La spedizione inglese in Abissinia (1869)/III

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III.

IL LAGO ASCIANGHI E GLI ALTIPIANI DI WADELA E TALANTA.

4 marzo. — Oggi alle 11, col reggimento Scinde Horse lasciamo il campo di Boyah, precedendo di un giorno tutto il resto dell’armata, e ci avviamo a Mösghi; la strada militare offre un passaggio comodissimo e potrebbe anche permettere il transito di vetture. Il terreno che attraversiamo presenta gli stessi caratteri di quello che lo precede; [p. 28 modifica]scesi poscia nella valle di Mai-Mösghi, ci troviamo in un largo bacino circolare, da dove s’alzano verso mezzogiorno e levante i monti altissimi che formano il versante meridionale della valle, e costituiscono il gruppo del Monte Alatgi; un torrente con acqua buona e abbondante attraversa quel bacino, e scorre ai piedi del nostro campo.

La marcia non è durata che due ore e mezzo.

5 marzo. — Un sentiero, appena praticabile alle bestie da soma, rimonta la valle stessa di Mai-Mösghi e conduce, dopo due ore circa di cammino, a Gurrub-Dich-Dich: da quel punto la valle comincia a restringersi e il sentiero si perde ben presto nel letto angusto e roccioso del torrente: gli alberi e i cespugli che lo fiancheggiano sempre, e talvolta lo coprono coi loro rami, rendono la marcia assai penosa, e bastano appena a compensarne la fatica, le stupende bellezze di quelle gole la natura della valle, ora selvaggia, ora coperta di verdura e di boschi foltissimi di olive e di acacie: verso le sei di sera ci fermiamo ad una località detta Masnà e vi stabiliamo il campo.

6 marzo. — Da Masnà, continuando sempre per la stessa valle, si giunge, dopo due ore circa di salita attraverso boschi foltissimi di ginepri, sulla cresta della gran catena, ad un colle, la cui altezza sopra il livello del mare è valutata a 3000 metri circa. In questa regione della catena non esiste altipiano alcuno, e dal colle stesso, al quale siamo giunti rimontando un affluente del Takazze, si scende subito in una delle valli che conducono al Mar Rosso. La strada che noi dobbiamo tenere per recarci ad Atsala volge allora a destra, segue per un buon tratto il ciglio orientale della cresta, e giunta ad un altro piccolo colle, attraversa nuovamente la catena per scendere poi, lungo un burrone, nella valle stessa dell’Atsala; essa via, quasi impraticabile sino questo punto, quivi si converte in una buona strada mulattiera che, seguendo la riva destra del fiume per circa due ore, conduce finalmente al piede della [p. 29 modifica]falda meridionale del monte Alatgi. Noi allora attraversiamo il fiume e andiamo a stabilire il nostro campo ai piedi di un meschino villaggio, in un rientrante che forma ivi il versante sinistro della valle.

Partiti verso mezzogiorno dal campo di Masnà, giungevamo al nuovo campo verso le 8 di sera. Nulla di più grandioso e più imponente dello spettacolo che abbiamo goduto quest’oggi dalla sommità della cresta. Da tutti i lati, punte altissime e bizzarre, contrafforti che si staccano in tutte le direzioni e s’incrocicchiano in tutti i sensi, valli profonde e lunghissime; ad oriente, e proprio ai nostri piedi, la pianura immensa dei Gallas, e, più in là, i monti Zobul che la interrompono.

7 marzo. — La strada di ieri e dell’altro ieri era veramente un po’ al di sopra di ciò che si può esigere da muli e da cavalli: e queste due marcie hanno costato al nostro reggimento, Scinde Horse, sei cavalli sopra 153 e quattro bestie da carico. Il convoglio poi del bagaglio, partito ieri da Masnà alle una dopo mezzogiorno, non ci ha raggiunti che 26 ore dopo, passando per peripezie di ogni sorta.

Sembra ora che si sia trovata un’altra strada per giungere a questo campo, attraverso il gruppo del Monte Alatgi; le difficoltà del terreno vi sono di poco inferiori a quelle della strada che abbiamo percorsa noi stessi; ma vi sono molto meno alberi da tagliare, e si evita oltracciò un lunghissimo giro. — I lavori dei pionieri si porteranno, ad ogni modo, su quest’ultima strada, che sarà quella seguita dal resto dell’armata.

Tra i monti che sovrastano a questa valle dell’Atsala, e proprio alle spalle del nostro campo, sorge il picco dell’Alatgi, alto più di 3000 metri sopra il livello del mare. Presso la sommità di quel picco, il governatore del Woggerat possiede un amba, ossia una specie di castello fortificato, dall’alto del quale alcuni pochi soldati hanno la [p. 30 modifica]consolazione di dominare tutto il territorio del loro signore; quest’ultimo, già partigiano di re Teodoro, poi amico del principe di Tigré, ed ora oscillante tra l’uno e l’altro, ha intimato a’ suoi sudditi di non vender nulla agl’Inglesi e di lasciarli morir di fame. Ma l’amore dei talleri supera, a quanto pare, nell’animo di questa gente l’influenza degli ordini sovrani, e le provviste di farina ed orzo arrivano ogni giorno in abbondanza.

15 marzo. — Le difficoltà della strada hanno ancora fermato l’armata per alcuni giorni, ed oggi soltanto sono giunte le truppe colle quali dobbiamo procedere innanzi.

16 marzo. — Attraversate due valli parallele a quella dell’Atsala, dalle pareti altissime e rocciose, ci troviamo ad un tratto in una valle del versante orientale della gran catena. Da quanto posso discernere in mezzo ad un labirinto di piccoli contrafforti e di burroni che si intrecciano in tutti i sensi, la cresta della gran catena fa in questo punto un brusco giro; lascia, cioè, la direzione nord-sud, seguita press’a poco sinora, s’interna per un tratto verso levante, e torce poi nuovamente a mezzogiorno, per andare a formare la parete occidentale del lago Ascianghi.

La vegetazione è in questa regione un po’ più ricca che nelle precedenti; abbondano gli alberi, e l’acqua.

Dopo otto ore di marcia, giungiamo a Machàn e vi stabiliamo il campo.

17 marzo. — Quest’oggi riposo: due compagnie del 33° di fanteria sono partite, per lavorare alla strada che dovremo percorrere domani.

Il nostro campo è stato oggi rallegrato dalle melodie di tre indigeni allievi d’Orfeo: uno d’essi ci riempì gli orecchi per un’ora almeno col canto di una canzone, il cui tema principale doveva essere Magdalà e il suo Sultan, accompagnandosi con un fac-simile di violino dalla cassa di carta pecora e munito di una corda sola; gli altri due, più modesti, non fecero che suonare, vale a dire, soffiare [p. 31 modifica]entro certe trombe di legno strettissime e lunghissime che ricordavano quelle che si sogliono attribuire, in certi quadri, agli angeli del giudizio universale. Tutti e tre furono condotti dal generale in capo, il quale uscì espressamente dalla sua tenda per ascoltarli a miglior agio, e mostrò di divertirsene.

18 marz. — Le vallate, che abbiamo percorso quest’oggi per giungere nel bacino del lago Ascianghi, sono forse le più belle che abbiamo visto sinora. La strada mulattiera che le attraversa, quasi comodamente praticabile in tutta la sua lunghezza, s’inoltra in mezzo a boschi foltissimi di ginepri e di acacie, solcati qua e là da piccoli corsi d’acqua e interrotti di quando in quando da larghi spazi scoperti, da dove s’offre allo sguardo ora quel vasto imbroglio di monti e colline, ora la pianura dei Gallas, ora la lontana catena dei monti Zobul. — Quelle gole stupende, quelle roccie a picco che s’innalzano sopra grandi strati dalle ondulazioni larghissime, quei boschi, mi fecero ricordare i nostri Appennini.

La vista del lago, dal colle per il quale si penetra nel suo bacino, è veramente deliziosa: ma la vasta pianura quasi arsa che lo limita a settentrione e ad occidente, e le pareti quasi nude dei monti che lo circondano da tutte le parti, fanno ben presto sparire l’effetto di quella prima impressione, e si è costretti di convenire che i nostri laghi dell’Alta Italia non meritano davvero l’umiliazione d’essere paragonati con questo.

Tutto intorno al lago, mezzo nascosti nei ripieghi dei monti, o graziosamente collocati sulle sommità delle alture, sono stabiliti numerosi villaggi; le case a base circolare e tetto conico non differiscono da quelle che abbiam viste sinora se non in ciò che per la maggior parte sono costrutte di legno.

La popolazione, malgrado la vicinanza dei Gallas, dei quali gli Abissini, da Antalo in poi, hanno una paura non [p. 32 modifica]indifferente, dev’essere qui più abbondante che altrove; e non ci successe mai di vedere riuniti sul nostro passaggio così gran numero di indigeni.

Il lago, con bacino elittico, il cui asse maggiore misura cinque o sei chilometri ed il minore tre o quattro, abbonda di anitre; ma la caccia ne è difficilissima a causa del terreno paludoso che lo circonda, e più ancora a causa di certe fessure nelle quali si può sparire senza speranza alcuna di poterne venir fuori, come successe appunto, dicono gli indigeni, a 300 Gallas venuti due mesi or sono per saccheggiare; vi sono oltre a ciò dei rettili della famiglia dei coccodrilli, ai quali certamente non conviene troppo avvicinarsi.

Non una sola barca viene a dar vita alla scena.

20 marzo. — Alle 7 del mattino lasciamo il campo presso il lago Ascianghi e due ore dopo giungiamo a Messaguta; la strada costeggia per un poco il versante occidentale del bacino del lago, si inoltra poscia nell’interno, onde evitare un picco che sporge nel lago e ritorna da ultimo a costeggiarne la riva presso la sua estremità meridionale. — Attraversato quindi un bassissimo colle, esce finalmente dal bacino ed entra nella valle di Messaguta.

22 marzo. — Alle 7 ci mettiamo in moto: superata una valle parallela a quella di Messaguta e appartenente, al par di essa, al versante orientale della gran catena, ci troviamo ad un tratto sulla cresta principale. Dopo quattro ore di marcia scendiamo finalmente nella valle di uno degli affluenti del Takazze e andiamo a stabilire il campo dirimpetto al villaggio di Arancuà, nel territorio di Lat.

La strada che abbiamo percorsa, difficile solo in alcuni punti, era in generale comodamente praticabile; il terreno quasi tutto roccioso, e solo coperto di cespugli.

Verso sera, vengono pubblicati diversi ordini riguardanti una nuova distribuzione della forza in due brigate, [p. 33 modifica]e una momentanea abolizione del bagaglio per le marcie sino a Magdalà.

Non si avranno più tende che in ragione di una ogni 12 ufficiali, e una ogni 20 uomini di bassa forza; e il bagaglio sarà ridotto alle semplici coperte di lana, per ripararsi durante la notte.

23 marzo. - Lasciamo il campo di Lat alle 8 del mattino, e rimontando il versante meridionale della valle, giungiamo ben presto sulla cresta della catena principale. Dopo aver attraversato un terreno montuoso complicatissimo, andiamo a stabilire il campo nella valle di Mai-Raua, altro degli affluenti del torrente Tsellari.

24 marzo. — Lasciamo la valle di Mai-Raua alle 8 ant. e dirigendoci verso mezzogiorno, attraversiamo un lungo tratto di terreno montuoso, coperto quà e là di boscaglie, coltivato di quando in quando, abbondante di corsi d’acqua e popolato da numerosi villaggi.

Alle 6 di sera, giungiamo al campo di Dildi non lungi dalle sorgenti del torrente Tsellari; e poco dopo il nostro arrivo siamo sorpresi da un forte temporale che, unito all’oscurità della notte, viene a mettere non poco disordine nella lunga fila di muli e di truppe rimaste indietro sulla strada durante la faticosissima marcia: da informazioni giunte questa sera stessa, sembra risultare che re Teodoro voglia aspettarci al passaggio del Bascilo.

26 marzo. — Alle 7 del mattino ci mettiamo in marcia e rimontando la stessa valle del campo di Dildi, giungiamo ben presto alle sorgenti del torrente Tsellari; a questo punto si stacca dalla gran catena nella direzione di N. O. il contrafforte, sul cui versante meridionale si appoggiano le sorgenti del Takazze. Attraversiamo quel contrafforte ad un colle, la cui altezza sopra il livello del mare è calcolata a più di 3200 metri, e ci fermiamo poco dopo in una località detta Uöndöcc alla testa della valle di uno dei primi affluenti del Takazze. [p. 34 modifica]

Appena giunti, siamo visitati da un temporale con acqua fortissima e gragnuola.

27 marzo. — Lasciamo alle 9 del mattino il campo di Uöndöcc: e scendiamo la valle, costeggiando il suo versante destro e lasciando sulla nostra dritta il gruppo del monte Lalibela; dopo tre ore di marcia, ci fermiamo in una località detta Muggia e vi ci accampiamo.

28 marzo. — Eccoci finalmente nella valle del Takazze ed eccoci sulla riva sinistra del fiume al piede dell’erta salita che conduce all’altipiano di Wadela.

29 marzo. — Alle 7 del mattino lasciamo la valle del Takazze, e dopo due ore di salita giungiamo al ciglio dell’altipiano presso il campo di Santara. Ecco di nuovo i grandi bacini di pianura leggermente ondulata e perfettamente scoperta, interrotti da alture rocciose isolate.

Poco dopo il nostro arrivo, tutto il campo era in gran movimento per un meeting che doveva aver luogo la mattina stessa tra il generale in capo e uno zio materno del Principe di Lasta: ben presto infatti le alture che dominano il campo si coprivano ad un tratto di un nugolo di cavalieri abissini, e un piccolo drappello si staccava poco dopo da quella massa confusa per dirigersi alle nostre tende. Era il principe che, lasciato sulle alture il grosso del suo seguito, si rendeva all’abboccamento, accompagnato dal signor Munzinger, speditogli già come ambasciatore. Accolto dal maggiore Grant all’entrata del campo, e ricevuto cogli onori militari, fu condotto alla tenda del generale Merewether e da quest’ultimo presentato poi al generale in capo.

Mentre da una parte e dall’altra si stavano scambiando le solite proteste d’amicizia, tutti gli ufficiali si affollavano intorno ad un giovane scudiero del seguito del principe, per ammirare un elegantissimo scudo, tutto velluto, oro e pietre preziose, dal quale pendeva, a guisa di fascia, una chioma di leone pure intrecciata in oro, presente di re Teodoro al principe e ricordo di altri tempi. [p. 35 modifica]

L’abboccamento fu breve, perchè il principe aveva premura di recarsi a combattere alcuni capi villaggi rifiutatisi di pagare il tributo; il generale però ebbe tempo di far aggradire un cavallo, un fucile e due tappeti al suo principesco visitatore; dopo di che quest’ultimo saltò lestamente a cavallo, e seguito dai suoi quattrocento cavalieri scomparve ben presto dallo sguardo.

La temperatura è assai rigida su questo altipiano, la cui elevazione sul livello del mare è di circa 3000 metri, e questa mattina il termometro è sceso sotto lo zero 1.

31 marzo. — Alle 7 del mattino, lasciamo il campo di Santara, dirigendoci verso Sud-Ovest, lungo lo stesso altipiano: continua la solita successione di bacini e di piccole alture rocciose, e lo stesso terreno perfettamente nudo e privo d’acqua. Ci fermiamo dopo quattro ore di cammino, stabilendo il campo in un vastissimo tratto di pianura denominata Gazo.

1 aprile. — Ci mettiamo in moto alle 8 del mattino, e continuando lungo l’altipiano, nella stessa direzione di S. O., giungiamo dopo due ore di cammino al campo di Addì Kum, vasto bacino di pianura non lungi dal villaggio dello stesso nome.

Il terreno presenta sempre gli stessi caratteri, ma nel tratto che abbiamo percorso quest’oggi i villaggi sono più numerosi, e qualche raro albero viene a rompere quà e là la monotonia del paesaggio.

2 aprile. — Una breve marcia conduce al campo di Sindi poco lungi dal ciglio meridionale dell’altipiano. [p. 36 modifica]

3 aprile. — Quest’oggi riposo: sei compagnie di pionieri sono partite stamane da questo campo di Sindi, per riconoscere ed accomodare la strada che conduce al torrente Gidda.

Due compagnie di fanteria e una batteria di montagna partiranno poi nella giornata, per andare a prendere posizione sull’altipiano di Talanta al di là del torrente Gidda e coprire all’occorrenza il passaggio del resto dell’armata.

Ieri sera abbiamo avuto nel campo un po’ di chiasso e d’emozione. Un capo-distretto, di ritorno verso l’imbrunire da una visita a Sir Robert Napier, si dirigeva allegramente, coi suoi duecento cavalieri di scorta, verso i villaggi circostanti, onde passarvi la notte; volle il caso che la comitiva passasse un po’ troppo vicino agli avamposti della seconda brigata, accampata ad Addì-Kum. Le vedette inglesi, come era loro dovere, vedendo passare gente armata, e non sapendo nulla del resto, diedero l’allarme e fecero avanzare l’intiero picchetto; ma i cavalieri abissini non cessarono per questo di avanzarsi, e alcuni di essi si spinsero anzi al galoppo verso il campo inglese agitando nell’aria, quasi in segno d’allegria, le loro lancie. Il picchetto d’avamposto credendosi attaccato, fece fuoco e caricò e ne nacque un tafferuglio, che finì però ben presto col ritirarsi degli Abissini. Due o tre di questi ultimi furono visti cadere feriti, e il generale in capo, avvertito della cosa, spedì stamane un medico dell’armata a farne ricerca: ma ne fu trovato uno solo che fu immediatamente trasportato al nostro campo e ricoverato in una tenda-ospedale. Il capo Abissino capì o finse capire che la cosa era successa per isbaglio, e tutto sembra ora finito per il meglio.

4 aprile. — Due ore di marcia ci conducono dal campo di Sindi al ciglio meridionale dell’altipiano di Wadela al punto dove viene ad incontrarlo la strada reale tra Gondar e Magdalà. Seguendo quella strada scendiamo allora nel [p. 37 modifica]letto del torrente Gidda, e rimontando poscia l’altro versante della valle, giungiamo sull’altipiano di Talanta.

La discesa e la salita, lunghissime e in certi punti assai ripide, sono state oltremodo faticose; e le truppe partite alla mattina alle 7, sono giunte al nuovo campo tra le 6 1/2 e le 10 di sera, digiune, e colla bella prospettiva di doversi coricare senza prendere alcun cibo, giacchè i viveri e le tende non arrivarono che a notte inoltrata.

Il generale in capo, col quale abbiamo l’onore di trovarci poco dopo il nostro arrivo al campo, ci dice di aver portate le truppe sin sull’altipiano di Talanta e d’averne voluto assicurare il possesso, in seguito a notizia, ricevuta durante la marcia, che re Teodoro aveva passato il Bascilo per venirci incontro.

Presso il ciglio dell’altipiano di Wadela e lungo la strada che conduce a questo campo, sono ancora fresche le traccie del passaggio di Re Teodoro; gourbis2 mezzo disfatti, alberi troncati, paglia da lettiera, pietre annerite dal fuoco delle cucine, cadaveri di quadrupedi, vi annunciano, ad ogni passo, il lungo soggiorno dell’armata del Re, cagionato dalle difficoltà della costruzione della strada; nè mancano, a completare il quadro, i soliti villaggi distrutti e i campi abbruciati.

La strada costrutta da re Teodoro nelle due pareti della valle per il passaggio dei suoi cannoni, è generalmente larga e in alcuni punti assai comoda; ma in alcuni altri le pendenze sono troppo forti e ben difficili a superarsi; grandi argini di pietra sono stati necessari nella parete destra della valle, onde sostenere il terreno bene spesso franoso, e in più d’un luogo sono visibili le mine impiegate per vincere la resistenza delle roccie; si vede che re Teodoro ha avuto a sua disposizione gran tempo e gran numero di braccia; ma certamente gli è mancato l’assistenza di un ingegnere di ponti e strade. [p. 38 modifica]

7 aprile. — Le truppe destinate alle operazioni contro Magdalà sono ora radunate tutte su questo altipiano di Talanta formate in una divisione attiva (a due brigate) della forza complessiva di quasi 5000 uomini. — Vi si contano:

1750 uomini circa di fanteria inglese,
100 » » di cavalleria inglese,
450 » » di artiglieria inglese, con 30 bocche a fuoco, comprese le racchette,
1600 » » di fanteria indiana,
1000 » » di cavalleria indiana.

Tutti gli altri combattenti dell’armata di spedizione (1000 circa di truppe inglesi e 6000 di truppe indiane) non che 26,000 circa tra camp followers, mulattieri ed impiegati, sono distribuiti nelle trenta stazioni tra Zula e Magdalà, od in marcia da un punto all’altro per la scorta dei convogli.

Una delle ragioni principali dell’aver lasciato indietro un numero così grande di truppe indiane vuolsi cercare nelle difficoltà del mantenerle, e negli imbarazzi creati all’amministrazione dell’esercito in marcia da certi pregiudizi di casta e di religione affatto speciali agl’indiani.

Una volta gli uomini del reggimento Scinde Horse, quasi tutti maomettani, rimasero quattro giorni senza mangiare carne: e perchè? Perchè al Commissariato non esisteva un macellaio maomettano, e nel reggimento non vi era nessuno, a cui la sua casta permettesse di abbassarsi sino ad ammazzare un bue: ora la legge di Maometto proibisce ai suoi seguaci di mangiare la carne di un animale che non sia stato ucciso da un loro correligionario!

Pochi giorni or sono, essendo scarsa la farina, il comandante in capo aveva ordinato che venisse distribuito del pane d’orzo fabbricato nel paese: ma i buoni cavalieri [p. 39 modifica]del Scinde, invece di mangiarlo, lo gettavano ai cavalli, perchè lavoro di mani più o meno cristiane, quindi infedeli...

Altra volta, era stato dato ordine che, dopo il tramonto del sole, tutti i fuochi del campo fossero spenti; ma i nostri bravi mussulmani si trovavano appunto allora in quell’epoca dell’anno (il Ramazan), durante la quale il Profeta proibisce di cibarsi, mentre il sole è ancora sull’orizzonte; e, per non lasciarli morir di fame, si fu costretti a ritirar l’ordine e permettere i fuochi anche di notte.

Ma su questo proposito sono ancora ben più curiosi gli Hindù; questi ultimi, divisi in cento sêtte e cento caste diverse, si rifiutano di aver comune il fuoco con chiunque non appartenga, non solo alla stessa setta, ma ben anche alla stessa casta; succede così che in uno stesso reggimento si vedono tanti fuochi, quanti sono gli individui che lo compongono; ognuno di questi ha il suo materiale di cucina, che custodisce gelosamente e con molta cura, e che getterebbe via immediatamente, se venisse a sapere che un infedele se n’è servito. Guai a coloro, massime se europei, che si avvicinano ad un Hindù occupato a far cucina! Mi diceva un ufficiale che quelli delle alte caste si considerano come polluti, se hanno mangiato cibo su cui sia passata l’ombra di un europeo. Gli Hindù tengono sacro il bue e non si cibano che di carne di montone, ammazzato, s’intende, colle loro mani: non bevono nè vino, nè liquori, ed hanno comune coi mussulmani il sacro orrore per qualsiasi cibo fabbricato da mani d’infedeli...

Peccato davvero, che quei pregiudizi facciano troppo forte contrappeso alle belle doti dell’indiano. Sobrio, paziente, duro alla fatica, nato apposta per servire ed ubbidire!

8 aprile. — Una cosa, alla quale nessuno s’attendeva e della quale possiamo ben chiamarci fortunati, è l’abbondanza delle provviste che si sono trovate in questa loca[p. 40 modifica]lità; presso il campo è stabilito un vero mercato: impiegati del Commissariato sono addetti, quali all’acquisto del grano, quali a quello della farina, del pane, della paglia e via via; e tutto il giorno è un viavai d’indigeni che vengono a scambiare i loro pochi prodotti coi talleri di Maria Teresa. Accanto al mercato che chiamerò ufficiale, vi è poi quello a beneficio dei privati: centinaia d’indigeni, seduti in terra in crocchi di quattro o cinque, hanno portato dai villaggi vicini uova, galline, burro, miele, pane, tela: e ufficiali e soldati inglesi ed indiani, camp-followers e mulattieri d’ogni paese, girano a frotte tra quei crocchi, quali comprando, quali curiosando, quali tentando conversazioni cogli indigeni.

9 aprile. — Le due brigate si riuniscono oggi in un campo solo, presso il ciglio meridionale dell’altipiano dirimpetto alle alture di Magdalà.

I due eserciti sono finalmente in vista l’uno dell’altro. Verso sera, ci si annuncia che la divisione passerà domani il Bascilo, ma che la cavalleria sarà lasciata sull’altipiano di Talanta, non essendo il terreno presso Magdalà favorevole ai movimenti di quell’arma: noi chiediamo allora di lasciare i Scinde Horse e otteniamo di seguire il 33° di fanteria inglese.

10 aprile. — Alle 10 del mattino la 2ª brigata, alla quale appartiene il 33°, si mette in moto, e, per la strada di re Teodoro discende al letto del torrente Bascilo, ove si ferma in attesa di ordini.

La 1ª brigata, partita dal campo di Talanta verso il far del giorno, ha continuato verso Magdalà.

Alle 4, il tuonar del cannone ci annuncia che le due armate si sono finalmente incontrate: e noi lasciamo subito il 33°, per correre sul luogo dell’azione.

Note

  1. Ecco l’altitudine sopra il livello del mare di alcuni fra i principali punti toccati dal Corpo di spedizione:
    Senafe 2341 m.
    Addì-Gherat 2360 »
    Boyah presso Antalo 1873 »
    Lago Ascianghi 2476 »
    Campo di Santara 3202 »
    Magdalà 2775 »
  2. Capannelle di frasche o di paglia per riparare i soldati dalle intemperie.