Poesie (Campanella, 1938)/Scelta di alcune poesie di Settimontano Squilla/73-74-75. Tre orazioni in salmodia metafisicale congiunte insieme

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73-74-75. Tre orazioni in salmodia metafisicale congiunte insieme

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73-74-75. Tre orazioni in salmodia metafisicale congiunte insieme
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Orazioni tre in Salmodia metafisicale congiunte insieme

CANZONE I

madrigale 1

Omnipotente Dio, benché dal fato
invittissima legge e lunga pruova
d’esser non sol mie’ prieghi invano sparsi,
ma al contrario esauditi, mi rimuova
dal tuo cospetto, io pur torno ostinato,
tutti gli altri rimedi avendo scarsi.
Che s’altro Dio potesse pur trovarsi,
io certo per aiuto a quel n’andrei.

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Né mi si potria dir mai ch’io fosse empio,
se da te, che mi scacci in tanto scempio,
a chi m’invita mi rivolgerei.
Deh, Signor, io vaneggio; aita, aita!
pria che del Senno il tempio
divenga di stoltizia una meschita.

In questo primo madrigale di questa canzone mirabile confessa che sempre fu esaudito al contrario da Dio; e che però e per la legge fatale, che non si rompe mai, non doverebbe piú pregare: ma, vedendo che non ci è altro rimedio né altro Dio a chi ricorrere, torna alle orazioni solite, con pentirsi di questo, di dire che, se ci fosse altro Dio, anderebbe a quello, ecc. Egli par diventar pazzo; e che l’anima sua, tempio della Sapienza divina, si fa meschita di stoltizia.

madrigale 2

Ben so che non si trovano parole
che muover possan te a benivolenza
di chi ab aeterno amar non destinasti;
ché ’l tuo consiglio non ha penitenza,
né può eloquenza di mondane scuole
piegarti a compassion, se decretasti
che ’l mio composto si disfaccia e guasti
fra miserie cotante, ch’io patisco.
E se sa tutto ’l mondo il mio martoro,
il ciel, la terra e tutti i figli loro;
perché a te, che lo fai, l’istoria ordisco?
E s’ogni mutamento è qualche morte,
Tu, Dio immortal, ch’io adoro,
come ti muterai a cangiar mia sorte?

Qua argomenta ch’e’ non dovesse pregare: primo, per lo fato risoluto nell’eterna volontá; secondo, perché non ci è eloquenza che possa persuader Dio; terzo, perché quel che vuol dire, lo sa tutto il mondo, tanto piú Dio, che lo fa o permette, ecc.; quarto, [p. 119 modifica]perché non può mutarsi, s’egli ha cosí ordinato: perché ogni mutamento è qualche morte, secondo sant’Augustino; dunque, ecc. Queste ragioni sono risolute in Metafisica e Teologia; ed appresso risponde in parte.

madrigale 3

Io pur ritorno a dimandar mercede,
dove ’l bisogno e ’l gran dolor mi caccia.
Ma non ho tal retorica né voce,
ch’a tanto tribunal poi si confaccia.
Né poca caritá, né poca fede,
né la poca speranza è che mi nuoce.
E se, com’altri insegna, pena atroce,
che l’anima pulisca e renda degna
della tua grazia, si ritrova al mondo,
non han l’alpe cristallo cosí mondo,
ch’alla mia puritade si convegna.
Cinquanta prigioni, sette tormenti
passai, e pur son nel fondo;
e dodici anni d’ingiurie e di stenti.

Dice che ritorna a pregare, confidato non in retorica né in argomenti, ma nella fede e speranza e caritá, che non gli mancava, e ne’ tormenti lunghi ed atroci, che poteano averlo purificato e reso degno e congruo d’essere esaudito. E pure s’inganna, come mostra nella Canzone a Berillo.

madrigale 4

Stavamo tutti al buio. Altri sopiti
d’ignoranza nel sonno; e i sonatori
pagati raddolcîro il sonno infame.
Altri vegghianti rapivan gli onori,
la robba, il sangue, o si facean mariti
d’ogni sesso, e schernian le genti grame.

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Io accesi un lume: ecco, qual d’api esciame,
scoverti, la fautrice tolta notte
sopra me a vendicar ladri e gelosi,
e que’ le piaghe, e i brutti sonnacchiosi
del bestial sonno le gioie interrotte:
le pecore co’ lupi fûr d’accordo
contra i can valorosi;
poi restâr preda di lor ventre ingordo.

Narra che, stando il mondo nello scuro, e facendo tanto male ognuno al prossimo, e che gli sofisti ed ippocriti, predicando adulazioni, fanno dormir il mondo in queste tenebre; egli, accendendo una luce, ebbe contro gli ingannati e l’ingannatori, ecc.; e che quelli, come pecore accordate co’ lupi contra gli cani, son devorate poi da’ lupi, secondo la parabola di Demostene.

madrigale 5

Deh! gran Pastor, il tuo can, la tua lampa,
da’ lupi omai difende e da’ ladroni;
fa’ noto il tutto all’ignorante gregge;
che se mia luce e voce, pur tuoi doni,
lasci spacciare per peccato in stampa,
piú dannato fia il sole e la tua legge.
Ma, s’altra colpa è pur che mi corregge,
sai che non può volarsi senza penne
della tua grazia; né, senza, io le merto.
Pur sempr’ho l’occhio al tuo splendor aperto;
che fallo è il mio, se dentro egli non venne?
Ma sciogli Bocca, e fai tuo messaggero
Gilardo; e con qual merto?
Máncati la ragion forse o l’impero?

Prega che Dio manifesti al popolo ch’egli è luce e cane, e non larva e lupo, ecc.; e che la luce solare e la legge divina pur saranno presi per oscuritá e per nequizia, se chi dice il vero è talmente afflitto, ecc. Poi dice che, se ci è qualche peccato ch’egli [p. 121 modifica]non vede in sé, per lo quale pate, che gli dia la grazia di uscirne; perché non si può volar senza l'ali della grazia di Dio, né si può la grazia meritare se non per grazia. E ch’egli solo s’apparecchia a riceverla. Poi s’ammira che liberò Bocca, e fece suo profeta un altro tristo senza meriti.

madrigale 6

Parlo teco, Signor, che mi comprendi,
e dell’accuse altrui poco mi cale.
Io ben confesso che del mondo hai cura
e ch’a nulla sua parte vogli male;
quantunque, a ben del tutto che piú intendi,
senza annullarle, le muti a misura:
in che consiste proprio la Natura;
e tal mutanza male e morte noi
di qualitá o d’essenza sogliam dire,
ch’è del tutto alma vita e bel gioire,
bench’alle parti tanto par ch’annoi.
Cosí del corpo mio piú morti e vite
veggo andare e venire,
di parti a ben del tutto in vita unite.

Mostra che questi argomenti gli fa a Dio, che sa quel che dice, non a dirlo d’animo eretico. E poi confessa che Dio regge il tutto, e che muta le cose con misura, e che la mutazione pare male e morte a noi, che parti siamo del mondo, se bene al tutto è vita e gioconditá; come nel corpo nostro piú morti e vite ci sono, mentre il cibo si trasmuta in tante particelle, e parte del corpo esala in aere, ecc., e pure fanno una vita del tutto composto.

madrigale 7

Il mondo, dunque, non ha male; ed io
di mali innumerabili sto oppresso
per letizia del tutto e d’altre parti.
Ma, se alle particelle hai pur concesso

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d’invocar chi l’aiuta proprio Dio,
che a tutti gli enti il tuo valor comparti,
e le mutanze lor con segrete arti
addolcisci, amoroso temperando
Necessitate, Fato ed Armonia,
Possanza, Senno, Amor per ogni via,
m’è avviso, ch’a pregarti ritornando,
truovi rimedio alcun, che rallentarmi
possa la pena ria,
o ’l dolce crudo amor di vita trarmi.

Conchiude che, se ’l mondo non ha male, ma egli, ch’è parte di quello, patisce per ben del tutto e dell’altre parti; come la pecora per cibar il lupo, ed ogni parte del mondo offesa chiama in aiuto altre parti simili, come Dio proprio, perché Dio in quelle l’aiuta, mentre a tutte donò Potere, Sapere ed Amore, e le temperò con Fato, Necessitá ed Armonia. Dunque e’ deve pur pregare Dio, e non cessare, perché ci dia rimedio contra la pena, o ci tolga l’amor crudele del vivere, che gli dona piú pena che la morte stessa, ecc. Nota ch’è dolce l’amor della vita e crudele, perché, se quello non fusse, non ci dispiacerebbe la morte né gli guai.

madrigale 8

Cosa il mondo non ha, che non si muti,
né che del suo mutarsi non si doglia,
né che del suo dolersi Dio non preghi.
Fra’ quali molti son, cui avvenir soglia,
che, come tu ab aeterno vuoi l’aiuti;
e molti ancora, a cui l’aiuto neghi.
Come dunque io saprò per cui ti pieghi,
s’io presente non fui al consiglio antico?
Argomento verace alfin m’addita
che quella orazion sia esaudita,
che con ragione e puramente io dico.

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Cosi spesso, non sempre, nel tuo volto
sentenza è diffinita,
che ’l campo frutti ben, s’egli è ben colto.

Dice che tutti gli enti pregano Dio nel suo modo, che lor tolga le pene: onde san Paolo, Ad Romanos: «Omnis creatura ingemiscit et parturit usque adhuc». E che Dio esaudisce molti secondo ch’e’ destinò, e molti no; e che, non sapendo s’egli era destinato d’esser esaudito, s’appiglia al partito di pregare ancora. Perché per buon argomento conosce che la dimanda ragionevole e con puritá deve essere esaudita; come il campo ben cultivato fa frutto, e si spera il frutto con ragione, benché Dio avesse disposto altrimenti, ma che Dio proprio pare che voglia anche tal fruttare, ecc.

madrigale 9

Del mio contrito e ben arato suolo
la coltura mi reca gran speranza,
ma piú lo sol del Senno che ’l feconda,
che molte stelle forse sopravanza,
esser predestinato sopra il polo;
che la preghiera mia non si confonda,
e ch’abbia il fine, a cui di mezzi abbonda
pur da te infusi e previsti ab aeterno.
Con condizion pregò Cristo, sapendo
che schivar non potea il calice orrendo.
E l’angel suo rispose: al gran governo
convenir ch’egli muoia. Io senza prego,
risposta ricevendo
dal mio diversa, che sovente allego.

Conchiude che, sendo egli contrito e cultivato come il campo, può sperar aiuto da questa orazione; ma piú lo certifica il Senno che Dio l’infuse, o per profeti gli avvisa, ecc., e che avendo mezzi per gran fine, arriverá a quel fine, che le virtú dategli da Dio ricercano. E che, se bene Cristo non fu esaudito nella morte, e l’angelo gli rispose che dovea morire, pregò con condizione: «si [p. 124 modifica]fieri potest». Ma e’ prega senza condizione, e l’angelo gli risponde che sará esaudito. Questo fu inganno del demonio, e non angelo.

Nota quanto ci vuol a giudicar se saremo esauditi.

madrigale 10

Canzon, di’ al mio Signor: — Chi per te giace
tormentato in catena intra una fossa,
dimanda come possa
volar senza ale. O manda, o tu insegna
come la ruota fatale è ben mossa,
e se si truova in ciel lingua mendace. —
Ma parrai troppo audace,
senza l’altra, ch’or teco uscir disegna.

Manda la canzone a Dio, che gli dica che non può volare senza l’ali della sua grazia, e che gli mandi un angelo, od egli stesso l’insegni se la ruota della Fortuna va con ragione, poich’egli può patire senza ragione ed altri sguazzare senza merito, ecc. E come, avendoli rivelato la libertá, si truova bugia in cielo. Questo fu ’l diavolo, e non un angelo. Poi dice ch’aspetti la seconda canzone a questo proposito, piú umile.

74

CANZONE II

della medesima salmodia

madrigale 1

Se ha’ destinato ch’io ben sparga il seme,
avrai forse voluto che ben mieta:
perché dunque si tarda il giusto fine?
Perché le stelle fai e piú d’un profeta,
i tuo’ doni e scienze vani insieme?
Perché le forze e le voglie divine

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il nemico schernisce? e le rovine,
ch’a lui si converrían, a me rivolve?
Perché tra ’l fato un’animata terra
bestemmia e nega Dio, s’egli non erra,
e me che t’amo in tante pene involve?
Quando ignorai e negai, molto impetrai
con chi il tuo nome atterra;
or ch’io t’adoro, vo’ traendo guai.

Quattro dimande argute e dolenti fatte a Dio, difficili a sciôrre, come quella di Ieremia: «Iustus es, Domine, si disputem tecum», ecc. Ma piú è questa: che sia nell’ordine fatale, bene ordinato da Dio, alcuno che bestemmia Dio; e come ciò possa essere. La risposta ci è nell’Antimacchiavellismo d’esso autore. Poi dice che Dio l’esaudí in altri travagli, quando era poco cristiano; ed ora s’ammira che, risoluto ad essere buono, non è esaudito.

madrigale 2

Se tu giá m’esaudisti peccatore,
perch’or non m’esaudisci penitente?
perch’a Bocca, il tuo Nume dispregiante,
le porte apristi, e me lasci dolente,
preda al nemico e riso al traditore?
Cosí m’hai dato il corridor volante?
Ogni tiranno è contra i tuoi costante,
e ’n ben trattar chi a’ suo’ piaceri applaude;
e tu gli amici tuoi sempre piú aggravi,
e nel lor sangue l’altrui colpe lavi.
Che maraviglia se cresce la fraude,
moltiplicano i vizi e le peccata?
Ché, ad onta nostra, i pravi
si vantan, che dai lor vita beata.

Segue le medesime dimande. E come liberò quel tristo, che apostatò poi, ed egli fu ingannato da chi volea liberarlo. Poi dice che, sendo gli amici di Dio sempre afflitti, però sono pochi: il che [p. 126 modifica]disse Salomone in Ecclesiaste: «Quia eadem cunctis eveniunt, corda filiorum hominum implentur malitia», ecc., e perché «vidi iustos, quibus mala eveniunt, malos autem, qui ita securi sunt ac si bene egissent».

madrigale 3

Io, con gli amici pur sempre ti scuso
ch’altro secolo in premio a tuo’ riserbi,
e che i malvagi in sé sieno infelici,
sempre affligendo gli animi superbi
sdegno, ignoranza e sospetto rinchiuso;
e che di lor fortune traditrici
traboccan sempre al fine. Ma gli amici,
se, quelli dentro e noi di fuor, siamo
tutti meschini, chieggon la cagione,
che fa nel nostro mal tue voglie buone;
che se gli altri enti, e noi, figli d’Adamo,
doveamo trasmutarci a ben del tutto
di magione in magione,
perché non fai tal muta senza lutto?

Risponde che a’ buoni s’aspetta un’altra vita in premio. E che di piú in questa vita gli tristi sono piú puniti in veritá, che gli buoni internamente, bench’e’ non paia; come pur disse san Piero a Simon mago, ecc. Ma di ciò nasce maggior dubbio: perché Dio fa che ci sia tanta meschinitá tra buoni e malvagi? E se la mutazione fa questo, perché non ordinò che le cose si mutino senza sentir dolore?

madrigale 4

Senza lutto se fosse, senza senso
sarian le cose e senza godimento,
né l’un contrario l’altro sentirebbe,
né ci saria tra lor combattimento,

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né generazione, e ’l caos immenso
la bella distinzione assorbirebbe.
E pur nel punto che mutar si debbe
la cosa, uopo è che senta, perch’all’altra
resista, e faccia ch’ella si muti anco
secondo il fato vuol, né piú né manco,
chi regge il mondo. Or qui tuo senno scaltra.
Io, teco disputando, vinto e lasso
cancello, e metto in bianco
le mie ragioni; in altro conto passo.

Risponde che, se la mutazione fosse senza doglia, non ci sarebbe senso di piacere. E cosí non combatterebbono gli enti contrari, e non si farebbe generazione, e ’l mondo tornerebbe caos. E poi risponde che pure nel punto del mutamento, quando par che Dio dovesse levare il senso del dolore, è necessario che ci sia, perché resista quel ch’è travagliato e muore al travagliante, e si temperi in quel modello che intende Dio operante con tale ordine del suo fato. Stupenda risposta! E poi dice che non sa che dire a Dio in questo; e passa in altre sue opinioni sopra ciò, ecc.

madrigale 5

Solevo io dir fra me dubbiando: — Come
d’erbe e di bruti uccisi per mia cena
non curo il mal, né a’ supplicanti vermi
dentro a me nati do favor, ma pena;
anzi il Sol padre e Terra madre il nome
struggon de’ figli e i lor composti infermi;
cosí Dio non sol pare che s’affermi,
che del mal nostro pietade nol punga,
ma ch’egli sembri il tutto; onde ne goda
trarci di vita in vita con sua loda,
che fuor del cerchio suo mai non si giunga. —
O pur, che in Dio fosse divario dolce,
dissi ragion men soda,
come in Vertunno è, che ’l nostro soffolce.

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Dice ch’e’ solea immaginarsi che Dio fa come noi a’ vermi nati dentro il corpo nostro, che gli uccidiamo e non sentiamo i prieghi loro, o come il sole e la terra uccidono gli secondi enti, da lor generati. E che Dio sia il tutto, e gode che dentro a lui si mutino senza annullarsi le cose, ma passano sempre in vario essere vitale, ecc. O che Dio pure si mutasse, ma con dolcezza, come si favoleggia di Vertunno e Proteo, e che dal suo mutamento dolce nasce il nostro mutamento; e cosí l’affanno per conseguenza a noi, sendo noi parti, e non il tutto.

madrigale 6

Or ti rendo, Signor, fermezza intègra:
ché i prieghi e ’l variar d’ogni ente fue
da te antevisto, e non ti è un iota nuovo,
ch’un tuo primo voler possa or far due.
D’essere e di non essere s’intègra:
per l’un la formo, per l’altro la muovo;
che da te sia, da sé non sia, la truovo;
per sé si muta, e per te non s’annulla
la creatura; e stassi, te imitando;
e mutasi, tua idea rappresentando,
che in infinite fogge la trastulla,
per non poterla tutta in un mostrare;
infinitá mancando
a questa, nel cui male il tuo ben pare.

Corregge la falsa opinione predetta, dicendo che Dio è immutabile, e le orazioni non poter dal suo primo volere mutarlo, perché giá avea antevisto i prieghi nostri e determinato se era bene esaudirle o no. Poscia mostra che il mutamento non viene dall’essere né da Dio, ma dal nostro non essere; e che, sendo noi composti di ente e niente, quello da Dio ricevuto, e questo da noi, sempre torniamo al niente, e Dio ci tiene, ché non ci annulliamo. E questo ritenimento è figurarsi con nuova idea sempre; e che la creatura sendo finita, e l’idea infinita, non può in una sola mutazione tutta parteciparla; e però Dio lascia questa mutazione del niente, servendosi a bene dell’ente, ecc.

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madrigale 7

Le colpe di natura (ancor dichiaro),
in cui si fondan l’altre del costume,
per la continoa guerra, ch’indi avviene,
che l’un l’altro non è, non dal tuo Nume,
ma dal niente origine pigliâro.
Né toglier la discordia a te conviene,
né far che l’un sia l’altro, perché ’l bene
di tanti cangiamenti saria spento,
né la tua gloria nota in tante forme
gioiose mentre stanno a te conforme,
dogliose mentre vanno al mutamento,
dove il niente le chiama. Ond’io veggio
che il tuo Senno non dorme;
ma io, in niente assorbito, vaneggio.

Dichiara che gli peccati della natura, in cui sono fondati pur quelli del costume, ch’è abuso d’essa natura razionabile, non vengono da Dio, ma dalla guerra de’ contrari; e la guerra viene da niente, perché l’uno non è l’altro. Vedi la Metafisica per questo. E poi dice che non par bene, come alcuni epicurei dicono, che Dio tolga la guerra tra gli elementi e tra gli elementati; perché mancherebbe la mutazione e la rappresentazione della gloria divina in tanti successi d’essere, li quali sono giocondi, mentre sono simili a Dio: onde tutti bramano essere; e la doglia solo nasce quando vanno al non essere ed al morire, dove il niente gli chiama; e Dio non lascia annicchilarsi, ma passare in altri essere.

madrigale 8

Sí come il ferro di natura impuro
sempre s’arruggia, e ’l fabbro invita all’opra;
cosí le cose, dal niente nate,
tornan sempre al niente; e Dio sta sopra,
ché non s’annullin, ma di quel, che fûro,

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in altro essere e vita sien recate.
S’e’ fregia nostra colpa e nullitate,
Dio ringraziar dobbiam, non lamentarci;
ed io, vie piú che gli altri, che son meno,
onde di guai mi truovo sempre pieno.
Ma, se de’ pannilini i vecchi squarci
carta facciam, che noi di morte rape
d’eternitade al seno;
che fia di me, se Dio di noi piú sape?

Séguita a mostrare che Dio si serve della nostra mutazione e nientitá a mostrare altre ricchezze d’essere, e che non possiamo lamentarci di lui se siamo travagliati e muoiamo; perché questo viene dal nostro non essere, non dal suo essere. E poi dice che, sendo egli partecipe di molto niente, come gli guai mostrano, non deve lagnarsi. Alfine si conforta che, se de’ stracciati panni si fa da noi carta per scrivere ed eternarsi in scrittura, tanto piú Dio de’ suoi maltrattamenti e stracciato corpo potrá fare cosa immortale, e glorificarlo in fama ed in vita celeste, ecc., perché sarebbe sciocco, non sapendosi servire del male in bene piú che noi, ecc.

madrigale 9

— Ma perché piú degli altri io fui soggetto
alle doglienze della vita nostra?
— Ché in questa o in altra aspetti miglior sorte,
e in quelli forza e in te saper Dio mostra.
— Ma perché l’una e l’altro io non ho stretto?
— Ché se’ parte e non tutto. — E perché forte
fu e savio chi a Golia donò la morte?
— Quel ch’era in lui, in te non è or bisogno.
— Perché così? — Ché l’ordine fatale
ottimo il volle, che Dio fece tale. —
Miser, so men, quanto saper piú agogno!
Miserere di me, Signor, se puoi
far corto e lieve il male,
senza guastar gli alti consigli tuoi!

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Fa un dubbio: perché fu piú soggetto delli altri a’ guai? E risponde: perché aspetta miglior sorte in questa e nell’altra vita, e perché Dio negli altri mostra il suo potere, facendogli meno soggetti a’ guai, e ’n lui il suo sapere. E contra questa risposta argomenta: per che causa David fu sapiente e forte? Risponde che fu cosí necessario in quello, e non ora in esso autore. E, replicando, dice che l’ordine fatale cosí portò ordinato ab aeterno. E perché ciò poco s’intende, conchiude che quanto piú vuol sapere di questi segreti, meno ne sa. Però si volta a pregare simplicemente che Dio l’aiuti senza guastare i suoi disegni, ecc.

madrigale 10

Canzon, di’ al mio Signor, ch’io ben conosco
ch’ogni cosa esser puote
migliore a sé, ma non all’universo;
ch’e’ giá saria disperso,
se uguali al sol fussero l’altre ruote
del mio desir non vòte.
Ma piú ho da dirti: — Aspetta
la tua terza sorella, che non tarda;
sarai in mezzo eletta
e piú a grazia impetrar forse gagliarda. —

Manda quest’orazione a Dio, con dire che ben vede come per se stesso e’ potrebbe star meglio, ma non per tutto ’l mondo, perché il mondo sarebbe guasto, se tutti i pianeti e la terra fossero eguali al sole, e non patissero, come non paté il sole; talché il desiderio loro non s’adempie, né quello dell’autore, per ordine divino. E poi si prepara alla terza canzone di questa medesima materia.

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75

CANZONE III

della medesima salmodia

madrigale 1

Vengo a te, potentissimo Signore,
sapientissimo Dio,
amorosissimo Ente primo ed uno:
miserere del nostro antico errore,
cessi omai l’uso rio;
non sia piú l’uno all’altro uomo importuno;
tornin, dove io gli aduno,
alla prima ragion tua; donde, errando,
siamo trascorsi a diverse menzogne,
talché ognun par ch’agogne
farsi degli altri dio, gli occhi abbagliando
al popol miserando,
giá di cieca paura
sforzato a perseguir chi ben gli adduce;
ond’io sto in sepoltura,
perché lor predicai la prima luce.

Prega Dio che tutti torniamo tanto alla legge naturale, ch’è quella di Dio, e che cessi la idolatria, le sètte false e le guerre cominciate per ragione di Stato e la diversitá de’ principati; e che sia una gregge, un pastore ed una fede. E narra i mali avvenuti dalla divisione d’essa fede naturale, e piú gli propri: per che fa ricorso a quella, ecc.

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madrigale 2

Per l’Unitá ti priego viva e vera,
per cui disfarsi stimo
la discordia, la morte e l’empio inganno;
per la Possanza universal primiera,
e per lo Senno primo
e per lo primo Amor, ch’un ente fanno:
togliene omai quel danno,
che da valor, da senno e d’amor finti
tirannide, sofismi, ipocrisia
spande pur tuttavia;
che l’alme e i corpi a pugna cieca ha spinti
fra lacci e laberinti,
ove par che sia meglio
non veder l’uscio a chi forza non have;
e me n’hai fatto speglio,
quando senz’arme m’hai dato la chiave.

Lo prega per gli epiteti suoi eminentissimi, Unitá, contraria alla discordia, alla morte ed allo tradimento, per la Possanza, Senno ed Amore, che ci toglia i danni venuti da finta possanza, finto senno, finto amore. Donde è nata la pugna cieca, che ci facciamo male l’un l’altro senza intendere perché, poiché spesso sono carcerati quegli che dicono il vero, e sono tenuti per eretici, come san Paolo da Nerone e san Piero, ecc.; e come in questo laberinto non giova vedere il vero a chi non è armato, perché piú è afflitto dall’ingannati e dall’ingannatori, come disse nel sonetto Gli astrologi, ecc.

madrigale 3

Per le medesme eminenze ch’io soglio
dir di se stesse oggetti,
essenza, veritá e bontade insieme,
ti prego, s’io di maschere le spoglio,

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quella colpa rimetti,
che tôrre i falsi dèi dall’uman seme
vantatisi, e piú ci preme.
Chi vide ch’unquanco in terra si faccia
il tuo voler, sí come si fa in cielo?
chi d’ignoranza il velo,
chi il gioco sotto gli empi, che n’allaccia
in fatti, rompe o straccia?
Sol libertá può farci
forti, sagaci e lieti. E ’l suo contrario
valere a consumarci
di sei milla anni mostra il gran divario.

Prega per gli oggetti delle eminenze metafisicali giá dette, le quali e’ spoglia di maschere, scoprendo la tirannia e la sofistica e la ipocrisia, ecc., che Dio voglia perdonare a tutto il mondo, e far che si faccia in terra il suo volere, come si fa in cielo, e che cessi l’ignoranza, la tirannia e la ipocrisia. E che questo non possa essere, se Dio non ci mette in libertá di peccato e di signoria, che possiamo e sappiamo dire il vero. E che gli falsi dèi promettano tutti la beatitudine, e mai non s’è vista ancora. Però debba provvedere il vero Dio.

madrigale 4

Poi ti prego, ti supplico e scongiuro
per l’influenze magne,
Necessitá, Fato, Armonia, che ’l regno
dell’universo mantengon sicuro,
tue figlie, non compagne;
per lo spazio, ch’è base al tuo disegno;
per la mole all’ingegno,
pel caldo e per lo freddo, d’elementi
gran fabbri, e per lo cielo e per la terra,
pe’ frutti di lor guerra;
pel tempo e per le statue tue viventi,
stelle, uomini ed armenti,

[p. 135 modifica]

per tutte l’altre cose;
per Cristo, Senno tuo, prima Ragione,
che dalle sorti ascose
spezzi la crudel mia lunga prigione.

Prega per l’influenze magne, necessitá, fato ed armonia, che guidano il mondo, come influenze ed effetti di Dio, e non come cause né concause del suo governo. E questo dice contra i gentili. Poi prega per tutti gli enti fisici, per lo spazio, per la materia, per lo caldo e freddo, per lo cielo e terra, per la generazione che fanno pugnando, per lo tempo, per le statue di Dio vive, che sono, ecc., e per tutte le cose. Alfin conchiude come la Chiesa, per Cristo, Verbo e Sapienza di Dio, rompa la sua prigionia, ecc.

madrigale 5

Se mi sciogli, io far scuola ti prometto
di tutte nazioni
a Dio liberator, verace e vivo,
s’a cotanto pensier non è disdetto
il fine a cui mi sproni;
gl’idoli abbatter, far di culto privo
ogni dio putativo
e chi di Dio si serve, e a Dio non serve;
por di ragione il seggio e lo stendardo
contra il vizio codardo;
a libertá chiamar l’anime serve,
umiliar le proterve.
Né a’ tetti, ch’avvilisce
fulmine o belva, dir canzon novelle,
per cui Siòn languisce.
Ma tempio farò il cielo, altar le stelle.

Mira qual voto grande d’animo divinissimo! E’ pretende fare a Dio una scuola di tutto il mondo, se Dio lo aiuta. Nota che Dio si deve adorar in spiritu et veritate, e non in tetti di fango, che i fulmini e gli nidi d’uccelli scherniscono. E [p. 136 modifica]

cosí Dio disse ad Isaia: «quam domum aedificabitis», ecc., e san Stefano. Ma la Chiesa di Cristo tiene questi, non perché Dio sia legato in loro, ma perché s’unisca il popolo in caritá per la conoscenza e culto comune. Beato chi intende come s’adora! dice san Bernardo.

madrigale 6

Deh! risorga a pietá l’Amor eterno,
e l’infinito Senno
proponga l’opra al gran Valor immenso,
che il duro scempio del mio lungo inferno
vede senza il mio cenno:
sei e sei anni, che ’n pena dispenso
l’afflizion d’ogni senso,
le membra sette volte tormentate,
le bestemmie e le favole de’ sciocchi,
il sol negato agli occhi,
i nervi stratti, l’ossa scontinovate,
le polpe lacerate,
i guai dove mi corco,
li ferri, il sangue sparso, e ’l timor crudo,
e ’l cibo poco e sporco;
in speme degna di tua lancia e scudo.

Narra ed amplifica la preghiera con tanti guai, che patia dentro quella fossa dopo dodici anni continovi, ecc. I tormenti sono noti.

madrigale 7

Farsi scanni gli uman corpi a’ giganti,
gli animi augei di gabbia,
bevanda il sangue, e di lor prave voglie
le carni oggetto, e le fatiche e i pianti

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giuoco dell’empia rabbia,
maniche a’ ferri usati a nostre doglie
l’ossa, e le cuoia spoglie;
de’ nostri sensi, testimoni e spie
false contra noi stessi; e ch’ogni lingua
l’altrui virtute estingua,
e fregi i vizi lor con dicerie,
vedrai da queste arpie
piú dal tuo tribunale.
Che pel tuo onor mia angoscia se non basta,
ti muova il comun male,
a cui la providenza piú sovrasta.

Narra tutti i guai, che da’ tiranni sono avvenuti a tutti uomini nel tempo presente e passato, e cosí da’ sofisti ed ipocriti. E nota che in senso mistico e metafisico dice assai, parlando di tutte le parti del nostro corpo serventi a quelli; ma con veritá delle false adulazioni e testimonianze, e che Dio ne vede piú ch’egli dice: e però si muova pel ben comune di tutti, se non per lui si muove, ecc.

madrigale 8

Se favor tanto a me non si dovea
per destino o per fallo,
sette monti, arti nuove e voglia ardente
perché m’hai dato a far la gran semblea,
e ’l primo albo cavallo,
con senno e pazienza tanta gente
vincere? Dunque mente
tanto stuol di profeti che tu mandi?
ed ogn’anima santa, che giá aspetta
veder la tua vendetta,
falsa sará per gloria di nefandi?
Piú prodigi e piú grandi

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il tuo Nume schernito,
qual muto idolo, agogna oggi, che quei
ch’i mostri han sovvertito
di Samaria, d’Egitto e di Caldei.

Dice che Dio, avendogli fatto tanti favori di dargli nuove scienze, sette monti in testa prodigiosi, e volontá di fare la scuola del Primo Senno per divino istinto, e’l cavallo bianco, ch’è l’ordine sacerdotale dominicano, e ’l vincere tanti tormenti e tormentatori, ciò è segno Dio l’abbia da liberare per qualche gran cosa. E questo mostra da’ profeti e santi: vedi Brigida, Vincenzo, Catarina; e dal desiderio comune, ecc. Poi dice che piú miracoli ci vogliono a questo tempo, che non quando Moisé ed Elia e Daniele, ecc., vinsero. Perché Dio è tenuto come idolo muto, secondo ch’e’ dice a santa Brigida, ecc.

madrigale 9

Tre canzon, nate a un parto
da questa mia settimontana testa,
al suon dolente di pensosa squilla,
ch’ostetrice sortilla,
ite al Signor, con facce e voce mesta
gridando miserere
del duol, che ’l vostro padre ange e funesta.
Né sia chi rieda a darmi altra novella
dal Rettor delle sfere
che ’l fin promesso dell’istoria bella
(sia stato falso o vero il messaggiere),
cantando: — Viva, viva Campanella! —

Dá commiato a tutte le tre canzoni, fatte in un tempo stesso ed in un soggetto, come tre sorelle d’un parto, ecc. Dice che non tornino senza il fine promesso in certe visioni, che si canterá — Viva Campanella — nel fine di questo suo carcere, e cose altre mirabili, ch’egli dice nell’Antimacchiavellismo; e ch’e’ fu deluso dal diavolo, ecc.