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Poesie (Parini)/VI. Versi sciolti/XIII. Il primo bacio

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XIII. Il primo bacio

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VI. Versi sciolti - XII. A Giancarlo Passeroni VII. Odi

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XIII

IL PRIMO BACIO

Idillio.

In una solitaria capannetta,
qual fiore intatto su l’incolta siepe,
una vergin crescea, che a’ boschi, a’ colli,
ov’ella nacque per favor del cielo,
5due volte a pena, dopo il terzo lustro,
avea veduto rivestirsi aprile.
Si vivo lampo dal suo riso uscia,
che a molle guardator forse paruto
sarebbe un cenno di baldanza; ed era
10il linguaggio d’un cuor nell’innocenza
tutto sicuro, e del piacer, che intorno
spandeva, ignaro. Al vago e gentiletto
piglio; al temprato suon delle parole;
alla persona sopra sé diritta;
15al movere degli occhi e della testa,
che dal marmoreo collo alteramente
surgeva biancheggiando; al castigato
atteggiar d’ogni membro non parea
di selva abitatrice, anzi né cosa
20puramente mortai. Ma la bellezza
vincevano i costumi, in cui regnava
un atto di virtú si peregrino,
che prendeva d’amore e di rispetto
ognun che la mirasse. Intorno a lei
2,s consumava del cuor le tenerezze
una madre ne’ freschi anni deserta

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a sospirar vedovilmente il caro
onde gioiva i coniugali affetti.
Ed ella gareggiando ne’ lavori
30a rustical famiglia consueti,
con reciproco zel le dava braccio
a faticarsi la vita solinga,
che le facea con povertá beate.
Ma ben diverso in elle era lo spirto
35che le animava. Nel materno petto
tacean del mondo le lusinghe, e solo
dell’avvenire l’inamabil faccia
duramente vegliava, e tuttequante
le sue bellezze il ciel vi raccendea.
40Ad Eurilla (cosi la verginetta
nomavasi) parea dolce ed allegro
d’un sorriso divin l’umano sogno
per la novella etá, che lo menda
d’imagini dorate, e per l’amore,
45che in lei parlava caramente. Un giorno
(allor che per la selva abbandonate
di nutritivo umor cadon le foglie
sul capo al villanel, che ne sospira)
ella sedeva, coll’interna pace
50nel viso impressa, agli orli d’una fonte,
che solcava un pratel, dalle native
soglie tre gitti di pietra lontano:
e, modulando certe favolette
dalla garrula nonna imparacchiate,
55alla rócca traea l’ispide chiome;
in cui di tanto in tanto lascivia
il grato orezzo che previen la sera.
Pochi passi discosto pigolava
una covata di pulcini: e intanto
60che l’un rubava all’altro la pagliuzza,
venia la chioccia con molto schiamazzo
l’affezion tra lor significando.

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Un cardellin nella vicina fratta
gaietto saltellava, e ad ora ad ora
65parea volesse disfidar nell’arte
della gola una flebil capinera
gorgheggiante il saluto vespertino
al sol, che dello stanco, ultimo raggio
vestia le cime dell’arguto pioppo
70dove cantava. Ed ecco all’improvviso
ode Eurilla un latrato, e dietro a quello
un frascheggiar, che a mano a man s’appressa.
Tiene penduta il fuso, e, con quell’atto
a cui move il timor, guardasi intorno;
75e per la callaietta della siepe,
onde il prato cingevasi, entrar vede
un cane da pastor, ch’alia sua volta
anela braccheggiando. In piè si rizza
di subito; e la chioccia ed i pulcini
80col noto billi billi a sé raccoglie.
Ma l’ardito quadrupede s’avanza
si che tutti li rompe iscompiglio.
Quella dispicca un voi sopra il pollone
d’un vecchio salcio, e colassú lamenta
85il suo timor pe’ tenerelli aspetti:
questi, o fra l’erbe s’accovaccian muti
e trepidanti, o fuggono alla cieca
tanto che alcuni s’affogan nel rio.
Poscia il cane, avvisata la fanciulla,
90quatto quatto alle gonne le s’accosta,
e con blandi ganniti e con la coda
guizzante par che sicurtá le incuori.
L’impaurita nondimen percuote
Paure d’acuti stridi; alquanto volge
95gli omeri a lui; la scapigliata rócca
gli stende; il guarda obliquamente, e trema
in sé ristretta. Un pastorei frattanto,
lo zaino a tergo ed una lassa in pugno,

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entra nel prato balzellando a guisa
100d’un leprotto su l’alba, che per anco
squittir non ode la sagace torma.
Né si tosto d’Eurilla i paurosi
lai di pietá lo saettar nel cuore,
che di lancio v’accorre, ed agramente
105garrendo il cane, col guinzaglio a viva
lena lo sferza si, che la vellata
coda serrando al ventre e guaiolando,
col muso basso gli s’atterra a’ piedi.
Poi con miglior sembiante alla smarrita
110angeletta si volge, e le disgrava
la molta angoscia con parole ornate
di si toccante cortesia, che fanno
lei palpitar d’insolita dolcezza.
Dopo ciò, Silvio, il pastorei, l’aiuta
115a radunar la piccioletta greggia
degli sconfitti alati; e promettendo
ristorarla di quei che trova manchi,
le sorride un «a Dio» con grazioso
tratto; e, rimesso al guinzaglio Licisca,
120piglia le mosse lento, a somiglianza
d’uomo, che lasci una cosa diletta.
Eurilla, tra pudica e desiosa,
gli affigge in volto i grandi occhi azzurrini,
e avvivando le rose, ond’ha fiorenti
125di bella vita le verginee gote,
del servigio gli fa timide grazie.
A pena Silvio usci della sua vista,
anch’ella si rimise in su l’angusto
tortuoso sentier, che riuscia
130alla sua capannella; ed ivi giunta
fil per filo ritrae l’istorietta
alla madre, atteggiando le parole
con verginal semplicitá. La notte
che venne dietro, con assai diletto

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<poem> 135ella sognò il pastore, il pastor lei, si che, accesasi in ambo la vaghezza di rivedersi, al praticel sovente poi convennero. E quando all’iemale rigor cesse l’autunno, ed ogni cosa 140in alto gelo biancheggiò sepolta, gl’innamorati sospiravan mesti ne’ lor tugurietti. Oh quante volte Eurilla, al focolar muta sedendo, i di contava susseguiti a quello 145che vide Silvio ultimamente! Oh quante nel caldo imaginar ne disegnava il patetico sguardo e l’amoroso, de’ suoi baci sospir, molle sorriso, dando occhiate furtive alla vicina 150vigilanza materna, per sospetto non le scoprisse da’ sembianti il cuore. Talor vedendo i suoi dolci colombi dopo il pasto orgogliosi e mormoranti l’un l’altro codiarsi o spander l’ale 1550 porsi il becco l’un all’altro in bocca, la semplicetta invidiar parea quegl’innocui trastulli. Una fuggiasca scorserella al suo prato ancor soleva far ne’ giorni piú miti; e lo trovando 160sempre coperto di squallore, al pianto s’inteneriva si, che rubicondi le duravano gli occhi in fino a casa, ove con piè men lesto ritornava. A Silvio pure la ridente imago 165della vergine bella e desiata stava dinanzi ognora, e d’allegrezza gli era cagione e insiem di patimenti. Perché dentro al domestico abituro (da quel d’Eurilla molta via remoto) 170accigliata matrigna il tenea chiuso [p. 194 modifica]

e assiduo all’opre, che son frutti e lode
d’industria pastoral. Ma finalmente
di feconda virtú la primavera
commovendo le piante e gli animali,
175li rifigliò all’amore. E giá svernava
i suoi gaudii la selva; e per le grasse
pasture cambattea seco medesmo
il salace torel, cui la giovenca
l’ampie nari levando rimuggia
180gli agognati connubi; e il pecoraio
nella valle. .............1
..................
che saltando scotevano di dosso
la lunga ignavia dell’iberne stalle.
Anche a Silvio ed Eurilla allor fu dato
185insieme ritrovarsi e favellare
ciò che loro incontrasse. Una mattina,
presso al tempo in cui vede il montanaro
alla pianura dileguar le nebbie,
che assise qua e lá sembrano laghi,
190i due pastor su le recenti erbette
riposavan del prato; oneste cose
novellando e guardandosi a dilungo,
spesso dipinti di letizia, e spesso
della melanconia, che dolcemente
195sospirava nel cuor, timido ancora
a dir la vampa dell’occulto affetto,
quando Silvio distrinse alla fanciulla
adorata la mano, ella con voce
che intera a’ denti non sonò, profferse
200al giovinetto la cara parola
che gli amanti conforta; e il giovinetto
la ripetè commosso. Taciturni

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poi rimasero entrambi, e le pupille,
tremolanti di un languido sorriso,
205tennero immote l’un nell’altro; il sangue
nelle lor vene fluttuando rese
affannoso il respiro, e concitati
i battiti del cuore; ed il vermiglio
delle guancie smori, come una fresca
210rosa all’estivo mezzogiorno. In quello
sfinimento d’amor l’anime, accese
nell’arcana virtú, che di natura
compie il sublime intento, e piú vivace
è ne’ vergini petti; in su la bocca
215raccolte si congiunser, delirando
di mutuo piacer, nel primo bacio.



  1. A questo luogo il manoscritto per le molte cancellature non è leggibile tranne le parole: «mirava», «verga», «pecorelle». [Nota del primo editore .]