Novelle (Bandello, 1910)/Appendice/Nota

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../Dedicatoria V ../Indice dei nomi IncludiIntestazione 30 settembre 2017 25% Da definire

Appendice - Dedicatoria V Appendice - Indice dei nomi
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NOTA

[p. 331 modifica]I. Circa il 1512 Matteo Bandello, dedicando all’amico Aldo Pio Manuzio la novella XV della parte prima, lo assicurava che, conducendo al fine le sue Novelle, a lui solo le avrebbe mandate perché le facesse degne del pubblico, si per acconsentire alla richiesta che egli gliene aveva fatto e si perché conosceva che da lui sarebbero state date fuori, se non come meritavano per la bellezza loro, almeno come al nome del gentilissimo e dottissimo Aldo si conveniva. Ma la morte di Aldo e le molte brighe del novelliere impedirono che il bel proposito fosse attuato: non solo, ma bisognò che il Bandello vivesse tranquillamente a sé e alle muse nel rifugio sicuro di Bassens presso Gostanza Rangona e Fre- gosa perché le novelle fossero da lui raccolte, se non ordinate — egli stesso dice che le raccoglieva senza ordine, come gli venivano alle mani, — rivedute e pubblicate ¡11 tre parti, ciascuna in un volume — le prime due di 59 novelle ciascuna, la terza di 68 — pei tipi di Vincenzo Busdrago a Lucca tra il marzo e il giugno del 1554 <’>• Pochi anni dopo Ascanio Centorio degli Ortensi trasse da questa edizione centoventidue novelle, che pubblicò a Milano nel 1560 in tre volumi: distribuì le novelle in tre parti (le prime due di 40, la terza di 42), per altro senza rispettarne l’ordine originario 00; omise le dedicatorie, le introduzioni e tutto quello che (1) La prima (la seconda, la terza) parte de le novelle del Bandello. In Lucca, per il Busdrago, 1554 (tre volumi in-4). (2) Infatti nelle tre parti le novelle si seguono cosi: I: 1, 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, io, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 33, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 47. 49. 51. 52. 53. 54. 55; *1: 9, 5, 6, 8, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 21, 22, 25, 26, 27, 28, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 40, 41, 42, 43, 46, 47, 50, 52, 53, 54, 55, 56, 58;

  • • 56< 57, 59: ni, 1,... [nell'esemplare che ho potuto vedere manca l’ultimo foglio];

111: II, 44; m, 4, 5, 6, 7, 9, 11, 13, 15, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 27, 29, 31, 33, ¿5. 37. 39. 40, 45. 4«, 47. 5°. 5‘. 5J. 54. 57. 58, 59. 60, 62, 64, 65, 66, 67, 6S. [p. 332 modifica]332 NOTA può ricordare il narratore e l’occasione della narrazione; conservò J esattamente, nel resto, la lezione lucchese e a ciascuna novella j premise il suo « senso morale », cioè una più o meno breve considerazione sul fatto narrato, non importa se immorale od osceno. Di più fece seguire a quelle del Bandello, senza alcun segno di distinzione, diciotto altre novelle di altri autori, dei quali non fecé ,1 il nome, ma che è facile riconoscere. Nel 1566 Alfonso Ulloa ripubblicò a Venezia questa scelta e, tra l’edizione sua e quella del Centorio, Francesco Sansovino ristampò diciassette novelle del Bandello tra le cento dei « più nobili scrittori » che pubblici nel 1561 ('). La lontananza dall'Italia impedi al Bandello di dare alla stampa delle sue Novelle tutte le cure che avrebbe dovuto, onde essa i riusci assai scorretta, come è già noto a tutti i bibliografi; di più egli dovette patire un sopruso; ché dalla terza parte la Signoria di Lucca fece togliere la novella che narra l’atroce delitto del lucchese Simone Turchi, a istigazione dei parenti di questo. Era \ naturale che egli pensasse a una rivincita; e questa non potev essere che la pubblicazione di una quarta parte delle Novelle, della quale prima fosse la invisa ai lucchesi. Egli mise insien infatti, questa quarta parte, che comprende soltanto ventoti novelle; e nella prefazione di essa e nella dedicatoria della no-1 velia espose il torto che aveva patito e come se ne vendicava; f ma non potè vedere stampata questa nuova raccolta, ché fu so-] praggiunto dalla morte, la quale, a mio parere, non deve esse di molto posteriore al settembre del 1555. Cosi questa quarta parte] fu pubblicata soltanto nell’aprile del 1573 a Lione da Alessand (1) Cento novelle scelte dappiù nobili scrittori dello lingua volgare, di I-'ran- | r fìsco Sansovino, nelle quali piacevoli e notabili avvenimenti si contengono. Di que- • st’opera ho potuto vedere soltanto l'edizione di Venezia, 1603, appresso Ale Vecchi, 1 voi. iti-8 di pag. 444. Le novelle sono raggruppate in dieci giornate di | dicci ciascuna, e si fingono raccontate dai personaggi di questo nuovo Deca Naturalmente sono tralasciate, oltre le dedicatorie, le introduzioni degli autori, e di j questi sono taciuti i nomi ; ad ogni novella seguono due o più versi che ne esprimono la « morale ». Le novelle del Bandello sono: la sesta e la decima della giornata sesta (11, 25, 53; 111, 17); la sesta della settima (1, 18); la prima, la seconda, la quinta e la settima dell'ottava (ni, 23, 19; 1, 28; in, 22); la nona e la decima della nona (vi, 2, 8); la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima j l’ottava della decima (m, 39, 40, 54, 64, 7, 9, 11). Secondo l’indice anche la terat“] e quarta novella dell’ottava giornata sarebbero del Bandello (in, 20, 29); invece appartengono ad altro autore. [p. 333 modifica]NOTA 333 Marsilii ('). Come l’originale di essa sia venuto alle mani del Marsilii non sappiamo; certo è clic nella dedicatoria egli affermava la sua assoluta padronanza del lavoro, dicendo che in lui stava lo stamparlo e il dedicarlo a chi yoleva, e ne dava la prova mutando l'ordine delle novelle, per cui quella che nella mente dell'autore sarebbe dovuta essere la prima, diventava la penultima del volume; e ciò avvertiva i lettori di aver latto « per buon rispetto e comodità della stampa ». Notevole mi pare che egli dica di aver spostato l’ordine di « alcune novelle », laddove in verità non uè spostò se non una. Non solo in questo particolare il quarto volume, pur differente nel formato dai tre precedenti, simile nella scorrezione tipografica, si scosta dalla mente dell’autore, ma anche nelle forme grammaticali e linguistiche: non vi sono conservate infatti quelle forme che nelle altre parti appaiono abituali al Ban- dello e di più vi si incontrano alcuni crudi francesismi ; onde appar chiaro che a questa serie di Novelle mancò l’ultima revisione dell’autore, e che chi ne preparò e corresse la stampa sentiva nella lingua l’influenza del soggiorno in paese francese. Negli anni che corsero dal 1573, attraverso tutto il Seicento, (ino al 1740 il novelliero bandelliano non fu più ristampato e quasi venne meno anche la fama dell'autore stesso. In quell'anno tutte le quattro parti furono ristampate a Londra per S. Harding in edizione che, anche nelle forme esteriori e nell’uso dei caratteri tipografici, volle essere la riproduzione esatta della prima edizione originale; tuttavia presenta qualche differenza, ché, mentre rispetta gli evidenti errori tipografici, muta qualche forma linguistica, e scrive, ad esempio, sempre « Aragona » dove il Bandello usa «Ragona». Un’altra edizione compiuta, nella quale, rispettando la volontà dell’autore, la novella XXVII della parte quarta ritorna ad essere la prima, fu pubblicata a Livorno dal Masi, per cura di Gaetano Poggiali, in nove volumi in ottavo, nel 1791-93, con la falsa indicazione di «Londra presso Riccardo Banker». Tra queste due edizioni compiute lo Zanetti pubblicò nel terzo volume del suo Novelliero italiano (2) otto novelle del Bandello, (1) La quarta parte de te novelle del Bandello, nuovamente composte ni per Vadietro date in ture. In Lione, appresso Alessandro Marsilii, 1573 (un volume in-S). (2) Del novelliero italiano volume terzo. In Venezia presso G. B. Pasquali, 1754. Nell'introduzione (yl' cortesi leggitori', paragr. vi, p. xv sgg.) è data una mollo [p. 334 modifica]334 NOTA di due delle quali sbagliò l’attribuzione, assegnandole al San- j sovino. Più numerose furono le edizioni, intere e parziali, del novelliero bandelliano nel secolo xix, tutte fondate, come le precedenti del secolo xviii, sulle originali del 1554 e 1573, non senza modificazioni, specialmente per ciò che riguarda la lingua, quando in maggiore quando in minor grado, dovute al gusto e alla educazione letteraria dei singoli editori. Di queste edizioni tre soltanto sono integrali, e cioè quella milanese del Silvestri in nove volumi in-16 (1813-14), quella fiorentina del Borghi e compagni (1S32) in un unico volume in-8, e quella torinese in quattro volumi in-16 dei cugini Pomba e compagni : queste tre danno per prima della quarta parte la novella del Turchi, ventesimasettima nell’edizione lionese('). Tutte le altre sono parziali. Negli anni che sono passati del secolo xx già due edizioni integrali delle novelle bandelliane hanno veduto la luce; e sono questa nostra quella torinese curata da Gustavo Balsamo Crivelli per 1’ Unio tipografica. A queste si deve aggiungere una scelta di quaran novelle, fatta con diligenza e dottrina grandi da Francesco Pict per la Biblioteca classica economica del Sonzogno a Milano; un’altra, particolarmente curiosa per il suo carattere anticleric fatta da un ignoto per una ditta pur milanese: fa parte di Biblioteca grassa d'autori celebri e comprende quaranta npve tratte dalle prime due parti e disposte senza rispettar l’ordine ori-; ginario (2). II. Delle Novelle bandelliane ci rimangono due soli manoscritti, e parziali: uno, che contiene la novella XXI della parte prima, appartenne a Emanuele Cicogna, che lo pubblicò a Venezia nel sommaria ed erronea notizia del Bandello; a p. 225 sgg. sono le novelle: i, 45; il, 27; ili, 17; li, 44; hi, 18, 65; a p. 319 la novella I, 18; e a p. 331 la novella in, 11,1 buite al Sansovino. (1) Noi abbiamo seguito l’ordine dell'edizione originale; ma poiché studi [ tanti sul Bandello adottano l’altra numerazione, abbiamo creduto di dover iod anche questa, tra parentesi, accanto alla prima. (2) Novelle di mons. Matteo Bandello vescovo di Agett. Società editrice A. Lombardi e C., Milano, 1909. [p. 335 modifica]NOTA 335 1848 (') e ora è conservato tra i manoscritti Cicogna del Museo civico Correr di Venezia (n. 3274, nuovo 3000,14). La scrittura è certamente del secolo xvi, ma nulla nel codice oflre indizio della sua provenienza. Il Cicogna credette che si trattasse di un primo abbozzo, sul quale il Bandello sarebbe ritornato più tardi, quando preparava le Novelle per la stampa, aggiungendo allora alla novella la dedicatoria e l’introduzione, che infatti mancano nel codice. Io credo invece che si tratti di copia fatta da mano veneziana sopra chi sa quale esemplare, togliendo da questo tutto ciò che al racconto dà la sua impronta di vivo discorso parlato e ogni altro carattere personale, come abbiam visto fatto dal Centorio, dall’ Ulloa, dal Sansovino, e come l’autore non avrebbe fatto in una prima, bensi in una seconda redazione. Infatti non solo è soppressa la dedicatoria, ma anche l'introduzione, e perfino l’inciso (cfr. nella nostra edizione, voi. 1, p. 261, r. 5): « come qualunque persona che sia qui può per fama aver inteso»; onde la novella comincia senz’altro: « Matia Corvino fu re di Ongaria ». Inoltre dove la prima volta è nominata la città di Cuziano, nel ms. manca l’inciso (ricordo spontaneo, e opportuno nel racconto parlato, di chi vien da paese ignoto a chi ascolta): « ove sono le vene de l’argento e degli altri metalli in grande abondanza ». Cosi manca quest’altro tratto tutto personale: « e chi, per Dio, averebbe mai cosi fatto incantesimo ¡maginato? » (p. 268). Quanto alla « venezianità », essa mi è largamente provata da parecchie forme venete che si leggono nel ms.: «agiuto, giogie, biastemando, lessegni, mortaggio (mortaio), andeo, sazzo (saggio) »; di più mi pare dialettale questa espressione che a guisa di commento il ms. aggiunge alla stampa: «perché infatto era alquanto perso ». Ma, a differenza del Centorio e dell’Ulloa, l’ignoto copista tocca anche il testo. Infatti anzitutto muta i nomi di due personaggi: Ulrico diventa Scipione; Uladislao Federigo, e questi nomi sostituiti sono assai meno boemi dei primi, e concorrono a diminuire il color locale e il carattere personale della novella. Ancora: nel ms., contro il costante uso del Bandello, si legge « puntualmente » per « puntalmente » e il numerale «due» indifferentemente pel maschile e pel femminile; non bandelliana è anche la forma «paragone» in luogo di «parangone». In un (1) Novella di M. B. riprodotta con varianti sopra un ms. del secolo XVI (Venezia, Merlo, 1848). [p. 336 modifica]336 NOTA punto poi pare che l’amanuense veneziano non capisca il SUo testo, scrivendo «pecoraggine», che non dà senso, in luogo di « pecoreccio », parola familiarissima al Randello. In conclusione il ms., molto scorretto (e il Cicogna nella sua stampa non di correggere gli errori più evidenti), rappresenta per ine ia copiai di un qualsiasi dilettante, che modificò per ragioni a noi ignote il testo originale, e quindi non ha importanza alcuna per la costi, tuzione del testo delle Novelle. Tuttavia non sarà inutile riferire alcuna delle principali differenze. Il ms. quando abbrevia e quando allunga, in generale a guisa di commento, come per esempio in questo passo, che corrispon-* " alle righe 3-8 della pagina 262 del nostro primo volume: « Cono-' scendo che di estraordinario agiuto aveva molto bisogno, deliberi; nell’animo suo, dopo molti e vari pensieri e discorsi fatti, di ritornare in corte del re Matia suo signore e in quella dare di sé sazzo tale e in modo adoperarsi per servici di quel regno, che finalmente poi egli e la moglie sua, che carissima teneva, potessero vivere onoratamente, sperando certo che col servizio suo dei qualche para de anni ¡1 re lo dovesse molto bene premiare».) Invece quanto è detto da p. 246, r. 6 a p. 265, r. 14, nel ms. è abbreviato cosi: « Ma alla risposta venendo, ve dico che se bene mio sommo contento sarebbe di vivere tutto quel poco di tempo] che ci avanza con esso voi, pur, considerando qual gloria e onorei ve potesse rapportare il far ritorno alla corte del re Matia, olire le ricchezze che potreste conseguire, me fa aquetar l’animo mio.i Però tutto quello che ve risolverete di fare, tutto sarà da mej allegramente accettato, sperando nella bontà del nostro si; Dio, che in tutte le azione vostre ne debba talmente favo che finalmente poi con ricchezze e splendore farete a casa vos l’aspettato ritorno. Andatevene dunque allegramente, ché, se bd per la lontananza vostra senza dubio qualche acerbissimo dol me doverà assalire, nondimeno spero di addolcirlo col conten ch’io sentirò, vedendovi soddisfatto di si nobil discorso e pensi. sperando, con la dolce memoria di voi andando di giorno in gio; ingannando i miei pensieri, di vedervi assai più lieto di quello chi ora non siete ». 11 ms. allunga, commentando, anche le righe 14-iS della p. 267: « Ma poi ritornerà subito nel suo colore di pri quando però li messaggieri ed ambasciate subito cessate sia: per che tanto durerà la giallura quanto li pensieri e fatiche di quelli che cercheranno il suo amore ». Quanto è contenuto da [p. 337 modifica]NOTA 337 p 271, r. 27 a p. 272, r. 4 è abbreviato e mutato in questa maniera: «Alla fine, se ben dal re e regina (ché poco piacevano nella corte sua simil convenzione) fussero dissuasi a ciò dover fare, conclusero i due baroni col signor Scipione, e col mezzo di pubblico notaro stipularono ¡strumentò di quanto promesso avevano»- Le varianti colpiscono anche la sostanza: nel nostro testo il cavaliere boemo parla di « mettersi in corte » ai servigi del re Mattia, laddove nel ms. parla di « ritornarvi »; e quando ricorda i servigi suoi guerreschi presso il vaivoda della Transilvania, le parole: « fui dal conte di Cilia richiesto di mettermi in casa del re», ricordo dal quale è germinata la nuova risoluzione di andare a corte, nel ms. sono sostituite da queste altre: « I.e mie operazioni furono di modo che di me da Sua Maestà e da tutti li grandi della corte furono dette parole, che da quelle se potevano comprender la compita lor satisfazione delle fatiche mie». Ed ove la stampa suona: « Io vorrei poter mantenere il grado, che mia madre, secondo che mi ricordo, manteneva », nel ms. si legge: « Io vorrei poter mantenere il grado che li miei solevano, di famelia, cavalcature ed altro, mantenere». L'ordine del racconto della p. 273, rr. 12-34, muta interamente nel ms.: Era questa camera una fortissima pregione, che anticamente fatta fu a posta per tenervi dentro alcuni malfattori di quel regno, la quale aveva una porta di ferro con serratura todesca (e si poteva serrare ma non più aprire, chi non avesse avute le chiavi), e da un canto un balconzino, che a pena se poteva porgere alli incarcerati un pane e un bichier de vino, tanto era picciolo; in un cantone della quale vi era una roca da filare, con alquanti lessegni di lino. Il barone, avuta dalla donna questa così, al parer suo, felice risposta, se tenne il più contento e avventuroso uomo che fusse al mondo, e una ora le pareva mille anni che fusse dimane il mezzogiorno, onde rese alla donna quelle grazie che puoté maggiori, se parti e ritornò al suo albergo, pieno de tanta allegrezza quanta ognuno può imaginare. Il giorno seguente, come fu venuta l'ora del mezzodi, il barone andò al castello, e non vi ritrovando persona entrò dentro e, secondo l’ammaestramento dalla donna il giorno innanzi avuto, andò di lungo alla camera terrena, e quella aperta trovata, come fu entrato, spinse con forza la porta e da se stesso si impregionò. La donna, che non molto lontana in aguato si ritrovava, come senti la porta essersi serrata, usci della camera ove era e, pian piano alla camera del barone arrivata, volse pur di fuora vedere se la porta era ben serrata, e trovolla benissimo forte, che mai il barone da sé l’avrebbe potuta aprire. M. Bandhllo, A'ovette. 22 [p. 338 modifica]33« NOTA Sono soppresse le parole della p. 277, rr. 15-6 (osservazione volgare ma conveniente in bocca di una cameriera); ma i mutamenti maggiori anzi radicali sono dalla metà della pagina 27S del nostro volume alla fine della novella, cosi leggendonsi nel ms. : Era passato già più d’un mese e mezzo, che il signor Alberto s’era dalla corte partito, e divenuto castellano, e fatto gran filatore; e vedendo il signor Federigo che, secondo che tra loro si erano convenuti, il signor Alberto non le mandava né messo né ambasciata come a lui il fatto fusse successo, stava in gran pensiero di ciò che far dovesse, varie cose fra se medesimo più volte discorrendo. Cadutogli poi neH’ammo che il compagno felicemente al fine dell'impresa fusse pervenuto e avesse il desiato frutto della donna còlto e che, immerso nei amorosi piaceri, l’ordine messo si fosse smenticato, né punto curasi (0 di dargliene avviso, deliberò di mettersi in cammino e tentar anco egli la sua fortuna... Onde subito [la donna] fece nettare un andeo (2) che alla prigione vicino si trovava, e li fece far un balconzino cosi stretto come quell’altro era, e una porta sicura, con la chiave tedesca, che serrar ma aprir non se poteva se non da chi le chiave avea. Il barone il giorno seguente, andato al castello, fece dire che desiderava la signora di quello, venendo dalla corte del re Matia, visitare; innanzi alla quale essendo stato adinesso, fu da lei, secondo il solito, con allegro e piacevol viso ricevuto. Ove entrati l'uno e l’altra in diversi e vari ragionamenti, e mostrandosi la donna verso di lui molto festevole, entrò il signor Federigo subito in oppinione che in | breve verrebbe a fine dell’impresa sua, vedendola cosi festosa e che con \ occhio cosi lascivo e parole piene di dolcezza le parlava; ma per quella \ prima volta non volse a nissuna particolarità del suo proponimento discen- | dere, e le parole sue furono generali: che udita la fama della sua beltà e le maniere de’ suoi laudevol costumi, ed essendogli bisognato di venir in Boemia, non s’era voluto partire senza vederla, e che in lei avea trovato molto più di quello che la fama risonava; e cosi passata quella prima visitazione, all’albergo suo fece ritorno. La donna, partito che fu| del castello il barone, seco propose che non era bene di tenirlo troppo in speranze, ma di ridurlo nel loco ove avea disegnato, per premio delle fatiche sue, essendo neU’animo suo molto adirata contra di tutti doi, parendole che troppo presontuosamente si fossero gettati alla strada, come pubblici assassini, per rnbarle e macchiare il suo onore e metterla in con- j tinua disgrazia del marito, anzi a rischio della morte. Tornato dunque | il signor Federigo a visitazione della donna, lei se gli mostrò più piace- r vole che mai e, prima che lui volesse o sapesse formar concetto per, (1) « Curarsi » corregge il Cicogna. (3) « Andito » corregge il Cicogna. [p. 339 modifica]NOTA 339 esprimer l’intrinseco «lei suo cuore, comenciò lei a dirle- che il grato aspetto suo, accompagnato da tutte le altre degne queliti che a cavaliere de onore se conveniva, subito visto, l’avea di maniera nel suo cuore fisso, che mai dopo ad altro non avea pensato cli£ a lui. Il barone, come udi il tenore del ragionamento della donna, e che anco negli occhi suoi vedeva un certo scintillare, tenne |>er fermo che di maggior fatiche per conseguir l’amor suo non fusse molto di bisogno, ma per non perder tempo le disse: Signora mia, se il mio aspetto ve ha piacciuto, a me il vostro sopra ogn'altro, che fino al di de oggi abbia veduto, ha si fattamente fatto fermo albergo nel mio cuore, che non credo che mai più se abbia ad allontanare. — Onde di parola in parola i dolci ragionamenti andò in modo crescendo, che la donna lo pregò che quanto più di nascoso che potesse se ne andasse al loco destinato e l’aspettasse, che verrebbe quanto più presto per contentarlo ili quel che più le piacesse. Il barone, credendo di andare in qualche camera ove il letto fusse comodamente apparecchiato, vi andò e, secondo la commissione della donna, entrato, serrò la porta per non esser da altri, che per quella via eran soliti di passare, veduto. Al quale non poco doppoi andò la solita e instrutta damigella, e le disse: — Signor Federigo, la mia signora ve manda a dire che, se volete cibare, vi bisognerà inaspare quel filo che in quel cantone con un naspo se ritrova; nè di questo ve ne prenderete meraviglia, perciocché, se anco il vostro compagno signor Alberto ha voluto fin al giorno de oggi vivere, ha convenuto filare, e si bene ha imparato che fa vergogna a noi donne, e se non lo credete, batterete (■) al muro da quella parte e chiamatelo, chè vi risponderà e ve dirà se è vero quello che ve dico. Però attendete a inaspare ancora voi, e come inaspato arete, verrò a darvi da disnare; altramente digiunarete, come per doi giorni digiunò ancora lui, stando ostinato di non voler filare. Sicché tutti dua sarete venuti in Boemia ad imparare cosi lodevoli esercizi di cavalleria. —... Il signor Scipione, avuta cosi felice e cara novella, andò subito a far reverenzia al re, al quale narrò tutta l'istoria seguita, si come per lettere della moglie avea inteso. Rimasero pieni di admirazione il re e la regina e tutti gli altri baroni, sommamente il valor e prudenzia della savia donna commendando. Dimandata poi dal signor Scipione l’esecuzione della convenzione pattuita, il re, fatto unire il suo consiglio, volse che ciascun dicesse il parer suo; nel qual fu preso che se dovesse in Boemia mandare il gran cancelliero con doi altri consiglieri del regno al castello del signor Scipione per formar diligente e giuridico processo sopra del fatto delli dua baroni. Andarono questi tre; e gionti alla presenzia della donna, da quella presero particolar informazione, poi dalla messaggiera donzella, e ultimamente constituirono i dua baroni, i quali alcuni giorni innanzi la (i) « Battete » corregge il Cicogna. 340 N [p. 340 modifica]OTA donna aveva fatti metter insieme, acciocché filando l’uno e inaspandol’altro potessero, qualche canzonetta cantando, passar i giorni suoi. Il cancelliero insieme con li conseglieri, come vide li baroni, le venne prima pietà; p0j considerando il fatto, li giudicò degni di cotal castigo; e formato processo ritornò alla corte. Il quale alla presenzia del re, della regina e de tutti 1 principal baroni del regno, letto e bene esaminato, tenendo più degli altri la regina la ragione della savia donna, sentenziò Sua Maestà ch’el signor Scipione avesse il possesso di tutto l’avere de’ beni mobili e feudi dei doi baroni ongari per lui e suoi eriedi in perpetuo, e che essi baroni fussero delli regni di Ongaria e Boemia banditi, con taglia che se i loro bandi rompessero, fussero come (>) pubblici manigoldi frustati. Fu la severa sentenza mandata subito ad esecuzione, e il cavaliere andò al possesso de’ beni loro. Comandò il re e la regina che la bella e non mai a bastanza lodata donna venisse alla corte, ove ila Sua Maestà gratamente fu raccolta e da tutti universalmente con infinita meraveglia veduta e onorata. E la regina, presala per figlia spirituale, le assignò grossa provisione, t sempre la ebbe carissima. L’incontro poi che il cavaliere suo marito le fece, ognuno lo può giudicare, il quale da soverchia allegrezza quasi nel primo incontro cascò da cavallo, né potea formar parole per dir che la fusse la ben venuta. Ma lei con la solita prudenzia sua subito le disse: — Marito e signor mio, ne sia sempre rese grazie alla bontà de Dio che a me ha dato forze e modo di mantenere quello che avea promesso, e a voi modo ora di vivere secondo che sempre desiderato avete. Ma più comodamente ragionerò con voi i fatti nostri, — volendo inferire, quando saranno alle stanze loro, e forse in letto. II cavaliere, cresciuto in facultà e dignità ed essendo dal re molto amato e carezzato, visse lungamente con la sua cara moglie in pace, né si scordando del polacco, fattore della immagine, di danari e de altre cose le mandò un ricco dono. Né li baroni più da alcuno della corte furono in ninna altra parte veduti; onde si tenne per fermo che, come disperati e scornati, si facessero turchi. L’altro manoscritto appartiene alla Bibliothèque de la Ville (n. 837, già 11, 70; ant. mini. 3041) di Tolosa, e fu primamente fatto conoscere dal cavalier Costanzo Gazzera, che in una Notizia intorno ai codici manoscritti di cose italiane conservati nelle biblioteche de! Mezzogiorno della Francia, da lui premessa al Trattato della dignità ed altri inediti scritti di Torquato Tasso (Torino, stamperia reale, 1838, p. 69), scrisse: « Ho pure veduto un elegante codicetto, ed autografo, di una novella di Matteo Bandello, già edita, ed è quella che contiene l'Istoria di Odoardo re d'In- I (1) « Da » corregge il Cicogna. [p. 341 modifica]NOTA 34' ghillerra e Aelips sua innamorala e poi moglie, intitúlala al cardinale d’Armagnac, ed è questo forse l’esemplare stesso offerto dal Bandella a quel cardinale ». Più tardi la stessa notizia, facendo propria l’opinione del Gazzera sull’autografia del codice, confermò il Mazzatinti (Manoscritti italiani delle biblioteche di Francia, ni, 187). Dell’autografia credo nessuno possa dubitare: che si tratti poi di una prima redazione della novella, è cosa che mi pare risulti evidente dal confronto del testo manoscritto con lo stampato (nostro voi- Hi, P- 2S1); e che questo esemplare sia quello stesso dall’autore presentato al cardinale d’Armagnac, mi par verisimile. Questo codice dunque ha una reale importanza per chi voglia studiare come il Bandello componesse e quindi correggesse le sue novelle, raccogliendole per la stampa. A me non fu dato di esaminarlo, ma grazie all’interessamento del professore Ernesto Merimée, questo esame fece per me, con diligenza pari alla cortesia e alla cognizione che ella ha della nostra lingua, la signora Lucie Lary, alla quale mi è caro porgere pubblicamente cordiali ringraziamenti. Il testo manoscritto differisce dallo stampato quasi ad ogni riga, ma sono differenze di poco momento, quasi sempre formali; molto manca nel manoscritto che si legge nel testo stampato, ed è per lo più commento sentenzioso e rettorico di pensieri appena accennati nella prima redazione. Di queste lacune le principali si riferiscono alle pp. 297, rr. 2-16; 299, rr. 12-15; 301, rr. 12-16; 305, rr. 17-24; 307, rr. 9-20; 327. rr. 19-20. Nella dedicatoria, invece, il Bandello soppresse nella stampa un brano che dovette uscirgli spontaneo dalla penna quando scrisse la novella sotto l’impressione viva della notizia, appena giunta, che il re d’Inghilterra Enrico ottavo era morto; esso rivela infatti maggior vivacità e maggior calore di sentimento che non siano nello stampato. Il brano omesso, che era tra le parole « ingratissimo si dimostrò» e «cosi di lui» (p. 283, r. 12), dice: Suo figliuolo Enrico (o Dio buono, che novo mostro, che fiero tiranno!) è stato di maniera, che la varietà de la vita sua darà ampio campo agli scrittori che le azioni di quello scrivere vorranno. E per quanto ne scri- veno gli istorici, che diligentemente deducono le genealogie de li reggi inglesi, li suoi bisavoli, avoli, padre, e egli ¡stesso, tutti furono tiranni e usurpatori del regno, vivendo di continovo li veri eredi, a li quali ili ragione la corona appertenea. Non è dunque meraviglia se egli è stato crudelissimo e se ha sparso tanto sangue umano che averebbe fatto uno fiume, procedendo la sua crudeltà per téma che li dritti e li legit[p. 342 modifica]342 NOTA timi eredi de la corona non li levassero lo stato e la vita. E questa téma anco ha causato che egli ha quasi in tutto spenta la linea reale e la nobilita de l’isola, e morti senza cagione tanti eccellenti uomini e persone virtuose, bastando per mille il vescovo Roffense, vaso di dottrina e santità, e Tomaso Moro, di vita integerrima c di buone lettre dotato, da lui ammazzati. È poi stato ferino e inumano per l’appetito disordi, nato che tanto lo dominava, che per godere questa e quella donna, li fe’ repudiare la vera moglie, come si sa, e lo indusse a commettere mille strabochevoli errori. Onde questo concupiscibile e male regolato volere non solo l’ha fatto incrudelire foie di ogni misura contra gli uomini, ma gli ha anco pervertito il core e fattolo rubello de la santa romana chiesa e di Dio, perpetrando ogni di qualche enorme sceleratezza; di modo che, per quanto si intende, non volendo mancare de la sua innata e fiera crudeltà, veggendosi vicino al punto de la morte, invece di pentirsi e chiamarsi in colpa a Dio e confessarsi di tanti peccati quanti ha fatti, com. mandò che a molti fosse tagliata la testa, acciocché, se vivendo si era pasciuto di sangue umano, in quello se ne morisse, pensando forse a imitazione di ser Ciappelletto, che, se per lo passato aveva fatte tante ingiurie a Domenedio, che per fargliene una allora in su la sua morte, né più né meno sarebbe. Nella novella, in luogo dell’ultima riga della p. 326 e delle righe 1-9 della pagina seguente, il ras. reca: Il cameriero poi si era per ¡scontro la porta a sedere sotto arboscelli ridutto e qui si godeva il fresco de l’óra, che soavemente da le acque spirava. Sendo adunque le donne giunte a quello luogo, smontarono, ordinando a li dui fanti che di colà con la barca non si movessero, e trovata aperta la porta, dentro intrarono. Le quali come il cameriero vide, e la contessa, che innanzi era, forte si meravigliò; ma molto più di meraviglia lo prese quando ancora vi conobbe la bella Aelips. Onde a quelle fattosi incontra, salutatele e con debita accoglienza ricevute, le dimandò ciò che a quella ora in cotale luoco andavano facendo. Cosi, in luogo delle righe 33-36 della p. 333 e 1-9 della seguente, nel ms. si legge: Restarono il vescovo, l’ammiraglio e il segretario, mirati dentro, pieni di ammirazione grandissima veggendo colà entro la contessa di Varueccia con la figliuola, che il coltello per commessione del re ancora teneva in mano, non essendole perciò le lacrime asciutte. E sospesi d’animo stavano aspettando di veder che cosa fosse questa; c non si potendo a modo veruno imaginare il vero di cosi meraviglioso spettacolo, stavano tutti con quietissimo silenzio e nessuno ardiva di parlare, aspettando ciò che il t* commandasse. Era già fermata la porta del camerino e persona nessuna [p. 343 modifica]NOTA 343 di quelle, che in camera erano, sapeva a che fine il re le avesse fatto chiamare. Aveva prima il re deliberato di fare alla presenza di tutti ciò cbe fare voleva; ma, cangiato poi d’openione, non volle altri uomini se non li quattro sovra detti per qualche suo conveniente rispetto che gli occorse. Dinanzi adunque de li quattro uomini e de le quattro donne il re fattosi dal principio, puntualmente narrò tutta l’istoria del suo amore c quanto in quella ora tra la bella Aelips e lui era successo. III. Mancando dunque ogni controllo di manoscritti; non potendosi dare se non una importanza molto relativa anche alle principali edizioni del Sette e dell’Ottocento, le quali, dove si discostano dal testo del 1554 e del 1573, rappresentano solamente il gusto o il preconcetto di chi le curò; e dovendosi infine ritenere che l’edizione lucchese, sebbene, verisímilmente, la stampa non abbia avuto le cure dirette dell’autore, rappresenti tuttavia l’espressione definitiva del suo pensiero; essa rimane il solo fondamento per una edizione che voglia come la nostra essere criticamente condotta. Del volume lionese non potremmo dire con altrettanta sicurezza che rappresenti l’ultima espressione del pensiero dell’autore; tuttavia è chiaro gli deva esser assai più vicino che non le edizioni posteriori, le quali, appunto perché questo volume offre non poche e non sempre lievi differenze dai tre precedenti, più ne modificarono la lezione, volendola eguale per tutte le quattro parti. Per tutto ciò fondamento unico di questa nostra edizione furono necessariamente i tre volumi di Lucca e quello di Lione. Ma, come già io dissi, essi sono tipograficamente scorretti: molto spesso vi si usa « quando » per « quanto », o il contrario, e sempre io ho corretto secondo il senso mi suggeriva (0; specialmente scorretto è il secondo volume, e in particolar modo nelle novelle 34 e 35. Di qui la necessità di ricostituire qua e là il testo, in non molti luoghi, a dir il vero, relativamente alla gran mole del novelliero bandelliano. Alcune lacune maggiori indicai ai loro luoghi in nota a piè di pagina; oltre di esse e oltre gli errori puramente materiali, che è facile rilevare e correggere e dei quali stimo inutile dare l’elenco, (0 Alla p. IO-, r. 22, del nostro ili volume si legga per l’appunto •< quanto » per « quando ». 344 [p. 344 modifica]NOTA queste che indico sono le correzioni e le variazioni di maggio- importanza, che ho creduto di dover fare. Nel primo volume: p. io, r. 23 ho supplito un «e» dinanzi a « conchiusero »; p. 22, r. 15: corretto « gravezza » in luogo di « grandezza »; p. 39, r. 5: « ma ciò avviene non perchè » in luogo ci « ma ciò avviene perché »; p. 52, r. 23: « superbia vostra v’avessero[ in luogo di « m'avessero »; p. 59, r. 19: « quando non vi rincrescerà i per «quando vi rincrescerà»; p. 119, rr. 14-15: « racconciatosi ¡ritorno i suoi disciolti pannicelli » per « racconciatasi in capo »; p. 124, r. 14: « io udii in Borgonuovo dire » in luogo di « io vidi »; p. i3Si r. 14: «debbiano» per «debbiamo»; p. 148, r. 11: « sforzavasi » per « sforzandosi »; p. 292, rr. 10-11: « erano questi dui... dui più belli », supplito « i » prima del secondo « dui »; p. 216, r. 36 e p. 217, r. 1: « andò non molto di buona voglia » per « andò molto » ecc.; p. 35^ r. 14: supplito «che» tra « Bologna» e «del tutto»; p. 356, r. ai: «ebbi» per «ebbe»; p. 362, r. 10: «avevano assai buone cavalcature » per «avevano assai cavalcature»; p. 3S1, r. 36: supplito «a ciò eh’» tra «prodi de la persona» e «eglino»; p. 397, r. 26: « casa » per « cosa »; p. 409, r. 23: « vostro romagnuolo » per «nostro romagnuolo ». Nel secondo volume: p. 11, rr. 21-22: «e dettomi il tutto» per «datomi il tutto»; p. 15, r. 34: «o per la fatica» in luogo di «o che per la fatica»; p. 29, r. 21: «corvo bianco» per «cervo bianco»; p. 30, r. 2: «che quando le damigelle de le signore... sono scioperate » per « le damigelle... quando sono scioperate»; P- 39. r- I5: supplito un « e » davanti « per esse »; p. 6o, r. 2 (della novella): supplito un « per » davanti « quanto »; p. 60, r. 12: « questa istoria » in luogo di « questa mia istoria »; p. 97, r. 18: « interponendosi » per « interponendolo »; p. 112, r. 5: « fiera servitù » per « vera servitù»; p. 119, r. 25: «avendo Violante» per «aveva»; p. 23, r. 22: « elle » per « egli »; p. 140, r. 10: tolto « e » prima di « a' suoi »; p. 141, r. 79: soppresso « e » tra « perpetua » e « mala »; p. 162, rr. 24- 25: « creata de la felice memoria » per « creata da la », ecc.; p. 173, r. 17: «ed è anco» in luogo di «ed anco»; p. 188, r. 35: «ragionando» per «ragionato»; p. 194, r. 35: «quanta» per «quanto»; p. 195, r. 19: supplito « e » tra « cocchilie » e « gli rispose »; p. 204, r. 31: « di poco cor fossi ti terrebbe » per « di poco cor forsi li terrebbe »; p. 209, r. 4: « esser rimorso » per « esser ritroso »; p. 226, r. 16: « incredibil bellezza » per « credibil »; p. 231, r. 27: « man omicida » per « man l’omicida »; p. 236, r. 26: « si può celare » per « mal [p. 345 modifica]NOTA 345 si può celare »; p. 243, rr. 12-14: « l’atnor... o per dir meglio la fiera gelosia... lo sforzava» per « sforzavano»; p. 247, r. 3: «vaglio» per « voglio »; p. 249, r. 5: « vi piacerà che queste » per « vi piacerà poi che queste»; p. 278, r. 14 (della novella): «immunità» per « umanità »; P- 3041 r. 26: supplito « il nome » tra « fronte » e « d'alcun mio signore»; p. 312, r. 14: «m'abbia» per «s’abbia»; p. 326, r. 13: « mostri che tu ami » per « mostra che tu non ami »; p. 327, r. 18: supplito « li » prima di « abbia »; p. 336, r. 31: supplito « ed » tra « acceso » e « altro »; p. 346, r. 22: « gridando di molte parole » per « gridando dir di molte parole »; p. 354, rr. 18-19: supplito « che » tra « parenti » e « insieme »; p. 355, r. 5: soppresso « che » tra «chiome» e «sotto»; p. 378, r. 33: soppresso «ma» davanti «conchiudo»; p. 403, r. 14: «levarla e averla» per «levarla o averla»; p. 409, r. 7: «Molitorio» per «Mantova»; p. 417, r. 20 «pigliar i cavalli» per «pigliar cavalli»; p. 419, r. 14: «poé/is» per «poe/i»] p. 423, r. 6: «ho trovato» per « e trovato »; p. 438, r. 6: «le disse» per «dirle». Nel volume terzo: p. 2, r. 27: supplito «era» tra «da par suo» e «morto»; p. 35, r. 16 supplito «e» avanti «se ne tengono»; p. 36, r. 21 (della novella): «vi credeste» per «mi credeste»; p. 65. r. 5: « saziare » per « sanare »; p. 65, r. 27: supplito « punito » tra «veder» e« il nemico»; p. 70, r. 13: «temuto la privazione» per «ottenuto la privazione»; p. S3, r. 35: «fedele» per « fede»; p. 110, r. 24: «si hanno» per «s’hanno»; p. 114, r. 1: « festeggiavate» per «festeggiando»; p. 119, r. 17: «ora» per «era»; p. 123, r. 4: « fu » per « furono»; p. 130, r. 21: supplito « ma» dopo «spiacevoli»; p. 141, r. 14: supplito «di quelli» prima di «che»; p. 153, r. 15: «e d’Eva» per «ed Èva»; p. 154, r. 22: « altri per ingegno e per vertù che il titolo » corretto in « altri che per ingegno e per vertù il titolo»; p. 157 (argomento): «e d’altri» per «ed altri »; p. 158, r. io: soppresso « di » prima di « Adelasia »; p. 178, r. 4: « repetizione » per « repezione »; p. 182, r. 18: « rispondeno » per «rispondevano»; p. 182, r. 20: «valeva» per «voleva»; p. 204, r. 24: « a, bé, » in luogo di «A, B, », il nome della lettera in luogo del segno per mantenere il bisticcio; p. 238, r. 35: supplito «li accetto» tra «contestabile» e «il quale»; p. 243, r. 32: «nostra» per «vostra»; p. 244, r. 19: supplito «da» prima di « molto tempo »; p. 245, rr. 25-26: « quella notte ¡stessa. La quale per levar ecc... » in luogo di « quella notte ¡stessa e per levar ecc... »; p. 250, r. 11: supplito «e» davanti « per avventura »; [p. 346 modifica]346 NOTA p. 252, r. S: supplito « che » davanti a « come »; p. 253, r. 4: supplito «ed» tra «si fosse» ed «essendosi»; p. 257, r. 5: «voracemente » per « veracemente »; p. 257, r. 23: « mischie » per « muschie »; p. 264, r. 32: «esserle» per « essere»; p. 283, rr. 26- 27: supplito « non » prima di « conosca »; p. 296, r. 6: « sana » per « scema »; p. 302, r. 9: « e l'algente verno » per « e a l’algente verno»; p. 302, r. 26 «vostra» per « nostra»; p. 304, r. 14: « vostra» per «nostra»; p. 313, rr. 10-11: « dei padri » per «del padre»; p. 325, r. 27: «procurar» per «provar»; p. 332, r. g; supplito «che» dopo «ricompensa»; p. 332, r. 25: supplito «la» dopo «o»; p. 350, r. 7: supplito «a» davanti a «ritirarsi»; p. 381, r. 1: «a ciò» per «perciò»; p. 383, r. 33: supplito «cercava» prima di «con qual sorte»; p. 388, r. 6: «o fu» per «o che»; p. 405, r. 14: supplito « averle » prima di « adoperate »; p. 416, r. 32: « diano » per « diamo »; p. 432, r. 36: « danni » per « casi »; p. 433, r. 12: «inestinguibili» per «investigabili»; p. 434, r. 1: supplito «animo» prima di «accettarla»; p. 435, r. 29: «stette» per «stato»; p. 449, r. 5: «curano» per « curando»; p. 449, r. 23: supplito «la» davanti «Spagna»; p. 450, r. 1: «volendo» per «volete»; p. 451, r. 1: soppresso un «che» prima di «essendo»; p. 451, r. 16 «faconda» per «feconda»; p. 470, r. 2: «e la città» per «de la città». Nel quarto volume: p. 19, r. 34: « commistione » per « commissione»; p. 17, r. 2: «fia» per «sia»; p. 23, rr. 11-12: «ci fu chi disse quegli effetti che per l’ordinario» invece di «ci fu chi disse che quegli effetti per l’ordinario»; p. 23, r. 19: «cominci» per «comincia», p. 24, r. 3: «chiamiamo» per «chiamano»; p. 49, r. 33: supplito « dette » prima di « biasimando »; p. 72, r. 26: supplito «suo» davanti a «genero»; p. 91, r. 9: «avete» per « aveste »; p. 97, r. 7: supplito « consumate » prima di « dalla prigionia»; p. 100, r. 9: «il perché» in luogo di «e perché»; p. 107, r. 10: «generale» per «gentile»; p. 139, r. 15: soppresso «e» dopo «entrata»; p. 167, r. 5: supplito «se» prima di «l’uomo»; p. 167, r. 13: «maturamente» per «naturalmente»; p. 184, r. 14: « battriani » per « cattriani »; p. 184, r. 19: «fama» per « forma»; p. 185, r. 36: « massageti » per «massageri»; p. 218, r. 6: supplito « la voce » prima di « questo animale »; p. 224, r. 22: « verità » per « varietà »; p. 225, r. 15: supplito « non » prima di « vi rincrescerà »; p. 243, r. 33: « in re » per « un re »; p. 247, r. 10: « religioni » per « religione »; p. 247, r. 29: supplito « e » dopo « famosa »; [p. 347 modifica]NOTA 347 p. 247, r. 35: « lascivie » per « lascive »; p. 267, nella dedica: «Coscia» per «Goscia»; p. 270, rr. 10-11: «e promettere non solamente perdonargli il misfatto » per « e non solamente parendogli il misfatto»; p. 275, rr. 13-14: «perversare» per «perseverare»; p. 303, r. 17: « l'uno e l’altro da altre, cure distratti, lasciaro » per « l’uno a l’altro da altre cure distratto, lascerò »; p. 358, r. 20: «negata» per «degnata»; p. 363, r. 19: «poter» per «non poter»; p. 366, r. 33: « avvolta » per « accolta »; p. 379, r. 8: supplito « la » prima di « narrò »; p. 387, r. 17: « grattava » per « gettava »; p. 403, r. 1: «Crema» per «Cremona»; p. 406, rr. 22-23: supplito «gli fece credere che » tra «che» e «queste»; p. 416, r. 35: supplito « lasciò d’esser geloso» prima di « quando »; p. 417, rr. 13 e 14: «altrui» per «altri»: p. 435, r. 34: supplito «de» prima di ,< la sciocchezza » ; p. 482, r. 22: supplito «si» prima di «pensa». Nel quinto volume: p. 24, r. 8: soppresso un « che » dopo « crudeltà turchesche »; p. 40, r. 11: supplito « ha » prima di « è »; p. 43, r. 36: « avvertire » corretto per « avvertite »; p. 47, r. 22: tolto « è » prima di «non ci veggiendo»; p. 47, r. 24; «il più» per «più»; p. 67, r. 5 (della novella): «disperarsi» per «disprezzarsi»; p. So, r. 20 (della novella): supplito «vi» prima di «intrò»; p. 82, r. 7: soppresso «che» prima di «tu diverresti»; p. 85, r. 17: soppresso «e» prima di «avendo»; p. 97, r. 3: «e tanto vostro amico » per « tanto è vostro »; p. 105, r. 20: «erano» per «eravamo»; p. 10S, r. 17: «commutavano» per « commutano »; p. 141, r. 30: .supplito «veruno» dopo «modo»; p. 153, r. 36 e p. 156, r. 14: «ballez, ballez» per « balles, balles »; p. 185, r. 15; « diedero » per « diede »; p. 219, r. 19: « e altri che incolpavano » per « e altri incolpavano »; p. 219, r. 23: supplito «che» dopo «novelletta»; p. 245, r. 17: supplito «signora» avanti «la signora»; p. 246, dedicatoria, ultima riga: supplito «mi raccomando e vi» dopo «altro»; p. 255, r. 19: supplito «che» dopo «meno»; p. 266, r. 27: «trovò» per «trovato»; p. 288, r. 8 «mosso» per «messo»; p. 289, r. 6 (della novella): «vi» per «mi»; p. 292, r. 31: supplito «animo» dopo «pessimo»; p. 296, r. 10: supplito «deliberò» dopo «in capo»; !>• 313. r. 31: «per misurare li panni che si chiama» per «che per misurare li panni si chiama ». In questa, diciamo pure, ricostituzione del testo ho tenuto presente che il Bandello è scrittore non solo scorretto, dal punto di vista linguistico e grammaticale, ma anche ineguale, vale a dire che egli non si attiene sempre a quelli che sembrerebbero i sudi [p. 348 modifica]34S NOTA particolari criteri; e questa ineguaglianza io Ilo voluto rispettare sembrandomi caratteristica importante per la storia della lingua e della grammatica nostra. Particolarità sintattica d’uso costante nel Randello e non rispettata da alcuni editori è la ripetizione della congiunzione « che » dopo un inciso. Forme linguistiche da lui costantemente usate sono: « scemonnito » per « scimunito »; « devere » per «dovere», nell’infinito e nelle voci derivate; «paran- gone » per « paragone »; « giovane » e « giovanile » per il femminile, « giovine » e « giovinile » per il maschile; « dui » per il maschile, «due» per il femminile, «duo», diremo, per il neutro; «séte» per « siete », ecc. Ma la costanza di quest’uso non è assoluta, nella stessa guisa che varia l’ortografia dei nomi, leggendosi « Scarampa» e «Scalampa», « Ticcione » e «Tizzone». Quest’uso non è seguito nel quarto volume, nel quale troviamo usato « li » per « i », « uno » per « un » davanti a consonante, la forma in « ea » del- l’imperfetto dei verbi per quella in « eva », l’ortografia « della, alla » per «de la, a la», e invece «de li, a li» per «dei, ai », sempre usata nei tre volumi di Lucca; a differenza di questi, vi troviamo stampato « esercito », « esequire », « esaltare » e simili parole senza la doppia, e invece « mattino » per « matino », « allora » per « alora »; spessissimo vi si legge « el » per « il » e « de » per «di»; forme queste che io ho sempre ridotte all’uso comune. Di più, come dissi, nel quarto volume qualche espressione è pretto francesismo, « mariaggio », ad esempio, «norritura», «papero» (carta) e «regioire». Tutte queste varietà ho voluto risultassero in questa ristampa. IV. Un articolo del suo Dizionario, assai superficiale e parecchio inesatto, dedicò alla vita e alle opere del Bandello il Mazzuchelli, e alcuni editori lo premisero alle loro ristampe; ma esso oggi non ha più, per noi, quasi alcun valore. Un profilo, che, nonostante j certe inesattezze, può dirsi, nell'insieme riuscito, alleggerito che fosse e reso più disinvolto, è quello che del Bandello traccia Vincenzo Spampanato (M. B. e le sue novelle nel Cinquecento, Nola, ' Rubino e Scala, 1896); ma lo studio più compiuto che abbiamo sull’argomento è quello di Domenico Mordimi (M. B. novellatore lombardo, Sondrio, stabilimento tipo-litografico E. Quadrio, 1900), [p. 349 modifica]NOTA 349 ottimo punto di partenza per nuove ricerche: i risultati migliori di esso raccoglie il Picco in una efficace sintesi posta innanzi alla sua scelta di novelle bandelliane. Nelle note di questo riassunto non solo è data una compiuta bibliografia bandelliana, della quale, per ciò che si attiene alle edizioni delle Novelle, discorre dottamente anche il Balsamo Crivelli innanzi alla sua ristampa; ma non mancano nemmeno notizie intorno alla fortuna del Bandelle) nei paesi stranieri, notizie che potrebbero essere accresciute specialmente rispetto alla Spagna. Per quanto riguarda la conoscenza che delle persone e delle cose dell’età che fu sua possiamo ricavare dalle Novelle del Bandello, è ancora fondamentale il libro di Ernesto Masi : M. B. o vita italiana in un novelliere del Cinquecento (Bologna, Zanichelli, 1900); tuttavia in questo campo molto ancora è da fare; come molto, anzi quasi tutto il cammino è ancora da percorrere circa la valutazione estetica delle Novelle dello scrittore lombar