Opere (Lorenzo de' Medici)/IV. Selve d'Amore/Selva prima

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Selva prima

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IV. Selve d'Amore IV. Selve d'Amore - Selva seconda
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SELVA PRIMA


1

     O dolce servitú che liberasti
il cor d’ogni servizio basso e vile,
quando a sí bel servizio mi obbligasti
sciogliesti il cor da cento cure umíle!
O bella man, quando oggi mi legasti,
tu mi facesti libero e gentile!
Che benedetti sieno i primi nodi,
Amor, che mi legasti in tanti modi!

2

     O dolce e bel signore, in cui s’aduna
beltade e gentilezza, tal che eccede
ogni altra in altri, e poi tra lor ciascuna
il primo grado in la mia donna chiede!
Quant’è dolce e beata la Fortuna,
che servo a sí gentil signor mi diede;
e servo piú ch’alcun libero e degno,
servendo a tal, il cui servir è regno!

3

     Cosí, se l’una e l’altra ripa frena
il fiume, lieto il lento corso serva;
suave agli occhi l’onda chiara mena,
e i pesci nel quieto alveo conserva;
di vaghi fior la verde ripa piena
bagna, e cosí par lietamente serva;
sta nel cieco antro, indi preme e distilla
con dolce mormorio l’onda tranquilla:

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4

     ma, se leva del sol la luce a noi,
piovendo un nimbo tempestoso e spesso,
a poco a poco il vedi gonfiar poi,
tanto ch’alfin non cape piú in se stesso,
e le fatiche de’ giá stanchi buoi
e selve trarre e pinger sassi in esso;
l’erbosa ripa in mezzo e ’l curvo ponte
resta, e torbido lago è il chiaro fonte.

5

     Allor ch’un venticel suave spira
con dolce legge, i fiori a terra piega,
e scherzando con essi intorno gira,
talor gli annoda, or scioglie, or gli rilega;
le biade impregna; ondeggia alta e s’adira
l’erba vicina alla futura sega;
suave suon la giovinetta frasca
rende, né pur un fior a terra casca.

6

     Ma, se dá libertá dalla spelonca
Eolo a’ venti tempestosi e féri,
non solamente i verdi rami tronca,
ma vanno a terra i vecchi pini interi:
i miser legni con la prora adonca
minaccia il mare irato, e par disperi:
l’aria di folte nebbie prende un velo;
cosí si duol la terra, il mare e ’l cielo.

7

     Poca favilla, dalla pietra scossa,
nutrita in foglie e in picciol rami secchi,
scalda; e, dal vento rapido percossa,
arde gli sterpi pria, virgulti e stecchi;
poi vicina alla selva folta e grossa
le querce incende e i roveri alti e vecchi:
cruda inimica al bosco l’ira adempie:
fumo e faville e stran stridor l’aria empie.

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8

     L’ombrose case in fiamme e i dolci nidi
vanno e l’antiche alte silvestre stalle;
né fèra alcuna al bosco par si fidi,
ma spaventata al foco dá le spalle:
empiono il ciel diversi mugli e stridi:
percossa rende il suon l’opaca valle:
lo incauto pastor, cui s’è fuggito
il foco, piange attonito, invilito.

9

     Benigna legge all’acqua ha il termin posto
che non lo passi e la terra ricuopra:
nel mezzo del gran corpo è il centro ascosto,
grave e contrario al foco, ch’è di sopra:
diverse cose un tutto hanno composto;
tra lor contrarie fan conforme l’opra:
ordina e muove il ciel benigna legge:
dolce catena il tutto lega e regge.

10

     Dolce e bella catena al collo misse
quel lieto dí la delicata mano,
ch’aperse il petto e drento al core scrisse
quel nome e sculse il bel sembiante umano.
Da poi sempre mirâr le luci fisse
sí begli occhi, ch’ogni altro obietto è vano.
Quest’unica bellezza or sol contenta
la vista, pria in mille cose intenta.

11

     Non ornate di fronde apriche valli;
non chiaro rivo che l’erbetta bagni,
di color pinta bianchi, rossi e gialli;
non cittá grandi o edifizi magni,
ludi féri, stran giochi, o molli balli;
non legni in mar che zeffiro accompagni;
non vaghi uccei, novi animali o mostri;
non sculta pietra o gemme agli occhi nostri.

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12

     In queste cose sanza legge alcuna
givan gli occhi cercando la lor pace
ascosa, e non sapevano in quest’una,
che conosciuta poi tanto a lor piace.
Occultamente mia lieta fortuna
conduceva il disio che nel cor giace:
condotto era il mio cor, e non sapeva,
a riveder chi giá veduto aveva.

13

     Quel giorno adunque, che nel cor dipinse
quell’amorosa man l’immagin bella,
con voluntario fren gli occhi costrinse
lei sol mirar, non questa cosa o quella,
mille vari pensieri in un ristrinse;
né poi la lingua mia d’altro favella,
né cercon altro gli amorosi passi:
con lei sempre il mio cor legato stassi.

14

     Legato sta nel gran tempio di Giano
con mille e mille nodi il fèr Furore:
cerca disciôrsi l’una e l’altra mano:
freme di sangue tinto e pien d’orrore.
Cerber nel basso regno cieco e vano,
latrando, all’ombre triste dá terrore:
stretto da tre catene, par ch’ira aggia,
rabbia, schiuma, venen da’ denti caggia.

15

     Non giá cosí la mia bella catena
stringe il mio cor gentil pien di dolcezza:
di tre nodi composta, lieto il mena
con le sue mani: il primo fe’ bellezza,
la pietá l’altro per sí dolce pena,
e l’altro Amor: né tempo alcun gli spezza:
la bella mano insieme poi gli strinse,
e di sí dolce laccio il cor avvinse.

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16

     Mostrommi Amor quel benedetto giorno
piú che mai belle le luci serene,
le Grazie tutte alla mia donna intorno;
né usò per rilegarmi altre catene.
Qual maraviglia è se a me non torno?
o qual disio si fugge dal suo bene?
Somma bellezza, amor, dolce clemenzia,
al cor fan voluntaria violenzia.

17

     Quando tessuta fu questa catena,
l’aria, la terra, il ciel lieto concorse:
l’aria non fu giamai tanto serena,
né il sol giamai sí bella luce porse:
di fronde giovanette e di fior piena
la terra lieta, ov’un chiar rivo corse:
Ciprigna in grembo al padre il dí si mise,
lieta mirò dal ciel quel loco, e rise.

18

     Dal divin capo ed amoroso seno
prese con ambe man rose diverse,
e le sparse nel ciel queto e sereno:
di questi fior la mia donna coperse.
Giove benigno, di letizia pieno,
gli umani orecchi quel bel giorno aperse
a sentir la celeste melodia,
che in canti, ritmi e suon dal ciel venía.

19

     Movevan belle donne al suono i piedi,
ballando, d’un amor gentile accese:
l’amante appresso la sua donna vedi,
le disiate man insieme prese;
sguardi, cenni, sospir, d’amor rimedi;
brevi parole e sol tra loro intese;
dalla donna cascati i fior ricôrre,
baciati prima, in testa e in sen riporre.

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20

     In mezzo a tante cose grate e belle,
la mia donna bellissima e gentile,
vincendo l’altre, ornava tutte quelle:
in una vesta candida e sottile,
parlando in nòve e tacite favelle
con gli occhi al cor, quando la bocca sile:
— Vientene — disse a me, — caro cuor mio:
qui è la pace d’ogni tuo disio. —

21

     Questa suave voce il petto aperse,
ed a partirse il cor lieto costrinse:
la bella mano incontro se li offerse
a mezza via, e dolcemente il strinse:
pria rozzo, in gentilezza lo converse;
poi quel bel nome e ’l volto vi dipinse:
cosí ornato e di sí belle cose,
nel petto alla mia donna lo nascose.

22

     Quivi si sta; indi non può partire;
non può partir, perché partir non vuole:
piú dolce obietto il suo alto disire
né ha né puote aver, però non vuole:
lui a se stesso è legge, lui servire
a questa gentil legge elegge e vuole:
con la sua man lui stesso ha fatto i lacci,
né vuol poter voler ch’altri gli piacci.

23

     Miri chi vuol, diverse cose miri,
e vari obietti agli occhi ognor rinnovi;
s’avvien ch’or uno e poi un altro il tiri,
non par vera bellezza in alcun trovi;
ma, com’avida pecchia e vaga, giri
cercando per nutrirsi ognor fior novi;
né muteria sí spesso il lento volo,
se quel ch’è in molti fior fussi in un solo.

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24

     Nel primo tempo ch’Amor gli occhi aperse,
questa beltade innanzi al disio pose:
e poi che, com’è, bella me l’offerse,
ridendo, lasso! agli occhi la nascose.
Con quanti pianti, bellezze diverse
poi cercâr, quanto tempo, in quante cose!
Talor vedevan pur l’afflitte ciglia
cosa, la qual questa beltá simiglia.

25

     Allor (sí come can bramoso, in caccia,
fra le fronde trovar l’occulta fèra,
se vede terra impressa dalla traccia,
conosce al segno ch’indi passata era,
perché la simiglianza par che faccia
certo argomento alla bellezza vera),
cosí, cercando questa cosa e quella,
Amor mostrommi alfin mia donna bella.

26

     Disson gli occhi allor lieti al cor mio: — Questa
è quella che mostrò la prima volta
Amor, da noi sol desiata e chiesta,
mòstra e renduta poi che ci fu tolta.
La sua vera dolcezza manifesta
quanta grazia e virtute abbi raccolta.
In molte non trovammo mai quest’una,
che sola in sé ogni bellezza aduna.

27

     Anzi sempre si trova in ogni parte;
ché ciò, che agli occhi è bel, da questa viene.
Varie bellezze in varie cose sparte
dá al mondo il fonte vivo d’ogni bene;
e quel che mostran l’altre cose in parte,
in lui tutto e perfetto si contiene.
E, se la simigiianza agli occhi piace,
quanto è qui piú perfetta ogni lor pace!

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28

     Contrarie voce fanno un suon suave,
e diversi color bellezza nova:
piace la voce acuta per la grave:
nel negro il bianco la sua grazia trova.
Mirabilmente l’alta bellezza have
fatto che l’un nimico all’altro giova;
l’alta bellezza, ch’ogni cor desia
ed io sol veggo nella donna mia.

29

     Questa sol bramo: e le mie luci ardenti
non fanno in altra cosa alcun soggiorno.
E, come li beati spirti intenti
stanno alla santa faccia sempre intorno,
né posson le celesti pure menti
altro mirar, ch’ogni altro è manco adorno;
cosí quel primo tempo e quel bel luogo
al collo misse un simil dolce giogo.

30

     Sento il mio cor nell’amoroso petto
di mia donna gentil, che cantar vuole,
e, nel laudar quel tempo benedetto,
usar la bella bocca (come suole)
della mia donna a cosí grato effetto,
dolce istrumento al canto, alle parole.
Non può tenersi il cor lieto e felice:
cosí, cantando in la sua bocca, dice:

31

     — O benedetto giorno,
giorno che fusti il primo agli occhi nostri!
che con la luce vera
ogni ombra cacci, e che fussi ombra mostri!
Ombra invisibil era,
ch’agli occhi nostri sempre era d’intorno:
e pur questa vediéno,
e il lume alte e sereno,

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32

     non potevan vedere: o occhi tristi!
o per me fortunato
tempo, che gli occhi a sí bel sol m’apristi!
Forse ch’io parrò ingrato,
tempo dolce, se viene
da te ogni mio bene,
se il cor per te felice or sol disia
che sanza tempo alcun questo ben sia. —