Lotario/Parte quarta

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Parte quarta

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PARTE QUARTA



Argomento.

Fermo Berengario nel voler spento Lotario, finge di accondiscendere alla sua unione con Adelaide onde poter più facilmente compiere l’infame disegno. Rosilde ne avverte invano l’insidiato Principe al quale svela involontariamente il proprio amore. Piuttosto che allontanarsi da Adelaide egli prescieglie morire al suo fianco.

 
   Alta regna la notte e nel castello
L’ampie vetriere rimbombar fa il vento;
E in suon lugubre in fra’ spiragli geme
Delle massicce imposte e curva e sfronda
5Giù nei boschetti le ramose piante.
Treman le torri all’urto impetuoso
Degli aquiloni e par che all’imo scosso
Crollar minacci quel di colpe infame
Soggiorno. Eppur sta del delitto accanto
10Virtù soave; e candida innocenza
Del riso suo sfavilla. Ell’è dall’empio
Oppressa. Ebben? Divinamente bella
Faccia quaggiù di nostra origin fede
E della meta non mortal. Compagna
15L’è Sapïenza e i secoli feroci
Con lei trasvola. Del suo vel solleva

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Celeste un lembo allo sparir di quelli,
E di sua luce l’egro mondo avviva.
Umanità de’ suoi tiranni in faccia
20Redenta sorge ed a quel seggio anela
Cui Dio creolla. Un dì fia legge amore;
E della spada la ragione infranta,
Fia l’Evangelo ai popoli suprema,
Unica norma. Oh fortunata etade!
25Ma ove deturpa il tradimento un soglio,
Ove sgabel n’è la giustizia, e legge
La cruda altrui perfida voglia, infame
Quivi è il poter: contamina lo scettro
Nobile spirto e più s’altri il divida
30Di tempra non conforme. Il reo soverchia
Il Giusto ognor; nè può cosa nessuna
Partir col vizio chi del ben sia vago,
E a lui s’ispiri. A popolo corrotto
Invan dator di libertate uom fôra
35(Di libertà che sol virtù sorregge)
Ove tristo signor fe’ tristo il servo.
Ma sol di re, garzon, tu il nome avesti
E ben fu tua ventura — Ognuno è dêsto
Nella magion regal, chè veglia al paro
40Vendetta e amor. S’asside questo accanto
Del misero Lotario; e al tetto quella
Ne va del reo monarca; e come il trono
Ei s’assecuri e in un il figlio appaghi
Spegnendo il suo rival torva gli addita.

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45Degne d’un Dio promette gioie Amore
Al fervido garzon. Ardon le vene
D’inusitata fiamma e i polsi e l’ossa;
Però che debil nel gioir si sente
Colui che forte era nel duol. «Fia mia!»
50A quando a quando esclama e poi si vela
Per estasi gentil la sua pupilla.
Indi si scuote e fuor la pioggia ascolta
Scrosciar dirotta e se ne allegra. Ah tutto
Assume un lieto e per lui nuovo aspetto
55Nel qual riflesso un vivo raggio ei mira
De’ suoi contenti. Oh sì divino incanto
Durar può mai se nei terrestri ha loco?
No, che durar non può. Del cielo è un lampo
Ch’è guida al ciel. Oh guai a lui che in turpi
60Piaceri involto quel benigno lume
Smarrisce! Egli erra per deserte lande,
Per aridi deserti ove non suona
D’amor la voce ed il brutale impero
Del senso ha seggio che lo spirto ancide
65Di fior pascendo fetidi i suoi ciechi
Sudditi abbietti. Ah dal divin delirio
Non ti destar che te fa pari a un Nume!
O se svegliar ti dèi, deh ciò non fia
Se non di là dalla terrestre sponda.
70Non venga il dì che invidïar te stesso
Tu debba e dir: «Nessun maggior dolore
Che ricordarsi del tempo felice

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45Degne d’un Dio promette gioie Amore
Al fervido garzon. Ardon le vene
D’inusitata fiamma e i polsi e l’ossa;
Però che debil nel gioir si sente
Colui che forte era nel duol. «Fia mia!»
50A quando a quando esclama e poi si vela
Per estasi gentil la sua pupilla.
Indi si scuote e fuor la pioggia ascolta
Scrosciar dirotta e se ne allegra. Ah tutto
Assume un lieto e per lui nuovo aspetto
55Nel qual riflesso un vivo raggio ei mira
De’ suoi contenti. Oh sì divino incanto
Durar può mai se nei terrestri ha loco?
No, che durar non può. Del cielo è un lampo
Ch’è guida al ciel. Oh guai a lui che in turpi
60Piaceri involto quel benigno lume
Smarrisce! Egli erra per deserte lande,
Per aridi deserti ove non suona
D’amor la voce ed il brutale impero
Del senso ha seggio che lo spirto ancide
65Di fior pascendo fetidi i suoi ciechi
Sudditi abbietti. Ah dal divin delirio
Non ti destar che te fa pari a un Nume!
O se svegliar ti dèi, deh ciò non fia
Se non di là dalla terrestre sponda.
70Non venga il dì che invidïar te stesso
Tu debba e dir: «Nessun maggior dolore
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria!» Ah no! garzon, l’avello
Trascegli in pria; l’avel sacro rifugio
75Dell’anime sublimi; e te sottragga
A quell’ambascia che l’intera accoglie
Eternità di duolo in un’istante!
Scendi, garzon, felice nella tomba;
E ognun vi scenda al quale amante core
80Palpiti in sen; perchè martiro atroce,
Incomportabil sol l’attende in terra.

          Apre secreto un’andito
     Del giovane alla stanza;
     Di passi un lieve strepito
     85Fu udito in lontananza
     E poscia incerto e timido
     Comparve un cavalier
     Laddove è ancor Lotario
     Assorto in un pensier.

          90E mentre cauto inoltrasi,
     Volgendo il prence il viso
     Vede colui che tacito
     Par da timor conquiso;
     La mano al brando correre
     95Volea; ma proferì
     Quegli un’accento; e rapido
     Lo sdegno suo sparì.

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          Al gesto supplichevole,
     Alla femminea voce,
     100Meravigliato arrestasi;
     Però che a lui non nuoce
     Donna che fra le tenebre
     S’attenti a lui venir,
     E che sognando il gaudio
     105Accresce il suo martir.

          — «Donzella, a me che guidati?
     Cerchi da me difesa?
     No, non temere; abbomino
     Ogni non degna impresa.
     110Chi sei? che vuoi? deh parlami
     Qual ti foss’io fratel;
     Il duol m’è sacro; e il debole
     Con me protegge il ciel».

          — «Oh nobil cor!» La vergine
     115Vieppiù dei prence accesa
     Susurra allor; «qual dubbio
     Tenermi or può sospesa?
     Tramano intanto i perfidi
     Contro gli amati dì!»
     120E in sen premendo i palpiti
     Gli favellò così:

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         «Ah non il mio qui traggemi,
     Signor, ma il tuo periglio;
     Da queste mura involati!
     125Questo ti dò consiglio:
     Giurava alcun di spegnerti;
     Ma, il credi, invan giurò.
     Ch’io salvi quel magnanimo
     Che il padre a me salvò».

          130— Oh ciel! saria possibile?..
     Tu sei? — Rosilde io sono».
     Ella tremante scopresi;
     A lei dinante ei prono
     Contempla il viso angelico
     135Suffuso di rossor;
     Appena il crede e turbasi
     Per moto arcano il cor.

          — «Come rifulge l’iride
     Appresso alla bufera;
     140Come la luna argentea
     Schiara una mesta sera;
     Così ti veggo splendere
     Di non mortal fulgor,
     Fanciulla!.. ah tu sei l’angelo
     145Di pace apportator».

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          E riverente ed umile
     Di lei prostrato al piede
     E fisso il guardo estatico
     Nel suo, la donna il vede;
     150Da forza irresistibile
     Sospinta allor sclamò:
     «Fuggiam, Lotario, affrettati!
     Compagna a te sarò!»

          A queste voci ei scuotesi;
     155Ch’è d’altra donna amante
     Ricorda; e fosco e torbido
     Già fatto nel sembiante
     Esclama: «E chi m’insidia?»
     — « Non chiederlo, o signor!
     160— Intesi! ah quel silenzio...
     — Non farmi a brani il cor.

          Ah fossi io pur dimentica
     Che suora e figlia io sono:
     Sia prezzo di mie lagrime,
     165Signor, l’altrui perdono!
     Vieni! gl’istanti fuggono... —
     — Non sai... — Che t’amo io so! —
     — Cielo!! tu m’ami? — Ah sappilo
     Se muori, io pur morrò!»

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     170E un pianto inconsolabile
Bagna le guance smorte;
Egli lo mira e sentesi
In petto il gel di morte.
«O ciel, son io fra gli uomini
175Sol segno al tuo furor?»
Irrompe; e a lei rivoltosi
Poi con fraterno amor:

     «Non una vita spendere
Vorrei per la tua pace;
180Sparsa qual è di triboli,
In preda al tempo edace:
Ma se di gioia secoli
Fosser serbati a me,
Io li darei per tergere,
185Fanciulla, il pianto a te!

     Eppur qui resto... acquetati...
Illustre sfortunata!
Pria di te un’altra amavami;
A lei mia fede, ho data:
190Al nuovo giorno compiersi
Dè il rito nuzïal;
Non m’ameresti, o misera,
S’io fossi uno sleal!» —

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     — «E ancor resisti? Ascoltami:
195Doman condurre all’ara
Speri Adelaide e apprestasi
Intanto a te la bara.
Finse deporre il barbaro
L’antico suo rancor
200Per più securo opprimerti;
Lo credi al mio dolor!

     Me amar non puoi; chè vietalo
Il mio destin crudele;
I miei martir dimentica,
205Ti serba a lei fedele.
Per te l’amata vergine
Dal carcer suo trarrò;
E te seguir coi fervidi
Miei voti ognor saprò.» —

     210— «Ah non indarno un’anima
Sì puro vel riveste!
Dè un culto aver tra gli uomini
La tua beltà celeste;
Tu sei qual astro amabile
215Ch’è scorta al vïator;
E a te mi prostro, o specchio
Divin, del creator!

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     Perdona, e insiem compiangimi!
Solleva il ciglio altero;
220Del tuo sublime spirito
Riprendi ora l’impero:
Meco a fuggir non piegasi
Quella che il cor piagò;
Ebben; d’amore io vittima
225Qui presso a lei cadrò!

     Il mio voler non cangiasi;
Qui fermo attendo il fato;
Non il morir, ma il vivere
Paventa un disperato
230Che, altrui cagion d’angoscia
Sol nato è per soffrir!» —
— «Ah dunque più non restami,
Che al fianco tuo morir!»

     In così dir scolorasi
235La delicata faccia;
Il piè vacilla, un gelido
Sudor le membra agghiaccia.
Sviene la bella — ei stracciasi
Qual forsennato il crin;
240E intanto appar la rosea
Foriera del mattin.

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     L’alba d’un lume candido
Quelle sembianze irraggia;
E qual, se in sonno placido
245Celesti cose assaggia,
D’un Serafin l’etereo
Volto sfavilla, e tal
Risplende il viso pallido
Che non ha in terra egual.

     250Di lei pietosa e conscia
Una devota ancella
Tacita avea con ansia
Seguito la donzella;
In quella stanza videla
255Entrar furtiva ancor,
E l’attendea; ma cedere
Dovette al suo timor.

     «Oh qual feral silenzio!
Fra sè dicea, che fia?
260È d’uopo omai raggiungerla
Se in ira anco le sia:»
Accorre; e fredda, esanime,
Rosilde al suol trovò;
Diè un grido; e alle sue soglie
265La vergin trasportò.