La scienza nuova seconda/Brani soppressi o mutati/Libro secondo/Sezione prima

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Libro secondo - Sezione prima

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Libro secondo - Prolegomeni Libro secondo - Sezione seconda
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SEZIONE PRIMA

CAPITOLO PRIMO

1193[376*] Di piú, perché l’uomo è naturalmente portato a dilettarsi dell’uniforme, com’abbiam veduto nelle Degnitá, perché la mente umana agogna naturalmente di unirsi a Dio, dond’ella viene, ch’è ’l vero uno; e non potendo quelli primi uomini, per la loro troppo sensuale natura, esercitare la facultá (ch’era sotto i loro troppo vigorosi sensi seppolta) di astrarre da’ subbietti le propietá e le forme alle quali le particolari cose, che essi sentivano ed immaginavano, si conformassero, per ridurle alle loro unitá si finsero le favole. E naturalmente appresero per generali veritá quelle che in fatti erano non altro che generi fantastici o unitá immaginarie, o fussero finti modelli, a’ quali riducevano tutte le particolari cose che sentivano o immaginavano o essi stessi facevano, richiamando ciascuna al suo modello al quale si assomigliasse. E ne restarono detti con somma latina eleganza «genus» in significato di «forma» o «guisa» o «maniera» o «modello», e detta «species» in significato di «sembianza» o di «cosa che si assomiglia e rassembra»; e tal acconcezza d’assembramento delle cose fatte alle loro idee o modelli fu detta anco «species» in significazion di «bellezza».

CAPITOLO SECONDO

[La redazione, che questo capitolo ebbe nella SN2, sembra a prima vista totalmente diversa da quella della SN3. Ma, a dir vero, piú che di altro, si tratta di spostamenti. E invero nella SN2 il capitolo constava di tredici paragrafi, che nelle CMA3 divennero quindici, avendone il V. aggiunto uno tra l’XI e il XII e un altro dopo il XIII. Nella SN3, invece, i paragrafi I e II vennero anticipati nel capitolo precedente, [p. 194 modifica]

formando parte del capov.; gli altri furono combinati e spostati giusta la seguente tabella:

§ III (sfrondato di molte citazioni erudite) e § IV § I
§§ VIII e XI, con giunte che si trovano in parte nelle CMA3 § II
Principio del § VI e § V, con una giunta che si trova in parte nelle CMA4 § III
Resto del § VI e § VII § IV
§ XIII bis (aggiunto, come s’è detto, nelle CMA3) § V
§ XI bis (aggiunto nelle CMA3) § VI
§§ XII e XIII § VIII


Restarono fuori soltanto i paragrafi IX e X, riferiti qui tra le varianti].

1194[385*] Con tal principio dell’idolatria si è dimostrato altresí il principio della divinazione (che nacquero al mondo ad un parto); a’ quali due principi va di séguito quello dei sacrifici ch’essi facevano per proccurare o sia ben intender gli auguri. Da’ quali principi dovevano cominciare i loro libri Cicerone, De natura deorum; Apollodoro, De origine deorum; Giraldo, De diis gentium; Daniel Classenio, De theologia civili, e ’l Vossio la sua maggior opera De theologia gentilium, e Cicerone gli altri De divinatione; Edone Nehusio, la sua Divinazione sacra e profana; Antonio Borremanzio, De poëtis et prophetis; gli autori De diis fatidicis e De oraculis sibyllinis; e Vandalè, i suoi De devinatione e De oraculis; e finalmente Stuchio, De sacrificiis gentium.

1195[389] IX. — Quivi per alto consiglio della provvedenza ebbe il suo principio il diritto della forza, con la quale Giove legittima il suo regno [CMA3] sopra gli dèi e gli uomini con la gran catena d’Omero che noi qui sopra abbiamo spiegato (il qual diritto [SN2] si celebrò per tutto il tempo divino ed eroico, ond’Achille ripone la sua ragione nell’asta), acciocché gli uomini, fin quando non intendessero ragione, estimassero la ragion della forza, ma infrenata da alcun timore di religione (la qual sola, come abbiam nelle Degnitá veduto, poteva infrenar i violenti di Obbes); siccome per la religione i giganti s’assoggettiscono alla forza di Giove. [p. 195 modifica]

1196X. — Si scuoprono quindi ancor i principi ond’ebbero incominciamento tutti i primi regni, che furono la forza e la froda; ma non giá, quali hanno finora stimato i cattivi politici, fatte da uomini ad altri uomini, ma che fecero gli uomini a se medesimi; e si furono, forza e froda, dalla divina prowedenza permesse a bene del gener umano.

1197[392]..... ne dará una teogonia naturale..... sulla quale doveva Esiodo formare la sua e Giovanni Boccaccio descrivere la sua Genealogia degli dèi. La qual teogonia ne dará, quindi incominciando, la cronologia ragionata della storia poetica, che corse tralle nazioni almen un novecento anni innanzi di venire l’anno astronomico, dal qual finor ha cominciato la dottrina de’ tempi.

1198[399]..... come si ha nelle greche tradizioni; comincia il secol dell’oro a’ greci e quel di Saturno a’ latini, ne’ quali gli dèi praticavan in terra cogli uomini, la quale fu la prima etá del mondo gentilesco. [ CMA4 ] La qual prima etá qui, come da una sua prima epoca, conforme si è nelle Degnila divisato, incomincia da Giove e dalla religione degli auspíci ne’ di lui fulmini, da cui debbe incominciare tutta la storia universale. Di che i latini ci serbarono un certo avviso in queste tre voci: «auspicavi», «auguravi» (per «incominciare» ) ed «initia» (per dire «consegrazioni» e «incominciamenti» o «principi» ). Cosi i greci poeti.

[CMA3]CAPITOLO TERZO

come da questa debbano tutte l’altre scienze
prender i loro princípi

1199Questi sono gli aspetti generali per gli quali questa Scienza può essere riguardata. Ma da questo stesso primo principio di tutte le divine ed umane cose gentilesche, ch’abbiamo truovato dentro questa metafisica del gener umano, questa medesima Scienza sublime ne dará i principi di tutte l’altre subalterne, le quali la metafisica deve assicurare della veritá di tutti i loro particolari subbietti. Che saranno le prime fila con le quali si tesserá la tela di questo libro e le prime linee con le quali s’incomincia a condurre il disegno della nostra storia dell’idee. [p. 196 modifica]

I

1203La logica da questa prende le sue prime idee, che si truovano tutte divine, e le prime voci, le quali si truovano tutti parlari mentali spiegati con atti mutoli.

II

1201La morale da questa prende il suo primo principio, ch’è’1 conato, il qual è propio della volontá libera, la qual è’l subbietto delle virtú e de’ vizi.

III

1202L’iconomica da questa prende il timore della divinitá, ch’è ’l primo principio de’ matrimoni, i quali son il seminario delle famiglie.

IV

1203La politica da questa prende il suo subbietto, ché sono due spezie d’uomini che compongono le repubbliche; e incomincia dalla piú nobile di altri che vi comandino, che qui si sono truovati esser que’

 pauci quos aequus amavit
Iupiter,

a cui appresso seguirá l’altra di altri che v’ubidiscano. Poiché altro non è la politica che scienza di comandare e d’ubidire nelle cittá.

1204E qui si compierá il ramo delle scienze attive che proponemmo uscire dal tronco di questa poetica metafisica. L’altro ramo, che pur dicemmo, delle scienze specolative comincia ad uscire da questo tronco stesso con questa serie.

V

1205La fisica da questa metafisica prende i suoi principi fantasticati divini, e ’ncomincia da quello ch’i primi giganti pii appresero:

Iovis omnia plena; 

[p. 197 modifica] la qual poi con Platone terminò in una fisica divina, da esso ragionata nel Parmenide, nel quale stabilisce l’idea eterna per principio di tutte le cose in tempo.

1206E la fisica particolare dell’uomo prende quinci i suoi principi da questi giganti di vasti corpi e d’animi bestiali, da’ quali, come materia, col timore della divinitá incomincia ad edursi la forma delle nostre giuste corporature e de’ nostri animi umani.

VI

1207La cosmografia quindi incomincia dal primo cielo, che fu alle prime genti l’altura de’ monti, e dal primo mondo, che fu la loro proclivitá, la qual antichissima idea si conservò da’ latini in que’ loro favellari: «in mundo est» per «in proclivi est», per significar «egli è facile».

VII

1208L’astronomia qui comincia dal principe de’ pianeti, ch’è Giove, quando il Cielo regnò in terra e fu tanto benefico al gener umano che n’ebbe il grazioso titolo appo tutte le gentili nazioni di «ottimo».

VIII

1209La cronologia qui pure da Giove dá incominciamento all’etá degli dèi, ch’è la pianta della nostra Tavola cronologica; e Giove sará la prima delle dodici minute epoche di altrettante divinitá maggiori, le quali serviranno per determinare tal prima etá del mondo aver durato novecento anni.

IX

1210E la geografia finalmente, che dalle regioni e misure del cielo accerta quelle della terra, quindi incomincia dalle regioni le quali disegnavano gli áuguri in cielo per prendere quindi gli auspíci di Giove, le qual’i latini dissero «templa caeli», delle quali fu il primo contemplare e la prima contemplazione alla quale attesero i primi uomini al mondo.

12Talché queste nove scienze debbon essere state le nove muse,,1 le qual’i poeti pur ci cantarono esser tutte figliuole di Giove; [p. 198 modifica] e per tutte queste cose istesse ora si restituisce il suo propio significato istorico a quel motto:

A Iove principium Musae.


[CMA3] CAPITOLO QUARTO

riprensione delle metafisiche di renato delle carte,
di benedetto spinosa e di giovanni locke


1212Laonde, se non s’incomincia da

un dio ch’a tutti è Giove,


non si può avere niuna idea né di scienza né di virtú. Cosí ha facile l’uscita la supposizione di Polibio, il qual dice che, se fusser al mondo filosofi, non sarebber uopo religioni! Perché le metafisiche de’ filosofi debbon andar di concerto con questa metafisica de’ poeti, in questo importantissimo punto, onde dall’idea d’una divinitá sono provenute tutte le scienze c’hanno arricchito il mondo di tutte l’arti dell’umanitá: come questa metafisica volgare insegnò agli uomini perduti nello stato bestiale a formar il primo pensiero umano da quello di Giove, cosí gli addottrinati non debban ammettere alcun vero in metafisica che non cominci dal vero Ente, ch’è Dio.

1213E Renato Delle Carte certamente l’arebbe riconosciuto, se l’avesse avvertito dentro la stessa dubitazione che fa del suo essere. Imperciocché, se io dubito se io sia o no, dubito del mio esser vero, del qual è impossibile ch’io vada in ricerca se non vi è il vero Essere, perch’è impossibile ricercar cosa della quale non s’abbia verun’idea. Or, dubitando io dell’esser mio né dubitando del vero Essere, il vero Essere è realmente distinto dall’esser mio. Il mio essere è terminato da corpo e da tempo, che mi fanno necessitá: adunque l’Ente vero è scevero da corpo, e perciò sopra il corpo, e quindi sopra il tempo, il qual è misura del corpo secondo il prima e ’l poi, o (per me’ dire) è misurato dal moto del corpo. E, ’n conseguenza di tutto ciò, l’Ente vero è eterno, infinito, libero. Cosí egli Renato arebbe, come a buon filosofo conveniva, cominciato da una idea semplicissima, che non ha mescolata niuna composizione, qual è quella dell’Ente; onde Platone con peso di parole chiamò la metafisica Ὀντολογία, [p. 199 modifica]SEZIONE PRIMA

99r

«scienza dell’Ente». Ma egli sconosce l’Ente e’ncomincia a conoscer le cose dalla sostanza, la qual è idea composta di due cose: d’una che sta sotto e sostiene, d’altra che vi sta sopra e s’appoggia.

1214Cotal maniera di filosofare diede lo scandalo a Benedetto Spinosa, uomo senza pubblica religione e, ’n conseguenza, rifiuto di tutte le repubbliche, e per odio di tutte intimò una guerra aperta a tutte le religioni. E, non dando altro che la sostanza, e questa esser o mente o corpo, e non terminando né corpo mente né mente corpo, per tutto ciò stabili un Dio d’infinita mente in infinito corpo, e perciò operante per necessitá.

1215Incontro a Spinosa si è fatto dalla parte opposta Giovanni Locke, il quale sullo stesso scandalo del Cartesio adorna la metafisica d’Epicuro, e vuole che tutte l’idee sien in noi per supposizione ed essere risalti del corpo, e si è costretto a dar un Dio tutto corpo operante a caso. Ma il Locke veda s’ella è per supposizione l’idea del vero Essere, la qual io mi ritruovo aver innanzi l’idea del mio essere, ch’è tanto dire quanto innanzi del mio supposto; la qual, perch’è del vero Ente (essendo del vero bene), mi mena a ricercare nel suo Essere l’esser mio: talché ella non mi è venuta dal mio corpo, del qual io ancor dubito dentro la dubitazion del mio essere. Dal corpo è nato il tempo; e dal corpo e dal tempo, che si misura col moto del corpo (ove non sia mente la qual regoli il moto del corpo), esce il caso.

1216Con tali ragioni, se non andiamo errati, abbiamo scoverti manifestamente i paralogismi delle metafisiche che tengono diverso cammino dalla platonica. Perocché quella d’Aristotile non è altro che la metafisica di Platone trasportata dal dialogo al metodo didascalico, che noi diremmo «insegnativo»; siccome Proclo, gran mattematico e filosofo platonico, con un aureo libro portò i principi fisici d’Aristotile (che sono quasi gli stessi ch’i principi metafisici di Platone) al metodo geometrico.

1217Ora incominciamo ormai a ragionare partitamente delle subalterne scienze poetiche.