Raimondo Montecuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi/Appendice

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APPENDICE DI DOCUMENTI [p. 545 modifica]

I

All’eccellentissimo Marchese G. B. Montecuccoli
(sonetto inedito di Bernardino Ramazzini)
Si loda la grandezza della sua Casa

O d’un sangue famoso inclita vena
Che bei tant’anni l’itale contrade
Coi torrenti di gloria, e a quest’etade
Scorri il straniero suol con sì gran piena ,
O gran casa d’eroi, non hanno appena
Sì remoto canton le tracie strade
Che non tema il fulgor delle tue spade
E non paventi al piè ferrea catena.
   Chi di te più felice, e quale arrivi
A tal segno di gloria il tempo edace
Non fia mai che di te l’Ausonia privi .
   Seme di semidei troppo ferace,
Chi di palme s’adorna e chi d’ulivi,
Chi regna in guerra e chi trionfa in pace

II

Un documento tra quelli raccolti dal dottor Gregori, che sono ora presso il conte Giorgio Ferrari di Modena, dà conto delle caccie alle quali soleva intervenire l’imperatore Ferdi[p. 546 modifica]nando. Subito dopo pasqua aveva luogo quella degli aironi, alla quale teneva dietro l’altra dei cervi, e poscia quella dei cinghiali. In dicembre caccia alle allodole con reti, dalla quali le estraevano poi l’imperatore, l’imperatrice e le dame. Seguiva la caccia alle lepri, e dopo il natale quella alle volpi. Al cominciare della quaresima caccia alle anitre in luoghi paludosi, fatta dagli sparvieri. Alla caccia si usava un linguaggio particolare, chiamando le cose con nome diverso dal vero: chi sbagliava doveva inginocchiarsi sopra un cervo o un cinghiale colla spada nuda, come l’avevano tutti gli astanti, e il cacciatore più vecchio gli dava tre colpi col piatto di un coltello largo, il primo alla salute dell’imperatore, il secondo a quella delle dame, il terzo a quella de’ buoni cacciatori. In una relazione dell’ambasceria dal duca Alfonso IV mandata all’imperatore Leopoldo, gran cacciatore pure esso, della quale il generale conte Luigi Forni dette un sunto nella strenna modenese del 1876, troviamo poi descritta una caccia ai cervi entro il Danubio, ove venivan forzati a gettarsi.

III Alla memoria di Gustavo Adolfo Re de’ Sveci, Vandali e Goti

Folle chi l’età sua dispone, e vita
Fingendosi immortale
Apre a lunghe speranze il core insano;
Farò acquisto di titolo sovrano,
Ergerò parie sale ,
troncherò dal mio suol messe infinita;
Poi nell’età sfiorita
Godrò piacevol ocio; Chi d’ogni cosa
Ai più felici ancor pende dubbiosa. (?)
Nulla dell’avenir l’huom si prometta,
Né un sol fin all’Occaso:
E a noi sfugge per man ciò che teniamo;

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E l’istess’hora, che col piè calchiamo
L’incide il ferreo caso;
Sognate or voi felicità perfetta,
Morte c’è a lato, e aspetta
Solo per far più acerbo il colpo, e pieno,
Che gli Astri di fortuna in auge fieno.
   Non son queste, non son tragiche fole,
Né su l’Attiche carte
Le miserie dell’huom lessi dipinte;
Vid’io di vero mal storie non finte,
Cader lo Svecio Marte,
E in poca polve andar l’Herculea mole;
Né vide, e vedrà il sole
Tomo maggior , s’ei dal Elisio fondo
Per tornar a morir non torna al mondo.
Già con piè trionfante egli correa
Il Germanico suolo,
Qual ne la Grecia il domator Alcide;
Già a lui merce sabea per tutto stride,
Ch’incauto amico stuolo
Stupido a le grand’opre Iddio ‘l dicea;
Ei cui il Ciel promettea
Con fausti auspici universal vittoria
Disse rapito in estasi di gloria:
Or de la gran Germania un picciol punto
Presta a’ trionfi nostri,
Ciò ch’altrove ella miete, a noi sol miete;
Qui noi entrerem nelle Campagne liete
Del Latio, e gli ori e gli ostri
Hanno del Latio ogni valor consunto;
E ‘l giuro, il tempo è giunto,
Che destin renda a Roma i prisci heroi
Noi rendiam Roma a’ prisci honori suoi.
   Poi se ‘l Germano e l’Italo s’atterra
A noi cui dier le stelle
In lega e Dano, e Belga, e Gallo e Inglese,
Quai contr’a tanta forza havran difese
L’Africa, o l’Asia imbelle?
L’Adolfo io son che non fien vinte in guerra
Vinceremo ogni terra,
Ma lento è vinceremo, homai vinciamo,
E lento è questo ancor, già vinto habbiamo.

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Temete o Numi il fato! al gran Monarca
Morte in un soffio ha estinto
La parola, la vita, e i bei disegni;
Fur Pelj, ed Osse i mal sognati regni
Molti di fumo, e vinto
Del Mondo il vincitor chiuse brev’arca;
Non perdona la Parca,
O t’armi il fianco immenso stuol suggetto,
O virtù t’assicuri il forte petto.
   Chi più d’Adolfo per valor s’estolle?
Taccia aura adulatrice
Del Re di Pella e del Romano i gesti;
Vanta la Svevia ad onta ancor di questi,
Che l’invitta cervice
Mai latin giogo di livor segnolle;
Quei contr’a genti molle
Mosse in opime effeminate terre
Guerre, ma solo imagini di guerre.
Misera Svevia il verginal tuo fiore
Rapito ecco pur langue
A Cesare maggiore hor tributaria.
Io ‘l so che nostra cura è sciorti e a l’aria
Sudiam più algente, e ‘l sangue
Corre in rivi a innostrar l’hiberno albore
Ma nel tuo vincitore
Ti gloria, in lui, che schivo d’umil fronda
Sol de le maggior palme il crin circonda.
A chi del gran Tilly noti non sono
Trionfi , e le spoglie?
Pur spoglia ei fu de’ Gotici trionfi;
Fulvio , il secol presente or goda e gonfi,
Ch’ebbe Gustavo; io foglie
Eterne scelgo in Pindo, e ne ‘l corono;
Virtù del cielo è dono:
Bella anco nel nimico, in lui la canto
Elio, né di lor mercè defraudi il vanto. (?)
Destino il suo volere, e la sua destra
Fautrice de’ suoi voti
Non ha a stancar d’irrita prece i Dei;
Stupor! più che conflitti erge trofei,
E ne gli effetti noti
Si cela ignota a noi l’arte maestra;
Sia in piano, o in parte alpestra,

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Pari è l’oprar, che toglie al ver la fede,
Né il pensier crede quel, che l’occhio vede.
Vedreste ov’egli in parte è degli affanni,
Qual lor spuntin nuov’ali
Volar più ratti a ber il sangue i dardi,
Ma per lo vano errar languidi, e tardi
Incontro i nostri strali,
Quasi occulta virtù lor tarpi i vanni;
Tal huom ne’ miglior anni
Non fu né fia; Chiedi suo pari in armi?
Gustavo sol contro Gustavo s’armi.
Ma a l’estreme virtuti iniqua sorte
Raro perdona e ‘l lungo
Scherzar co’ rischi alfin non è sicuro.
Oppresso è il grand’Heroe dal caso duro,
Ben lo rifugge a lungo,
Ne ‘l filo osa troncar trepida Morte,
Sostiene il petto forte
La settima ferita e non si spande
Men che da sette bocche alma sì grande.

IV Giudicio dello storico Ranke intorno al Piccolomini (Traduzione da lettera del dottor Grossmann)

Piccolomini venne un tempo in Germania per far sua fortuna nelle grandi guerre che desolavano allora l’impero romano. Colla sua valorosa condotta nelle battaglie e colla sua abilità nelle trattative s’acquistò in breve l’affetto di Wallenstein, presso il quale, in conseguenza di calcoli sulla natività pei quali avea trovato una somiglianza di posizione delle stelle alla nascita dell’uno e dell’altro, ascese ad una confidenza illimitata. Ma al tempo stesso stava Piccolomini, che in sé rappresentava la buona relazione degli italiani colla casa d’Austria, in stretta unione coll’ambasciatore di Spagna. Dalla potente unione della casa austro-spagnola attendeva egli la sua fortuna, ed ottenne infatti più tardi anche dalla Spagna un principato. Come forestiere e avventuriere non si ascrisse ad un partito speciale alla corte imperiale, e tenne invece intime relazioni con tutte le persone più potenti a qualunque partito appartenessero. Sinché pertanto fu onnipotente Wallenstein appartenne egli alla più prossima società (Umgebung) del medesimo, [p. 550 modifica]sempre però in istrette relazioni colla corte imperiale, mentre da questa veniva egli grado a grado levato in alto. Allorché poi si mise Wallenstein in opposizione coll’imperatore, stimò Piccolomini di far soltanto il debito suo se si separava dal duca. Dallo scritto di obbligazione ch’egli pure aveva firmato in Pilsen reputava di non trovarsi legato, atteso le circostanze d’allora. E sotto il re d’Ungheria una posizione doveva essergli riserbata, maggiore e più indipendente di quella che mai avesse potuto assegnargli Wallenstein. Per convinzione e pel proprio interesse si pose allora Piccolomini interamente a disposizione della corte, anche per la rimozione di Wallenstein.

V Compendio di una scrittura di Raimondo Montecuccoli esistente nell’archivio di stato a Modena intitolata: Pretensioni del conte Raimondo Montecuccoli sopra la proposizione di farlo mastro di campo generale di S. A. S.

1. Riconoscerebbe il Montecuccoli come grazia singolare l’ottenere la carica di mastro di campo generale (detto dagli Svedesi marescial di campo), la quale dal papa è stata conferita al Mattei, che al servizio imperiale non era che colonnello, e sarà dal granduca conferita al Borri se accetti, e dal duca di Parma è stata data a soggetti che appena sono conosciuti. 2. L’aver consumato il fiore della sua gioventù su molte guerre gli fa sperare di ottenere dalla sua clemenza qualche vantaggio su gli altri suoi servitori, che senz’essersi tanto adoperati, son pervenuti alle cariche più cospicue. Quel titolo lo scuserà presso il mondo di avere abbandonato ne’ maggiori bisogni l’esercito imperiale, e risponderà all’espettazione del conte Trautmannsdorf e di altri che hanno supposto avrebbe il comando delle armi ducali. 3. Tal carico leverebbe l’eguaglianza d’autorità fra due capi (intende dei comandanti di fanteria e di cavalleria) che si contrarierebbero l’un l’altro, e torrebbe di mezzo le pretensioni dei mastri generali degli altri eserciti su quello del duca che mancasse di tal carica. 4. E’ necessario uno che abbia ispezione su tutto per levare i difetti che sono nell’artiglieria, nella fanteria ed altre milizie. 5. Il mastro di campo non sottostà ad altri che al generalissimo, ch’egli supplica non sia mai altri che un principe del sangue. 6. Non sottostando che al generalissimo, dà gli ordini al generale d’artiglieria, e a quello di cavalleria, sceglie gli alloggiamenti loro, e così fa per la fanteria. Comanda a tutti e fa le veci del generalissimo. [p. 551 modifica]

7. I sergenti maggiori, gli auditori, i forieri maggiori, i capitani di campagna, e tutti gli altri bargelli almeno una volta il dì debbono andare a ricevere i suoi ordini e fare le relazioni. A lui va parimente l’auditor generale, che se ha negozii di gran conseguenza deve conferire col generalissimo e darne parte al mastro di campo generale. Nessun ufficiale può dar sentenza di morte, salvo il generalissimo e il mastro di campo generale. Non si puniscon però gli alemanni, che hanno nelle lor convenzioni di esser giudicati dal lor consiglio che ha leggi particolari; ma nel resto dipendono dal M.o di C. Gen., che anzi possono a lui ricorrere in appello contro le sentenze del lor consiglio, eccetto il criminale, e i delitti pei quali occorre subito castigo a terrore de’ malfattori, specialmente se il reo è trovato sul fatto. Per le sentenze del M.o di C. Gen. non v’è appello, ma se condanna a morte persona qualificata, o un ufficiale, deve darne conto al generalissimo se è sul luogo, e in casi gravi o dubbi deve farlo anche innanzi la sentenza. E questa della giustizia è tanto cosa del M.o di C. Gen che Friedland (Wallenstein duca di Friedland), Collalto e Galasso capi d’esercito non se ne vollero mai imbarazzare. 8. Per conservare l’autorità così necessaria ai capi, onde tenere in ordine una tal macchina, il generalissimo ordinerà bensì ove s’abbia a guerreggiare, se s’abbia a fare assedii o battaglie etc. ma per ciò che risguarda l’ordinar l’esercito in battaglia, metterlo in marcia, passarlo agli alloggiamenti, disporre assedii etc. ciò spetta al M.o di C. Gen. 9. Che se per rispetti particolari non vuole S. A. che l’attuale generale della fanteria (Bevilacqua) sia soggetto al M.o di C. Gen., può privilegiarlo in tempo di pace nella sua persona e non nella carica, senza pregiudicio del M.o di C. Gen., dandogli autorità sui tedeschi, anche per la lingua, dando a lui pure la parola (d’ordine) e qualche onorificenza nella cappella, in carrozza, e per simili cerimonie. Nella guerra no, altrimenti si abolisca la carica di generale della fanteria, o si dia al patto di soggezione al M.o di C. Gen.

Circa l’onorario del M.o di C. Gen., dice:

1°. A calcolo fatto delle spese occorrenti, e senza pensare a lucro, non è possibile una paga minore di 4000 scudi annui, la casa e gli utensili per due anni, a capo de’ quali si può averne acquistati a poco a poco del proprio. 2°. Il Borri ebbe 5000 piastre cinque anni sono dal Granduca. Camillo Gonzaga ha promessa di 5000 scudi veneti, oltre i vantaggi di una compagnia ed altri emolumenti. Se S. A. considera la cosa vedrà che 4000 scudi son pochi, e che i colonnelli tedeschi al suo servizio han molto di più. 3°. Questi 4000 scudi saran pagati o dalla cassa di guerra, o assegnati sopra altri uffici che però li dian liquidi e non disputabili o scontati per qualche emolumento chiaro d’una compagnia di guardia. Emolumento chiaro è quello che si ritrae rettamente, senza pre[p. 552 modifica]giudizio del principe e suo servizio, non quelli che si dan per mercanzia, e per vie indirette che macchiano la coscienza, e rovinano i principi, com’è ora pur troppo il caso della cavalleria. Raimondo Montecuccoli

VI Sunto di proposte di Raimondo Montecuccoli sul modo di trattar la guerra de’ collegati contro i pontificii.

Memoria prima segnata H

1. Applicare all’impresa di Comacchio colla gente condotta da Trieste (A tergo si legge: Si faccia riconoscere il luogo, e facciasi l’apparecchio descritto alla lettera K (vedasi più oltre) per la presa di Forturbano). 2. Si confermi l’amicizia con Parma, Lucca, Mantova (che non facean parte della lega) e per l’ultima si aggiunga l’estrazione de’ foraggi. 3. Dentro lo stato bisogna togliere la radice d’ogni moto civile (A tergo si legge: Si mandino fuori tutte le persone sospette). 4. Si sollecitino gli spagnoli ad attaccare lo stato ecclesiastico dalla parte di Napoli per l’ingiuria ricevuta dal papa che deluse l’imperatore cui aveva promesso depositargli Castro e non l’attenne, e aiutò i francesi, acciò sian essi soli i mediatori; e per le ragioni dello stato di Siena. 5. Si fortifichino le piazze di confine, cioè Finale, Nonantola, Navicello, Modena, Spilamberto, Vignola, Sassuolo, e si muniscano di uomini, di viveri e di munizioni . 6. Si tiri in lega il Duca di Parma, o s’abbandonino i suoi interessi. 7. Richelieu mandi ambasciatori in Turchia per muovere il turco ad assalir l’Ungheria contro Cesare . Che saria se si sollecitasse il turco ad assalire la spiaggia di Roma per tener divertite le forze dei Barberini? La cosa non mancherebbe d’esempio. [p. 553 modifica]

8. Si faccia apparecchio d’uomini, di denari, stromenti, viveri, munizioni. 9. Il duca metta in campo 6000 fanti, 1000 cavalli, 1000 dragoni, 17 pezzi d’artiglieria. Ma che i veneziani debbano contribuire mensilmente 30.000 ducatoni d’argento anticipati, e 50.000 per far leve. 10. Si deve determinare la quantità dell’esercito, le spese per mantenerlo, il fine cui è diretta la guerra, il modo di condurla, la distribuzione de’ paesi acquistati. 11. Dove colla prudenza umana non può arrivarsi a prevedere il futuro, si può mediocremente aitarsi colle scienze divinatrici. E Friedland (Wallenstein) si serviva grandemente dell’astrologia. 12. Venezia deve dare l’autorità libera al duca di Modena, perchè non si può a tempo dar consiglio degli accidenti che arrivano ogni momento, e la distanza dei luoghi fa che i consigli s’apportano dopo le cose.

Memoria segnata E

1. Le fortezze non debbono aver tanta guarnigione che impediscano tener la campagna; l’esercito campeggiando e trincerandosi è una fortezza mobile che si trasporta ove il bisogno richiede. Le guarnigioni siano:

Finale ........... fanti 500 cavalli 50
Nonantola .... fanti 400 cavalli 25
Navicello ..... fanti 400 cavalli 30
Modena ....... fanti 3000 cavalli 40
Spilamberto . fanti 500 cavalli 40
Vignola ........ fanti 400 cavalli 50
Sassuolo ....... fanti 80 cavalli 2
Totale fanti 5280 cavalli 295

Queste sieno delle truppe del paese, ossia della milizia riformata, e quando si prevegga che il nemico voglia attaccare qualcuna delle piazze di frontiera si rinforzi il presidio levandone da Modena, oltreché i luoghi debbono esser difesi anche dagli abitanti medesimi, che tutti devono aver armi in casa ben in ordine, debbon combattere sin le donne e i fanciulli; distribuendo gli uffizi, gli uni faccian bollir l’acqua, altri somministrin cenere, calce, macine da mulino, limature di ferro infocato, aglio, pece, zolfo, bitume, etc., perché in tal caso ognuno combatte pro aris et focis, per le donne, per le robe, per la vita, etc.
2. I luoghi in mezzo allo stato sian guardati dagli abitanti, si manderebbe all’occorrenza rinforzo; ma il nemico non si avventurerà entro lo stato.
[p. 554 modifica]3. Le porte per maggior difesa si fabbricheranno in mezzo alle cortine (e qui l’autore insegna a farle) difese da un cannone e da trabocchetti. Parla poi delle porte segrete.
4. Dice dei viveri, del rinnovarsi annualmente le provvigioni, de’ magazzeni etc.
5. Si faccia provvista di 1000 tiri di cannone al mese per ciascun cannone, di 30 al dì per moschetto, provveggasi polvere per granate, mine, fuochi artificiali etc. Sia la polvere spartita per sicurezza in più locali.
6. Negli arsenali debbon esser cannoni d’ogni sorta, cogli stromenti, le altre armi, bastoni da batter frano, cannoncini bucati per nascondervi le mine etc.

Sunto di altra Memoria del Montecuccoli segnata H

Nota delle armi occorrenti:
La maggior parte dei denari debbon darla i veneti:
Gli ufficiali saranno: generalissimo – mastro di campo generale – generale del cannone – tenente generale di cavalleria – sergente generale di battaglia della cavalleria – simile della fanteria – generale quartiermastro – generale auditore – generali aiutanti – generale ingegnere – generale commissario de’ viveri – generale mastro de’ carri (diremmo del treno) – generale profosso – artificieri, tra i quali marescalchi, falegnami, medici, chirughi, cappellani, mercanti etc. Si esiga giuramento dai soldati e si facciano esercitare.
La leva si farà nello stato di Milano, in Amburgo, Austria, Polonia, e stati Estensi, computando quelle già in piede.
Armi per la fanteria spada, un terzo di picche e una fila sarà di rondaccie: un terzo di moschetti moderni tutti eguali che si faran venire da Amburgo. I dragoni avran pur essi moschetti. La cavalleria sarà di 800 corazzieri e 200 carabini – le corazze senza braciali e cosciali. I battaglioni di fanti non sian più grossi di cinque o seicento uomini, con 6 uomini di fondo, il resto si spieghi nella fronte etc. Nella cavalleria il fondo sia di 4 uomini, il resto in fronte, se vi è spazio – Siano gli squadroni di 200 cavalli al più.

Dice aver parlato diffusamente nel discorso sul modo di riformar la milizia.
Parla infine dei viveri.

Sunto di una Memoria del Montecuccoli segnata K

1. Chi attacca il nemico nelle sue terre dev’esser il più forte, se no sarebbe impresa temeraria. I Barberini hanno ora 12 in 15 mila uomini in Lombardia (intendasi sul bolognese) e 7 o 8000 in Toscana [p. 555 modifica](cioè su quei confini). Nel venturo anno ne avran molti di più, facendo ora leve in Svizzera e in Francia di soldati e capitani. Per ora dunque la qualità dei soldati della lega compensa la qualità dei nemici. Nell’anno venturo la cosa sarà diversa, e ci potrebbe anche esser tolto di far la guerra offensiva. Bisogna dunque si abbiano 20.000 uomini in Lombardia, e 10.000 in Toscana: a questo provvederà il granduca. Per Lombardia dando il duca 6000 fanti e 2000 cavalli, Venezia dovrà dare 12.000 uomini. Se il duca di Parma ne darà, s’aggiungano a quelli di Modena, ma non vi si conti sopra.
2. I capitoli della lega determinano le spese. Solo si aggiunga che Venezia paghi mensilmente al duca di Modena 30.000 ducati.
3. Fine della guerra la restituzione di Castro, l’abbassamento dell’insolenza de’ nipoti de’ papi e la reintegrazione di ciascuno nelle sue giuste pretensioni , acciò sia tagliata la radice ad ogni moto civile in Italia, e quietati gli animi di tutti si possa stabilire un’honesta, sicura e perpetua pace tra i Principi italiani, per collegarsi tutti sinceramente a comune difesa contro la tirannia de’ stranieri che la minacciano e la tengono occupata .
4. Il modo più spedito di terminar la guerra è di guadagnar paesi e dar giornata. La rotta d’un’armata può dare un reame in un giorno. Ciò per altro non può qui aver luogo per le molte fortezze che non lascian spiegar eserciti in campagna: perciò bisogna guadagnar piazze, e con esse il terreno piede a piede.
Le piazze da occupare sarebbero Ferrara, Comacchio, Forturbano. Presi questi, gli altri luoghi del papa non ponno tenersi.
I veneziani possono attaccare con 20.000 uomini i forti di Lagoscuro, il duca di Modena con 10.000 Forturbano. Presi questi, si occupa Cento, poi Argenta, e così Ferrara riman bloccata, e Bologna è travagliata da Forturbano, come è ora il modenese. E’ necessario prendere Forturbano senza del qual il duca di Modena ha il suo esercito sempre impegnato a difesa dello stato: se i veneti non ponno fare contemporaneamente l’impresa di Lagoscuro, tengano occupate le truppe pontificie, e si farà dopo in comune.
Dovendo questi progetti rimaner segretissimi si pensi qualche modo per comunicarli ai veneti. L’impresa di Forturbano si deve fare ai primi di marzo, prima che il nemico sia all’ordine: i soldati debbon esser veterani o di leva, perché la gente nuova rimane subito consumata dalle malattie e dagli stenti: siano pagati puntualmente, e così i lavoratori. Occorrono ventidue pezzi tra cannoni piccoli, sagri e trabucchi.
Si prendano informazioni sul presidio del forte – si esamini la sua pianta – Si mandino dentro spie fidate, che una non sappia dell’altra, ed escano primo di marzo, e riferiscano etc. [p. 556 modifica]

In una Nota, che è fra le carte del Gregori, è detto che il progetto presentato dal Montecuccoli al duca Francesco I d’Este, per la guerra contro i pontifici, fu dal signor Luigi Cagnoli mandato manoscritto al Foscolo, il quale nella sua edizione delle opere del Montecuccoli, nella tavola XXI dell’arte bellica, inserì ciò che diceva esso Raimondo della disciplina militare (tomo II, pag. 272). Questo discorso sulla disciplina non fa parte però dei documenti che ora produciamo in luce. Il Grassi, altro editore delle opere di Montecuccoli, non riprodusse quel trattato, reputandolo composto di appunti che Raimondo prendeva per valersene nelle sue opere, e noi aggiungiamo, per la guerra di Castro.

VII

La Sacra Maestà dell’Imperatore Re d’Ungheria e di Boemia, Arciduca d’Austria fa sapere al signor conte de Montecuccoli libero Barone di Ripa e Sasdron (Riva e Sassorosso) Patrone della Signoria di Hoheneck consigliere di Stato nella tutela dei principi eredi del serenissimo arciduca Leopoldo sui posteri nel Tirolo come la M. S. avendo clementissimamente avuto ora in considerazione gli molto grati, egregi ed utili serviggi che detto S.o conte tanto avanti in tempo della presenza sua alla Corte Cesarea quanto dopo nella carica di Maggiordomo appresso la sopradetta tutela e Ser. Arciduchessa Claudia vedova per molti anni in diverse pregiate funzioni all’Augustissima Casa d’Austria, di gratissimo contento, con continua, obbediente, fedele diligenza e zelo operati: essere verso di lui con tutte le grazie Cesaree benignissimamente disposta. E perché detto S. conte non ha pensiero di continuare il sopradetto uffizio di Maggiordomo appresso S. A. da lui insino a questo tempo amministrato la M. Sua colla presente gli concede in grazia la relassazione conservando nondimeno verso di Lui la solita clementissima affezione. Vuole però la M. Sua gratificare il signor conte in riguardo della fedele esibita servitù in confirmargli il titolo di Consigliere di Stato nell’Arciducale sopradetta tutela aggiungendo anche una pensione annuale, principiante sotto questo giorno di fiorini mille de’ quali se ne possa il signor conte prevalere durante la sua vita, e ciò in qualche ricompensa de’ suoi fedeli servigi, sì come per il pronto e certo pagamento, e tale pen[p. 557 modifica]sione ha S. M. sotto il giorno d’oggi alla Camera Cesarea decretato il bisogno, e di qui ha la M. S. commandato di far il tutto sapere al signor conte Montecuccoli per suo governo, restandoli con clemenza Cesarea ben disposta.
Segnato in Vienna col sigillo secreto Imperiale alli 12 maggio 1640.
Ad mandatum Sacræ Cesaree Mtis proprium.
Tobia Gartinger

VIII
Vera relazione del successo di Crevalcore (sunto)

Risolutosi il duca di Modena di levarsi dal basso modenese per liberare il paese dall’invasione nemica, passò l’acque al Finale per marciar sul paese nemico, e con disegno d’occupar Crevalcore, se si fosse presentata l’opportunità di farlo. Il bagaglio andava dalla parte opposta del Panaro, e i soldati portavan viveri per tre giorni. I veneti dell’avanguardia avanzaronsi tanto oltre lo stabilito che poterono riconoscere il luogo di Crevalcore, e avvisare l’armata dell’occorrente. Il duca aveva fuori molta gente quando gli giunse quell’avviso, per cui non poté dare che mezza compagnia, circa 30 uomini delle corazze del capitano Pegolotti e la compagnia di dragoni del Montano, 50 uomini circa, e il tenente colonnello Vologni con 200 moschettieri. Essendo il resto dato dai veneti, il provveditor Corrado pretese a ragione di chiedere il comando per Valletta (La Valette). I modenesi furon pronti, i veneti tardarono a venire, e intanto da Cento venner soccorsi alla piazza. Lo scrittore dice poi che furono criticate le disposizioni di La Valette, che non aveva bastante cognizione de’ luoghi, e che le truppe degli alleati fuggivano a vedere il nemico, e quantunque ricondotte dal duca, dal Gonzaga, dal Montecuccoli, tornavano a fuggire. La Valette, chiedendo rinforzi, gli si mandarono due reggimenti: ma essi pure fuggivano. Giunse La Valette poco dopo che fu finito d’ordinar in battaglia l’esercito, la cui vanguardia veneta stette sei ore sul campo prima si potesse schierare, o per timore, o per ingombro di carri che, contro l’ordine del duca, colà si trovavano: perciò non si poté fare che il Montecuccoli e il Gonzaga andassero a riconoscere la piazza. Mal si poteva tentar impresa con gente ch’era fuggita solo per aver visto il nemico, ed è canone militare che il capitano non dia battaglia se non è sicuro de’ suoi soldati, o se diffidi della vittoria. Ma La Valetta voleva, incitato dalla [p. 558 modifica]passione, distinguersi, né ricordava che Pappenheim fe’ perdere la prima battaglia di Lipsia volendo attaccar fuor di tempo il nemico, e impegnando l’armata a soccorrerlo. Ai veneti mancò anche il pane, senza che vi si potesse provvedere, non avendo essi obbedito all’ordine del duca di portare ogni soldato tre giorni di viveri. Si propose allora di andare a Camposanto. La Valette aveva assicurato che con 200 fanti sarebbesi impadronito di Crevalcore, e offeriva gli si gettasse la testa ai piedi se non lo faceva, e non lo fece con 3000, mandando anche a dire che era perduto se non lo soccorrevano.

IX

Sacra Cesarea e Regia Maestà.
Do umilissima parte a V. S. M. che la Serenissima Regina fece jeri l’entrata qui in Ferrara con ogni sollennità imaginabile, e la scontrarono avanti jeri su i Confini dello Stato ecclesiastico li 4 monzi (nunzii?) straordinarii di S. Santità presentandogli il Breve, la cui copia viene qui annessa, onde la Regina è stata ricevuta e viene trattata e servita continuamente con tanta magnificenza, e con tanta ispressione della bontà e dell’affetto particolare che la Santità Sua ha per Sua Maestà, che non ci è termine alcuno, che possa suffiziamente esprimerlo. S. M. desidera che io vada innanzi per le poste alli piedi di S. Santità per recargli gli autentici attestati della publica professione della Santa fede, che ella ha fatta, onde partirò oggi ancora a quella volta. Supplico intanto umilissimamente V. S. M. a continuarmi le sue Clementissime grazie, mentre che alli suoi piedi Cesarei riverentissimo m’inchino. Di V. S. M. Umilissimo divotissimo servo Raimondo Montecuccoli [p. 559 modifica]

X Nelle felicissime nozze di S. Eccelenza il Signor Conte Generale Montecuccoli con la Illustrissima Signora, la S.ra Contessa Margherita Dietrichstein, ec. (Sonetti di Bernardino Bianchi )

E’ un mar la Corte che ben cento, e cento,
Che lottar col Naufragio ha in calma absorti;
Ha mille sì, ma non sicuri i Porti,
Né ciò ch’empie ogni vela, altro è che vento.
Cadono in fondo al tumido Elemento
Que’ flutti, che oltre al Ciel parean già sorti:
Quinci a pena caduti, al Ciel risorti
Son depressi, e sublimi in un momento.
Dal suo Plettro Arion qui nulla spera:
Bevon gli Ulissi qui l’onde più amare:
Più d’un Icaro qui forza è che pera.
O’ Virtù di Raimondo, al Mondo rare;
Che mentre altri perisce, altri dispera,
San pescar Margherite in questo mare.

Lodasi il valore di S. E. e nelle Armi e nelle Lettere

Chi pria mi desta? E in più stupori absorti,
Chi prima sia, che i miei pensier ravvivi?
O il Plettro, che dié vita a mille morti,
O il Brando, che dié morte a mille vivi?
Raimondo, o che tu pugni, o che tu scrivi,
Oracol sei de’ saggi, Idea de’ Forti;
E veggo Armi Latine, e Studi Argivi,
Che con altri perir, teco risorti;
Poco è di Lauri; anzi di Stelle un Serto,
Meno al tuo Nome, o sculti Bronzi, o Marmi;
Nulla lo stil d’ogni Cantor più esperto.
Scrivi tu dunque i tuoi Sudori, e l’Armi,
Che miglior Tromba non può haver tuo merto,
Ch’Eroe maggior non ponno aver tuoi Carmi.

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XI

Sonetto acrostico di Raimondo Montecuccoli a Leopoldo Guglielmo Arciduca d’Austria

Armar di forza e di virtute il petto
L’ingegno aver divin, forte la mano,
Giovar a tutti, a tutti esser umano
Restò solo a te sol dal cielo eletto.

Al sol mirare il tuo regale aspetto
Ne mostri ben d’esser eroe sovrano:
Le Muse e Marte accordi in modo strano,
E poeta ed eroe tu sei perfetto.

Omai lascia il cantar d’altrui il vanto,
Prendi la lira, e, giacché a te sol lice
Ora nelle tue glorie impiega il canto.

La sorte, chi di te fe’ più felice,
Duce da Marte e Palla amato tanto?
Onde del secol sei cigno e fenice.

XII Brano di relazione del nunzio veneto Nani

Le Conte de Montecuccoli, qui a le Commandement de l’armée contre la Suède, bien qu’il ne soit pas encore du Conseil Secret, est pourtant considérable par la qualité qu’il a de Gentilhome, et Cavallier dans la quelle sont bien conjointement unies le connoissance des belles lettres ou à vraj dire, les sciences, la civilité, et la valeur, mais il se trouve assurément dans un ciment, c’est à dire dans un Poste extrèmement hazardeux; car ayant affaire avec un Prince qui dépendant de soy tant seulemente avec des trouppes fortes et bien aguerries, très bien disciplinées, et politique au suprème, et eminent degré, et non obstant cela soldat, comme l’épée qu’il porte; et pour cela le jugemente que le monde fera de sa conduite: il faut considérer pourtant qu’il dépend encore de la fortune et des accidents qu’elle suggère. [p. 561 modifica]

XIII

La notte del 31 luglio, l’inimico con frequenti cannonate molestò il campo cristiano. Spedito il Maresciallo di campo Baron Spork, con un grosso di cavalleria, al rumore, egli trovò che erano Tartari foraggeri, e gli disfece con levargli camelli, muli e schiavi. La mattina 1° agosto, alle 9 ore d’Allemagna, l’inimico con tutte le sue forze disaccampato, si pose più abbasso, dove il fiume non era più largo di dieci passi; e ricevendo gran giovamento da un angolo incurvato, fece passare il miglior nervo della sua cavalleria e fanteria, quale si squadronò dalla nostra parte in battaglia, sbattuta la nostra guardia. Questo posto era come il mezzo dell’armata Allemanna, e custodivano l’armi dell’imperio: dovendo l’armata Cesarea offendere la destra; i collegati e i Francesi la sinistra; e il luogo di mezzo l’armata dell’Imperio. Essendo dunque attaccato il posto di mezzo, accorsero i reggimenti del Smit, e l’infanteria del Nassau e Kilmansem, ma le genti di leva, tosto presero la fuga. Ferito il Smit, e morto Nassau anche i reggimenti fuggirono, in parte tagliati a pezzi. Ciò veduto dai comandanti, si fece avanzare gente fresca e veterana; i collonnelli Cran, Spaar e Jassis, e la cavalleria di Lorena e Snaidau; che bravamente respinsero l’inimico sino all’acqua; dato tempo al reggimento Smit e soldati d’imperio, di raccogliersi ed azzuffarsi. Ma spinti di qua dal fiume più numerosi rinforzi dal Visir cominciarono i nostri a cedere alquanto, e i Turchi ad alzar terreno e trincierarsi, per sostenersi fino al passaggio della restante armata; onde risolvé il generale Montecuccoli d’attacar il nemico con tutto lo sforzo. E datone il segno, pose alla destra i reggimenti Spich, Pio e Iassis, la fanteria francese e quella di Svevia; alla sinistra poi la cavalleria di Lorena, Snaidau, Rubbac e la cavalleria francese e de’ collegati; sì che fu cinto il nemico in forma di mezza luna, con tanto coraggio, che non solo cedé il posto con sua gran strage, ma fu respinto di là dal fiume, ma in modo che s’annegaron tutti. E abbandonatisi i Turchi di là dal fiume, i Cristiani passarono a nuoto ad inchiodargli il cannone, e parte a profondarne nell’acqua. Fu aspro il combattimento, durato dalle tre ore innanzi mezzo giorno, sino alle quattro dopo il mezzo giorno. Sono morti degli Allemanni più di mille in buona parte uffiziali; de’ nemici circa cinque mila, i migliori Albanesi, Giannizzeri e Spahi, co’ loro capi. Si sono acquistate molte insegne, molti cavalli, molta preda. I generali stessi Allemanni hanno condotta la gente alla zuffa non avendo mancato né di valore né di sapere né di prontezza. I generali Francesi, Monsignor di Coligni e Monsignor La Fulicada si sono portati egregiamente. Il secondo, dopo condotta la sua cavalleria all’attacco, parendogli che l’infanteria francese non incalzasse il nemico, balzò da [p. 562 modifica]cavallo, ponendosi alla testa, e spingendola animosamente a dentro. Infatti, i Francesi han contribuito molto a questa vittoria: né so come gli Allemanni potranno più dubitare della loro sincerità. Hanno raccolto in loro specialità cinquanta bandiere, e vogliono trasmetterle al Re in testimonio del loro valore.

XIV Riflessioni sulla savia e valorosa condotta del conte Montecuccoli nella Campagna dell’anno 1673, scritte da... Kanon, ministro del duca di Lorena, e già presidente a Nancy

Avendo cominciato questa campagna sul fine della stagione, mal potea credersi che l’armata imperiale partendo d’Egra frontiera della Boemia a’ 26 d’agosto havesse potuto mettere di là dal Reno in meno di due mesi l’armata di Francia comandata dal marescial di Turena, che era nel mezzo della Franconia, parea altresì da non credersi che la medesima passasse questo fiume, e per una meravigliosa declinatione lasciando a parte questa grand’armata nemica senza poter operare contro di essa, si fosse scaricata nell’Impero sul principal confederato della Francia, presa la sua capitale, occupato tutto il suo paese e messa in tal sconcerto la Francia che da sé abbandonasse il gran posto d’Utrecht che rinserrava così dipresso l’Olanda e quantità d’altre piazze riacquistate dalli Stati Generali colla medesima facilità con cui l’havevan perdute. Questo è ciò che ben si può dire che poche persone havrebbero potuto figurarsi, e ciò che nulladimeno è stato effettuato dalla felicità che accompagna le armi dell’Imperatore sotto la condotta del conte Montecuccoli suo luogotenente generale.
Havendo Sua Maestà Imperiale veduto la maggior parte delle sue truppe unite, et in mostra nel bel Stato che si sa presso d’Egra, ne partì per andare a compire il suo maritaggio così necessario alla Sua Augustissima Casa, rimettendo intanto tutta la cura et il comando assoluto della sua armata al conte Montecuccoli, sì per la stima che Sua Maestà fa del suo merito e la confidenza che ella ha nella sua persona come per il diritto della sua carica.
La mise tosto il generale in marcia per andar contro l’inimico che era in Franconia, dividendola per diverso cammino donando più d’agio alle truppe e tempo d’arrivare agli altri, che dovean ancor giungere.
Passata Norimberga di qualche giorno si trovò l’armata insieme al rendez-vous, la fece marciare in buon ordine sull’avviso che egli hebbe che quella de’ nemici s’era avanzata e ne fu ben tosto a lei dipresso vicinandosi al Meno.
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Avvedutosi che monsù di Turena havea disegno d’occupar la città d’Oxenfurt lo guadagnò della mano e se gli fece vedere a fronte.
Ecco un tiro della sua habilità, ma egli conviene osservar qui la sua prudenza non permettendo il sito di raggiungere l’inimico egli ne tira tutta volta quanto avvantaggio si può, primieramente fa comparir tale per la sua bella dispositione l’armata che il marescial di Turena scrisse al Re di Francia, et a suoi ambasciatori a Colonia, che egli havea veduto l’armata dell’Imperatore in battaglia in buon ordine e buon numero e che questa fiata si saprebbe a chi parlare. Infatti da quel punto ella è stata formidabile a’ nemici che si ritirarono et anzi mai più si videro. L’altro avvantaggio fu d’haver dato cuore a’ suoi, dandoli a divedere che li francesi non erano invincibili per mezzo d’una scaramuccia che loro permise, nella quale uccisero e fecero prigionieri parecchi ufficiali e soldati. Egli spiccò altresì ottocento cavalli sotto la condotta del colonnello Denebott con cui passandosi il Reno e guadagnando le spalle al nemico levò loro una parte de’ carri di munitione (comunemente appellati cassoni) fece andare a fondo molte barche cariche di grano, che erano avanti la città di Verten e rovesciò il resto de’ lor magazzini che erano dentro la città.
Il terzo fu d’avere successivamente obbligato il marescial di Turena di ritirarsi da lui e coprirsi col fiume Tauber.
In questo tempo e prima ancora havea egli applicato ad assicurare Virtzburg sopra cui il nemico havea disegno, e procacciava Turena per lo meno di ridurre questo Vescovo alla neutralità; cosa perniciosa alla Francia et all’Impero; poiché questo era il mezzo di trattenercelo. Il conte Montecuccoli dispose questo Principe al contrario, et a ricevere gente dell’Imperatore nella sua piazza; et indi marciò alla sua volta con tutta l’armata, per assicurarlo ancor di vantaggio. Vero è che trovò in lui molta facilità e ragionevolezza per i segni d’affetione, e rispetto che testimoniò d’havere per Sua Maestà.
Quest’era tutto ciò che potea farsi; essendo il nemico dopo un fiume non potea andarsi contr’esso, che a grandissimo disavantaggio; e fuor d’un colpo sicuro non volea già la prudenza, che tanto si avventurasse, havendosi a fronte un’armata di cui vittoriosa potea essere la preda l’Imperio; et un Prencipe (di Baviera) a fianco, le di cui intentioni erano allora, e sono anche di presente incerte.
La grand’opra, che era da farsi dopo ciò, era di liberare intieramente dalle due armate il circolo della Franconia, che si era dichiarato sì honoratamente per l’Imperatore, e mettere di là dal Reno i Francesi; et indi per supererogatione di gran disegno girsene a sostenere l’Elettore di Treveri come Prencipe fedele a Sua Maestà et all’Impero, e far sentire all’Elettor di Colonia suo vicino la disgratia in cui s’era gettato, separandosi dell’uno, e dell’altro, e collegandosi con una potenza straniera, e dar esempio a taluno che è nel medesimo partito, et a chi ci vorrebbe entrare, che la più bella sussistenza d’un membro, è di rimanere congiunto al suo capo et al suo corpo. [p. 564 modifica]

Per arrivare a questo fine si prefisse tre cose, la prima di passar il Meno, la seconda di traversare la gran foresta detta Spesshart; e la terza di guadagnare il fiume Künz, che è oltre la selva. Tosto che giunsero li Lorenesi, quali venivano di Svevia al campo presso Tzillingen, marciò il giorno seguente verso il fiume Lora; dove fatto fare un doppio ponte passò in diligenza essendosi assicurata l’armata dell’altra riva del Meno. Veduto che a questa mossa il nemico non ne facea veruna, e che il Vescovo di Wirtzburg havea qualche apprensione che non venissero ad attaccare questa piazza, essendosene allontanata l’armata, il conte Montecuccoli fece finta di tornar addietro. Se ne prese in Consiglio la resolutione, e ne fu sparsa e bello studio la voce per l’armata. Anzi levato il campo da Flamersein, e posta in marcia l’armata la fece ritornare dopo una mezz’hora nel medesimo posto. Quest’era per dar campo alle spie, et altri di cui ve ne ha ben di sovente troppo nell’armata, a parteggiani che erano su la sua traccia, di spargere, ch’egli marciava; e frattanto egli spiccò lo Schneidaun col suo reggimento di cavalleria; et le compagnie di Strein d’infanteria per andare a Virtzburg; non tanto per levar d’apprensione il Vescovo, che per togliere al nemico il pensiere di trattenersi in que’ dintorni, per attaccar quella piazza, vedendola troppo ben munita; et da altra parte egli spiccò altresì il conte Baudemont generale de’ Lorenesi con mille cavalli per rendersi padrone de la Kunz, rompere tutt’i ponti per dove potea venir da Aschaffemburg, e mantenere il posto, e passaggio di Gelhausen, che egli havea già fatto occupare da’ dragoni.
Questo era il colpo maestro per assicurare la marcia dell’armata fino al Reno, e senza questo ella era troppo zarosa, anzi presso che impossibile; quando non si fosse gito a pigliarla ben da lunge, con grave incomodo per Vezlar, et il paese d’Hassia; posciaché se il nemico che era padrone d’Aschaffemburg veniva il primo a pigliar posto su questo fiume, non si potea venirci che alla sfilata, et esponendo sempre loro il fianco, ma con questa giudiciosa precautione e diligenza giunse sicuro a questo fiume traversando la gran selva detta Spesshart alla meglio che poteasi; facendo marciar l’armata per tre o quattro strade. Finalmente fatto questo passaggio, e quello del fiume Kün altresì rinfrescossi l’armata ne’ contorni della città d’Hannau; e tratanto fecesi finta di far un ponte sul Meno presso di Francfort.
Allora monsù di Turena apprendendo che questo non fosse per guadagnargli le spalle, e troncargli la ritirata a Filipsburg, abbandonò il fiume Tauber, et la Franconia e prese la sua marcia verso Heindelberg; inviando a riconoscere il ponte che parea perfetionarsi; in guisa che egli punto non dubitava del passaggio e teneasi tutto all’erta. Il conte Montecuccoli vedendolo in postura di pigliare la carriera, ben s’appose che gli haverebbe fatto fare l’ultimo passo che egli bramava, che era quello di metterlo di là dal Reno. A questo effetto egli fa scendere alla seconda del Meno il suo ponte [p. 565 modifica]fin sotto a Magonza ove egli marcia prendendo il suo quartiere a Vicebaden, e rinfrescando ivi l’armata, fa travagliare a gran fretta (così n’era l’apparenza) un ponte sul Meno, fa condurre dell’artiglieria in un’isola che si dava mano col ponte, per sostenerne la fronte; fa passare non solo dell’infanteria all’altra riva, ma anche seicento cavalli tutti sotto il comando del conte Rabata. Ciò a parecchi parea ben strano posciaché credeasi questa cavalleria esposta al nemico e senza ritirata quand’ella fosse stata investita, fecesi però rinforzare d’altri seicento cavalli tutti sotto il comando del conte Rabata nov’esca data a bello studio al publico sbaglio.
In cotal guisa l’inimico che havea ben tosto queste nuove dall’abbate Gravella residente di Francia presso l’Elettore di Magonza, nulla dubitando del passaggio dell’armata da quella parte, particolarmente a cagione della cavalleria già oltre il fiume, pressava altresì il proprio passaggio tra Filipsburg e Spira, figurandosi o di venir anche in tempo per opporsi al passaggio dell’armata Imperiale, o di prevenirlo per accorrere a Treveri, in caso che l’havesse ad intraprenderne l’assedio; o di pigliar posto vicino a Spira, et impedire la marcia dell’armata a traverso del Palatinato, et del Vescovato di Spira per guadagnare l’Alsatia, come l’apparenza rendea probabile qualcheduno di questi disegni.
Ma il luogo tenente generale che havea tutt’altro in capo, vedendo i francesi ov’egli haveva preteso di condurli e di là dal Reno, imbarca l’infanteria sulle barche di cui componea il ponte, e fa scenderla in diligenza, et tutt’agio alla corrente del fiume, con parte dell’artiglieria; mentr’egli marcia coll’altra, e la cavalleria per il Veteraun, e va a passare il Reno, et la Mosella insieme a Coblentz.
Questa infanteria si trovò presso Andernache et in forze. Fa occupare Andernache dal principe Pio, e Grana che haveano la vanguardia et arriva a Bona col principe d’Oranges al tempo concertato; et il conte Rabata vi giunse altresì dalla medesima parte co’ suoi mille e duecento cavalli, mette l’assedio a questa piazza senza aver huopo di formar linea di circonvallatione, poiché l’armata del Turena era ben lungi e dovea passare la Mosella guardata ancora dalle truppe lorenesi, et il corpo, che il duca di Lussemburg formava tra Nuys, et Rimberg non serviva che a liberare le piazze del paese d’Utrecht, e non era bastevole per venire a portar soccorso a Bona. Ci entrarono solamente un mattino sessanta, o ottanta cavalli a ventura, nel tempo che si mutavano le guardie, presi per gente dell’armata.
Questa conquista della Residenza, et della città capitale dell’Elettore di Colonia, seguita dall’occupatione di tutto il suo paese, senza che i francesi siano comparsi a soccorrerlo; egli fuggitivo e ritirato in un chiostro di Colonia, per mercé de’ Borghesi di cui scorrea appena l’anno che pretendea d’esserne assoluto Signore, ben chiariscono, che ogni straniera protettione è interessata; poiché i francesi non han nemmeno voluto esporre un sol reggimento in suo aiuto, e che la potenza di Sua Maestà è grande quand’egli vuole adoprarla, per ridurre [p. 566 modifica]un membro in mal punto traviato dal suo capo, lasciandogli in questo caso il corpo ogni balia, per rintuzzare questa parte ribelle, come è seguito; poiché neppur uno Stato o Prencipe dell’Impero se ne è alterato, ma per lo contrario tutti hanno applaudito ad un’opra d’autorità, e di giustitia di Sua Maestà; sperando di vederne ben tosto altrettanto agli altri aderenti della Francia. Ma non permettendo la stagione di andare in Westfalia e trovandosi per accidente ben più fastidioso così incomodato di salute il conte Montecuccoli, che non potea operare con tutta quell’estensione che richiedea la condotta d’una sì vasta armata, accresciuta per l’unione del Prencipe d’Oranges di quella di Spagna, e d’Olanda, convenne per necessità contentarsi e dividersi sino ad un’altra fiata; essendo ritornato il Prencipe nelle terre di Sua Maestà Cattolica, et de’ Stati Generali sostenuto dalla cavalleria dell’Imperatore comandata dallo Spork e dal Prencipe di Lorena, che ne sono li generali.
Dopo di che l’armata fu ripartita colle truppe di S. A. il Duca di Lorena nel paese di Colonia, et altri vicini d’ambe le sponde del Reno.
Trattanto la grandezza di quest’atione ha portato a’ francesi (non si dice già il timore) ma tanto pensiere, che quaranta, o cinquanta leghe di là, essi hanno abbandonato Vitrecht, Vordensteinuich, Amersfort, Campen, e parecchie altre piazze, che son ritornate al dominio de’ Stati Generali come naturalmente, e senza metter la mano alla spada; et il Re di Francia ha creduto di molto guadagnare perdendo queste conquiste; solo ritirandone in salvo le sue truppe: il gran fatto che solo ha potuto riuscire al Duca di Luxemburg, dopo la partenza del conte Montecuccoli, al di cui gran giudicio, e valorosa condotta, devonsi tutte queste belle operationi che habbiamo divisato, e sono succedute allora ch’egli ha animato colla sua presenza e col prode suo spirito l’armata, e che egli con la sua grande saviezza ha data la mano alla fortuna di Sua Maestà.
Faccia Iddio che questo grand’Homo duri quant’egli è necessario per il sostegno dell’Europa, poiché egli non è sol rinomato per queste operationi contro la Francia nella congiuntura della guerra presente, e delle passate, ma anzi per quelle che sono seguite contro la potenza Ottomana; dove nel punto estremo fece cotanto spiccare la prudenza e valore, alla vista di molti de’ più bravi di Francia, che ci si trovarono, che l’impressione di allora ha cagionato questa veneratione ch’han dimostrato per il suo merito; sì grande che hanno deferito (per dir così) in questa campagna a quanto, è a lui piaciuto.
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XV Per l’andata a Vienna del T. Gen. Montecuccoli dopo la passata campagna del 1675 non potendo più per l’età e per le indisposizioni sostenere il comando delle armi. Si allude alle nozze dell’Imperatore (Sonetto di Bernardino Ramazzini)

O del cielo german canuto Atlante
Che all’erculeo valor posto hai le mete,
Mentre che il ferro tuo le palme miete
Tempera ai danni tuoi l’arma costante.
Ma stringa pure in te falce rotante
L’iniqua Parca, e spegna un dì sua sete.
Non svellerà tuo nome onda di Lete,
Fin che mai fiato avrà la fama errante.
Vanne dunque a fruir calme festose
Ove dell’Istro fra i gelati umori
Spiega l’ali Imeneo sempre amorose.
E mentre che Ciprigna e i casti Amori
Intreccia al tuo Signore e mirti e rose,
Tu gli presenta i trionfali allori.

Un altro sonetto sul ritorno a Vienna di Montecuccoli dettò il Ramazzini, che comincia: “Armasti è ver fin’ora o Raimondo” e che si omette per brevità, e così un componimento del medesimo in quarta rima pel ritorno dello stesso generale al campo nel 1675.

XVI Risposta del generale R. Montecuccoli alla lettura di partecipazione della sua nomina a protettore dell’Accademia dei Curiosi della Natura, in Vienna

Prænobili Doctissimo ac Consultissimo Domino Johanni Michæl Fehr medico, Quam proxime abhinc elapsa nona Octobr: Suinfurto ad me dedisti epistolam non tantum rite accepi, sed etiam Tuam Collegarumque Tuorum petitum probe intellexi. Me Tuæ (cui laudabiliter præes) Acca[p. 568 modifica]demiæ Tuorumque expetis Protectorem, atque ita honorificam procul dubio imponere cogitas provinciam, quam vel ideo promtus suscipere non prætermitto quia de Tuo Tuorumque primum constanti fervore dein optato pro bono publico et studio vestro secuturo emolumento minime dubito. Sicut igitur pro hac oblata mihi honorifica sparta præsentibus officiosissimas rependo grates, ita non minus, ubi imposterum laudabile Tuum in promovendo hoc studio desiderium pio viribus secundare potero, partibus meis haud quaquam deero, ac vicissim semper futurus sum. Viennæ, 27 novembris 1676 Ad officia paratissimus R. a. Monteuccoli

XVII Epitaphium <poem> Raymundus hic jacet Cujus virtute stant reges Maiores sortitus Quos tales decerent posteri Fulgorem natalium Claritate facinorum geminavit Puer literas Adolescens arma tractavit Vel cum ferre vix posset Nullum non laborem perpessus Seu cum militem disceret Seu cum gereret ducem Propriis meritis Gradatim Omnibus militiae honoribus insignitus Et Gradus omnes emensus Bellici consilii Praeses Et Princeps factus Caesaribus Regibusque Non semel instrumentum Victoriae Saepe securitatis causa Quam egregie exercuerat sub Ferdinandis militiam Ad Leopoldum usque pertraxit Strenum 50 annorum operam In gravissimis bellis Et expeditionibus praestitit Leopoldique auspiciis Poloniae Daniaeque Regibus coronas defiscit Pluresque irroraturus palmas Bellici sudoris imbre Vistulae eas Arabonis, Danubii, Maeni, Rheni Balthicique maris plantavit in ripis Fractis eorum cornibus Bajulare jubens exercitum juga Thracia Luna Bellici litui carminibus excantata Barbarorum acinaces Germano chalybe hebetavit Per suffocatorum aquis cadavera Saliens in triumphos Afflatos Rebellionis turbine subditos Ne excrescerent in aperta bella Suasit rebelles meti Ne subverteretur Germaniae cardo Et Romani Imperii cataractae Ne ruerent Ferreos pluteos objecit et valla Hector in bello Janus in pace Inter politicos christianus Inter aulicos pius Fortunatus sine ambitione Sine superbia eruditus Sine supercilio prudens Multorum annos [p. 569 modifica]Plurimorum gloriam superquessus Nihil sibi Omnia Reipublicae tribuens Nec favori decessit Nec invidiae Rarissimis naturae dotibus Subtili spiritu Judicio defaecato Factis praeclarus Caesaribus Tribus Toga sagoque fidus et charus In bello fortis In castris vigil In tribunali propitius In consiglio praeses In praeside sapiens Omnium ad bella pertinentium Moderater Sed maxime sui Honorum gradibus annos Menses praeclare gestis Dies pietate distinxit Ille Ille Sideris instar Innixus Coelo, licet adhuc terris In animis hominum colitur Unius uxoris vir Unius Etiam filii (sibi simillimi) Et trium filiarum Pater Anno aetatis 73 In senectute bona Coelitum auctor Terrestrium satur Hemorroidum fluvio Lintzii extinctus XVI octobris die Plenus dierum Plenus honorum Caesari fidus Regnis laudatus, utilis Orbi Injurius nemini Magno sui relicto desiderio Viennam deductus In societatis Jesu templo Quiescit in Domino Pie Jesu Domine dona ei requiem sempiternam Amen </poem>