La spedizione inglese in Abissinia (1869)/IV

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MAGDALÀ

Le alture di Magdalà potrebbero paragonarsi, per la forma che presentano, ad una specie di opera a corona, il cui saliente sarebbe rappresentato dall’altura di Salassie, e i due mezzi bastioni da Magdalà stessa, e dalla roccia di Falla. Le due alture di Salassie e di Falla, unite fra loro da una cresta di circa mezzo chilometro di lunghezza, s’innalzano su una parete rocciosa che si protende grossolanamente da Oriente ad Occidente, e che costituisce verso Settentrione la testa di valle di un piccolo torrente, l’Arroghi, che va a sboccare ad angolo retto nel Bascilo.

Una stretta lingua di terra, detta piana di Islamghi, limitata ai due fianchi da roccie a picco, dalle falde di Salassie si protende a mezzogiorno sino ai piedi di Magdalà, e forma, per così dire, la cortina del fronte di destra.

Le roccie che limitano verso l’interno l’insieme dell’opera intiera sovrastano ad una estesa pianura situata assai basso e che potrebbe paragonarsi, per la posizione che occupa, al terrapieno dell’opera.

Verso l’esterno, le due alture di Magdalà e Salassie dominano un vasto imbroglio di burroni e di roccie quasi inaccessibili; ma Falla, per contrario, si innalza a poca altezza sopra le colline a larghe ondulazioni, che si staccano dalla sua falda occidentale ed appartengono al versante sinistro del torrente citato più sopra.

Delle tre alture la più elevata è quella di Salassie, viene in seguito Magdalà e da ultimo Falla.

Il pianoro di Magdalà è, presso a poco, un quadrilatero di 2000 metri di lunghezza per 800 di larghezza, che finisce da tutte le parti con roccie tagliate a picco. La parete settentrionale che sovrasta alla pianura di Islamghi, pre[p. 42 modifica]senta però qualche irregolarità e forma, per così dire, due scalini; il primo dei quali ha cento metri di altezza mentre l’altro non ne ha che venti.

Due scale, tagliate nella roccia, conducono dalla pianura al primo scalino e da questo al secondo; ma lungo il ciglio sì del primo che del secondo è disposto un muricciolo sormontato da siepe; e le porte e barriere praticatevi alla testa delle scale stesse sono coperte da tettoia e presentano una tal quale solidità.

Quei due muriccioli e quelle due barriere sono le uniche opere di fortificazione aggiunte alla forza naturale del luogo, e nè a Falla, nè a Salassie, non esiste il benchè menomo parapetto.

La strada che noi abbiamo seguita (quella stessa costrutta da re Teodoro), s’interna, oltre il Buscilo, nel letto del torrente Arroghi sino a raggiungere il piede delle alture che si staccano dalla falda occidentale della roccia di Falla; superate quelle alture, la strada torce a sinistra, va a passare sotto Falla stessa, lungo la parete settentrionale della roccia, e valica finalmente la piccola cresta che unisce Falla a Salassie. Appena giunta sull’altro versante della cresta stessa, la strada si divide in tre: una volge a destra e si porta su Falla, la seconda prende a sinistra e conduce a Salassie, la terza finalmente lascia a sinistra la roccia di Salassie e va a perdersi nella pianura di Islamghi in numerosi sentieri che conducono tutti ai piedi di Magdalà.

Un breve sguardo al terreno basta a convincere che, da qualunque parte si venga, per giungere a Magdalà bisogna seguire quella strada: e, dal punto di vista militare, non occorre nemmeno dire che qualunque operazione contro Magdalà dev’essere preceduta dall’occupazione di Falla e Salassie.

Il campo di re Teodoro era stabilito nei primi giorni d’aprile sotto la roccia di Islamghi su d’una vasta spor[p. 43 modifica]genza della falda settentrionale; ma dal giorno 8 in poi si potè osservare dall’altipiano di Talanta ch’egli s’era portato ad occupare anche l’altura di Falla. Quanto alla forza del suo escrcito, correvano le voci più disparate: si seppe poi che i veri combattenti si riducevano a tre o quattro mila e che tutti gli altri, ventimila circa, erano donne, vecchi e fanciulli: le famiglie insomma de’ suoi soldati.

Il giorno 10, alle una circa dopo mezzogiorno, tutte le truppe della prima brigata passavano il Bascilo e si incamminavano per la strada descritta più sopra: avanzatesi però di qualche chilometro nel letto del torrente, torcevano a destra per portarsi ad occupare, non viste, le prime alture ad occidente di Fulla. Era stato ordinato che il movimento fosse condotto colla massima prudenza e in modo da non attirare l’attenzione del nemico: si voleva occupare per quella sera una buona posizione, e attendere ivi l’arrivo della 2ª brigata, che doveva aver luogo la notte, per procedere poi tutti insieme all’attacco la mattina del giorno dopo.

Ma una generosa imprudenza mandò a vuoto quel progetto; e il nemico, accortosi verso le 4 del movimento della prima brigata, lasciò subito i suoi campi, e in masse confuse venne a precipitarsi all’attacco.

La brigata, sorpresa quasi, dovette riparare alla meglio, mandando a respingere il nemico le prime frazioni di truppe che si trovarono alla mano; e così entrarono quasi contemporaneamente in azione parte del 23° (Punjab Pioneers) parte del 4° fanteria inglese e parte del 27° (Beloochee).

Il fuoco micidiale del fucile Snider ebbe ben presto ragione dell’eroismo selvaggio degli Abissini, e agli urli feroci che avevano accompagnato il loro avanzarsi succedettero allora le grida di centinaia di feriti e il triste spettacolo di una fuga scompigliata. In quel frattempo, erano giunti sul luogo una batteria di montagna e la bat[p. 44 modifica]teria di racchette, e avevano aperto il fuoco dapprima contro i fuggiaschi, poi contro il campo nemico. Re Teodoro non volle rimanere da meno, e dall’altura di Falla aprì anch’esso il fuoco di sette pezzi: fuoco però affatto innocuo, vuoi per la poca portata di quelle armi, vuoi per la cattiva direzione del tiro.

La cosa durò due ore, vale a dire, sin circa le 6: dopo di che le truppe di re Teodoro, che non s’erano disperse, si ritirarono ai loro campi, e le truppe inglesi presero posizione al piede di Falla, circondandosi d’avamposti e coprendosi dietro ripieghi del terreno.

Quest’azione fu chiamata Arroghi action dal nome della località.

Gli Abissini erano armati in gran parte di lancie e scudi, e in piccolo numero di moschetti; le perdite da parte inglese sommarono a 19 feriti (1 ufficiale e 18 soldati), nessun morto, nessun prigioniero. Le perdite da parte degli Abissini, verificate il giorno dopo e confermate dalle relazioni dei prigionieri europei, raggiunsero l’enorme cifra di 370 morti e circa 250 feriti; due soli furono fatti prigionieri durante l’azione. Ebbero parte principalissima nei danni arrecati agli Abissini il fucile Snider e la mitraglia dei piccoli pezzi da montagna: le racchette ebbero un effetto morale immenso e poco più. Si calcola che in quelle due ore siano stati sparati da parte degli Inglesi 19,000 colpi circa di fucile, e 400 circa di cannone e racchette.

11 aprile. — Durante la notte venne a raggiungere il campo la 2ª brigata tutta intiera, e alle 5 del mattino le truppe si disponevano già in ordine di attacco: la 1ª brigata in prima linea, la 2ª in seconda linea, e l’artiglieria in buone posizioni per proteggere ed assecondare il movimento. Ben presto però si spargeva nel campo la voce che due dei prigionieri si trovavano nell’attendamento del generale in capo. Io mi vi recai immediatamente, e nella [p. 45 modifica]tenda del generale Merewether trovai infatti il luogotenente Prideaux e il Sig. Flad.

Erano mandati dal Re per conoscere a quali condizioni Sir Robert Napier avrebbe data la pace.

L’effetto morale dello sfracello del giorno innanzi era stato immenso: la maggior parte dei soldati abissini che erano usciti per combattere non erano più rientrati e i pochi rimasti si mostravano assolutamente avversi a continuare la lotta: il Re mezzo ubbriaco di tegg1, aveva fatto ogni sforzo, dopo il combattimento, per ricondurre un po’ d’ordine e di coraggio nelle sue file, ma non ci era riuscito e s’era ridotto a passare la notte sull’altura di Falla, piangendo e gridando di dolore e di rabbia. Verso la mattina i fumi del tegg s’erano dissipati ed egli aveva potuto giudicare a sangue freddo la sua disperata condizione: chiamati a sè i signori Flad e Prideaux, prese in mano una racchetta, e mostrandola loro, esclamò con un tuono tra il tragico e il burlesco: «cosa volete che faccia contro un nemico che dispone di simili armi? avevo creduto finora di essere un gran re, ma m’accorgo ora di avere a che fare con un re ben più possente di me: andate a chiedere a quali condizioni mi si vuol dare la pace.»

Le condizioni di sir Robert Napier si limitarono alla seguente: Resa a discrezione; e l’unica promessa fu che la vita del re sarebbe stata salva.

Verso mezzogiorno i due ambasciatori lasciarono il nostro campo; non troppo soddisfatti, in verità, giacchè temevano che la risposta di cui erano latori attirasse una decisione terribile da parte del Re. Quest’ultimo infatti nel leggere la risposta di sir Robert proruppe in un accesso di sdegno, e i prigionieri credettero, per un momento, che l’ultima ora fosse suonata per loro. Ma quale [p. 46 modifica]non fu la loro sorpresa nel sentirsi dire, poche ore dopo, che erano liberi! Naturalmente non se lo fecero ripetere e scesero la sera stessa al campo inglese.

12 aprile. — La giornata del 12, giunsero al comandante in capo 1500 capi di bestiame, mandati dal Re in segno d’amicizia: ma anche questo tentativo fu respinto con isdegno.

Ridotto a tal punto, sembra che il Re abbia radunata la sua armata, e annunciato a tutti che chi non era pronto a morire con lui era libero d’andarsene. Poco più di cento risposero all’appello: tutti gli altri scesero la mattina del giorno dopo al campo inglese e, deposte le armi, furono lasciati in libertà.

13 aprile. — A mezzogiorno dello stesso 13, scadeva il tempo concesso al Re per decidersi: e sir Robert Napier, non vedendo giungere sino a quell’ora alcun messaggero di Teodoro, ordinò alle truppe di avanzarsi. Poche compagnie di fanteria inglese (45°) stese in cacciatori, e seguite a distanza dal resto della divisione formato in colonna, si avanzarono fino alla cresta che unisce le alture di Salassie e di Falla, e poterono scorgere di là pochi uomini del Re, occupati a ritirare verso Magdalà alcuni dei sette pezzi che il giorno 10 avevano fatto fuoco da Falla. Sorpresi ed assaliti, gli abissini abbandonarono immediatamente i loro cannoni e si ritirarono verso Magdalà, non senza però lasciare lungo la strada qualche morto e qualche ferito.

Il generale Staveley comandante la divisione, fece allora avanzare tutta l’artiglieria (2 batterie di montagna, 1 di racchette, 4 pezzi Armstrong da 12, e 2 mortai da 8 pollici), le fece prendere posizione sulla cresta stessa e poco sotto, e ordinò che si cominciasse il fuoco contro Magdalà. Mentre si stavano prendendo le disposizioni necessarie per l’esecuzione di un tale ordine, alcuni pochi impazienti si spinsero innanzi e voltati contro Magdalà i cannoni stessi [p. 47 modifica]di re Teodoro, li caricarono colle loro stesse munizioni e fecero fuoco.

Il primo colpo di cannone era stato sparato verso le due dopo mezzogiorno; e alle quattro, vale a dire dopo due ore di fuoco inteso principalmente a incuter timore ai pochi difensori rimasti, fu deciso di mandare la fanteria all’attacco.

Re Teodoro che, durante il combattimento, era rimasto coi suoi pochi fedeli al piede della salita di Magdalà, visto avanzare la fanteria andò a porsi al riparo dietro il primo muro, chiudendo con pietre l’entrata della barriera; la fanteria inglese gli tenne presso e non si fermò più se non entro Magdalà stessa.

Giunti sul primo scalino sotto il fuoco debolissimo ed incerto dei pochi difensori, e trovato ingombro il passaggio della barriera, gli attaccanti si gettarono un po’ a destra e in pochi minuti riuscirono ad aprire nel muro una breccia. Teodoro visto invasa la prima linea, senza quasi opporre resistenza, corse a ripararsi dietro la seconda, ma non abbastanza in tempo da poterne impedire l’ingresso alla colonna irrompente degli assalitori. Costoro, giunti entro Magdalà, non si trovarono più innanzi che pochi fuggiaschi: un ufficiale si diresse immediatamente alla capanna che gli era stata indicata come residenza del Re; ma, in quel frattempo una donna abissina chiamava l’attenzione di un soldato inglese su un cadavere che giaceva non lungi dalla barriera, gridandogli a più riprese: Negus! Negus!

Era infatti il cadavere del Re, il quale, ferito ad una gamba, aveva però voluto assistere sino all’ultimo allo svolgimento del dramma, e visto perduta ogni cosa, s’era dato la morte, scaricandosi una pistola in bocca.

Sopraggiunsero, più tardi, il generale Wilby comandante la 2ª brigata, e non so chi altri, a mettere un po’ d’ordine nei vincitori, i quali, eccitati da certi discorsi di [p. 48 modifica]tesori nascosti, si erano sparpigliati un po’ dappertutto a verificarne l’esattezza.

Verso le sette di sera, tutto era finito, e le tende del 4° reggimento fanteria si rizzavano già sul pianoro di Magdalà.

Al piede della salita, e dentro la prima linea, furono trovati parecchi morti e feriti abissini: alle truppe inglesi questa vittoria così completa, così importante, non era costata che 10 feriti!

14 aprile. — Il giorno susseguente 14 fu passato a riconoscersi; novanta e più capi abissini, già prigionieri di re Teodoro in Magdalà, furono liberati: la regina, i servi del Re e tutte le famiglie dell’armata (20 mila persone circa che durante i combattimenti erano state accampate sull’altura di Salassie e nella piana di Islamghi) ricevettero ordine di ritornare ai loro paesi: fu stabilito entro Magdalà una commissione così detta del Prize Money, incaricata di raccogliere tutto il buono che vi si trovava per venderlo poi all’incanto agli ufficiali dell’armata e costituire così un fondo di premio per la bassa forza; il cadavere del Re, lasciato alle cure della regina e dei suoi servi, fu sepolto verso la sera di quel giorno nel corridojo interno della chiesa di Magdalà.

I cannoni di Teodoro erano in parte a Falla, in parte abbandonati sulla strada, e in parte sulla pianura d’Islamghi; gli affusti, pesanti e tagliati un po’ rozzamente, erano però di ottimo modello, e, quanto alle bocche a fuoco, eccone la nota favoritami dal segretario militare di S. E. il comandante in capo.

24 cannoni di bronzo di diversi calibri tra i 2 e i 7 pollici.

4 piccoli cannoni in ghisa di 2 pollici di calibro.

9 mortai di bronzo di diversi calibri tra i 3 e i 20 pollici.

Tutti i mortai erano stati fabbricati nel paese, e alcuni [p. 49 modifica]di essi portavano inscrizioni amariche nitidissime: il meglio fuso era il mortaio da 13 pollici.

Quattro dei cannoni erano pezzi d’artiglieria turca di campagna: due erano inglesi, gettati a Cassipore presso Calcutta, e regalati già al re di Scioha da Harris: due erano francesi di vecchia data.

Tutti erano in buono stato di servizio, eccetto uno dei tre più grossi che era scoppiato a Falla, nell’azione del 10 aprile. Le scatole di mitraglia contenevano palle e segatura di ferro, cementata insieme con sterco bovino: furono trovate fucine inglesi di diverse sorta.

15 aprile. — Quando il giorno 15 io mi recai a Magdalà, i pezzi erano ancora dov’erano stati trovati; ma un ufficiale d’artiglieria con alcuni pochi soldati procedeva, appunto allora, a far scoppiare le canne e ad abbruciare gli affusti.

La strada dal campo inglese a Magdalà era ancora coperta da cadaveri di muli e cavalli; e quel giorno ancora alcuni soldati inglesi erano occupati nel primo campo di re Teodoro sotto l’altura di Salassie ed abbruciare i cadaveri delle vittime del 10.

Un orribile puzzo mi colpì ad un tratto nella pianura di Islamghi: avvicinatomi all’orlo del precipizio dalla parte occidentale della pianura, un orribile spettacolo mi si offrì allo sguardo: erano cadaveri ignudi con mani e piedi legati da catene in un gruppo solo che giacevano a mucchi ai piedi di quelle roccie: quegli sgraziati, un 300 circa tra uomini e donne, e per la maggior parte Gallas fatti prigionieri in guerra, avevano fornito l’ultimo tema al feroce genio inventivo di re Teodoro; il quale, appunto una settimana prima, li aveva fatti condurre presso al precipizio, e fattili legare a quel modo, s’era divertito a scannarli di propria mano e poi farli ruzzolare giù per quelle roccie.

A Magdalà era dappertutto un grande affaccendarsi dei [p. 50 modifica]membri della commissione per il Prize-Money, a frugare e rovistare per tutte quelle capanne, onde raccogliere e classificare tutto quanto vi si trovava: il quartiere dei prigionieri (e per quartiere intendo un gruppo di capanne circondato da siepe) era stato vuotato in tempo dagli interessati: il quartiere dove aveva abitato il Re colle sue donne era stato, sino dal primo giorno, il punto di mira dei vincitori e non offriva più nulla, fuorchè le pareti; ma in compenso rimaneva ancora intatto l’arsenale o tesoro del Re. Cinto anch’esso da siepe, si componeva di una ventina circa di capanne, tutte piene zeppe di provviste d’ogni genere gettate là alla rinfusa: tappeti di Persia usati, armi a fuoco portatili, ogni modello, da quelle a focaia sino a quelle caricantesi per la culatta, non esclusa una carabina revolver; lancie e scudi a profusione; ornamenti ed arredi sacri in argento e rame, malconci e sformati; croci di ottone d’ogni dimensione a centinaia, libri amarici a mucchi, gingilli di metallo da appendersi alle testiere dei cavalli, due mitrie dell’Abuna, polvere e munizioni d’ogni sorta, un quadro della Madonna di autore europeo, degli specchi, bicchieri d’osso di corno a bizzeffe, fiaschi e bicchieri di vetro d’ogni forma e d’ogni colore... insomma una raccolta da disgradarne il ghetto meglio fornito: mi ricordo persino d’aver visto un paio di pantofole in lamina d’argento, tempestate, verso la punta, da vetri di colore rappresentanti pietre preziose!

Non volli scendere al campo senza prima aver visto la chiesa era anche questa, come tutte le altre da Antalo in poi, a base circolare e tetto conico, con un tamburo interno in muratura che contiene il santuario, e un corridoio che gira tutt’intorno al tamburo. Le pareti del corridoio erano affatto nude di dipinti, ma, in compenso, presso la porta della chiesa era sospesa ad una trave, sostenuta da due pali, una campana in bronzo; la prima che mi capitava vedere in Abissinia. [p. 51 modifica]

Il cadavere del Re era stato sepolto ventiquattro ore prima in una fossa scavata nel corridoio interno della chiesa.

Ritornato al campo, seppi che il possesso di Magdalà, offerto da prima a Gobuziè Principe di Lasta, era stato da questi rifiutato, e che, offerto poscia, alla regina di una vicina tribù di Gallas, era stato subito accettato.

La questione politica circa la successione di re Teodoro sembra lasciata intatta, o, per meglio dire, sembra lasciata in pasto alle ambizioni dei diversi capi abissini.

Il giovane figlio di re Teodoro, piccolo selvaggio dalla faccia insignificante, sarà condotto in Inghilterra e quivi educato per conto del governo inglese.

16 aprile. — Il giorno 16 la valle del Bascilo e la salita all’altipiano di Talanta offrivano lo spettacolo più curioso e in pari tempo più triste: venti mila indigeni, per la maggior parte donne, vecchi e bambini, si accalcavano su quella strada, laceri, piangenti, affamati, offrendo allo sguardo tutta la immensa varietà delle miserie umane. Erano i rimasugli dell’armata di re Teodoro, erano le famiglie dei soldati che avevano seguito sino all’ultimo la fortuna del Re; camminavano carichi delle loro poche masserizie, e spingendosi innanzi a grande stento un numero sterminato di muli e somari, pur carichi. Le fatiche di quella marcia e il calore eccessivo della giornata avevano posto il colmo a privazioni e dolori sopportati da Dio sa quanto tempo; e si vedevano, ad ogni tratto, piccoli gruppi di famiglie intere staccarsi dalla strada per trascinarsi fin sotto un albero e implorare di là con grida e con pianti la pietà dei compagni e il refrigerio di un po’ d’acqua: quà e là era qualcuno che moriva e i parenti gli si accalcavano intorno, coprendo coi loro urli i suoi ultimi gemiti, strappandosi i capelli, battendosi il petto con pietre; dappertutto era un gridare, un chiamarsi, un piangere continuo. In certi punti della strada la folla [p. 52 modifica]era talmente compatta, che era affatto impossibile aprirsi un varco, e bisognava aspettare: le esalazioni che emanavano da quei corpi e dalla carne cruda che portavano tra le loro provviste erano qualcosa d’asfissiante: uno di loro mi passò daccanto portandosi sulle spalle una coscia, strappata allora allora dal cadavere di un mulo!

Per completare la scena, le montagne vicine si coprivano di tratto in tratto di Gallas, venuti per vendicare su questi sgraziati il sangue dei loro fratelli, rimasti vittime delle crudeltà di re Teodoro: la confusione e le grida erano allora qualcosa d’indescrivibile, e i distaccamenti di truppa che percorrevano la strada, con incarico di proteggere gli emigranti, erano costretti a far fuoco per tener lontane quelle orde. Nella valle del Bascilo la batteria di campagna dovette sparare a mitraglia.

Riposatosi un giorno sull’altipiano di Talanta questo immenso sciame di gente, si pose di nuovo in moto per attraversare il Gidda e raggiungere l’altipiano di Wadela: erano, per la maggior parte, nativi di Debra Tabor e Gondar, e si avviavano verso le rovine di quelle due città.

17 aprile. — Il giorno 17, dal campo di Talanta potei godere lo spettacolo di Magdalà in fiamme: il generale in capo aveva ordinato che si abbattessero le due barriere in muratura, che si desse fuoco alle capanne e che si distruggesse ogni vestigia di quella sentina d’iniquità: aveva solo raccomandato che si risparmiasse la chiesa, ma fu impossibile il deviarne le fiamme; e così, forse già a quest’ora, nessuno sa più indicare dove riposino le ceneri di quell’uomo che, per tanti e tanti anni, agitò e sconvolse l’Abissinia intera e attirò a sè, per qualche tempo, anche gli sguardi di Europa.

Note

  1. Specie di birra fatta con orzo e miele.