Poesie (Eminescu)/LXVII. L'Astro

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LXVII. L’Astro

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Mihai Eminescu - Poesie (1927)
Traduzione dal rumeno di Ramiro Ortiz (1927)
LXVII. L’Astro
LXVI. Epistola IV LXVIII. Glossa
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LXVII.

L’ASTRO.


C’era una volta come nelle fiabe,
      c’era una volta,
di gran progenie d’imperatori
      una bellissima fanciulla.

5Ed era figlia unica
      e bella fra le belle,
com’è la Vergine tra i santi,
      la luna tra le stelle.

Dall’ombra delle volte aurate
      10muove ella il passo
verso la finestra, dove in un angolo
       l’Astro l’aspetta.

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Guarda all’orizzonte come sul mare
      sorge e brilla,
15e sulle mobili vie
      barche nere conduce.

Guardalo oggi, guardalo domani,
      nasce l’amore,
ed a lui che da mesi l’ha scorta
      20divien cara la fanciulla.

Com’ella appoggia sognando
       il biondo capo al gomito,
dell’amor dell’astro le duole
       l’anima e il cuore.

25E come vivamente luccica
       egli ogni sera,
quando nell’ombra del nero castello
       ella deve apparirgli!


Lentamente sull’orme di lei
      30scivola nella stanza,
tessendo con le sue fredde scintille
      una rete di luce.

E, quando lunga sul letto si stende
      la fanciulla per addormentarsi,
35le tocca le mani incrociate sul petto,
      le chiude blando le palpebre.

E dallo specchio un raggio
      di luce si riflette sul corpo supino,
sugli occhi grandi che, pur chiusi, palpitano
      40sul dolce volto riverso.

Con un sorriso ella lo guarda
      mentr’egli tremola nello specchio,
poi che la segue ostinato nel sogno
      per innamorarsi d’anima.

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45Ed ella parlandogli in sogno
      geme con tristi sospiri:
O dolce delle mie notti Signore,
      perchè non vieni tu? vieni!

Scendi giù, bell’Astro carezzevole
      50scivolando lungo un tuo raggio,
entra nella casa e nell’anima mia
      e rischiarami la vita!

Ascolta egli palpitando
      e più vivo s’accende;
55nell’acqua fulmineo si precipita:
      si sprofonda nel mare;

e l’acqua in cui è caduto
      s’allarga in cerchi molteplici,
e dall’abisso un bellissimo
      60ignoto giovanetto vien fuori.

Lieve passa come per un uscio
      da una fessura della finestra
ed ha in mano uno scettro
      coronato di fiori di canna.

65Pare un giovin Voivoda
      dai capelli di morbido oro,
ma un livido sudario ha gittato
      su gli omeri nudi.

Ma l’ombra del suo viso perlaceo
      70è bianca come cera:
è un bel morto dagli occhi vivaci
      che lanciano scintille.

Dalla mia sfera mi fu difficile a scendere
      per rispondere al tuo richiamo:
75sappi ch’è mio padre il Cielo
      e mia madre l’onda del Mare.

Per entrar nella tua stanza
      e contemplarti da vicino,

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son disceso colla mia luce
      80e son rinato d’acqua.

Oh vieni, mio tesoro ineffabile,
      e lascia per me il tuo mondo;
io son l’Astro del cielo
      e tu sarai mia sposa!

85Su, nei palazzi di corallo
      ti rapirò nei secoli,
e tutti nell’oceano
      obbediranno a te!

— Oh sei bello come solo nel sogno
      90un angelo si mostra,
ma per la via che m’hai dischiusa
      non potrò mai seguirti;

straniero all’abito e al volto,
      risplendi senza vita,
95io son viva, tu sei morto,
      e l’occhio tuo m’agghiaccia!



Passa un giorno, ne passan due
      ed ecco torna una notte
l’Astro su lei che dorme,
      100co’raggi suoi sereni;

in sogno ella dovette
      ricordarsi di lui,
e un rimpianto l’anima le strinse
      del Re dei flutti.

105Scendi giù, bell ’Astro carezzevole,
scivolando lungo un tuo raggio
entra nella casa e nell’anima mia
      e rischiarami la vita!

Com’egli dal Cielo l’udì,
      110si spense dal dolore,

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e il cielo incominciò a rotare
      nel luogo dove l’Astro era morto.

Dall’etere fiamme sanguigne
      cadono sul mondo,
115e dai flutti del Caos un superbo
      bellissimo giovan vien fuori.

Sui riccioli neri del capo
      la corona sembra che arda;
ed egli s’avanza ondeggiando
      120immerso in un fuoco solare.

Dal nero sudario si staccano
      marmoree le braccia divine,
ed egli avanza triste e pensoso
      d’amore nel pallido viso.

125Solo gli occhi grandi, meravigliosi
      risplendon profondi, chimerici,
come due sofferenze senza fondo
      immersi nelle tenebre.

Dalla mia sfera discesi a fatica
      130per ascoltarti ancora una volta
poi che mio padre è il Sole
      e madre mia la Notte.

Oh vieni, mio tesoro ineffabile,
      e lascia il tuo mondo;
130io son l’Astro del cielo
      e tu sarai mia sposa.

Oh vieni ch’io sulla tua chioma bionda
      posi corone di stelle,
perchè ne’ cieli miei tu rifulga
      140più bella assai di loro!

— Oh sei bello come solo in sogno
      un angelo si mostra,
ma per la strada che m’hai dischiusa
      non potrò mai seguirti!

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145Dell’amor tuo crudele
      mi duole il cuore nel petto,
soffro degli occhi tuoi grandi e profondi
      e lo sguardo tuo mi brucia!

— Ma come vorresti ch’io venissi?
      150Non sai tu forse
che immortale io sono
      e tu mortale?

— Non so parlare come te fiorito,
      nè saprei donde rifarmi,
155tu parli, è vero, alla portata di tutti,
      ma io non ti comprendo.

E se pur vuoi che con fiducia
      io m’abbandoni a te,
fa’ di discender tu sulla terra,
      160e d’esser qual me mortale.

— L’immortalità mia dunque tu chiedi
      in cambio sol di un tuo bacio?
Ebbene voglio mostrarti
      quanto io t’ami di cuore!

165Sì, rinascerò di peccato,
      accettando un nuovo destino;
all’eternità sono avvinto,
      ma saprò liberarmene.

E se ne va.... Se n’è andato!
      170Per amore d’una fanciulla
s’è strappato dal suo posto nel cielo
      e ha spenta la sua luce!


Frattanto Catalino,
      malizioso valletto,
175che riempie di vino le coppe
      ai commensali a tavola,

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un paggio che regge lo strascico
      dell’imperatrice,
figlio adottivo e trovatello
      180ma d’occhi audace,

con le guance come due peonie
      rosse, lo sfacciatello
si nasconde a far la posta,
      la posta a Catalina.

185Oh come bella divenne
      e superba la monella!
Su, Catalino! ora è il momento
      di tentar la fortuna!

E mentre passa la spinge pian piano
      190in un angolo in fretta:
Ma.... che vuoi? Finiscila, Catalino!
      Via, lasciami! Bada ai fatti tuoi!

Che voglio? Voglio che tu non istiì
      soprappensiero sempre,
195che rida più spesso e mi dii
      un bacio, uno solo!

— Ma.... se neppur so che vuoi dire!
      Lasciami stare, vattene!
Purtroppo è dell’astro del cielo
      200ch’io mi consumo e muoio!

— Se non sai, potrei insegnartelo
      io l’amore, punto per punto,
ma solo che tu non t’adiri,
      e lasci fare a me per benino!

205Come il cacciatore tende tra i rami
      a gli uccelli la rete,
quand’io ti tenderò le braccia,
      tu stringimi fra le tue;

e gli occhi tuoi immobili
      210rimangano sotto i miei;

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s’io ti prendo per la vita,
      tu sollevati sulla punta dei piedi;

e quando il mio viso si chinerà verso te,
      tu resta colla faccia in su
215perch’io in eterno possa guardarti
      e dolcemente, tutta la vita;

e perchè a un puntino ti sia
      rivelato tutto l’amore,
quand’io a baciarti mi chini
      220tu pure docil mi bacia.

Ascolta ella il giovinetto
      così tra meravigliata e offesa,
e vergognosa e civettuola
      or si nega, or s’abbandona.

225Poi sottovoce gli dice: Da fanciullo
      io ti conosco
e ciarliero come sei e piccolino
      potremmo intenderci;

ma un bell’Astro è sorto
      230dalla pace dell’oblio,
dall’orizzonte infinito
      della solitudine marina;

ed io tacita chino le ciglia,
      poi che me le bagna il pianto,
235quando i flutti passano dell’acque
      che verso lui viaggia;

ii splende come un amore ineffabile
      per tergere il mio pianto
ma sempre più in alto si mostra
      240perch’io non possa raggiungerlo.

Scende triste con suoi raggi freddi
      da quel suo mondo lontano....
In eterno l’amerò e in eterno
      mi resterà lontano....

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245Perciò i giorni mi passano
      aridi come la steppa;
ma le notti hanno un fascino dolce
      che non posso spiegare.

— Tu sei ancora bambina, ecco tutto!...
      250Su! ce n’andremo alla ventura,
finché le nostre orme si perdano
      e nessuno più ci conosca.

Saremo saggi e l’uno e l’altro
      e allegri e forti,
255perderai ogni ricordo dei genitori
      ed ogni amore di stelle!



    
L’Astro si mosse. Crescevano
      a lui l’ali nel cielo,
e vie di mille anni divoravano
      260in rapidi istanti.

Un cielo di stelle di sotto spiegavasi,
      di sopra un altro cielo di stelle, —
sembra un lampo ininterrotto
      ramingo tra quelle.

265E dai flutti del Caos
      vedeva intorno a sé
zampillar luci come nel primo
      giorno del mondo,

luci che, nascendo, lo circondavano,
      270vaste come mari; a nuoto
vola egli, pensiero portato dal desiderio,
      finché del tutto, del tutto s’estingue.

Poi che dove giunge non è confine,
      nè occhio che vegga,
275e invano il tempo si sforza
      di nascer dal vuoto.

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Nulla egli è, ed è tuttavia
      la sete stessa che l’arde,
è un abisso, simile
      280al cieco oblio.

Dal peso della negra eternità,
      Padre, discioglimi,
ed in eterno laudato tu sii
      su tutta la scala del mondo;

285oh chiedimi, Signore, ogni altra cosa
      ma dammi un altro destino,
Tu che sorgente sei della vita
      e causa della morte;

l' immortal nimbo toglimi dal capo
      290e dallo sguardo il fuoco,
e, in cambio di tutto questo, dammi
      un’ora d’amore....

Dal Caos, Signore, son sorto,
      fa’ ch’io torni nel Caos!
295e di riposo son nato:
      ho sete di riposo!

— Iperione che all’oriente
      ti levi con un mondo intero,
non chieder segni e miracoli,
       300che non hanno ragione di essere!

Tu vuoi considerarti un uomo,
      rassomigliarti a loro?
Ma, muoiano essi a migliaia,
      altri ne nasceranno;

305essi duran solo qual vani
      ideali al vento:
quando Tonde trovano un sepolcro,
      nascono altre onde;

essi han solo stelle propizie
      310e avversi destini;

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noi non abbiamo nè tempo nè luogo,
      e non conosciamo la morte.

Dal seno dell’eterno ieri
      vive l’oggi che muore;
315se un sole si spegne nel cielo,
      s’accende un altro sole.

Pur sembrando nascere in eterno,
      è la morte che infin lo divora,
poi che tutto nasce per morire,
      320e muor per nascere.

Ma tu, Iperione, rimani
      lo stesso dovunque tramonti,
tu sei delle prime forme create,
      l’eterno miraeoi tu sei.

325Vuoi ch’io dia alla tua bocca
      tal voce che il canto
suo seguano i monti e le selve
      e l' isole del mare?

Vuoi forse mostrare co’ tuoi fatti
      330giustizia e valore?
Ti darò il mondo in frantumi,
      perchè tu ne faccia un Impero.

Ti darò vascelli e vascelli,
      ti darò eserciti potenti,
335a percorrere in lungo e in largo
      la terra e il mare; ma la morte non posso

E perchè poi vorresti morire?
      Volgiti e guarda
verso quel mondo roteante,
      340e vedi che t’aspetta!»?

    
Dal posto a lui fisso nel cielo
      Iperion si volge,

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e, come il giorno innanzi,
      spande il suo lume.

345Poi ch'è la sera, verso il tramonto,
      ed è per calare la notte,
la luna sorge tranquilla,
      e tremola sull’acque!

Ed empie delle sue scintille
      350le vie, tra i rami....
Sotto una lunga fila di bei tigli
      seggon soli due giovani.

Oh lascia che in seno ti appoggi
      la testa, o amata,
355sotto il raggio degli occhi tuoi sereni
      e dolci da non dirsi;

col fascino della fredda lor luce
      l’anima trafiggimi,
versa la pace dell’eternità
      360sulla mia notte di passione.

E resta china su me
      a lenirmi il dolore,
poi che l’amor mio primo tu sei
      e l' ultimo mio sogno».

365Iperione dall’alto vedeva
      i loro volti rapiti nell’estasi;
non appena egli le ha cinto il collo col
      ch’ella lo stringe al seno....

Odorano i fiori d’argento
      370e cadon, dolcissima pioggia,
sul capo dei giovani sposi
      dai lunghi riccioli biondi.

Ebbra d’amore, ella solleva
      gli occhi estasiati, ma vede
375l’Astro, e, sottovoce,
      gli confida i suoi voti:

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«Scendi giù, bell’Astro carezzevole,
      «scivolando lungo un tuo raggio,
«entra nel bosco e nell’anima mia,
      «380l’ebbrezza mia rischiara!»

Trèmola egli come una volta
      sulle selve e sui colli,
accompagnando deserti
      di mobili flutti;

385ma non più come una volta discende
      nei mari dall’etra superna.
— «A te che importa, forma d’argilla,
      «che io o un altro t’illumini?

«Vivendo nel vostro cerchio ristretto
      «390la fortuna vi governa;
«io nel mio mondo mi sento
      «immortale e freddo!»