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Le donne di casa Savoia/X. Yolanda o Violante

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X. Yolanda o Violante

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IX. Maria XI. Carlotta

[p. - modifica]Yolanda o Violante di Francia
moglie di Amedeo IX (il beato)
1436-1478.
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X.

YOLANDA O VIOLANTE

n. 1436 — m. 1478


    I danni e il pianto.
Della virtude, a tollerar s'avvezzi
La stirpe vostra.


C
arlo VII di Francia e Lodovico I di Savoia, stabilirono il matrimonio dei loro figli, Yolanda e Amedeo, in un incontro che essi ebbero a Tours, quando costoro erano sempre in culla. Sicché la bambina prima, poi la giovinetta, crebbe educata all'idea di essere un giorno Duchessa di Savoia, e tutta la sua

premura e le sue aspirazioni, furono dì riuscire atta al bene della sua futura patria.

Quando compi sedici anni, la sua cultura e la sua educazione erano perfette; sicché non fu più frapposto indugio alla celebrazione del bene auspicato matrimonio. Venuta in Italia, andò quasi subito a stabilirsi col marito a Borgo in Bressa, compiacendosi Amedeo [p. 72 modifica](che doveva essere IX e beato), di quell’isolamento e di quella tranquillità, condivisa dalla sposa diletta, lungi dalla fastosa e disordinata Corte dei suoi genitori, duca Lodovico I ed Anna di Cipro.

Fu allora che il futuro Luigi XI, che aveva sposata Carlotta, sorella di Amedeo, avrebbe voluto stabilire degli intimi rapporti col suo due volte cognato, tanto più che egli era in quell’epoca come fuoruscito dal regno, e disposto perciò a portarsi ove meglio gli tornava. Non tardò però ad accorgersi della insormontabile barriera che gli opposti sentimenti morali ed i principi politici che li dirigevano innalzavano fra loro, e desistè dal suo proposito.

Il Delfino di Francia, senza aver nessuna ragione di lamentarsene, era in guerra aperta col padre; mentre il Principe di Piemonte, sopraffatto dal dolore alla vista dei disordini che il suo genitore tollerava, se ne rammaricava fra se, facendo caldi voti pel termine dei pubblici mali, incapace però di alleviarli come di aggravarli, e tenendosi estraneo ai dissensi, ai torbidi, alle guerre intestine che agitavano la Savoia e il Delfinato.

Amedeo divenne Duca nel 1465, allorché era già padre di vari figli, ed anche Luigi XI salì al trono all’incirca in quel medesimo tempo. Ammalato però, e per questo inetto al governo, non andò guari che il Duca di Savoia conobbe l’intervento di Yolanda necessario negli affari, e sapendo quanto essa riuscisse ad accoppiare le virtù famigliari alle politiche, la nominò [p. 73 modifica]Reggente egli stesso, nel 1469. Né s’ingannava, perchè mentre la Duchessa dava ai figli e alle figlie (ebbe sei maschi e tre femmine) una eccellente educazione militare, civile, letteraria e domestica, era abile nella politica, attiva, gelosa del potere, tanto che vedendolo minacciato dai cognati, chiese l’appoggio di suo fratello. Egli si mostrò disposto a difenderla, a patto che essa si pronunziasse apertamente contro il duca di Borgogna. Ma Yolanda non voleva a ciò acconsentire, avendo in vista un matrimonio fra il suo primogenito e la erede di quel principe, onde formare un regno più bello e vasto, tanto essa aveva fatta sua la causa di Savoia. E questa causa essa sempre difese con tanto calore, che più volte non si peritò di bravare lo sdegno di suo fratello.

Buona e virtuosa, valorosa e colta, fu chiamata la fondatrice di un secolo d’oro, tanto, nei periodi di sosta che le davano i suoi persecutori, essa incoraggiò e diè potente impulso ad opere belle, buone e grandiose. Credo per questo, basti citare l’incarico dato a Perinetto del Pino, di mettere in cronaca le antiche memorie dei Principi di Savoia, già scritte cinquanta e più anni indietro, per ordine di Amedeo VII, da Giovanni d’Oronville, detto Cabaret; il tentativo di rendere navigabile la Dora Baltea, dal ducato d’Aosta in poi; e la pubblicazione fatta nel 1477 a Torino, del corpo di leggi, con alcune addizioni, fatte da Amedeo VIII nel 1430, per meritarsi di essere regina, come altri hanno detto, di quest’Italia che voleva riunire. [p. 74 modifica]In quanto a costruzioni, edificò il castello di Moncalieri, fondò a Chambéry un ospedale per le malattie contagiose, uno a Conflas pei lebbrosi, un ospizio per i poveri a Ginevra, e qua e là diversi monasteri.

Se poi durante i tre periodi della sua reggenza, toccarono allo Stato delle sventure, non bisogna attribuirne la causa a lei, ma ai tempi difficili in cui governò e alla continua lotta che dovè sostenere contro i cognati ansiosi di supplantarla.

Questa lotta del resto incominciò, come ho già detto, subito ch’ella ebbe in mano il potere, vivente suo marito; tanto che, incalzata, tormentata da essi, stretti in lega, non sentendosi più sicura a Chambéry, la residenza ducale d’allora, si ritirò con tutta la famiglia a Monmegliano. Qui, stretta d’assedio, spaventata dalle complicazioni che potevano sorgere, desolata per la morte del suo primogenito, ucciso alla testa delle sue truppe in difesa della madre, turbata da un tentativo di rapimento del secondo suo figlio, essa finse di arrendersi, lasciò forzatamente tutto in mano ai cognati, ed essa andò intanto nel Delfinato, d’onde richiese nuovamente l’aiuto di Luigi XI.

Tanto il Re di Francia che il duca di Borgogna si posero allora in sua difesa, ed una grossa guerra sembrava inevitabile Ma gli ambasciatori di Berna e di Friburgo, alle cui provincie quella guerra sarebbe stata tutt’altro che utile, s’interposero onde Yolanda facesse la pace coi cognati. E questi, non volendo addossarsi la responsabilità di una guerra civile, anche [p. 75 modifica]perchè non si trovavano ben d’accordo fra loro, e perchè la maggior parte dei sudditi la teneva dalla Duchessa, vennero ad un accomodamento, e Yolanda tornò nel Ducato e alla Reggenza, però sotto l’influenza di un consiglio di cui quei principi facevano parte. Ciò avveniva nel 1471.

L’anno appresso, Amedeo IX, in età di appena trentasette anni, si spegneva a Vercelli, dopo soltanto sei o sette anni di regno, e che regno!.... Ma delle sue virtù, dei suoi contrasti, dei suoi patimenti, della sua rassegnazione, che poi gli valsero la canonizzazione, non è mio compito dire, e proseguo per la mia strada.

Quando Amedeo IX morì, Filiberto suo figlio e successore non aveva che sei anni; e di nuovo sorsero contrasti per la Reggenza, sebbene in appoggio di Yolanda ci fossero la prova già data, la volontà del marito e il desiderio delle popolazioni, che da lei ancora molto speravano. Anche il fratello suo, Luigi XI, aveva delle velleità sul possesso del nipote, e forse designava fare del Piemonte e della Savoia due provincie francesi; ma trovò inaudita resistenza nella Duchessa, tanto che di nuovo le tenne il broncio.

Collegatasi la Reggente col Duca di Borgogna, contro gli Svizzeri che essa non desiderava troppo potenti al confine, e tornando a vagheggiare l’unione del suo Filiberto con la figlia di lui (giacché questo principe prometteva la mano di sua figlia a tutti i potentati di cui aveva bisogno, riserbandosi poi di dire agli amici: Il giorno in cui mariterò mia figlia, dite che [p. 76 modifica]l'indomani mi faccio cappuccino, divise con lui le conseguenze della disfatta del 9 aprile 1476, sebbene, sostanzialmente, essa e il Piemonte poco o nulla ne risentissero. Aveva Yolanda perfino intrapreso un viaggio disastroso attraverso le Alpi, nel cuor dell’inverno, con la Corte e la famiglia, onde visitare il Duca a Naseroi e rianimarlo con la sua presenza, ma non era ancora rientrata in Savoia, quando nel Giugno seguente, Carlo incontrò una seconda e più disastrosa battaglia che addirittura l’annientò.

Allora la Duchessa, senza nessuna cattiva idea contro di lui, pensò di riavvicinarsi al fratello, e fargli dimenticare quanto essa aveva fatto contro la di lui volontà, onde non togliere a suo figlio un sì potente e valido appoggio. Risaputolo il Duca Carlo, si abbandonò ad una collera sì violenta quanto intempestiva, e diè ordine ad uno dei suoi più fedeli ufficiali, Oliviero De la Marche, che si trovava allora a Ginevra, di rapire la Duchessa con tutta la famiglia! Ordine violento, che non ha riscontro nelle nazioni civili, e che nondimeno fu eseguito con una rapidità ed una crudeltà, degna del Temerario che l’aveva dato.

Per esser meglio sicuro dei suoi prigionieri, appena il De la Marche li ebbe ghermiti, per sorpresa, nel cuor della notte, prese egli stesso la Duchessa in groppa del suo cavallo, facendo caricare le principesse e i principini dietro ad altri cavalieri. Nel tumulto però e nelle tenebre, riuscì a Goffredo di Rivarolo, gentiluomo piemontese, governatore del Duchino Filiberto, di [p. 77 modifica]riprendere questi e sottrarlo alla sorte di tutto il resto della famiglia, e condurlo in salvo a Chambéry.

Il perfido Luigi XI, avvertito del caso occorso alla sorella, e saputo che il Ducato si metteva sotto la sua salvaguardia, mentre provvide validamente, dividendo pel momento il Governo fra gli zii e ponendo Filiberto sotto la tutela del Duca Grolée Luyo, volle vendicarsi della sua poca sottomissione a lui, e pel momento non si occupò niente affatto di essa.

Intanto la povera Duchessa, rinchiusa prima nel castello di Rochefort, e quindi trasferita in quello di Rouvre, presso Digione, aveva agio di fare, nella sua solitudine, serie riflessioni sul frutto che raccoglieva dai sacrifizi fatti in favore del Duca di Borgogna: sull’infame tradimento di cui era stata vittima, e sulle speranze d’ingrandimento, sì crudelmente dileguate.

Ma, sempre animosa, non si lasciava abbattere dalla sventura, e alle riflessioni faceva seguire progetti e determinazioni. Non per nulla sorella di Luigi XI, sebbene possedesse le virtù che a lui mancavano, e i vizi fossero in lei talmente modificati e addolciti da riuscire semplici difetti, aveva anch’essa la sua dose di astuzia, e comprese presto che più facile le sarebbe stato, ponendola in opera, d’intenerire il fratello piuttosto che Carlo; perciò non cessava di pregarlo con umili frasi, con mezze promesse lusinghiere (che non faceva niente affatto idea di realizzare), perchè volesse porre un termine alla sua prigionia.

E il Re di Francia, giudicando da quelle preghiere, [p. 78 modifica]che ella fosse ormai abbastanza punita e delusa, e intimidita in modo da poterla dominare, incaricò il capitano Chaumont d’Amboise, che allora appunto si trovava in quelle parti, di liberarla con un colpo di mano, e di condurgliela, coi figli, al castello di Plessis, sua ordinaria residenza, ove l’avrebbe attesa.

Il Duca di Borgogna subiva allora troppe contrarietà personali, per occuparsi della sua prigioniera, la quale, era sì poco strettamente custodita a Rouvre, da potere inviare al fratello le sue ripetute sollecitazioni; onde anche il colpo di mano dello Chaumont riuscì felicemente, e Yolanda ed i figli giunsero sani e salvi a Plessis.

Luigi XI accolse la sorella con studiata glaciale gentilezza, salutandola così:
        — Siate la benvenuta, signora Borgognona.

Al che essa, colpita dal rimprovero, sebbene aspettato, rispose senza scomporsi:
        — Io sono pronta ad obbedire Vostra Maestà.

Il Re allora parve convinto, e promise, dopo qualche altra frase scambiata fra loro, di lasciarla in piena libertà. Ma essa, vedendo scorrere il tempo senza nulla concludere, e non ritenendosi affatto sicura in mano di quella volpe, tanto insistè, tanto si mostrò pentita, ed ansiosa di rivedere il Duchino, da tanto tempo in mano agli zii, ch’egli si risolse a rimandarla nei suoi Stati, dicendo di prendere lei e la sua famiglia sotto la sua protezione. Ritornata Yolanda in Savoia, con grande [p. 79 modifica]soddisfazione delle popolazioni, che durante la di lei prigionia vedevano andar tutto a fascio, ebbe nuovi contrasti coi Principi cognati, i quali, per trattative che si facessero, non intendevano di restituirle il Governo.

Intanto, il suo infido fratello, saputo che morto Carlo Duca di Borgogna (1477) essa aveva riprese le trattative per unire Filiberto suo alla di lui figlia Maria, non volendo egli niente affatto l’ingrandimento di Casa Savoia mercè la dote di lei, mandò a monte tal matrimonio, promettendo invece il giovinetto con Bianca di lui cugina, figlia di Galeazzo Sforza e di Bona di Savoia, sorella di Amedeo IX. Ciò fu male e bene; ma pel momento fu bene, perchè avanzandosi Galeazzo verso Torino, onde veder chiaro nelle faccende del futuro genero, e con tutt’altro che melliflue intenzioni, gli zii, turbati, rimisero a Yolanda il potere.

E riconosciuto da tutti i suoi avversari che la Duchessa nutriva vero zelo ed affetto pel paese che aveva fatto suo, e che era la patria dei suoi figli, decisero finalmente di lasciarla in pace, e il suo governo non fu da allora più turbato.

Ma delusa nei suoi grandiosi progetti, Yolanda pose da quel momento ogni sua cura a sollevare i popoli dagli aggravi e dai danni incontrati durante le intestine discordie; a visitare ad una ad una tutte le sue Provincie, e a far sentire ovunque i benefizi di a saggia e provvida amministrazione, in grembo alla pace.

E sorvegliando con altrettanta cura e premura [p. 80 modifica]l’educazione della famiglia, e particolarmente quella del futuro Duca Filiberto, gli diè a maestro Niccolò da Tarso, che gli insegnava l’eloquenza, la grammatica greca e latina e la storia. E tanto egli progrediva nei suoi studi, che una volta non si peritò, appena quindicenne, di recitare un’orazione nell’adunanza dei tre Stati, a Rivoli.

Per suggerimento del fratello, e per sempre più afforzare la dinastia, persuase la sua primogenita Luisa o Lodovica, che somigliantissima al padre nella pietà, voleva votarsi al chiostro, a sposarsi invece al Principe d’Orange 1.

Per essa Yolanda può vantare una gloria di più, quella cioè di aver dato vita ed educazione ad una creatura cotanto angelica, che i posteri hanno annoverata fra i beati.

Quando però si riconobbe universalmente tutto il merito e la virtù della Duchessa, cioè in quel periodo di pace per lei tanto laborioso, non fu che per [p. 81 modifica]rimpiangerla più vivamente. I dolori e i contrasti ne avevano da qualche tempo alterata la salute, e oramai le forze in lei non corrispondevano più all’attività ed al coraggio.

Così debole e stanca, pensò al suo Castello di Monte Caprel, regalatole, con quella signoria, dal marito, per ricompensarla di aver reso navigabile la Dora, e vi si trasportò, per trovare riposo e forza in quel soggiorno di care e soavi memorie.

Disgraziatamente tornava in quei giorni ad infierire una febbre maligna, serpeggiante allora in Piemonte, e che a vari intervalli ripeteva ivi le sue stragi. Yolanda ne fu quasi subito attaccata, e la sua costituzione debole e stanca non potendo combatterla, dovè ad essa soccombere il 29 agosto 1478.

Generale fu il compianto, universale il dolore per tanta perdita, tanto più che il Duchino avendo appena sedici anni, non era ancora atto al governo.

Ad essa furono fatti splendidi funerali, irrorati dalle lacrime sincere di tutto il suo popolo, e fu sotterrata, presso suo marito, nella chiesa di S. Eustachio a Vercelli.

La cronaca contemporanea così la celebrò:

«Morì non senza grave danno della patria e del dominio; imperocchè essa fu prudente, mansueta e pacifica, e mantenne graziosamente i sudditi in buona pace e quiete, senza illeciti balzelli. Inoltre acquistò pei suoi figliuoli la contea di Villars ed altre terre»


  1. Fu solamente per cedere alle reiterate preghiere di sua madre, e per obbedire a Luigi XI, zio e tutore, che Lodovica finalmente accettò, e sposò il Principe d’Orange, signore di Chàlons. Ma giunta al talamo, chiese ed ottenne dal marito di rispettare il voto di verginità che essa aveva fatto. Consacratasi alla pietà, ebbe la audace idea d’introdurla anche alla Corte; e a forza di umiltà, di pazienza, di rassegnazione, non curando gli scherzi e le mormorazioni dei cortigiani, cui non piaceva di essere noiati da continui discorsi ascetici, ella riusci, dicono, colla perseveranza a vincerli ed a ridurli, e fu davvero un miracolo, anche se, come io credo, ed i fatti sono là per affermarlo, ciò non fu che apparenza. Rimasta vedova, si ritirò nel monastero d’Orbe, nel paese di Vaud, ove mori in gran concetto il 24 Luglio 1503. Le fu universalmente e spontaneamente tributato il titolo di Beata. Poi nel 1837, Carlo Alberto, Re di Sardegna, ne richiese le ossa a Luigi Filippo, e si rivolse a Gregorio XVI, acciò confermasse, secondo le leggi canoniche, il culto prestato dai popoli alla Beata Lodovica. E la Chiesa, il 12 Agosto 1839, confermò il culto che da più secoli le si rendeva.