Mirtilla/Atto secondo

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Atto secondo

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Atto primo Atto terzo


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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA.

Ardelia Ninfa.


Ard.
H
OR che ingemmate son le valli, e i colli

Di fior bianchi, vermigli, azzurri e gialli;
Voglio sedendo à questa chiara fonte,
Che co’l suo grato, e sì dolce mormorio
M’invita à riposar le stanche membra,
Tessere a i crini miei vaga ghirlanda;
Sì ch’ogn’altra d’Ardelia i fiori ammiri,
Con pensiero immutabil d’osservare
La pudicitia mia cotanto cara,
A quella casta Diva,
Che co’l bel lume suo rischiara l’ombre,
Et inargenta le campagne, e i boschi
A lei sacrati; Hor siedo: ò che bei fiori;
Hor ben potrò comporne così bella
Ghirlanda, che n’havranno invidia l’altre
Compagne mie; Ma perche stanca alquanto
Mi sento dal seguire un Capriolo,
Che m’ha di strali vota la faretra,
Prima vo dar quest’occhi in preda al Sonno,
Cortese Dio, tranquillità del mondo,

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Riposo dei viventi, amico Sonno,
Lascia ti prego le cimerie grotte,
Dove lieto soggiorni,
E dentro à gl’occhi miei vieni à posarti.
O de l’amica notte
Fido compagno, vieni
A chiudermi le luci;
Poi che l’amico tuo fido Silentio
Meco si trova, quì non mugghia Toro,
Non bala capra, non abbaia Cane;
Quì non ulula Lupo,
Quì non stride Cicala,
Quì non gracida Rana,
Quì non s’ode l’augel nuntio del giorno,
Quì non s’ode altra cosa,
Che ’l mormorio di questa chiara fonte;
La qual mentre sì dolce, infra le pietre
Si và rompendo, imità quasi il suono
De le notturne cetre de’ Pastori.
Deh se cortese il Ciel mai non ti neghi
La tua leggiadra moglie, à me concedi
Dolce riposo; non sai quante, e quante
Volte ne le diverne hore m’hai dato
Quel, ch’ora ti domando?
Spargi dunque di nuovo gli occhi miei
Di caro oblio, e con le tue negre ali
Coprimi tutta, che più cara assai
Mi fia per la stanchezza l’ombra tua,
Che quella chiara luce, ch’ora veggio.

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Ma folle, mentre parlo,
Interrompo il Silenzio,
E, se pur senza lui nulla tu puoi,
Forz’è, ch’io taccia, o venti,
O piante, o cavi sassi, ove si vive
Ecco, nulla ridite
Di quel, che udito havete.
Amico Sonno, e caro,
Ecco, che ’l braccio pongo
Sù l’herba, e sopra ’l braccio il capo appoggio,
Acciò, presto mi doni
Il solito riposo.



SCENA SECONDA.

Ardelia, e Mirtilla Ninfe.


Mir.
G
Ià posto il freno à suoi lievi destrieri,

Sorgea di grembo a Theti, il biondo Apollo
Già scacciava l’Aurora, e già faceansi
D’oro le cime de’ più alti monti,
Quando bramosa di novelli fiori,
Da l’albergo fedel feci partita:
E sedendo in un prato a piè d’un colle,
Dal qual scendeva un’acqua viva, e pura,
Che sembrava a vederla
Liquido argento, che fuggendo gisse,
Con torti passi per quel prato, adorno
Di mille fiori, e mille;

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E stando in tal piacere,
Vidi (ahime) vidi Uranio,
Che la sua bianca greggia conducea
Ad un pasco vicino, e non sì presto
Lo vider gli occhi miei, che dentro il core
Restò piagato, & arso; allhora in vece
Di coglier fiori, i colsi ortiche, e stecchi;
E per rose odorate,
Pungenti spine nel mio seno posi.
Tu solo Uranio fosti,
Che di tenace nodo,
L’anima mi legasti,
All’hor, che dolcemente,
Con la dotta zampogna accompagnavi
I tuoi accenti, a i quali mentre
Pascea la tua lanosa, e grassa greggia,
Le ruggiadose herbette, rispondeva
Da questi cavi sassi Ecco infelice.
Da indi in quà mai non conobbi pace,
Anzi in sospiri, in pianti, e in fiamme ardenti,
Travaglia ogn’hor questa mia grave spoglia:
Nè Amor giamai, d’ogni mio mal radice,
Mi dà forza, e vigore,
Di scemar tanto ardore;
E, se ben gli occhi miei versano sempre
Amaro pianto, non per questo ponno
Spegnere in parte l’amoroso foco:
Ciò vietano i sospir, de’ quali il vento,
Sempre l’accende con maggior possanza;

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Così consumo la mia stanca vita,
Così tutta diventa al foco fiamma,
Tutta vento a i sospir, tutt’acqua al pianto;
Così lagrime amare,
Verseran sempre gli occhi,
Sospir la bocca, e foco, e fiamma il core.
Deh, dolce Uranio mio, vieni à colei,
Che sì t’apprezza, & ama; vieni homai
A colei, che t’adora, à cui dispiace,
Fuor, che i begli occhi tuoi, quant’ella vede:
Qual prova ingrato di mia salda fede;
Più di tentar, più di veder ti resta?
Deh perche a i preghi miei,
Sì dispietato sei?
Ard.Ohime, qual mesto suono
Conturba il mio soave, almo riposo?
Mirtilla, sei tu quella, che trahendo
Dal profondo del cor dogliosi accenti,
E focosi sospiri si lamenta?
Mir.Quella son’io, che di mestitia avanzo,
L’alme dolenti, che han perduto il giorno.
Ard.Questo forse t’avvien per troppo amare?
Mir.Ahi lassa, ben è vero,
Che d’ogni mio tormento,
N’è sol cagione Amore.
Ard. O di Venere iniquo, & empio figlio,
Che di perpetua doglia
Empi le menti, e i petti di coloro,
Ch’à le promesse tue d’effetto vote,

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Follemente dan fede:
Per tutte queste piante
Leggo, infelice Amante;
Chiaro, e notabil segno, che inseguirti
Altro pur, che dolor, non si ritrova:
Questa nemica fiamma de’ mortali,
Arde, strugge, consuma ogni piacere,
Onde senza intelletto,
Giudico chi lo segue.
Mir.Deh gratiosa Ardelia,
Non esser tanto ardita,
Che tu ti faccia lecito d’offendere,
L’invicibil fanciul de la Dea Venere:
Non dir, che privi di giudicio sieno
Coloro che lo seguono, che forse
Potresti un giorno divenir sua serva.
Ard.Più tosto tornerà l’antico Caos,
Che in me s’annidi mai pensier d’Amore;
E, se per mia sciagura à lui soggetta
Divenissi giamai,
La mia triforme Dea, la mia gran Cinthia,
Di lui fiera nemica,
Tosto mi leveria da la sua mano.
Mir.O folle, tu non sai, ch’ella se stessa
Liberar non poteo?
Dicalo Endimione,
Che fù da lei sì caldamente amato,
E PAN. Dio de’ Pastori,
Che per un vello di candida lana,

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Caramente la tenne infra le braccia.
Dunque non ti dar vanto
Di resistere a lui, che i più superbi,
E dispietati cori ha vinti, e domi;
Ma tu non vedi, Ardelia, ecco il mio Sole.
Ard.Che parli tu di Sole?
Mir.Di quel Pastor, ch’è Sole a gli occhi miei.
Chiaro Sol, che mi sface,
Che scende da quel colle;
Il vedi ancor Ardelia?
Ard.                                        Il veggio certo.
Mir.Quell’è il mio Sol.
Ard.                              Che vogliam far?
Mir.                                                            Io voglio,
Che ti nascondi dopo quella Quercia,
Se brami di servirmi, & io porrommi
Dietro a quest’Olmo.
Ard.                                        E poi?
Mir.                                                  Stammi ad udire,
Tu vedi, che ver noi ratto ne viene;
Vò dunque, che noi stiamo ascose, e quete,
Fin ch’egli arrivi, e, s’egli parla, voglio,
Che lo stiamo ad udire;
Tu non ti palesare,
Fin, ch’io non mi discopro; s’egli poscia
Verrà per ragionarti, come suole,
Fingi sprezzarlo.
Ard.                              Dico, che da vero
Lo sprezzarò, perche lo sprezzai sempre,
Come fiero nemico del mio bene;
Ma tu, perche vuoi questo?
Mir.                                                Perch’io spero.
Che la tua crudeltade, e la mia fede

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Gli faccino cangiar pensiero, e voglia;
Eccolo giunto, e già vicino a noi:
Ascondiamoci tosto.
Ard.                                        Ecco m’ascondo.
Mir.Et io quì mi porrò: cortese Amore
Concedimi, che questo giorno sia
Fin del mio mal, principio del mio bene.



SCENA TERZA.

Uranio, Ardelia, e Mirtilla.


Ura.
P
Ensi pur Tirsi, faccia, e dica quanto

Vuol, ch’unqua non potrà da l’Amor mio
Levarmi, ohime, che solo il può far Morte;
E se dopo la morte amar si puote,
Nè anco la sua forza, havrà mai forza.
Di spegner ne l’oblio questa mia fiamma,
La qual si dolcemente mi consuma,
Che d’ardere, e languir mi glorio, e vanto;
E sò, che la beltà de la mia Dea
E tal, ch’Amore in lei posto ha ’l suo nido,
E di sua mano ordisce,
De le sue bionde treccie i cari nodi,
Con le quai lega a mille amanti il core,
Sono gl’occhi, e le ciglia,
Le sue saette, e l’arco,
Che mai non scocca in vano;
La spatiosa fronte
E il varco, ov’egli fà continue prede,

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Le sue rosate labra, son le fiamme,
Con le quai sempre accende
Ogni più freddo core;
L’eburneo petto, e le mammelle, sono
La sua forte prigione, & egli stesso
Per maggior gloria, e vanto,
De la mia bella Ardelia,
E di lei prigioniero, e da lei vinto.
E di quì nasce, ch’egli
Non hà contra di lei potere alcuno;
Ond’ella lieta vive, & altri ancide;
E de l’altrui martir si gloria, e ride.
Mir.O Mirtilla dolente,
Pur hai di nuovo udito
La cagion del tuo male;
Ma prego il mio dolor, che ’n tanta guerra,
Qualche tregua mi dia, pace non chieggio;
Poi che à misera amante,
Tanto chieder non lice;
Ma voglio farmi ardita,
Per scorrer me stessa;
Il Ciel ti faccia lieto,
O de l’anima mia parte più cara.
Ura.Lieta sarei, se mai non ti vedessi.
Ard.Voglio scoprirmi anch’io,
Per osservar quel, che Mirtilla brama.
Ura.Parmi sentir la voce di colei,
Che tanto amo, & honoro.
Et eccola; O fortunata quando mai

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La vidi, ch’ella disdegnosa il piede
Altrove non volgesse? da ch’io l’amo
Non scorsi mai tanta pietade in lei
Del mio martire, e poi ch’ella non parte,
Anzi mostra voler, che seco parli,
Accosterommi arditamente a lei;
Ben trovata sostegno di mia vita.
Ard.Più tosto sosterrei di sostenere
Tutti i martir del mondo,
Che d’esser tuo sostegno.
Mir.Deh Uranio ascolta me, che t’amo, quanto
Amano l’alghe, e l’onde i muti pesci.
Ura.Deh Ardelia ascolta me, che t’amo, quanto
Aman l’api ingegnose i vaghi fiori.
Ard.Pastor lasciami star, ch’io t’odio, quanto
Odiano il lupo le belanti agnelle.
Ura.Ninfa lasciami star, ch’io t’odio, quanto
Odian gli augelli le viscose panie.
Mir.Non hà tanti colori Primavera,
Quanti sono i martiri,
Che tormentan per te l’anima mia.
Ura.Non risplendon nel Ciel tante fiammelle
La notte, quanti sono
I mali, che per te patisco ogn’hora.
Ard.Tanti augelli non van per l’aria a volo,
Quante sono le noie,
Che per te sento, quando t’odo, e veggio.
Ura.Tanti strai non aventa il crudo Amore,
Quanti sono i tormenti,

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Che con l’odiata tua vista mi dai.
Mir.Il Veltro segue il Lupo, io lassa seguo
Te, che mi fuggi, e co’l fuggir m’uccidi.
Ura.Il Lupo segue gli Agni, io lasso seguo
L’orme beate, e care del tuo piede.
Ard.Fuggono le Colombe da i rapaci
Augelli, & io da la tua vista fuggo.
Ura.Fuggon da i Cani le paurose Lepri,
Et io vie più fuggo Mirtilla, & odio.
Mir.Se m’accetti per tua, donar ti voglio
Un velo, ove vedrai con bel lavoro
Del miserello Adon la fiera morte:
E Venere vedrai, che infuriata,
Per far vendetta del suo bene estinto,
Manda a le selve i pargoletti Amori,
E par che dica, Quì presa menate
La dispietata Belva, acciò ch’io possa
Sfogar contra di lei l’irato core.
Ura.Se m’accetti per tuo, leggiadra Ninfa,
Donar ti voglio un’arco d’or fregiato,
Ove vedrai la dotta mano impresso
Di varij fiori, e Persa coronato
Himeneo con polita, e bella guancia,
Che tien nella sinistra un vel purpureo,
E nella destra una facella accesa,
E lo vedrai sì bello, e ben composto,
Che sembra spirto haver voce, e favella.
Ard.Se tu mi lasci stare Uranio homai,
Donar ti voglio il mio Torrente fido,

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Che tra quanti mi tengo amati cani,
Questo m’è assai più caro, e più gradito,
Il quale con ragione in vero porta
Di veloce torrente il nome altero;
Poi che fiera non è per questi boschi,
Sia pur quanto si vuol fugace, e presta,
Ch’egli correndo non la fermi, ò prenda,
O sia nel bosco, ò corr’al monte, o ’l piano.
Ura.Se di noiarmi homai resti, Mirtilla,
Donar ti voglio un vaso, ove vedrai
Giove da un canto trasformato in Cigno
Che stà lieto nel sen de la sua Leda;
E da l’altro il vedrai, che per Calisto
Hà preso di Diana il viso, e i panni,
Per il bel Ganimede il vedrai poscia
Da l’altra parte in Aquila cangiato,
E per Danae da l’altra in pioggia d’oro.
Mir.Onde nascesti? d’un alpestre scoglio?
Ti diedero le Tigri Hircane il latte?
Ura.Hor sei tu nata in fra i gelati monti?
Ti partorì, crudele, una Leonza?
Ard.Hor sei tu nata d’un aspide sordo,
Che intender non mi vuoi? dico che t’odio.
Ura.Hor sei tu nata per noiarmi sempre,
E Stimolarmi ogn’hor? dico che t’odio.
Mir.O più saldo, che marmo al mio gran pianto.
Ura.O più fredda, che neve, al mio gran foco.
Ard.O più noioso, che Cicala stridula,
Resta ne la mal’hora, ch’io mi parto.

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Per non sentirti più, nè piu vederti.
Ura.Ardelia tu mi fuggi, e credi forse
Co’l tuo fuggir di farmi
Finir giorni miei;
Ma ’l tuo pensiero è vano,
Poi che l’imagin tua, che meco resta,
Se ben da me t’involi,
In vita mi mantiene:
Ne lontananza, o tempo,
Puo far, ch’io ti disami,
Che non si toglie al core
Quel, ch’à gli occhi si toglie.
Deh, se può loco haver nel casto seno
De’ miei gravi martir qualche pietade,
E, se sperar dee mai fido servire,
Qualche mercè, di me t’incresca. Volgi,
Volgi quei chiari lumi,
Che ’l cor di vivo foco acceso m’hanno;
Ah, se fuggendo le tue belle piante,
Fusser punte da spini, di che doglia
Mi saresti cagione? Ferma adunque
Il piè troppo veloce a’ danni miei;
Non lasciar gli occhi miei,
Privi della lor luce,
Che di continuo pianto
Irrigheran l’afflitte guance, e ’l seno.
Tu sola puoi campar la vita mia,
Che già veloce à morte
Se ’l corre ah non son’io

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Già sì deforme, che à fuggir tu m’habbi,
Spietata Ardelia, ecco io ti serbo, ascolta,
Una candida Cerva, un Capro, e un Lupo,
Avezzo à star in un covile istesso,
Co’l mio fido Melampo, e con Licisca,
E fuor di suo costume,
Con le pecore scherza, e con gli agnelli;
E se questo non basta, io ti prometto
Sacrificarti ancor, come à mia Dea,
E far d’Arabi odor fumar gli altari.
Deh, se pietosi preghi hanno in te forza,
Non mi fuggir crudel, non mi negare
Si dolce vista homai, per cui respiro.
Deh, s’à fede amorosa,
Amorosa pietà sperar si deve,
Dovria pur la mia fede
Sperar qualche mercede;
Ma tu, che mai nel core
Non ricevesti Amore,
Sprezzi il mio male, e godi
Di vedermi languire;
E pure, ohime, son di seguirti astretto.
Mir.Deh perche segui, Uranio, chi ti fugge;
Deh, perche fuggi, Uranio, chi ti segue?
Perche ami tu, chi t’odia?
Perche odij tu, chi t’ama?
Deh perche prezzi tu, misero amante,
Una donna crudel, che ti disprezza?
Deh perche sprezzi, discortese amato,

[p. 22v modifica]

Una fedele amante, che ti prezza?
Deh fuggi, chi ti fugge,
Sprezza, chi ti disprezza,
Accogli, chi ti segue,
Rendi amor per amor, odio per odio,
Sarà possibil mai, che non ti pieghi
A così giusti preghi?
Non vedi, che le stelle,
L’aria, l’acqua la terra,
E i più superbi venti,
Al fin cangiano, ò stile, ò luogo, ò tempre?
Tu sol, qual duro scoglio,
Resti rigido sempre, immobil sempre;
Ma che scoglio diss’io?
Poi che à l’onde del Mare
Cede tal’hor lo scoglio,
E ’l cava pur tal’hor picciola stilla,
E tu sempre più saldo,
Ne la tua fiera voglia, ohime, dimori,
Hor vita, hor morte mostrano le stelle,
Nè sempre d’un color veste la terra,
Nè sempre si dimostra il Mar turbato;
I venti hor son crucciosi, hor son benigni.
E tutte l’altre cose,
Quando propitie sono, e quando avverse;
Ma ’l tuo rigido core,
Un perpetuo tenor di crudeltade
Meco mantiene, e tu sempre mi fuggi,
Sempre morte minaccia à la mia vita;

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E finalmente, crudo, ogni pensiero,
Ogni parola, ogn’opra,
E tutto quel, che pensi, e parli, e fai,
E’l sol per darmi inanzi tempo morte;
Ma sia come si vuol, voglio seguirti.


Il fine del Secondo Atto.