Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia/Michele Di Sivo - Dalla prigionia alla storia: le lettere di Aldo Moro come fonte

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Michele Di Sivo - Dalla prigionia alla storia: le lettere di Aldo Moro come fonte

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Michele Di Sivo - Dalla prigionia alla storia: le lettere di Aldo Moro come fonte
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Dalla prigionia alla storia: le lettere di Aldo Moro come fonte



Durante il sequestro di cui fu vittima, tra il 16 marzo e il 9 maggio 1978, Aldo Moro scrisse certamente più di quattrocento pagine: si trattava di lettere, testamenti, biglietti a cui si aggiunse il memoriale, ovvero le risposte agli interrogatori dei sequestratori, autocostituitisi suoi giudici.

Come è noto, il testo del memoriale fu rinvenuto in due tempi nello stesso luogo milanese, in via Monte Nevoso: nell’ottobre del 1978, a pochi mesi dall’assassinio, in una versione dattiloscritta la cui esecuzione materiale era stata dei terroristi, e che poi si rivelò trascrizione parziale; nell’ottobre del 1990 nella molto più ampia versione in fotocopia dei fogli autografi di Moro e di due pagine dattiloscritte. La trascrizione del memoriale fu pubblicata nel 1993, basandosi sulle riproduzioni della Commissione Moro1. Ignoto l’originale, ignote le registrazioni audio dell’interrogatorio, di cui gli stessi terroristi hanno poi parlato2. Anche i testi delle lettere sono noti in parte per alcune delle pagine dattiloscritte rinvenute nel 1978 e grazie al corposo nucleo di fotocopie recuperato nel 1990 insieme alle riproduzioni del memoriale. Come per il memoriale, gli originali di gran parte delle altre scritture non sono noti: secondo le dichiarazioni dei responsabili del delitto anche quel materiale fu distrutto. Gli originali noti delle lettere, certamente recapitati dalle Brigate rosse, risultano ventotto3. Quelli qui presentati sono la metà, quattordici, e provengono dagli atti processuali. Il contenuto delle lettere e dei biglietti nel loro insieme, ovvero circa un centinaio di testi, lo conosciamo grazie alla preziosa edizione di Miguel Gotor4, lavoro che ha sollecitato l’azione di tutela della nostra Amministrazione su queste carte prima del loro versamento ordinario all’Archivio di Stato di Roma.

Allo stato attuale, gli scritti di Moro usciti dal luogo del sequestro, tutti da considerare fonti primarie, si presentano dunque in tre forme: originali, trascrizioni dattiloscritte, fotocopie di fogli autografi; i dattiloscritti e le fotocopie insieme comprendono il contenuto di tutto il nucleo degli originali conosciuti, ovvero non risultano documenti di mano di Moro che non abbiano la trascrizione dattiloscritta o non siano nella forma di fotocopia. [p. 26 modifica]

La complessità di queste scritture non è data solo dalla loro eterogenea morfologia, che già di per sé richiede un’articolata esegesi, ma dai movimenti di ciascuno di questi documenti dal momento della loro creazione alla loro attuale destinazione (in qualche caso non identificata) e, per molte di quelle scritture, dalle modalità del loro inabissarsi. Non solo, dunque, la natura del corpus documentario, ma pure il suo formarsi e i suoi vuoti sono parte integrante della sua interpretazione: la sua esegesi non può prescindere dai legami intrinseci (il contenuto) ed estrinseci (la forma, la modalità di trasmissione, i supporti, gli inchiostri, la grafia, le sottolineature, la numerazione dei fogli) di ognuno dei singoli documenti con ognuno degli altri e con l’insieme inteso come un unicum. E tale insieme è quanto di più ermetico e tortuoso sia stato prodotto nella seconda metà del Novecento italiano. Condizione necessaria per comprendere pienamente il testo e il sottotesto delle scritture di Moro nei giorni del sequestro è la ricostruzione di quei legami. Uno dei compiti degli archivisti storici è sempre questo, per tutto l’immenso patrimonio documentario del nostro Paese, il primo del mondo. Per interpretare compiutamente queste fonti occorre mettere in campo un lavoro filologico, archivistico, storiografico di grande momento: il meglio della nostra tradizione, perché tali fonti sono testimonianza di uno dei passaggi cruciali della nostra storia. La conversione in beni culturali di questo preziosissimo corpus, di cui le lettere qui presentate sono il primo nucleo, ne fa la base per la libera ricerca: un compito scientifico, non meno che civile, possibile solo con un’ampia sinergia di forze, a partire dal molto che è stato già compiuto.

Gli originali conosciuti, che riguardano le sole lettere, sono dunque la parte minore dei manoscritti di Moro5 e solo alcuni di tali originali sono rintracciabili tra le carte processuali della Corte d’Assise di Roma. Era presente nel fascicolo anche la lettera a Bettino Craxi, allora segretario del Partito socialista, che ne chiese la restituzione, ottenuta nel 19846. Del memoriale è presente nel fascicolo della Corte d’Assise la sola riproduzione fotostatica delle fotocopie sequestrate a via Monte Nevoso: non dunque la fotocopia originale, ovvero quella realizzata dai terroristi sulle scritture di Moro, che per competenza dovette essere inviata alla Procura di Roma.

L’accordo del 2011 tra l’Amministrazione archivistica e il Tribunale Ordinario di Roma, titolare dell’archivio della Corte d’Assise, per il versamento anticipato7 è solo all’inizio della sua attuazione e si inserisce nel quadro di altre importanti iniziative dello stesso tipo, a Milano e a [p. 27 modifica] Bologna8. Il portale della Rete degli archivi per non dimenticare è un luogo dove la sinergia di queste attività può trovare uno strumento operativo9.

Undici lettere già espunte in cancelleria dalle carte del processo Moro10 furono consegnate all’Archivio di Stato di Roma il 9 maggio 2011 come primo atto dell’operazione; il resto, le carte dei diversi procedimenti processuali sul rapimento e l’assassinio, sono ora oggetto di studio propedeutico al versamento, lavoro appena intrapreso che ha già dato dei risultati: altri tre originali sono stati recentemente individuati e vengono qui pubblicati — pur se non ancora restaurati — insieme a quelli versati nel 2011. Il primo gruppo, di undici lettere (30 i fogli, 36 le pagine), restaurate dall’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario11, è stato mostrato al pubblico per la prima volta nel maggio del 201212. Questo volume proviene da quelle giornate.

Tre delle undici missive furono pubblicate prima dell’assassinio (quelle al segretario della Democrazia cristiana, Benigno Zaccagnini; al partito della Democrazia cristiana; al presidente della Repubblica, Giovanni Leone)13. Le altre furono rese note il 13 settembre 1978 dal Corriere della Sera.

Il secondo gruppo, di tre lettere, è costituito da 15 fogli. La prima è rivolta al ministro dell’Interno Francesco Cossiga, recapitata il 29 marzo, e le altre a Zaccagnini, rispettivamente del 4 e del 24 aprile; solo le prime due furono pubblicate nell’immediatezza degli avvenimenti. Dunque in totale 51 pagine, di cui dieci scritte su fogli bianchi extra strong (la lettera alla Democrazia cristiana, n. 5). Le altre sono su fogli di pessima qualità, bassa grammatura, quadrettati.


In generale Moro conduce la scrittura su uno specchio molto ampio, ad occupare quasi interamente le dimensioni del foglio, talvolta riempito sino a erompere dalla pagina (alla Democrazia cristiana, n. 5, f. 6), cosa che spesso lo porta a recuperare lettere finali, inavvertitamente [p. 28 modifica] posate sul foglio sottostante, scrivendo al di sopra della parola rimasta sospesa al bordo destro del foglio (alla Democrazia cristiana, n. 5, f. 4: «Guai, Caro Craxi, se una tua iniziativa fallisse»; n. 12, f. 1) e recuperando sul lato sinistro una sillaba o talvolta addirittura un’intera parola (a Riccardo Misasi, n. 12: «Non illudetevi d’invocazion umanitarie»; a Erminio Pennacchini, n. 13, f. 2: «Ma [è] importante è che tu sia lì»). Era come spinto a ottimizzare lo spazio, forse perché la carta a disposizione di volta in volta era scarsa per controllare meglio la serrata produzione di testi, forse era l’impeto di una scrittura febbrile, unica arma di libertà. Sembra generalmente scrivere seduto a un tavolo, non sul letto accovacciato con i fogli sulle gambe, dove la gestione delle linee sarebbe stata diversa, come è probabilmente accaduto per le lettere a Renato Dell’Andro, a Pietro Ingrao e a Erminio Pennacchini (nn. 8, 10, 13). È evidente l’impegno alla chiarezza nella grafia, che a volte si presenta sorprendentemente elementare e quasi ingenua, così come si nota lo sforzo di ordine e allineamento, stabili nelle prime lettere (a Cossiga, n. 1; a Zaccagnini, n. 2), più incerti in altri luoghi della scrittura, di cui si avvistano le oscillazioni, le ansie, lo spezzarsi nei momenti più tormentati, come nelle lettere a Dell’Andro, Pennacchini, Piccoli (nn. 8, 13, 14), dove il richiamo e l’esortazione alla fretta che Moro dirige ai suoi corrispondenti fanno tutt’uno con l’agitarsi della penna.

La prima lettera del secondo gruppo, e prima in ordine cronologico tra quelle qui riprodotte (n. 1)14, indirizzata a Cossiga, è un documento di eccezionale importanza. Molto delle modalità di creazione, riproduzione, gestione degli scritti di Moro in quei giorni si può osservare addensato in questa lettera, che condizionò tutte le vicende successive: la frattura sulla questione della trattativa, il pericolo di rivelazioni di segreti di Stato o di notizie riservate, l’affermazione della non attribuibilità a Moro di quei testi, la tattica della “svalutazione” dell’ostaggio da parte del Ministero dell’Interno15, l’azione dei brigatisti volta a «distruggere la statura politica e la moralità personale di Moro»16 e la loro gestione degli scritti finalizzata all’immediata destabilizzazione del quadro politico.

Moro dichiara qui di essere «sotto un dominio pieno ed incontrollato» (n. 1, f. 3) e per la prima volta fa riferimento alla possibilità di uno scambio di prigionieri. Si riferisce a se stesso come «un prigioniero politico» (f. 1) sottoposto a un processo e sostiene la necessità di valutare «con [p. 29 modifica] freddezza» (f. 5) la situazione di «guerriglia» (f. 5)17 e il pericolo di eventuali rivelazioni («il rischio di essere chiamato o indotto a parlare in maniera che potrebbe essere sgradevole e pericolosa in determinate situazioni», f. 3). Tutto ciò diede inizio al tormentato dibattito di quei giorni; tuttavia la centralità di questo documento non sta ancora in questi elementi, già da soli rilevanti, ma nella natura riservata che secondo Moro questo testo avrebbe dovuto avere e nel modo in cui tale richiesta di riservatezza fu trattata: «In tali circostanze ti scrivo in modo molto riservato, perché tu e gli amici con alla testa il Presidente del Consiglio (informato ovviamente il Presidente della Repubblica) possiate riflettere opportunamente sul da farsi, per evitare guai peggiori» (f. 2). Insieme al comunicato n. 3, nel quale non si faceva cenno allo scambio di prigionieri, le Brigate rosse fecero invece pervenire a vari organi di comunicazione le fotocopie di questa lettera, dichiarando: «ha chiesto di scrivere una lettera segreta (le manovre occulte sono la normalità per la mafia democristiana) al governo ed in particolare al capo degli sbirri Cossiga. Gli è stato concesso, ma siccome niente deve essere nascosto al popolo ed è questo il nostro costume, la rendiamo pubblica»18. Da una successiva lettera a Cossiga — scritta intorno al 4-5 aprile e mai recapitata, non nota in originale e attestata in forma dattiloscritta e in fotocopia — si deduce la tragica inconsapevolezza di Moro su quanto era realmente avvenuto, perché afferma: «Vorrei pregarti che, almeno su quel che ti ho scritto, vi fosse, a differenza delle altre volte, riservatezza. Perché fare pubblicità su tutto?»19.

Il confronto tra questi due documenti, uno esistente in originale, l’altro giunto dal silenzio di via Monte Nevoso e dall’eco di una trascrizione e di una copia nascosta in una intercapedine per dodici anni, è uno degli esempi della potenza esegetica di questo corpus di scritti, se considerato nel suo insieme e nella sua eterogenesi: la seconda lettera a Cossiga «non venne recapitata, non solo perché ripeteva concetti già noti, ma soprattutto in quanto avrebbe svelato il doppio gioco dei brigatisti»20. Proprio il suo non essere stata recapitata rivela in modo consistente l’autenticità di quell’affermazione di Moro, non scritta dunque in quanto comandato o indotto dai suoi rapitori, ma perché i carcerieri lo informavano solo in funzione dei loro obiettivi, sulla base dei quali calibravano gli invii degli scritti e la loro eventuale pubblicazione; dunque Moro espresse autonomamente l’idea che la divulgazione della prima lettera era stata decisa da Cossiga stesso e realmente scriveva ciò che pensava e riteneva di scrivere. Lo scostamento tra il documento visibile [p. 30 modifica] e l’altro, e proprio per l’essere questo rimasto all’oscuro, è la traccia che rivela il significato del documento stesso e la sua cadenza di scrittura vigilata. Una “vigilanza” endogena ed esogena. Era endogena, nel senso che ovviamente Moro sapeva di essere controllato e dunque controllandosi scriveva; era una sorveglianza esogena, nel senso che la gestione della scrittura da parte dei rapitori condizionava, della scrittura, il significato. Gli effetti che ne derivavano all’esterno, inoltre, con l’articolarsi degli avvenimenti dovevano sfuggire sempre di più a Moro, al quale non poteva essere del tutto chiaro come i responsabili del rapimento plasmassero il senso pubblico delle scritture con la selezione delle lettere, con un’articolatissima modulazione degli invii di alcuni di quei documenti e con un ritorno filtrato delle informazioni verso il loro ostaggio: un fiume carsico, solo a tratti affiorante, di cui a Moro doveva giungere qualche rivolo. Tutto ciò è contenuto in nuce nella prima lettera a Cossiga, e la delicatezza di questi passaggi è ulteriormente evidente dal contestuale invio della lettera di Moro al suo collaboratore Nicola Rana, quella sì effettivamente mantenuta riservata come Moro voleva e nella quale egli definiva, con notevole senso operativo, anche le modalità pratiche dei futuri movimenti di informazioni segrete che a suo avviso avrebbero dovuto condurre a uno scambio di prigionieri21.

È dunque nella sede dell’analisi del testo, o meglio di un iper-testo il più completo possibile, che si sciolgono i molti nodi tanto dibattuti all’epoca, uno dei quali fu la questione della credibilità e dell’autenticità di Moro nello scriverli. Si trattò di una soggezione attiva, il cui senso è pienamente comprensibile dedicando grande attenzione allo spessore delle assenze oltre che alle presenze. Già sostanzialmente dichiarato nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta pubblicata nel 198322, questo stato e le sue implicazioni nella gestione del sequestro potranno essere studiati sulle fonti a condizione che tutte le carte siano archivisticamente ricostituite come beni culturali, tutelate nel loro complesso ed esaminate quanto alla loro genesi.

Nel solco di questo itinerario si fa evidente il rilievo della prima lettera a Zaccagnini, recapitata il 4 aprile (n. 2)23, e di quella alla Democrazia cristiana recapitata il 28 aprile (n. 5)24. Sono infatti testi di cui conosciamo cinque versioni complessive — due per la lettera a Zaccagnini, tre per la missiva alla Dc — tre delle quali furono trattenute dai terroristi25: le sole versioni note nella forma [p. 31 modifica] originale e prodotte nel processo sono quelle allora recapitate, qui riprodotte e pubblicate.

Le due versioni della lettera a Zaccagnini sembrano scritte nell’arco della stessa giornata, poiché in entrambe si fa riferimento alla distanza di quindici giorni dal rapimento, quindi siamo al 31 marzo, ma i toni sono diversi. Più attenuato è quello della lettera recapitata26 e le varianti agiscono su quattro punti: la condanna a morte appare come decisa nella versione non inviata e come conseguenza immaginabile nell’altra; Moro si definisce “ostaggio” nella prima e “prigioniero politico” nella seconda; il rapimento è interpretato come funzionale allo scambio di prigionieri nella prima e come una possibilità di uscita nella lettera inviata; la previsione di Enrico Berlinguer sull’acutizzarsi della reazione al momento dell’accordo tra il Pci e la Dc viene espunta nella seconda versione. In questo caso lo scarto tra i due testi è traccia di rielaborazione in tempi ravvicinati o di due opzioni parallele che nei giorni intercorsi tra la scrittura e il recapito furono oggetto di scelta da parte dell’organizzazione dei rapitori. La versione non recapitata, infatti, non sarebbe stata funzionale al comunicato n. 4, fatto pervenire dai terroristi insieme alla lettera, nel quale essi dichiararono che lo scambio dei prigionieri non era l’obiettivo dell’operazione ma un’opinione di Moro («Questa è la sua posizione che, se non manca di realismo politico nel vedere le contraddizioni di classe oggi in Italia, è utile chiarire che non è la nostra»). Contestualmente non vollero sancire in quel momento una condanna a morte, ma lasciarne la minaccia, poiché descrivevano Moro come «perfettamente consapevole di cosa lo aspetti»: dunque vollero dare l’idea di indisponibilità sulla trattativa proposta da Moro, facendo tuttavia trapelare una possibilità di contrattazione che avrebbe continuato a dividere e a lacerare il fronte contrapposto, cosa che evidentemente fu obiettivo prioritario di tutta l’operazione. È peraltro contenuta in questa lettera, e in entrambe le versioni, l’affermazione di Moro sulla posizione trattativista di Paolo Emilio Taviani che, poco dopo smentita dall’interessato, sei giorni più tardi fu fonte di acre polemica, espressa nella sola scheggia del memoriale allora lanciata dai brigatisti, nella quale Moro stigmatizzava la dichiarazione di Taviani27: fatto rilevante non solo nel merito, ma perché dimostrava l’effettivo procedere dell’interrogatorio e quindi del «rischio di essere chiamato o indotto a parlare» a cui Moro si era riferito nella lettera a Cossiga. Questo documento non è noto nel suo originale, che pure dovette essere recapitato, ma risulta solo in fotocopia; ne esiste una seconda versione nota nei soli due fogli dattiloscritti recuperati a Milano nel 199028, che appare come una elaborazione preparatoria. [p. 32 modifica]Di natura diversa da quello della prima lettera a Zaccagnini è il campo delle varianti sulla lettera alla Democrazia cristiana (n. 5)29. Qui si tratta senza dubbio sia di scritture parallele, sia di testi che si intersecano in tempi diversi. La lettera definitiva, quella inviata, è il risultato di una scomposizione e di una parziale riscrittura, frutto sicuramente di rielaborazioni di Moro e di probabile dialettica con i rapitori sulla base di versioni differenti valutate da chi avrebbe deciso gli invii30. Lo dicono gli inchiostri31 e la composizione delle pagine, dati visibili nelle riproduzioni qui pubblicate, nonché, anche in questo caso, il confronto con le scritture allora nascoste. L’inchiostro blu dei fogli 1-4, 6, 9-10 e quello nero dei fogli 5, 7, 8, l’intestazione in nero del primo foglio scritto in blu; la numerazione in nero dei fogli 9 e 10 scritti in blu, il ripasso in nero del foglio 4 e soprattutto la soluzione di continuità tra i fogli 5 e 6 e i fogli 8 e 9 dicono che Moro riscrisse i fogli 5, 7 e 8, le cui versioni immediatamente precedenti non sono note, né in originale né in copia: ne sono esplicito segnale l’anomalia dei fogli 5 e 8, non riempiti fino in fondo come gli altri, e la correzione tra i fogli 5 e 6 con la cancellazione del frammento “raggio” della parola “coraggio” che evidentemente era un “a capo” della parola iniziata con la sillaba “co” nel foglio precedente, pagina poi sostituita e mai più rintracciata. Lo stesso fenomeno è evidente nella lettera a Zaccagnini recapitata il 24 aprile (n. 4, f. 6).

Fra le tre diverse versioni della lettera alla Democrazia cristiana si inseriscono un biglietto, noto solo in fotocopia, e un esergo dattiloscritto, il primo di Moro e il secondo del trascrittore delle Brigate rosse, che secondo Gotor fu Prospero Gallinari32. A queste note se ne aggiunge una terza, trascritta nella terza versione e di incerto autore: a proposito della seconda versione Moro scrive nel biglietto: «edizione più stringata e prudente tenuto conto dei Palestinesi e dell’iniziativa Craxi. È in alternativa all’altra, valutate attentamente le circostanze»; il trascrittore interpreta questa nota o, meno probabilmente, ne riporta un’altra mai pervenuta, scrivendo nella trascrizione dattiloscritta di questa seconda versione: «Seconda lettera al partito in sostituzione della prima con toni meno accesi, da mandare o una o l’altra a secondo dello svilupparsi della situazione»33. La terza nota compare all’interno della terza versione, l’unico dei testi di Moro conosciuto [p. 33 modifica] esclusivamente in forma dattiloscritta34; si tratta chiaramente di una copia di lavoro, dove nel mezzo del testo compare il commento «Le righe che seguono sono da rivedere a secondo dell’utilità che possono avere per sua espressa opinione». Nella relazione della Commissione parlamentare del 1983 questa frase è interpretata come un’osservazione di Moro riportata dal dattilografo: in questo caso sarebbe Moro a rivolgersi a qualcuno dell’organizzazione terroristica35. L’associazione di questa nota al biglietto di Moro - non conosciuto nel 1983, all’epoca della relazione - e all’esergo dattiloscritto può invece far pensare alla terza versione di questa lettera come a una sistemazione di appunti materialmente trascritta dal dattilografo per preparare la versione definitiva: in questo caso la nota apparirebbe come un riferimento scritto per Moro da Gallinari.

La complessa elaborazione del testo giunse alla rilettura finale con la sostituzione di alcune pagine, evidentemente riscritte e poi ancora rilette: il primo foglio fu intestato con l’ultima penna, quella nera, con cui Moro rinumerò qualche pagina, che era stata scritta in blu, e fece qualche ripasso nero sull’inchiostro blu.

La torsione di questa scrittura, rielaborata da Moro ma in “parallela convergenza” con quel «dominio pieno ed incontrollato», ebbe un orientamento di tono opposto a quello delle due versioni per Zaccagnini, dove si passa dal più acceso a quello attenuato; qui è il contrario. La situazione espressa da questo testo è di scontro ormai irrecuperabile. Moro condanna senza appello le scelte della Dc e addirittura convoca il Consiglio nazionale del partito dal luogo del sequestro.

Questa lettera, come tutte le successive alle prime due qui riprodotte (nn. 3-14), fu scritta dopo la drammatica giornata del 18 aprile, quando fu scoperta la sede delle Brigate rosse di via Gradoli a Roma e fu diffuso un comunicato n. 7, poi rivelatosi falso, nel quale si dichiarava che il cadavere di Moro era stato lasciato nel lago della Duchessa, peraltro in quel periodo del tutto ghiacciato. I due fatti condussero a un bivio che dovette apparire a Moro come conclusivo e da quel momento la situazione si avviò verso la precipitazione. Dunque quel clima condizionò tutte le lettere successive, e la loro interpretazione non può prescinderne.

Già nelle altre lettere a Zaccagnini qui pubblicate, recapitate il 20 e il 24 aprile (nn. 3, 4) i toni erano stati quelli, e la successione di spiragli e chiusure si stringeva per Moro nella tenaglia della tragedia. Il pubblico rifiuto della trattativa, proposta con le sue lettere, sullo scambio di prigionieri; la pressione dell’interrogatorio contemporaneamente subito; la coscienza, emergente da varie parti del corpus di lettere, che le informazioni gli giungevano filtrate e non tutti i suoi scritti venivano [p. 34 modifica] recapitati; l’idea che quel suo orientamento potesse essere considerato solo legato all’interesse personale dovettero farlo sentire in un vicolo cieco. Non sono soltanto queste missive a Zaccagnini a mostrarlo, con la forza e la durezza del loro linguaggio («... il mio sangue ricadrebbe su voi, sul partito, sul Paese... Il tuo sì o il tuo no sono decisivi. Ma sai pure che, se mi togli alla mia famiglia, l’hai voluto due volte. Questo peso non te lo scrollerai di dosso più», n. 3, f. 9; «... io ripeto che non accetto l’iniqua ed ingrata sentenza della D.C. Ripeto: non assolverò e non giustificherò nessuno», n. 4, f. 6), ma anche le altre lettere, scritte con toni e intenti diversi, rivolte a due tipologie di destinatari.

Delle ulteriori nove lettere qui pubblicate, quattro sono inviate ad alti esponenti politici per il loro ruolo istituzionale: i presidenti della Repubblica, del Senato, della Camera, del Consiglio (rispettivamente nn. 11, 9, 10, 7) e cinque a uomini considerati rilevanti per costruire operativamente la soluzione positiva del sequestro: Tullio Ancora, Renato Dell’Andro, Riccardo Misasi, Erminio Pennacchini, Flaminio Piccoli (rispettivamente nn. 6, 8, 12, 13, 14). Furono scritte negli stessi momenti e recapitate, tra il 28 e il 29 aprile, contestualmente a quella indirizzata alla Democrazia cristiana, sicuramente consegnata il 28: una vera iniziativa politica, con una sua organicità, in un tornante decisivo del sequestro. Nella grammatica della mappa dei destinatari si coglie un disegno che non può non considerarsi di Moro; anche questo è un “documento”, il cui significato risulta dalla relazione tra le singole componenti del corpus delle scritture.

Le lettere ai primi tre presidenti sono pensate con tono ufficiale, la richiesta è quella di un’adesione di natura generale, non operativa. Un appello. Ai due presidenti del Parlamento Moro dà del “lei” e scrive lo stesso testo (nn. 9, 10); per il presidente della Repubblica la distinzione sembra stare nella deferenza, nella scelta di un inchiostro più elegante, nello sforzo – che trapela immane – di una scrittura nitida e composta. Vuole sia pubblica, la lettera a Leone, che è infatti diretta «Alla stampa, da parte di Aldo Moro, con preghiera di cortese urgente trasmissione al suo illustre destinatario. Molti ringraziamenti» (n. 11). Diversa la situazione nella missiva al presidente del Consiglio (n. 7), dove si usa il “tu” ma il tono si innesta su un registro doppio. Il discorso è in equilibrio tra dire e non dire, ed è sostenuto da un sottile ed essenziale ragionar politico, tanto sulla «altissima responsabilità» del presidente del Consiglio quanto sul timore della crisi di governo, che Moro cerca di superare con un giudizio sul sostegno del Pci all’esecutivo, da lui stesso voluto («è difficile pensare che il PCI voglia disperdere quel che ha raccolto con tante forzature», n. 7, f. 1v). Rilevante inoltre, tanto nel merito quanto nell’acutezza, è qui l’affermazione in base alla quale «Contare su un logoramento psicologico, perché son certo che tu, nella tua intelligenza, lo escludi, sarebbe un drammatico errore» (n. 7, f. 1r).

Del tutto diversa è la natura delle altre cinque lettere, scritte quattro-cinque giorni dopo il 18 [p. 35 modifica] aprile36, operative e chiaramente connesse a precedenti attività riservate che in molti punti sono ben delineate, come gli accordi segreti relativi alla liberazione di militanti palestinesi in cambio dell’incolumità del territorio italiano da attentati. Nella lettera al presidente della Commissione giustizia della Camera dei deputati, Riccardo Misasi (n. 12), Moro esorta il destinatario a superare il livello degli appelli umanitari, a respingere il principio di «una gretta ragion di Stato» e a prendere «di petto i legalisti» facendo riferimento a pregresse esperienze politiche non precisate nella missiva ma «preziose per alcuni temi specifici che tu certo intuisci»; nelle altre il riferimento ai palestinesi è invece esplicito, anche se evidentemente ancora ermetico nei suoi contenuti, noti ai suoi interlocutori, alcuni dei quali, come Renato Dell’Andro (n. 8) ed Erminio Pennacchini (n. 13), ne furono diretti protagonisti. Molto forte questo richiamo è anche nella lettera a Flaminio Piccoli (n. 14), dove l’accento pragmatico si fa esecutiva esortazione con sottolineature che calcano i toni e dove i termini di ciò che in seguito fu noto come il «lodo Moro»37 sono manifesti: «Dunque, non una, ma più volte, furono liberati con meccanismi vari palestinesi detenuti ed anche condannati, allo scopo di stornare gravi rappresaglie che sarebbero poi state poste in essere, se fosse continuata la detenzione. La minaccia era seria, credibile, anche se meno pienamente apprestata che nel caso nostro. Lo stato di necessità è in entrambi evidente» (n. 14, f. 1r). Qui Moro non solo indicava l’esempio di un precedente secondo lui da seguire, ma sostanzialmente affermava che la trattativa sarebbe stata comunque la sua politica anche se non fosse stato lui il rapito, in quanto quella scelta era stata compiuta quando era ministro degli Esteri e «con somma delicatezza», come scrive a Pennacchini (n. 13, f. 1r).

Nell’insieme queste cinque lettere rappresentano un piano diplomatico, duttile e tattico, con il quale Moro si riferisce al Pci, tramite Ancora (n. 6), indicando la possibilità che la sua intransigenza non sconfini nella crisi di governo («Dicano, se credono, che la loro è una posizione dura e intransigente e poi la lascino lì come termine di riferimento»), posizione complementare a quella indicata ad Andreotti. Dà inoltre materia agli altri destinatari per giustificare e fondare la scelta della trattativa con precedenti segreti in lettere che neanche chiede siano riservate, e tuttavia allora non rese note: traccia di un doppio canale di comunicazione con l’esterno. Distingue le posizioni dei tre partiti principali per dare ossigeno alla mediazione all’interno del suo. Altro registro dunque rispetto alle lettere alla Dc e al suo segretario: Moro sembra in qualche modo mantenere un fragile confine tra dichiarazioni pubbliche e operatività riservata, quella che aveva [p. 36 modifica] immaginato nella prima lettera a Cossiga, con la pubblicazione della quale quel confine fu invece frantumato.

Ciascuno di questi testi, come si vede, ha un suo specifico proprio, legato al destinatario, al momento, al livello nel quale si situava la comunicazione, ma nessuno di essi può essere analizzato da solo. L’intero corpus da ricostituire è l’osservatorio che consente di comprendere questo snodo decisivo della storia italiana. Tutelare queste fonti, compreso l’intero fondo della Corte d’Assise, caratterizzate da quantità e complessità inconsuete anche per un patrimonio documentario come quello italiano38, è compito della nostra Amministrazione archivistica, una competenza da cui la crescita culturale del Paese non può prescindere.

È in una delle lettere a Zaccagnini qui pubblicate (n. 3, f. 8) che Moro scrive l’esortazione scelta come titolo di questo volume: Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani. È idea naturale alla logica di uno statista quel pensare al dopodomani, ma associata alla ricerca dell’indipendenza può presentarsi come una felice indicazione anche per il lavoro degli storici che lavorano oggi, nel tempo in cui siamo noi ad abitare quel suo “dopo domani”.


Note

  1. II memoriale di Aldo Moro rinvenuto in via Monte Nevoso a Milano, a cura di F.M. Biscione, Roma, Nuova Coletti editore, 1993; di F.M. Biscione si segnala da ultimo II delitto Moro e la deriva della democrazia, Roma, Ediesse, 2012. Sul memoriale, M. Gotor, ''Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Torino, Einaudi, 2011 (con ampia e completa bibliografia, a cui si rinvia).
  2. S. Zavoli, La notte della Repubblica, cfr. Le Brigate rosse 12, dichiarazione di Mario Moretti in cui si fa riferimento alla distruzione dei materiali ai minuti 2’50”- 4’32”, in http://www.youtube.com
  3. M. Gotor, infra, p. 37.
  4. A. Moro, Lettere dalla prigionia, a cura di M. Gotor, Torino, Einaudi, 2008-2009, ove si identificano 97 documenti, un numero che comprende anche frammenti e biglietti; l’accurata ricostruzione storica e l’analisi critica dei testi alle pp. 184-389; sul numero degli originali, p. 224. Sugli scritti di Moro durante il sequestro cfr. inoltre Nuovi studi sul sequestro Moro, a cura di M. Mastrogregori, in «Storiografia», 2009, n. 13.
  5. Cfr. M. Gotor, infra, p. 38; Id., La possibilità dell’uso del discorso nel cuore del terrore: della scrittura come agonia, in A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., 2009, pp. 223-251.
  6. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., lettera n. 52.
  7. Ai sensi del dlgs 42/2004, art. 41, comma 2, che prevede il versamento di atti non ancora esauriti da quaranta anni «quando vi sia pericolo di dispersione o di danneggiamento, ovvero siano stati definiti appositi accordi con i responsabili delle amministrazioni versanti».
  8. Per i procedimenti relativi alle stragi di Piazza Fontana (1969), dell’Italicus (1974) e della stazione di Bologna (1980), cfr. per Milano http://www.memoria.san.beniculturali.it alla pagina dell’Archivio di Stato di Milano; per Bologna http://www.archivi.beniculturali.it/eventi/articoli/2575. html
  9. http://www.memoria.san.beniculturali.it
  10. Lavoro prezioso dovuto al cancelliere Paolo Musio.
  11. Sul restauro vedi Conservare la memoria per coltivare la speranza. Le ultime lettere di Aldo Moro, a cura di M.C. Misiti, Roma, Gangemi editore, 2012 (Icpal, Quaderni 3)
  12. Archivio di Stato di Roma, 8-18 maggio 2012. Due lettere, quelle rispettivamente indirizzate a Giovanni Leone e a Benigno Zaccagnini, sono state presentate al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 9 maggio 2012 nel corso della celebrazione del “Giorno della memoria” dedicato alle vittime del terrorismo.
  13. Il 22 aprile su La Repubblica (Zaccagnini); il 29 aprile su Il Messaggero (Democrazia cristiana) da Fabio Isman, che ne ricevette una copia la sera prima da Corrado Guerzoni e Nicola Rana; il 4 maggio su vari quotidiani (Leone).
  14. Cfr. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., lettera n. 3. Nella sequenza della riproduzione delle lettere si è scelto l’ordine cronologico in base alla data di recapito; per gli invii contemporanei si è seguito l’ordine alfabetico del nome del destinatario.
  15. Cfr. M. Gotor, La possibilità dell’uso del discorso... cit., pp. 205-222.
  16. Id., infra, p. 37.
  17. Sulla terminologia cfr. M. Napolitano, Guerriglia, guerra, prigioniero politico, stato di necessità. Considerazioni sul corpus delle lettere di Aldo Moro dalla prigionia, in Nuovi studi sul sequestro Moro... cit., pp. 103-150.
  18. Esemplari dei comunicati delle Brigate rosse sono conservati nel fascicolo processuale.
  19. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., lettera n. 16, pp. 29-30.
  20. Ibid., p. 30 nota 11.
  21. Ibid., lettera n. 2.
  22. Senato della Repubblica — Camera dei Deputati, Vili legislatura, Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, doc. XXIII, n. 5, Roma 1983, voi. I, pp. 106-109.
  23. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., lettera n. 6.
  24. Ibid., lettera n. 82.
  25. Per le versioni non recapitate, Ibid., lettere nn. 7, 84, 85.
  26. Cfr. Ibid. p. 17 nota 1.
  27. Ibid., pp. 40-49, nn. 21-22; Il memoriale di Aldo Moro rinvenuto... cit., pp. 39-41; M. Gotor, Il memoriale della Repubblica... cit., pp. 3-47.
  28. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., pp. 40-49, in particolare p. 48 nota 1.
  29. Su questa lettera, cfr. anche M. Mastrogregori, La lettera di Aldo Moro al Partito della Democrazia cristiana. Costruzione del documento, punto di vista dell’ostaggio e storia del sequestro, in Nuovi studi sul sequestro Moro ... cit., pp. 9-69
  30. A. Moro, Lettere dalla prigionia, cit., p. 146 nota 2, in relazione al biglietto collegato alla seconda versione della lettera alla Dc, cfr. Ibid., lettera n. 83.
  31. Sugli inchiostri nelle undici lettere del primo nucleo cfr. M. Bicchieri, Analisi spettroscopiche, in Conservare la memoria... cit., pp. 51-61.
  32. Cfr. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., lettere nn. 83-84; su Gallinari, pp. 155 nota 10, 296-298.
  33. Ibid., lettere nn. 83-84.
  34. Ibid., lettera n. 85.
  35. Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta... cit., p. 107.
  36. A. Moro, Lettere dalla prigionia... cit., cfr. le note alle lettere nn. 49, 50, 58, 59, 60.
  37. Ibid., pp. 81 nota 6, 106 nota 10.
  38. I procedimenti della sola Corte d’Assise di Roma per gli anni 1972-92, testimonianze fondamentali del secondo Novecento italiano, hanno una consistenza pari a un chilometro lineare.