Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 15

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Canto 15

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Canto 14 Canto 16

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CANTO QVINTODECIMO



 [1]

F
V il vincer ſempre mai laudabil coſa

     Vincaſi o p fortuna o per ingegno
     Glie ver che la vittoria ſanguinoſa
     Speſſo far ſuole il capitan men degno,
     E quella eternamente e glorioſa
     E de i diuini honori arriua al ſegno
     Quādo feruādo i ſuoi ſenza alcun dano
     Si fa che gl’inimici in rotta vanno.

 [2]
La voſtra Signor mio ſu degna loda
     Quando al Leone in mar tanto feroce
     C hauea occupata l’una e l’altra proda
     Del Po, da Francolin fin’alla ſoce,
     Faceſte ſi, ch’anchor che ruggir l’oda
     S’io vedrò voi, non tremerò alla voce,
     Come vincer ſi de ne dimoſtraſte
     Ch’uccideſte i nemici, e noi faluaſte.

 [3]
Queſto il Paga, troppo in ſuo dano audace
     No ſeppe far, ch i ſuoi nel ſoſſo ſpife
     Doue la ſiamma ſubita e vorace
     Non perdono ad alcun, ma tutti eſtinfe,
     A tanti non fari a ſtato capace
     Tutto il gran ſoſſo, ma il fuoco reſtrinfe
     Reſtrinfe i corpi e in polue li riduſſe,
     Accio c’habile a tutti il luogo ſuſſe.

 [4]
Vndici mila & otto fopra venti
     Si ritrouar ne l’affocata buca
     Che v’erano diſceſi mal contenti,
     Ma coſi volle il poco ſaggio Duca,
     Quiui ſra tanto lume hor ſono ſpenti,
     E la vorace ſiamma li manuca,
     E Rodomonte cauſa del mal loro
     Se ne va eſente da tanto martoro.

 [5]
Che tra nemici alla ripa piū interna
     Era paſſato d’un mirabil ſalto:
     Se con glialtri ſcendea ne la cauerna
     Queſto era ben il ſin d’ogni ſuo aſſalto:
     Riuolge gliocchi a quella valle inſerna
     E quando vede il fuoco andar tant’alto
     E di ſua gente il pianto ode e lo ſtrido:
     Beſtemia il ciel con ſpauentofo grido.

 [6]
In tanto il Re Agramante moſſo hauea
     Impetuoſo aſſalto ad vna porta,
     Che mentre la crudel battaglia ardea
     Quiui oue e tanta gente afflitta e morta,
     Quella ſprouiſta ſorſè eſſer credea
     Di guardia che baſtaffe alla ſua ſcorta,
     Seco era il Re d’Arzilla Bambirago
     E Baliuerzo d’ogni vitio vago.

 [7]
E Corineo di Mulga e Prufione
     Il ricco Re de l’Iſole beate,
     Malabuferfo che la regione
     Tien di Fizan ſotto continua eſtate,
     Altri Signori: & altre assai perſone
     Eſperte ne la guerra e bene armate
     E molti anchor ſenza valore e nudi
     Che’l cor no s’armerian con mille feudi.

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 [8]
Trono tutto il contrario al ſuo penſiero
     In queſta parte il Re de Saracini,
     Perche in perſona il capo de l’Impero
     V’era Re Carlo, e de ſuoi Paladini
     Re Salamone, & il Daneſe Vgiero:
     Et ambo i Guidi, & ambo gli Angelini:
     E’l Duca di Bauera, e Ganelone
     E Berlégier, e Auolio, e Auío, e Othone.

 [9]
Gente inſinita poi di minor conto
     De Franchi de Tedeſchi e de Lombardi
     Preſente il ſuo Signor ciaſcuno pronto
     A farſi riputar ſra i piú gagliardi.
     Di queſto altroue io vo renderui conto
     Ch’ ad vn gra Duca e ſorza ch’io riguardi
     llqual mi grida, e di lotano accenna
     E priega ch’io noi laſci ne la penna,

 [10]
Glie tempo ch’io ritorni oue laſciai
     L’auenturofo Aſtolfo d’Inghilterra
     Che’l liigo eſilio hauédo í odio hormai
     Di deſiderio ardea de la ſua terra:
     Come gli n’hauea data pur assai
     Speme colei ch’Aitine vinſe in guerra,
     Ella di rimandaruilo li. uhm cura
     Per la via piú eſpedita e piú ſicura.

 [11]
E coſi vna Galea ſu apparechiata
     Di che miglior mai non ſolco marina,
     E perche ha dubbio pur tutta ſiata
     Che non gli turbi il ſuo viaggio Alcina,
     Vuol Logiſtilla che con ſorte armata
     Andronica ne vada e Sophroſina
     Tanto che nel mar d’Arabi, o nel golſo
     De Perſi, giunga a ſaluamento Aſtolfo.

 [12]
Piú toſto vuol che volteggiando rada
     Gli Scythi, & gl’Indi e i regni Nabathei
     E torni poi per coſi lunga ſtrada
     A ritrouare i Perſi e gli Herythrei,
     Che per quel Boreal Pelago vada
     Che turban ſempre iniqui venti e rei:
     E ſi, qualche ſtagion, pouer di Sole
     Che ſtarne ſenza alcuni meſi ſuole.

 [13]
La Fata poi che vide acconcio il tutto
     Diede licentia al Duca di partire,
     Hauendol prima ammaeſtrato e iſtrutto
     Di coſe assai che ſora lungo a dire.
     E per ſchiuar che non ſia piú ridutto
     Per arte maga onde non poſſa vſcire,
     Vn bello & vtil libro gli hauea dato
     Ch p ſuo amo? haueſſe ogn’hora allato.

 [14]
Come V huom riparar debba agl’incanti
     Moſtra il libretto che cortei gli diede,
     Doue ne tratta o piú dietro o piú inanti
     Per rubrica e per indice ſi vede,
     Vn’ altro don gli fece anchor, che quanti
     Doni fur mai, di gran vataggio eccede,
     E queſto ſu d’horribil ſuono vn corno
     Che fa fugire ognun che l’ode intorno.

 [15]
Dico che’l corno e di ſi horribil ſuono
     Ch’ouunqj s’oda fa ſuggir la gente,
     Nò può trouarſi al mòdo vn cor ſi buono
     Che poſſa non ſuggir come lo ſente,
     Rumor di vèto e di termuoto, e’l tuono,
     A par del ſuon di queſto, era niente,
     Con molto riferir di gratie, preſe
     Da la Fata licentia il buono Ingleſe,

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 [16]
Laſciando il porto e l’onde piú traquille
     Con felice aura ch’alia poppa (pira
     Sopra le ricche e populoſe ville
     De l’odoriſera India il Duca gira,
     Scoprendo a deſtra, & a finiſtra mille
     Iſole ſparfe, e tanto va che mira
     La terra di Thomafo, onde il nocchiero
     Piú a TramOtana poi volge il ſentiero.

 [17]
Quaſi radendo l’Aurea Cherſoneſſo
     La bella armata il gran pelago ſrange,
     E coſteggiando i ricchi liti ſpeffo
     Vede come nel mar biancheggi ilGage,
     E Traprobane vede e Cori appreſſo
     E vede il mar che ſra i duo liti s’ ange
     Dopo gran via ſuro a Cochino, e quindi
     Vſciro ſuor de i termini de gl’Indi.

 [18]
Scorrendo il Duca il mar con ſi fedele
     E ſi ſicura ſcorta, intender vuole,
     E ne domanda Andronica: ſé dele
     Parti c’han nome dal cader del Sole
     Mai legno alcu che vada a remi e a vele
     Nel mare Orientale apparir ſuole,
     E s’ andar può ſenza toccar mai terra
     Chi d’ India ſcioglia i Fracia, o i ighilterra.

 [19]
Tu dei ſapere (Andronica riſponde,)
     Che d’ ognintorno il mar la terra abbraccia,
     E va l’una ne l’altra tutte l’onde
     Sia doue bolle, o doue il mar s’aggiaccia
     Ma perche qui dauante ſi difonde
     E ſotto il mezo di molto ſi caccia
     La terra d’Ethiopia: alcuno ha detto
     Ch’aNettuno ir piú inazi iui e Iterdetto.

 [20]
Per queſto dal noſtro indico leuante
     Naue no e che per Europa ſcioglia
     Ne ſi muoue d’Europa Nauigante
     Ch’ in qſte noſtre parti arriuar voglia,
     11 ritrouarſi queſta terra aliante
     E queſti e quelli al ritornare inuoglia,
     Che credeno veggendola ſi lunga
     Che co l’altro Hemiſperio ſi cógiunga.

 [21]
Ma volgendoli gli anni io veggio vſcire
     Da l’eſtreme contrade di ponente
     Nuoui Argonauti, e nuoui Tiphy: e aprire
     La ſtrada ignota in fin’ al di preſente:
     Altri volteggiar l’Africa: e ſeguire
     Tanto la coſta de la negra gente
     Che paffino ql ſegno onde ritorno
     Fa il Sole a noi, laſciando ilCapricorno.

 [22]
E ritrouar del lungo tratto il ſine
     Che queſto fa parer dui mar diuerſi.
     E ſcorrer tutti i liti: e le vicine
     Iſole d’Indi, d’Arabi, e di Perii.
     Altri laſciar le deſtre e le mancine
     Riue: che due per opra Herculea ferfi:
     E del Sole imitando il camin tondo
     Ritrouar nuoue terre e nuouo mondo.

 [23]
Veggio la Santa Croce: e veggio i ſegni
     Imperiai: nel verde lito eretti.
     Veggio altri a guardia de i battuti legni
     Altri all’acquiſto del paeſe: eletti,
     Veggio da dieci cacciar mille: e i regni
     Di la da l’India ad Aragon ſuggetti:
     E veggio i Capitan di Carlo quinto
     Douunqj vanno hauer per tutto vinto.

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 [24]
Dio vuol ch’aſcofa antiquamente qſta
     Strada ſia ſtata: e anchor grá tempo ſtia,
     Ne che prima ſi ſappia che la feſta
     E la ſettima etá pallata ſia,
     E ſerba a farla al tempo manifeſta
     Che vorrá porre il modo a Monarchia,
     Sotto il piú ſaggio Imperatore e giuſto
     Che ſia ſtato o fará mai: dopo Auguſto.

 [25]
Del ſangue d’ Auſtria e d’Aragó io veggio
     Naſcer fu’l Reno alla finiſtra riua
     Vn Pricipe: al valor del qual Pareggio
     Neſſun valor: di cui ſi parli o ſcriua:
     Aſtrea veggio per lui ripoſta in ſeggio
     Anzi di morta ritornata viua:
     E le virtú che caccio il mondo: quando
     Lei caccio achora, vſcir per lui di bado.

 [26]
Per queſti merti la bontá ſuprema
     Non ſolamente di quel grande impero
     Ha diſegnato e’ habbia Diadema
     C hebbe Auguſto Traian Marco e Seuero
     Ma d’ogni terra e quei e qndi eſtrema
     Che mai ne al ſol ne all’ano ap il sétiero
     E vuol che ſotto a queſto imperatore
     Solo vn’ouile ſia, ſolo vn paſtore.

 [27]
E pere’ halli ii.iii piú facile ſucceſſo
     Gli ordini in Cielo eternamente ſcritti:
     Gli pon la ſomma prouidètia appreſſo
     In mare e in terra Capitani inuitti,
     VeggioHernádo corteſe, ilqle ha meſſo
     Nuoue citta ſotto i Ceſarei editti
     E Regni in Oriente ſi remoti
     Ch’anoi che ſiamo in India non ſon noti.

 [28]
Veggio Proſper Colonna e di Peſcara
     Veggio ú Marcheſe, e veggio dopo loro
     Vn giouene del Vaſto, che fan cara
     Parer la bella Italia a i Gigli d’Oro,
     Veggio ch’entrare inanzi ſi prepara
     Quel terzo a glialtri, a guadagnar l’alloro
     Cóe buon corridor ch’ultimo laſſa
     Le moſſe, e giúge, e inazi a tutti paſſa.

 [29]
Veggio tanto il valor veggio la fede
     Tata d’Alfonfo (che’l ſuo nome e qſto)
     Ch’ in coſi acerba etá (che non eccede
     Dopo il vigeſimo anno achora il feſto)
     l’Imperator l’eſercito gli crede
     Ilqual ſaluado ſaluar no che’l reſto
     Ma farſi tutto il mondo vbidiente
     Con queſto capitan fará poſſente.

 [30]
Come con queſti ouunqj andar per terra
     Si poſſa accreſcera V imperio antico,
     Coſi per tutto il mar ch’in mezo ferra
     Di la l’Europa e di qua l’Afro aprico,
     Sara vittorioſo in ogni guerra
     Poi ch’Andrea Doria s’ haura fatto amico,
     Queſto e ql Doria ch fa da i Pirati
     Sicuro il voſtro mar p tutti i lati.

 [31]
Non ſu Pompeio a par di coſtui degno
     Se ben vinſe e caccio tutti i corſari,
     Perho che qlli al piú poſſente regno
     Che foſſe mai, non poteano efifer pari,
     Ma qſto Doria ſol col proprio ingegno
     E proprie ſorze purgherá quei mari,
     Si che da Calpe al Nilo ouunqj s’ oda
     Il nome ſuo tremar veggio ogni proda.

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 [32]
Sotto la fede entrar (otto la (corta
     Di queſto capitan di ch’io ti parlo
     Veggio in Italia, oue da lui la porta
     Gli fará aperta, alla corona Carlo,
     Veggio che’l premio che di ciò riporta
     No tien p ſé, ma fa alla patria darlo
     Con prieghi ottien ch’in liberta la metta
     Doue altri a ſé l’hauria ſorſè ſuggetta.

 [33]
Queſta pietá ch’egli alla patria moſtra
     E degna di piú honor d’ ogni battaglia,
     Ch’in FrScia o í Spagna, o ne la terra vra
     Vinceſſe Iulio o i Africa o in Teſſaglia,
     Ne il grade Ottauio, ne chi ſeco gioſtra
     Di par Antonio, in piú honoráza faglia
     Pei geſti ſuoi, ch’ogni lor laude amorza
     l’hauere vſato alla lor patria ſorza.

 [34]
Queſti & ogn’ altro che la patria tenta
     Di libera far ſerua, ſi arrofifea,
     Ne doue il nome d’ Andrea Doria ſenta
     di leuar gliocchi í viſo d’ huomo ardiſea
     Veggio Carlo che’l pmio gli augumèta
     Ch’oltre ql ch’in cómun vuol ch ſruiſca
     Gli da la ricca terra ch’ai Normandi
     Sara principio a farli in Puglia grandi.

 [35]
A queſto Capitan non pur corteſe
     Il magnanimo Carlo ha da moſtrarfi:
     Ma a quáti haura ne le Ceſaree impreſe
     Del ſangue lor non ritrouati ſcarfi:
     D’hauer citta d’hauer tutto vn paeſe
     Donato a vn ſuo fedel, piú ralegrarſi
     Lo veggio, e a tutti quei ch ne ſon degni
     Che d’acqſtar nuou’ altri iperii e regni.

 [36]
Coſi de le vittorie: lequal poi
     Ch’un gran numero d’anni fará corſo
     Daranno a Carlo i capitani ſuoi:
     Facea col Duca Andronica diſcorſo,
     E la Compagna in tanto a i venti Eroi
     Viene allentado e raccoglièdo il morſo
     E fa e’ hor qſto hor quel ppitio l’eſce.
     E come vuol li minuifee e creſce.

 [37]
Veduto haueano in tanto il mar de Perſi
     Come in ſi largo ſpatio ſi dilaghi,
     Onde vicini in pochi giorni ferfi
     AlGolpho ch nomar gliantiqui Maghi,
     Quiui pigliaro il porto, e fur conuerſi
     Con la poppa alla ripa, i legni vaghi:
     Quindi ſicur d’Alcina e di ſua guerra
     Aſtolfo il ſuo camin preſe per terra.

 [38]
Paſſo p piú d’un capo, e piú d’un boſco
     Per piú d’un mote, e per piú d’una valle,
     Oue hebbe ſpeffo all’aer chiaro e al ſoſco
     I ladroni hor’ inazi, hor’ alle ſpalle
     Vide Leoni e Draghi pien di toſco
     Et altre fere attrauerfarfí il calle:
     Ma no ſi toſto hauea la bocca al corno,
     Che ſpauentati gli ſuggian d’intorno.

 [39]
Vien per l’Arabia ch’e detta felice
     Ricca di Myrrha, e d’odorato Incèſo,
     Che per ſuo albergo l’unica Phenice
     Eletto s’ ha, di tutto il mondo immenſo,
     Fin che l’onda trouo vendicatrice
     Giá d’Ifrael, che per diuin conſenſo
     Pharaone ſommerſe e tutti i ſuoi
     E poi venne alla terra de gli Heroi.

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 [40]
Lungo il fiume Traiano egli caualca
     Su quel deſtrier ch’ai modo eſenza pare
     Che tanto leggiermente e corre e valca
     Che ne l’arena l’orma non n’appare
     L’herba non pur, non pur la nieue calca,
     Coi piedi aſciuti andar potria fu’l mare:
     E ſi ſi ſtende al corſo e ſi s’ affretta
     Che paſſa e vento, e folgore, e ſaetta.

 [41]
Queſto e il deſtrier che ſu de l’Argalia
     Che di ſiamma e di vento era concetto
     E ſenza ſieno e biada ſi nutria
     De l’aria pura, e Rabican ſu detto,
     Venne ſeguendo il Duca la ſua via
     Doue da il Nilo a quel fiume ricetto,
     E prima che giugnefie in ſu la ſoce
     Vide vn legno venire a ſé veloce.

 [42]
Nauiga in ſu la poppa vno Eremita
     Con bianca barba a mezo il petto lunga
     Che fopra il legno il Paladino inulta
     E ſigliuol mio, gli grida dala lunga,
     Se non t’ e in odio la tua propria vita
     Se no brami che morte hoggi ti giunga
     Venir ti piaccia ſu queſt’ altra arena
     Ch’ a morir quella via dritto ti mena.

 [43]
Tu non andrai piú che fei miglia inante
     Che trouerai la ſanguinoſa ſtanza
     Doue s’alberga vn’horribil Gigante
     Che d’ otto piedi ogni ſtatura auanza,
     Non habbia cauallier ne viandante
     Dipartirli da lui viuo, ſperanza,
     Ch’ altri il crudel neſcána, altri ne ſcuoia
     Molti ne ſquarta, e viuo alcun ne’ngoia.

 [44]
Piacer, ſra tanta crudeltá, ſi prende
     D’una rete ch’egli ha molto ben fatta,
     Poco lontana al tetto ſuo la tende
     E ne la trita polue in modo appiatta
     Che chi prima noi fa, non la comprende
     Tanto e fottíi, tanto egli ben l’adatta
     E con tai gridi i peregrin minaccia
     Che ſpauentati dentro ve li caccia.

 [45]
E con gran riſa auiluppati in quella
     Se li ſtraſcina ſotto il ſuo coperto.
     Ne cauallier riguarda ne donzella
     O ſia di grande, o ſia di picciol merto,
     E mangiata la carne, e le ceruella
     Succhiate e’l ſangue, da loſſa al deſerto,
     E de l’humane pelli intorno intomo
     Fa il ſuo palazzo horribilmète adorno.

 [46]
Prendi queſt’ altra via, prendila figlio
     Che fin’ al mar ti ſia tutta ſicura,
     Io ti ringratio padre del conſiglio
     (Riſpoſe il Cauallier ſenza paura)
     Ma non iſtimo, per l’honor periglio
     Di ch’assai piú, che de la vita ho cura,
     Per far ch’io palli, in van tu parli meco
     Anzi vo al dritto a ritrouar lo ſpeco.

 [47]
Fuggendo poſſo con diſnor ſaluarmi,
     Ma tal ſalute ho piú che morte a ſchiuo,
     S’ io vi vo, al peggio ch potrá icótrarmi:
     Fra molti reſtero di vita priuo:
     Ma quando Dio coſi mi drizzi l’armi
     Che colui morto, & io rimanga viuo
     Sicura a mille renderò la via
     Si che Putii maggior che’l danno ſia.

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 [48]
Metto all’incontro la morte d’un ſolo
     Alla ſalute di gente inſinita,
     Vattene in pace (riſpofe) ſigliuolo
     Dio mandi, in difenſion de la tua vita
     L’Archangelo Michel dal ſommo polo
     E benedillo il ſemplice Eremita,
     Aſtolfo lungo il Nil tenne la ſtrada
     Sperando piú nel ſuon che ne la ſpada.

 [49]
Giace tra l’alto fiume e la palude
     Picciol ſentier ne l’arenofa riua
     La ſolitaria caſa lo richiude
     D’humanitade e di cómercio priua:
     Son ſiſſe intorno teſte, e membra nude
     De l’infelice gente che v’arriua:
     Non v’e fineſtra, non v’e merlo alcuno
     Onde penderne almen nò ſi veggia vno.

 [50]
Qual ne le alpine ville, o ne cartelli
     Suol cacciator che gra perigli ha ſcorfi
     Su le porte attaccar l’hirfute pelli
     L’horride zampe, e i groſſi capi d’Orfi,
     Tal dimoſtraua il ſier Gigante, quelli
     Che di maggior virtú gli erano occorſi:
     D’altri inſiniti, ſparfe appaion l’oſſa
     Et e di ſangue human piena ogni ſoſſa.

 [51]
Staſſi Caligorante in ſu la porta
     (Ch coſi ha nome il diſpietato moſtro)
     Ch’orna la ſua magion di gente morta
     Come alcun ſuol de pani d’oro o d’oſtro
     Coſtui per gaudio a pena ſi comporta
     Come il Duca lontan ſé gli e dimoſtro,
     Ch’eran duo meſi, e il terzo ne venia
     Che non ſu cauallier per quella via.

 [52]
Ver la palude ch’era ſcura e ſolta
     Di verdi canne, in gran fretta ne viene,
     Che diſegnato hauea correre in volta
     E vſcire al Paladin dietro alle ſchene,
     Che ne la rete, che tenea ſepolta
     Sotto la polue, di cacciarlo ha ſpene,
     Come hauea fatto glialtri peregrini
     Che quiui tratto hauean lor rei deſtini.

 [53]
Come venire il Paladin lo vede
     Ferma il deſtrier, non ſenza gra ſoſpetto
     Che vada in quelli lacci a dar del piede,
     Di ch il buò Vecchiarel gli hauea pdetto
     Quiui il ſoccorſo di ſuo corno chied
     E quel ſonando fa l’ufato effetto
     Nel cor fere il Gigante che l’aſcolta
     Di tal timor, ch’a dietro i paſſi volta.

 [54]
Aſtolfo ſuona, e tuttauolta bada
     Che gli par ſempre che la rete ſcocchi:
     Fugge il fellon, ne vede oue ſi vada
     Ch come il core hauea pduti gliocchi,
     Tanta e la tema che non fa far ſtrada
     Che ne li proprii aguati non trabocchi,
     Va ne la rete, e quella ſi diſſerra
     Tutto l’annoda: e lo diſtende in terra.

 [55]
Aſtolfo ch’andar giú vede il gran peſo
     Giá ſicuro per ſé, v’ accorre in fretta:
     E con la ſpada in man: d’arcion diſceſo
     Va per far di mill’anime vendetta:
     Poi gli par che s’ uccidevn che ſia preſo
     Viltá piú che virtú ne fará detta,
     Che legate le braccia i piedi e il collo
     Gli vede ſi, che non può dare vn crollo.

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 [56]
Hauea la rete giá fatta Vulcano
     Di ſottil ſil d’ acciar, ma con tal’arte.
     Che faria ſtata ogni fatica in vano
     Per iſmagliarne la piú debol parte,
     Et era quella che giá piedi e mano
     Hauea legate a Venere & a Marte
     La ſé il geloſo, e non ad altro effetto
     Che per pigliarli inſieme ambi nel letto.

 [57]
Mercurio al Fabbro poi la rete inuola
     Che Chloride pigliar con eſſa vuole:
     Chloride bella che per l’aria vola
     Dietro all’Aurora all’apparir del Sole,
     E dal raccolto lembo de la ſtola
     Gigli ſpargendo va roſe e viole,
     Mercurio tanto queſta Nympha atteſe
     Che con la rete in aria vn di la preſe.
 [58]
Doue entra i mare il gran fiume Ethiopo
     Par che la Dea preſa volando foſſe,
     Poi nel tempio d’Anubide a Canopo
     La rete molti ſeculi ſerboſſe,
     Caligorante tre mila anni dopo
     Di la doue era ſacra la rimoſſe,
     Se ne porto la rete il ladrone empio,
     Et arte la cittade, e rubo il tempio.

 [59]
Quiui adattolla in modo in ſu l’arena
     Che tutti quei e’ hauean da lui la caccia
     Vi clan. in dentro, & era tocca a pena
     Ch lor legaua, e collo, e piedi, e braccia:
     Di queſto leuo Aſtolfo vna catena
     E le man dietro a quel fellon n’allaccia:
     Le braccia e’l petto in guiſa gli ne faſcia
     Che nò può ſciorſi, indi leuar Io laſcia.

 [60]
Da glialtri nodi hauendol ſciolto prima
     Ch’ era tornato human piú che dózella:
     Di trarlo ſeco e di moſtrarlo ſtima
     Per ville, per cittadi, e per cartella,
     Vuol la rete ancho hauer, di che ne lima
     Ne martel fece mai coſa piú bella,
     Ne fa ſomier colui ch’alia catena
     Con pompa triomphal dietro ſi mena.

 [61]
l’elmo e lo ſcudo ach a portar gli diede
     Come a valletto, e ſeguito il camino
     Di gaudio empièdo, ouuqj mettail piede
     Ch’ ir poſſa hormai ſicuro il peregrino,
     Aſtolfo ſé ne va tanto che vede
     Ch’ai ſepolchri di Mèphy e giá vicino,
     Memphy per le Pyramidi famoſo:
     Vede all’incontro il Chairo populofo.

 [62]
Tutto il popul correndo ſi trahea
     Per vedere il Gigante ſmiſurato,
     Come e poſſibil (l’un l’altro dicea)
     Ch quel piccolo ilgrade habbia legato,
     Aſtolfo a pena inanzi andar potea
     Tanto la calca il preme da ogni lato,
     E come cauallier d’alto valore
     Ognun l’ammira e gli fa grade honore.

 [63]
Non era grande il Chairo coſi allhora
     Come ſé ne ragiona a noſtra etade,
     Che’l populo capir che vi dimora
     Non puon diciotto mila gran contrade,
     E che le caſe hano tre palchi, e anchora
     Ne dormono inſiniti in ſu le ſtrade,
     E che’l Soldano v’ habita vn cartello
     MirabiI di grandezza e ricco e bello.

[p. 172 modifica]


 [64]
E che quindici mila ſuoi vaſalli
     Che ſon Chriſtiani rinegati tutti,
     Con mogli, con famiglie, e con caualli
     Ha ſotto vn tetto ſol, quiui ridutti,
     Aſtolfo veder vuole, oue s’ aualli
     E quanto il Nilo entri ne i fallí ſlutti
     A Damiata, c’hauea quiui inteſo
     Qualunqj paſſa reſtar morto o preſo.

 [65]
Perho ch’in ripa al Nilo in ſu la ſoce
     Si ripara vn ladron dentro vna torre,
     Ch’ a paeſani e a peregrini nuoce
     E fin’ al Chairo ognun rubando ſcorre:
     Non gli può alcun refiſtere, & ha voce
     Che l’huom gli cerca í van la vita torre,
     Cento mila ferite egli ha giá haut’to,
     Ne vcciderlo perho mai s’ e potuto.

 [66]
Per veder ſé può far rompere il ſilo
     Alla Parca di lui, ſi che non viua
     Aſtolfo viene a ritrouareHorrilo,
     (Coſi hauea nome) e a Damiata arriua,
     Et indi paſſa oue entra in mare il Nilo
     E vede la gran torre in ſu la riua
     Doue s’ alberga l’anima incantata
     Che d’un Folletto nacq3, e d’una Fata.

 [67]
Quiui ritruoua che crudel battaglia
     Era tra Horrilo, e dui guerrieri acceſa
     Horrilo e ſolo, e ſi que dui trauaglia
     Ch’ a gran fatica gli puon far difeſa,
     E quanto in arme l’uno e l’altro vaglia
     A tutto il mondo la fama paleſa,
     Queſti erano i dui ſigli d’ Oliuero
     Griphone il bianco, & Aqlante il nero.

 [68]
Glie ver che’l Negromante venuto era
     Alla battaglia con vantaggio grande
     Che ſeco tratto in capo hauea vna ſera
     Laqual ſi truoua ſolo in quelle bande,
     Viue fu’l lito, e dentro alla riuera
     E i corpi humani ſon le ſue viuande
     De le perſone miſere & incaute
     De viandanti, e d’infelici naute.

 [69]
La beſtia ne l’arena appreſſo al porto
     Per man de i duo ſratei morta giacea:
     E per queſto ad Horril non ſi fa torto
     S’ a vn tempo l’uno e l’altro gli nocea,
     Piú volte l’ha ſmébrato, e nò mai morto
     Ne per ſmèbrarlo vccider ſi potea:
     Che ſé tagliato, o mano, o gamba gli era
     La rapiccaua che parea di cera.

 [70]
Hor fin’ a denti il capo gli diuide
     Griphone, hor Aquilante fin’ al petto,
     Egli de i colpi lor ſempre ſi ride
     S’ adiran’ eſſi che non hanno effetto,
     Chi mai d’ alto cader l’argento vide
     Ch gli Alchimiſti hano Mercurio detto
     E ſpargere e raccor tutti i ſuo membri
     Sentendo di coſtui, ſé ne rimembri.

 [71]
Se gli ſpiccano il capo, Horrilo ſcende
     Ne ceſſa brancolar ſin che lo truoui,
     Et hor pel crine & hor pel naſo il prede
     Lo ſalda al collo, e nò ſo co che chioui
     Pigliai talhor Griphon, e’l bracio ſtéde
     Nel ſiue il getta, e nò par ch’ácho gioui
     Ch nuota Horrilo al fondo eoe vn peſce
     E col ſuo capo ſaluo alla ripa eſce.

[p. 173 modifica]


 [72]
Due belle donne honeſtamente ornate
     l’una veſtita a bianco, e l’altra a nero,
     Che de la pugna cauſa erano ſtate
     Stallano a riguardar P affatto fiero:
     Queſte eran quelle due benigne Fate
     C’hauean notriti i ſigli d’Oliuiero
     Poi che li traſſon teneri citelli
     Da i curui artigli di duo gradi augelli.

 [73]
Che rapiti gli haueuano a Giſmonda
     E portati lontan dal ſuo paeſe,
     Ma no biſogna i ciò ch’io mi diffonda
     Ch’a tutto il mondo e l’hiſtoria paleſe:
     Ben che l’author nel padre ſi confonda
     Ch’un per vn’ altro (io no ſo come) preſe
     Hor la battaglia i duo gioueni fanno
     Che le due donne ambi pregati n’hAno.

 [74]
Era in quel clima giá ſparito il giorno
     AlPIfole anchor alto di Fortuna:
     E’ ombre hauea tolto ognivedere atorno
     Sotto l’incerta e mal compreſa Luna
     Quando alla rocca Horril fece ritorno
     Poi ch’alia bianca, e alla ſorella bruna
     Piacque di diſſerir l’aſpra battaglia
     Fin che’l Sol nuouo all’Orizonte faglia.

 [75]
Aſtolfo che Griphone, & Aquilante
     Et all’inſegne, e piú al ferir gagliardo
     Riconoſciuto hauea gra pezzo inante,
     Lor non ſu altiero a ſalutar ne tardo,
     Eſſi vedendo, che quel che’l Gigante
     Trahea legato, era il Baron dal Pardo
     (Che coſi in corte era quel Duca detto)
     Raccolſcr lui con non minore affetto.

 [76]
Le donne a ripoſare i cauallieri
     Menaro a vn lor palagio indi vicino,
     Donzelle incontra venero e feudieri
     Con torchi acceſi a mezo del camino,
     Diero, a chi n’hebbe cura, i lor deſtrieri
     Traſſonſi Parme, e détrovn bel giardino
     Trouar ch’apparechiata era la cena
     Ad vna ſonte limpida, & amena.

 [77]
Fan legare il Gigante alla verdura
     Con vn’ altra catena molto groſſa,
     Ad vna quercia di molt’ anni dura,
     Che non ſi romperá per vna ſcoſſa,
     E da dieci ſergenti haueme cura
     Che la notte diſcior non ſé ne poſſa,
     Et .duliili. e ſorſè far lor danno
     Mentre ſicuri e ſenza guardia ſtanno,

 [78]
All’abondante e ſontuoſa menſa
     Doue il manco piacer fur le viuande
     Del ragionar gran parte ſi diſpenfa
     Sopra d’ Horrilo, e del miracol grande
     Che quaſi par vn ſogno a chi vi penſa:
     C’hor capo hor braccio a terra ſé gli máde
     Et egli lo raccolga e lo raggiugna
     E piú feroce ogn’hor tomi alla pugna.

 [79]
Aſtolfo nel ſuo libro hauea giá letto,
     Quel ch’agi’ incanti riparare inſegna,
     Ch’ad Horril non trarrá Palma del petto
     Fin ch’un crine fatai nel capo tegna.
     Ma ſé lo ſuelle o tronca, ſia conſtretto
     Ch ſuo mal grado ſuor l’alma ne veglia:
     Queſto ne dice il libro, ma non come
     Conoſca il crine in coſi ſolte chiome.

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 [80]
Non men de la vittoria ſi godea
     Che ſé n’haueſſe Aſtolfo giá la palma,
     Come chi ſpeme in pochi colpi hauea
     Suellere il crine al Negromáte e l’alma,
     Perho di quella impreſa promettea
     Tor ſu gli homeri ſuoi tutta la ſalma,
     Horril fará morir quando non ſpiaccia
     A i duo ſratei ch’egli la pugna faccia.

 [81]
Ma quei gli danno volentier l’impreſa
     Certi che debbia affaticarli in vano:
     Era giá l’altra Aurora in cielo aſceſa
     Quado calo da i muri Horrilo al piano,
     Tra il Duca e lui ſu la battaglia acceſa
     La mazza l’un l’altro ha la ſpada i mao,
     Di mille attéde Aſtolfo vn colpo trarne
     Che lo ſpirto gli ſciolga da la carne.

 [82]
Hor cader gli fa il pugno con la mazza
     Hor P uno hor l’altro braccio co la mao,
     Quando taglia a trauerſo la corazza
     E quado il va troncado a brano a brano,
     Ma ricogliendo ſempre de la piazza
     Va le ſue membra Horrilo, e ſi fa ſano:
     S’in cento pezzi ben l’haueſſe fatto
     Reditegrarſi il vedea Aſtolfo a ú tratto.

 [83]
Al ſin di mille colpi vn gli ne colſe
     Sopra le ſpalle a i termini del mento,
     La teſta e l’elmo dal capo gli tolſe
     Ne ſu d’ Horrilo a diſmontar piú lento:
     La ſanguinoſa chioma in man s’ auolſe
     E riſalſe a cauallo in vn momento
     E la porto correndo incontra’l Nilo,
     Che rihauer non la poteſſe Horrilo.

 [84]
Quel ſciocco che del fatto nò s’accorfe
     Per la polue cercando iua la teſta,
     Ma come inteſe, il corridor via torſe
     Portare il capo ſuo per la foreſta:
     Immantinente al ſuo deſtrier ricorſe
     Sopra vi ſale e di ſeguir non reſta,
     Volea gridare aſpetta volta volta
     Ma gli hauea il Duca giá la bocca tolta.

 [85]
Pur ch nò gli ha tolto acho le calcagna
     Si riconforta, e ſegue a tutta briglia,
     Dietro il laſcia gran ſpatio di campagna
     Quel Rabican che corre a marauiglia,
     Aſtolfo intanto per la cuticagna
     Va da la nuca ſin fopra le ciglia
     Cercando in fretta fe’l crine fatale,
     Conoſcer può e’ Horril tiene Imortale.

 [86]
Fra tanti e innumerabili capelli
     Vn piú de l’altro non ſi ſtende o torce,
     Qual dunque Aſtolfo ſcegliera di qlli
     Ch per dar morte al rio ladro raccorce:
     Meglio e (diſſe) ch tutti io tagli o ſuelli.
     Ne ſi trouando hauer raſoi ne ſorce.
     Ricorſe immantinente alla ſua ſpada
     Che taglia ſi, che ſi può dir che rada.

 [87]
E tenendo quel capo per lo naſo
     Dietro e dinanzi lo difehioma tutto.
     Trouo ſra glialtri quel fatale a caſo:
     Si fece il viſo allhor pallido e brutto,
     Trauolſe gli occhi, e dimoſtro all’occaſo
     Per manifeſti ſegni, eſſer condutto,
     E’l buſto che ſeguia troncato al collo,
     Di fella cadde, e die l’ultimo crollo.

[p. 175 modifica]


 [88]
Adolfo, oue le donne e i cauallieri
     Laſciato hauea, torno col capo in mano,
     Che tutti hauea di morte i ſegni veri
     E moſtro il tronco, oue giacea lontano,
     Non ſo ben ſé lo vider volentieri
     Anchor ch gli moſtraffer viſo humano.
     Che la intercetta lor vittoria, ſorſè
     D’ inuidia ai duo germani il petto morſe.

 [89]
Ne che tal ſin quella battaglia haueffe
     Credo piú foſſe alle due Donne grato
     Queſte, perche piú in lungo ſi traheſſe
     De duo ſratelli il doloroſo fato
     Ch’iFracia par ch’i breue eſſer doueſſe,
     Con loro Horrilo hauea qui azzuffato,
     Con ſpeme di tenerli tanto a bada
     Che la triſta inſluentia ſé ne vada.

 [90]
Toſto che’l Caſtellan di Damiata
     Certificoſſi ch’era morto Horrilo
     La columba laſcio e’ hauea legata
     Sotto l’ala la lettera col ſilo,
     Quella andò al Chairo, & idi ſu laſciata
     Vn’ altra altroue, come quiui e (itilo:
     Si che in pochiſſime hore andò l’auifo
     Per tutto Egytto ch’era Horrilo vcciſo.

 [91]
Il Duca come al ſin traſſe l’imprefa
     Conforto molto i nobili Garzoni:
     Bè che da ſé v’hauean la voglia inteſa
     Ne biſognauan ſtimuli ne ſproni,
     Che per difender de la ſanta Chieſa
     E del Romano Imperio le ragioni
     Laſciaffer le battaglie d’Oriente
     E cercaſſino honor ne la lor gente.

 [92]
Coſi Griphone & Aquilante tolſe
     Ciaſcuno da la ſu a Donna licentia.
     Le quali achor ch lor n’ ecrebbe e dolſe,
     Non vi ſeppon perho far refiſtentia:
     Con elſi Aſtolfo a man deſtra ſi volſe
     Che ſi deliberar far riuerentia
     A i fanti luoghi, oue Dio in carne viſſe
     Prima che verſo Francia ſi veniſſe.

 [93]
Potuto hauriá pigliar la via mancina
     Ch’ era piú diletteuole e piú piana,
     E mai non ſi feoſtar da la marina
     Ma per la deſtra adaro horrida e ſtrana:
     Perche l’alta citta di Paleſtina
     Per queſta, fei giornate, e men lontana:
     Acqua ſi truoua, & herba in queſta via
     Di tutti glialtri ben v’ e careſtia.

 [94]
Si che prima ch’entraſſero in viaggio
     Ciò che lor biſogno fecion raccorre,
     E carcar fu’l Gigante il carriaggio
     C’hauria portato i collo ancho vna torre
     Al ſinir del camino aſpro e ſeluaggio
     Da l’alto monte alla lor viſta occorre
     La ſanta terra, oue il ſuperno Amore
     Lauo col pprio ſangue il noſtro errore.

 [95]
Trouano in ſu l’entrar de la cittade
     Vn giouene gentil lor conoſcente,
     Sanſonetto da Meca, oltre l’etade
     (Ch’era nel primo fior) molto prudète,
     D’alta caualleria d’alta bontade
     Famoſo, e riuerito ſra la gente:
     Orlando lo conuerſe a noſtra fede
     Et di ſua man batteſmo ancho gli diede.

[p. 176 modifica]


 [96]
Ouiui lo trouan che diſegna, a ſronte
     Del Caliſe d’Egytto vna ſortezza,
     E circondar vuole il Caluario monte
     Di muro di duo miglia di lunghezza,
     Da lui raccolti fur con quella ſronte
     Ch può d’ Sterno amor dar piú chi
     E dentro accopagnati, e con grade agio
     Fatti alloggiar nel ſuo real palagio.

 [97]
Hauea in gouerno egli la terra, e in vece
     Di Carlo, vi reggea l’imperio giuſto
     Il Duca Aſtolfo a coſtui dono fece
     Di ql ſi grande e ſmiſurato buſto
     Ch’a portar peſi, gli varrá per diece
     Beſtie da ſoma, tanto era robuſto
     Diegli Aſtolfo il Gigáte, e diegli appſſo
     La rete ch’in ſua ſorza l’hauea meſſo.

 [98]
Sanſonetto all’incontro al Duca diede
     Per la ſpada vna cinta ricca e bella,
     E diede ſpron per l’uno e l’altro piede
     Che d’Oro hauean la ſibbia e la girella,
     Ch’effer del Cauallier ſtati ſi crede
     Che libero dal Drago la Donzella,
     Al Zaffo hauuti con molt’ altro arneſe
     Sanſonetto glihauea quando lo preſe..

 [99]
Purgati de lor colpe a vn monaſterio
     Che daua di ſé odor di buoni eſempii
     De la paſſion di Chriſto ogni myſterio
     Contemplando n’andar per tutti i tepii
     C’hor con eterno obbrobrio e vituperio
     A gli Chriſtiani vſurpano i Mori empii,
     l’Europa ei arme e di far guerra agogna
     In ogni parte, ſuor ch’oue biſogna.

 [100]
Mentre hauean quiui l’animo diuoto
     A perdonanze e a cerimonie intenti
     Vn peregrin di Grecia a Griphon noto
     Nouelle gli areco graui e pungenti:
     Dal ſuo primo diſegno, e lungo voto
     Troppo diuerſe, e troppo differenti:
     E quelle il petto gl’infiammaron tanto
     Che gli ſcacciar l’oration da canto.

 [101]
Amaua il cauallier per ſua ſciagura
     Vna donna e’ hauea nome Horrigille:
     Di piú bel volto e di miglior ſtatura
     Non ſé ne ſceglierebbe vna ſra mille,
     Ma diſleale, e di ſi rea natura,
     Che potreſti cercar cittadi e ville
     La terra ferma, e l’Iſole del mare
     Ne credo ch’una le trouaffi pare.

 [102]
Ne la citta di Conſtantin laſciata
     Graue l’hauea di febbre acuta e ſiera,
     Hor quando riuederla alla tornata
     Piú che mai bella, e di goderla ſpera,
     Ode il meſchin ch’in Antiochia andata,
     Dietro vn ſuo nuouo amate, ella ſé n’era
     Non le parendo hormai di piú patire
     C’habbia in ſi ſreſca etá ſola a dormire.

 [103]
Da indi in qua e’ hebbe la triſta nuoua
     Soſpiraua Griphon notte e di ſempre:
     Ogni piacer ch’a glialtri aggrada e gioua
     Par ch’a coſtui piú l’animo diſtépre,
     Penſilo ognun ne li cui danni pruoua
     Amor, ſé li ſuoi ſtrali han buone tépre,
     Et era graue fopra ogni martire
     Che’l mal e’ hauea ſi vergognaua a dire.

[p. 177 modifica]


 [104]
Queſto perche mille ſiate inante
     Giā ripreſo l’hauea di quello amore,
     Di lui piū ſaggio il fratello Aquilante,
     E cercato colei trargli del core.
     Colei ch’ai ſuo giudicio, era di quante
     Femine rie ſi trouin la peggiore,
     Griphon l’eſcufa, fe’l ſratel la danna
     E le piū volte il parer proprio inganna.

 [105]
Perno fece pender, ſenza parlarne
     Con Aquilante, girſene ſoletto
     Sin dentro d’Antiochia, e quindi trarne
     Colei, ch tratto il cor glihauea del petto
     Trouar colui che gli l’ha tolta, e farne
     Vendetta tal, che ne ſia ſempre detto,
     Diro come ad effetto il pender meſſe
     Nell’altro canto e ciò che ne ſucceſſe.