Le Nuvole (Aristofane-Romagnoli)/Prologo
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PROLOGO
Piazza. In fondo due case, a sinistra quella di Socrate, a destra quella di Lesina. Nell’interno di questa si scorge Tirchippide. che dorme avvoltolato in molte coperte. Lesina adagiato anche lui su un letticciuolo, si agita insonne.
lesina
Ahimè, ahimè, che affare lungo queste
notti, signore Giove! Non finiscono
piú. Quando mai si farà giorno? Eppure
ho inteso il gallo da un bel pezzo! E i servi
sotto a russare. Eh, un tempo non russavano!
Ti si pigliasse un accidente, oh guerra!
Per tante cause, e poi, perché non posso
piú castigare i servi! (Guarda il figlio) E questo bravo
ragazzo, lui, la notte non si sveglia,
ma tira peti, imbubbonito in cinque
coltri! Ma imbacuchiamoci, e russiamo:
cosa vuoi fare!
Tenta d’addormentarsi: poi si scuote improvvisamente.
Ah, poveretto me,
non ci riesco! Mi mordono i debiti,
la mangiatoia e le spese di questo
figliuolo! E lui va con tanto di zazzera,
marcia a cavallo, guida cocchi, sogna
corsieri! E io crepo, nel veder la luna
che s’avvicina al venti: e i frutti corrono!
Ad un servo.
Ragazzo, accendi il lume, e porta il libro,
che veda a quanti debbo, e faccia il computo
degl interessi. A quanto ascende il debito,
vediamo? — Dodici mine a Pascione!
Dodici mine a Pascione? Di che?
Perché le ho prese in prestito? — Ah, fu quando
comprai quel puro sangue! Poveretto
me! Ti fosse marcito avanti, il sangue!
tirchippide
s agita nel sonno, e grida.
Questa è soverchieria. Filone! Tieni
dalla tua mano!
lesina
Ecco, eccolo il malanno
che m ha dato il tracollo! Anche sognando
vede corse e cavalli!
tirchippide
Quanti giri
a quei carri da guerra, gli fai fare?
lesina
Tu ne fai fare giri, a questo babbo!
Oh via, quale su me debito incombe
dopo Pascione? — Tre mine per due
ruote e un biroccio a Benmiguardo!
tirchippide
Asciuga
sulla sabbia il cavallo, e riconducilo
a casa!
lesina
Tu m’hai rasciugato, bimbo!
Condanne, già n’ ho avute; e c’è chi vuole
sequestrarmi la roba!
tirchippide
destandosi.
Oh insomma, babbo,
perché t’angustii e ti rigiri tutta
la notte?
lesina
Fra le coltri c’è un... usciere,
e mi pizzica!
tirchippide
E lasciami dormire
un po, benedett’uomo!
Si riavvoltola.
lesina
Dormi pure!
Solenne.
Ma tutti questi chiodi ricadranno,
sappilo, sul tuo capo! — Accidentali!
Fosse pigliato un male alla mezzana
che mi spinse a sposar la mamma tua!
Io facevo la più gustosa vita
da contadino, sporco, sciamannato,
alla carlona, sempre in mezzo a pecore,
api, vinacce; e non vado a sposare,
cosi zotico, una di città?
Con enfasi comica.
La nipote di Mègacle, figliuolo
di Mègacle! — Ragazza tutta fumo,
sdilinquimenti, fronzoli. La prima
notte, ci coricammo, io, che sapevo
di mosti, fichi secchi, lane, grasce:
lei, di mirra, di croco, leccornie,
giuochi di lingua, sperperi, Cosciadi, ’
Genetillidi. In ozio, non ci stava:
macinar le piaceva; e col pretesto
di mostrarle la madia, io le dicevo:
«Tu, mogliettina mia, macini troppo!»
ROSSO
Nella lucerna non c’è olio!
lesina
Ahimè!
Perché m’ hai quella accesa, di lucerna?
Quella è una spugna! Vieni, che ti picchio!
ROSSO
Mi vuoi picchiare? Ma perché?
lesina
Perché
hai presi quelli grossi, di stoppini!
Ripigliando.
Quando poi nacque, a me e a quella brava
donna questo figliuolo, incominciammo.
per via del nome a leticare. Lei
ci appiccicava tanto d’ippo, al nome:
e Santippo, e Callippide, e Carippo;
io, poi, tiravo a quello di suo nonno:
Tirchino. La quistione andava in lungo;
alla fine, d’accordo, lo chiamammo
Tirchippide. — Ora, lei pigliava il bimbo
in collo, e gli faceva le moine:
«Quando tu sarai grande, e al par di Mègacle,
vestito da signore, guiderai
verso la rocca il cocchio!" E io dicevo:
«Quando tu guiderai come tuo padre
le capre per le balze, con un vello
sopra le spalle! » — Ma i discorsi miei
non li sentiva: ed attaccò la sua
cavallite ai miei beni. Adesso, dunque,
a furia di pensar tutta la notte,
ho trovato una via miracolosa,
che se questo s’induce ad infilarla,
mi salvo. — Prima, fammelo svegliare.
Come svegliarlo con le buone?... Come?...
Tirchippide! — Tirchippiduccio!
tirchippide
si desta. Durante la scena seguente, padre e figlio a mano mano
escono dilla casa, e si trovano in piazza.
Che c’è?
Babbo!
lesina
Baciami, e porgimi la destra!
tirchippide
Tehl- Che c’è?
lesina
Dimmi un po’: me ne vuoi, bene?
tirchippide
tende solennemente la destra Verso una statuetta di Posidone.
Su Posidone equestre io te lo giuro!
lesina
No, proprio no. su quello equestre! È lui
il Dio cagione delle mie sciagure!
Se m’ami, figlio mio, di vero cuore,
dammi un po’ retta.
tirchippide
Darti retta? E in che?
Aristofane - Commedie, II - 2.
lesina
Alla più svelta cambia vita, e vattene
ad imparare ciò ch’ io ti consiglio.
tirchippide
Che mi consigli, udiamo!
lesina
Obbedirai?
tirchippide
Si, giurabbacco, obbedirò.
lesina
Be’, guarda
qui. Vedi questa porticina e questa
casettina?
Indica la casa di Socrate.
tirchippide
La vedo. E che rob’è,
babbo, davvero?
lesina
È un pensatoio d’anirrre
sapienti. Qui dimorano certi uomini
che, ragionando, provano che il cielo ’
è un forno, e questo forno è intorno a noi,
e’noi siamo i carboni! E t’ammaestrano,
pagando, a vincer coi ragionamenti
le cause buone e le spallate.
tirchippide
E chi
sono?
lesina
Il nome preciso non lo so;
ma gente a modo, pensatori fini!
tirchippide
Ho capito! Puah! Furfanti sono!
Dici quei ciarlatani allampanati
e scalzi, che fra i loro contan Socrate
e Cherefonte...
lesina
Ehi, ehi, zitto 1 Non dire
corbellerie! Se a cuor ti sta la pappa
paterna, lascia perdere i cavalli,
e sii del loro numero!
tirchippide
( Neppure
se mi doni i fagiani, giurabbacco,
che mantiene Leògora!
lesina
Ti supplico,
oh il più diletto fra i mortali! Va’,
va’ ed apprendi!
tirchippide
E che cosa devo apprendere?
lesina
Presso costoro, dicono, ce due
ragionamenti: il buono, e quale sia
vattelapesca, ed il cattivo. Ed uno
d’essi, il cattivo, dicono, dà vinte
le cause più spallate. Se m’impari
questo ragionamento, lo spallato,
delle somme che debbo per via tua,
non ne restituisco un sol quattrino!
tirchippide
Non posso compiacerti. Con la cera
smunta, non oserei neppur levare
gli occhi sui cavalieri!
lesina
Ah, per Demètra,
quand’è così, non lo mangiate più
il pane mio, né tu, né la pariglia,
né il puro sangue! Ma ti metto fuori
di casa. — A quel paese!
tirchippide
Lo zio Mègacle
non mi ci lascerà, senza cavalli:
io di te me n’ infischio, e ti saluto!
Rientra e si rimette a dormire.
lesina
Io caddi, si, ma non ci resto, a terra!
Chiedo ai Numi assistenza, e me ne vado
al Pensatoio, ad imparare io stesso!
Esita.
Ma vecchio come sono, e smemorato
e tardo, come apprenderò quei trucioli
di discorsi sottili? — Andar bisogna! —
Ché sto qui a tentennare? Ché non picchio
a quest’uscio? — Ehi di casa! Brava gente!
Picchia all’uscio a più riprese. Viene fuori uno
SCOLARO DI SOCRATE
Chi è che picchia all’uscio? Alla malora!
lesina
i con molto dignità.
Lesina, figlio di Tirchino, del
comune di Cicinna!
scolaro
Oh zoticone,
ché scalci all’uscio in modo così poco
filosofico? M’ hai fatta abortire
una bella trovata!
lesina
Compatiscimi,
vivo laggiù in campagna! Ma raccontami
l’affare dell’aborto!
scolaro
Non è lecito
comunicarlo, meno che ai discepoli!
lesina
E allora, va’ pur franco! Io vengo, quale
mi vedi, al Pensatoio, per discepolo!
scolaro
Te lo dirò: ma bada, son misteri!
Testé Socrate chiese a Cherefonte
quanti piedi, dei suoi, saltati avesse.
una pulce, che, morso il sopracciglio
a Cherefonte, era zompata in capo
a Socrate.
lesina
Davvero? E come ha fatto
questa misura?
scolaro
In modo ingegnosissimo.
Ha fatto liquefare un po’ di cera,
e v’ ha tuffati i piedi della pulce.
Quando la cera congelò, la pulce
si trovò due scarpine alla persiana
ai piedi. E lui, sfilategliele, prese
la misura del salto.
lesina
Oh che po’ po’
di sottigliezza, affedidio!
scolaro
Lo vedi? —
E se ne udissi un’altra, una di Socrate,
delle trovate?
lesina
, Quale? Te ne supplico,
dimmela!
scolaro
Cherefonte il calabrone,
gli aveva chiesto come la pensasse,
se le zanzare cantan con la bocca
oppur col culo!
lesina
Senti! E che rispose
sulle zanzare, quello?
scolaro
Che il budello
delle zanzare è angusto; e così l’aria
vi s ingolfa e comprime, e va diritta
al coderizzo. E il culo poi, che termina
il budello ad imbuto, per la forza
del soffio, echeggia!
lesina
Ah! 11 cui delle zanzare
è una tromba! Com’entra nelle viscere,
beato lui, delle quistioni! Poco
ci mette, a farla franca, un imputato
che scrutina il budello alle zanzare!
scolaro
Ier l’altro, poi, per via d una tarantola?
gli è andata a male una pensata grande
lesina
E in che maniera, me lo dici?
scolaro
Mentre
investigava le rivoluzioni
e il corso della luna, a bocca aperta
verso il cielo, di notte, una tarantola
dal cornicione, glie la fece in bocca.
lesina
Mi piace! Una tarantola che smerda
Socrate!
scolaro
E poi, iersera non s’aveva
da cena.
lesina
Be’, che cosa macchinò
per la pagnotta?
scolaro
’ Sparse della cenere
fine, in palestra, sopra un desco, rese
curvo uno spiede, cominciò a girarlo
come un compasso, e portò via la vittima!
lesina
al colmo dell’entusiasmo.
E ci andiamo a stupire di Talete!
Apri, sbrigati, apri il Pensatoio,
e senza metter tempo in mezzo, fammi
veder Socrate. Muoio dalla fregola
di diventar discepolo! Su, apri!