliogr., pp. 29-30.
  3. Croce, Bibliogr., p. 113.
  4. In una lettera al Degérando, pubbl. da N. Ruggieri, Vincenzo Cuoco, Studio (Rocca San Casciano, Cappelli, 1903), pp. 191-2. Cfr. Croce, Bibliogr., p. 30.
  5. Principii di Scienza nuova di Giambattista Vico d’intorno alla comune natura delle nazioni, colla vita dell’autore scritta da lui medesimo. Volume I, Milano, 1801, dalla tipografia dei classici italiani, Contrada del Rocchetto, num. 2536 (in 8° di pp. lxxiv+154+1 innumer.). Volume II, ivi (pp. 293 +3 innumer.). Volume III, ivi (pp. 165+3 innumer.). Cfr. per questa e per tutte le altre ristampe e traduzioni della SN verrò menzionando, Croce, Bibliogr., pp. 3-6, 32-6, e Suppl1, p. 2.
  6. Croce, Bibliogr., p. 51.
  7. Ibid., p. 52.
  8. Ruggiero, loc. cit., e cfr. Croce, Bibliogr., pp. 3-4.
  9. Principii di Scienza nuova, ecc. (come sopra). Volume 1, In Napoli, 1811, presso Gaetano Eboli, a spese di Francesco d’Amico (in 8° di pp. lxxiv+158+2 innumer., con ritratto del V.). Vol. II (pp. 301+3 innumer.). Vol. III (pp. 171+3 innumer.).
  10. Principii ecc. (come sopra). Vol. I, edizione sesta. Milano, dalla tipografia di Giovanni Silvestri, 1816 (in 8° di pp. iv+210+2 innumer. con ritratto del V.). Vol. II (pp. 282). Vol. III (pp. 158+2 innumer.).
  11. Giambattista Vico, Grundzüge einer Neuen Wissenschaft über die gemeinschaftliche Natur der Volker, Aus dem Italienischen von Dr. Wilhelm Ernst Weber, Professor am Königlich-Preussischen Gymnasium zu Wetzlar, Leipzig, F. A. Brockaus, 1822 (in 8° di pp. XXVI+2 innumer.+118+880). Contiene la prefaz. del traduttore; un Cronologisches Verzeichnis der Schriften des Verfasscrs mitgetheilt von Herrn Dr. Ebert; l’Autobiografia con note e giunte del traduttore; la traduz. della SN3 un accurato indice analitico; un lungo elenco di Berichtigungen und Zusätze. Si noti che il W. non riprodusse la figura allegorica che precede l'Idea dell’opera, e di questa non dette la traduzione letterale ma un riassunto.
  12. Vorwort, p. xxi e cfr. Croce, Bibliogr., p. 56 sgg.
  13. Vorwort, pp. xxv-vi e cfr. Croce, Bibliogr., p. 59.
  14. Vorwort, pp. xxii-iii e cfr. Croce, Bibliogr., p. 6.
  15. Soli a parlarne furono la Belgioioso nella prefaz. alla sua traduz. più oltre cit., pp. cxviii-ix, il Müller nella pref. alla sua traduz. del DU, p. 31 e il Cauer nel Deutsches Museum del 1851, p. 261. Cfr. Croce, Bibliogr., pp. 6 e 73.
  16. Principes de la philosophie de l'histoire, traduits de la «Scienza nuova» de J. B. Vico, et précédés d’un discours sur le système et la vie de Vauteur par Jules Michelet, professeur d’histoire au Collège de Sainte Barbe. A Paris, chez Jules Renouard, 1827 (in 8 di pp. lxx{{+}}2 innumer.{{+}}392). Per parecchie ristampe cfr. Croce, Bibliogr., p. 5.
  17. Préface: «... On pourrait accuser dans la «Science nouvelle» non par l’aridité, mais bien un luxe de végétation. Le genie impéfueux de Vico Va surchagée, à chaque edition, d’une fonie de répétitions sous lesquelles disparait l'unité de dessein de Vouvrage. Rendre sensible cette unité [che, a dir vero, nell’opera non c’è, contenendo questa, come s’è accennato, tre diversi ordini di ricerca, continuamente frammisti], telle devait être la pensée de celui qui, au bout dun siede, venait offrir à un public français un livre si éloigné, par la singularité de sa forme, des ideés de ses contemporains. Il ne pouvait atteindre ce but qu’en supprimant, abrégeant ou transposant les passages qui en reproduisaient d’autres sous une forme moins heureuse, ou qui semblaient appelés ailleurs par la liaison des idees. Il a fallu encore écarter quelques paradoxes bizarres, quelques étymologies forcées, qui ont jusqu’ici décrédité les vérités innombrables que contient la «Science nouvelle».
  18. Un certo scrupolo dovè provarne lo stesso Michelet, il quale cerca di giustificarsi aggiungendo: «Le jour n’est pus loin, sans doute, où, le nom de Vico ayant pris enfin la place qui lui est due, un intérèt historique s’étendra sur tout ce qu’il a écrit, et où ses erreurs ne pourront faire tort à sa gioire; mais ce temps n’est pas encore venu».
  19. Translation of the third book of Vico’s «Scienza nuova». — On the discovery of the true Homer [dalla versione francese del Michelet], in Henry Nelson Coleridge, Introduction to the shidy of the greeck classic poets, designed principally for the use of young persons at school and college [1a ediz., 1830], Third edition (London, John Murray, Albermalestreet, 1846, pp. 63-84.
  20. Cfr. Croce, Suppl1, pp. 19-20; Suppl.2, pp. 24-6 (ove son riferiti passi del Balzac, del Flaubert e del Gambetta).
  21. Principii di Scienza nuova di Giambattista Vico d’intorno alla comune natura delle nazioni. Volume I, Milano, per Gaspare Truffi, MDCCCXXXI (in 32º di pp. xx-392). Vol. II, ivi (pp. 379). È inserita nella collezione L’Ape della letteratura per la gioventù, serie seconda. La prefazione è compilata sull’opera del Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, 1ª ediz. (1804-1813), epoca IX, art. VIII. — Se ne hanno anche esemplari in un sol volume con numerazione continuata (pp. xv-745).
  22. In Opere di Giambattista Vico, precedute da un discorso di Giulio Michelet sul sistema dell’autore (Napoli, dalla tipografia della Sibilla, 1834), vol. I.
  23. Principii di Scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni di Giambattista Vico, secondo la terza impressione del MDCCXLIV con le varianti di quella del MDCCXXX e con note di Giuseppe Ferrari. Milano, dalla società tipografica de’ classici italiani, 1836 (pp. xlv+630+2 innumer.). Contiene: a) Prefaz. dell’editore; b) Tavola delle note dell’editore; c) Tavola dei brani esclusi dalla terza edizione della SN e qui riportati come varianti; d) Tavola delle aggiunte alla terza edizione; e) Frammento inedito di una prefazione alla terza ediz. della SN [il brano finale aggiunto in CMA4 all’Occasione di meditarsi quest’opera e pubbl. dal Giordano]; f) le dediche della SN2 e della SN3; g) il testo della SN3; h) la Tavola d’indici della SN2 con l’aggiunta a essa fatta in CMA4 e pubblicata dal Giordano.
  24. Prefaz., p. xxvi.
  25. Prefaz., pp. xxvi-vii.
  26. Per gli scritti a cui essa dette luogo cfr. Croce, Bibliogr., p. 65.
  27. Principii di Scienza nuova di Giambattista Vico. Napoli, presso Giuseppe lovene libraio editore, 1840 (in 8° di pp. 618). Precede (pp. 1-127; l’Autobiografia con le aggiunte e le note del Villarosa.
  28. La Science nouvelle par Vico, traduite par l’auteur de l'Essai sur la formation du dogme catholique. Paris, à la librairie Jules Renouard, ecc., 1844 (in 16° di pp. cxx+398+2 innumer.).
  29. Opere di Gio. Battista Vico con alcuni discorsi ed opuscoli di celebri scrittori sulla Scienza nuova. Volume unico. Firenze, Poligrafia italiana, 1847 (in 16° di pp. 328); volume che per altro non contiene se non la SN3, senza prefazioni o note e senza gli opuscoli annunziati nel frontespizio.
  30. Principii di Scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni di Giambattista Vico, con la biografia dell’autore stesa da Niccolò Tommaseo e l’incisione della medaglia distribuita al VII congresso degli scienziati. Milano, dalla tipografia di Gio. Silvestri, MDCCCXLVIII (in 16° di pp. xl+502+2 innumer.). Forma il vol. 548 della Biblioteca scelta.
  31. La Scienza nuova di Giambattista Vico, or per la prima volta integrata ed illustrata con aggiunte e note tratte da altri scritti dell’autore per cura di Francesco Predari. Torino, tipogr. economica, 1862 (3 voll., con numeraz. continuata, di pp. liv+innumer.+ 511).
  32. Prefaz., pp. xlvi-vii.
  33. Lettera al de Vitry, del 1726, in Carteggio, ediz. Croce, p. 191.
  34. Ho potuto vederne un esemplare (che ora si conserva nella ricca collezione vichiana raccolta da B. Croce) soltanto perla cortesia del venerando prof. Alessandro D’Ancona, il quale volle farmene dono.
  35. Principii di Scienza nuova di Giambattista Vico d’intorno alla comune natura delle nazioni. Volume unico [per cura di L. Masieri]. Milano, presso il libraio-editore Luigi Cioffi, 1853 (in 16° di pp. xii-607). Precedono (pp. v-xii) brevi notizie intorno alla vita e agli scritti del V.
  36. (Titolo come sopra). Milano, presso il libraio-editore Fortunato Perrelli, S. Vito al Pasquirolo, n. 482, 1857 (in 16° di pp. 440). Precedono (pp. 5-12) le stesse notizie dell’ediz. anzidetta.
  37. Si desume questa notizia dal proemio degli editori all’ediz. del 1854, nel quale si dice che questa in realtà è una terza edizione, essendosi dovuto antecedentemente ristampare la prima per le urgenti richieste.
  38. (Stesso titolo dell’ediz. del 1836). Milano, Società tipografica dei classici italiani, 1854 (di pp. xxxvi-582).
  39. Principii ecc. [come nell’ediz. Ferrari]. Napoli, stamperia de’ classici latini, Via Mannesi, 18, p. p., 1869 (in 8° di pp. xvi-349).
  40. Bibliogr., p. ix.