Roveto ardente/Parte terza/IV

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[p. 325 modifica]Flora nascose i due biglietti da cento entro un bel portamonete di bulgaro, donatole da suo marito durante il viaggio di nozze, e cominciò a procurarsi la distrazione di andare da un negozio all'altro, facendo piccoli acquisti di oggetti inutili.

Comperava per il gusto di comperare. Era per lei un piacere nuovo porre da sola il piede entro i grandi negozi dal pavimento di marmo sinuosamente intersecato da morbide guide a colori, e di cui le pareti erano coperte con alte vetrine rilucenti, dove si trovavano disposti, con artistica bizzarria, innumeri gingilli. Il commesso, elegante e discreto, affettante eso tismo nell'accento, le veniva incontro e, inchinan dosi profondamente, le chiedeva a bassa voce, con tono quasi di mistero, in che cosa potesse ser virla. Ella desiderava tutto in generale, e particolar mente non desiderava nulla. Domandava di scegliere qualche cosa per fare [p. 326 modifica]un regalo, e i ninnoli fragili e costosi si dispone vano in fila sul piano del banco nitido come specchio.

La signora rimaneva titubante, stordita dall'at mosfera greve del negozio.

Il commesso faceva valere gli oggetti con elo quio forbito, e da abile giocoliere, pure avendo l'aria di sottoporle una esposizione varia e im parziale, le teneva ostinatamente sott'occhio qual che oggetto di scarto, che la signora finiva col portarsi via.

Il commesso l'accompagnava premuroso sino alla soglia del negozio, spalancando la grande porta a cristalli con atto di ossequio.

La rivelazione completa dell'amore aveva de stato in Flora il brulichìo di molti istinti, rimasti fino allora come assonnati nel fondo del suo tem peramento.

Il gusto dei dolci e dei profumi, amati sempre in una certa misura, divenne in lei frenesia.

Quasi ogni giorno portava in casa, di nasco sto, minuscole bottigliette, dal turacciolo smeri gliato chiuso entro una guaina di pelle bianca e stretta da un elegante nastrino di tinta squisita.

Ella se ne rovesciava il contenuto sui capelli, nelle vesti, sulle braccia e rimaneva bianca, im mobile, a respirare le acute esalazioni, simile alla sposa dei cantici, che, con le carni macerate dagli aromi, tenda l'orecchio a discernere il passo del signore desioso.

La testa le doleva, il cervello si offuscava ed ella evocava l'immagine di Germano, che le ap pariva nel sogno torbido, più alto, più bello, fiammeggiante come un dio, animato da un ardore inestinguibile. [p. 327 modifica]Usciva esausta da tali crisi, nauseata della realtà, che le si presentava fredda e meschina al confronto delle sue chimere.

I dolci dovevano essere sopraffini per invo gliarla. Le torte manipolate da Anna Maria e che tanto le erano piaciute nei primi tempi del suo matrimonio, la muovevano a schifo.

Voleva i cioccolatini fragranti, chiusi nelle carte multicolori; gli zuccherini che le si scioglievano in bocca, rinfrescandole il palato; i canditi stil lanti miele; le sottili paste a sfoglia docili a sgre tolarsi; la crema uscente candida e leggera dall'involucro zuccherato, simile a fiocco di neve.

I confetti, ripieni di rosolio o massicci di man dorle, erano la sua passione, e ne teneva in serbo una provvista da masticare con voluttà durante le sue letture.

Giorgio gliene scoprì un pacchetto, dissimulato sotto uno strato di nastri, ed ella disse di averli avuti in dono da sua madre.

L'abituale ripugnanza a mentire cedeva sotto la necessità imperiosa della menzogna, che le cir costanze imponevano.

Era necessario mentire per nascondere le sue giornaliere escursioni alla posta; era necessario mentire per ispiegare le visite frequenti di Pene lope, che, all'insaputa di Anna Maria, si faceva re galare dalla signora vino, zucchero, caffè e sapone.

Le provviste diminuivano a vista d'occhio, ed era necessario mentire ancora per sostenere im perterrita che ella non entrava nella dispensa.

Frattanto le duecento lire si dissolvevano ra pidamente e la dissipazione non leniva in Flora il dolore per l'assenza di Germano, e, sopratutto, [p. 328 modifica]non valeva a consolarla dello sterile laconismo delle lettere di lui.

Ognuna di quelle lettere sospirate, ritirate a costo di mille pericoli dalla casella postale, rice vute con mano tremante, lette con palpiti furtivi ed occhi velati di pianto, costituiva per lei la più crudele disillusione.

Erano brevi e senz'ànima. Spesso parlavano- di cose completamente estranee al loro amore. Re ginetta aveva la rosolia; un cavallo stava amma lato; la bicicletta, di forte costo, si era frantu mata in una ripida discesa e Germano aveva corso rischio di fiaccarsi il collo.

Flora, incollerita, strappava il foglio in mille pezzi e appena i frammenti volavano o giacevano al suolo tra il fango della via, ella attribuiva alle parole testò lette un senso recondito di passione, e cominciava a desiderare la lettera successiva, che non era più tenera delle altre e che le pro curava lo stesso rammarico iroso.

Se Germano peraltro scriveva poco e male, faceva di tutto per recarsi a Roma il più spesso possibile. Dal novembre al febbraio venne tre volte.

Arrivava il sabato mattina ben deciso a ripar tire la sera della domenica, ma le braccia di Flora erano così tenaci che egli non perveniva a distrigarsene.

Prolungava dunque la sua dimora di tre, di quattro, di cinque giorni, finché egli fuggiva co dardamente per evitare le lacrime dell'amante e i rimbròtti della moglie.

Flora non sapeva capacitarsi in qual modo Germano che, standole vicino la copriva di baci deliranti, e aveva gridi di smarrimento per ogni [p. 329 modifica]

sua posa, potesse scriverle di quelle lettere aride più della selce.

Vedendoselo accanto anelante e insaziabile, ella gl'insinuava le dita fra i capelli e gli domandava:

— Perchè, quando sei lontano, non mi scrivi le cose che mi dici quando sei vicino? Mi ren deresti felice e invece mi fai tanto soffrire.

Egli doveva confessare che lo scrivere lettere era per lui un vero supplizio.

— Capisco che tu per amarmi hai bisogno di vedermi — Flora diceva con accento di rim provero.

Germano non esitava a convenire che, veden dola, e sopratutto abbracciandola, sentiva di amarla molto di più.

Ella rimaneva imbronciata, dichiarando essere un povero amore quello che illanguidisce per la assenza, mentre Germano asseriva, ridendo, che anche Tarnore ha bisogno di nutrimento per man tenersi robusto; e la teneva sotto il suo sguardo, meravigliato di scoprire in lei sempre bellezze nuove, e ammirando tutto di lei con rapimento; il bagliore dei capelli, il diafano candore delle spalle, la snodatura del dorso, il profumo delle vesti, la fronte levigata al pari del marmo, le pa role appassionate, le idee assurde, le fantastiche bizzarrie sentimentali.

Quanto a lei idolatrava l'amante, ma, per es sere con Germano divinamente felice, aveva bi sogno di foggiarsi nella fantasia uno stato di verso da quello che la realtà le presentava. Se tacevano qualche passeggiata in carrozza fuori delle mura, lo sfondo vasto e solenne della cam pagna romana, non le bastava; per gioire dell'ora doveva fingersi di essere con Germano in mezzo [p. 330 modifica]

al mare, e la carrozza diventava una barca, da cui si lasciava cullare socchiudendo gli occhi; se stavano in una carrozza elettrica sognava di es sere in treno, e una volta che fecero una gita sul Tevere in vaporino, ella fantasticò durante l'intiero tragitto, di percorrere coll'amante uno dei grandi fiumi americani per recarsi a vivere in una veranda sepolta fra alte piantagioni, dove uccelli dalle piume screziate gorgheggiavano strani canti e dove servi dalla pelle d'ebano avrebbero intrecciato, per divertirla, guerresche danze sotto la luna.

— A che pensi? — le domandava Germano. — Taci. Penso a te, penso a noi — ella ri spondeva con una sfumatura d'impazienza nella voce. Poi, quando Germano era partito, la realtà le tornava al pensiero col fascino delle cose ineso rabilmente perdute, ed ella ne rievocava ogni par ticolare, ne ricercava ogni traccia. La vita normale le riusciva ogni giorno più intollerabile. La sua casa le pareva una prigione, suo marito un carnefice, Anna Maria un'aguzzina; ma, in pari tempo, riconoscendo l'ingiustizia di tale odio e l'insussistenza di tali apprezzamenti, provava, a scatti, impeti di pentimento e di ri morso che la spingevano a manifestazioni ecces sive di affetto o ad una esagerata umiltà di lin guaggio e di contegno. Giorgio non la incoraggiva in tali sue resipi scenze, e seguitava a conservare verso di lei l'abi tuale atteggiamento austero di rassegnata ama rezza. Come non aveva per la moglie nessuna pa rola di rimprovero nei giorni in cui ella si mo strava fantasticamente irrequieta, così non aveva [p. 331 modifica]

per lei nessuna parola conciliante nei momenti in cui ella tentava di farsi amare e perdonare. Flora, indispettita, tornava a chiudersi in sè, approfit tando dell'ostentata indifferenza di Giorgio per vivere a suo modo, andando e venendo in qua lunque ora della giornata, senza pensare a dare spiegazioni e senza che nessuno pensasse a do mandargliene. Oramai non contava più nella fa miglia. Il cavaliere ed Anna Maria mostravano apertamente di considerarla quale una intrusa che si deve sopportare per fatalità ed a cui si usano dei riguardi per educazione.

Talora ella soffriva in modo atroce per questo suo isolamento; ma il più delle volte non se ne accorgeva o non se ne curava.

Ai primi di marzo avvenne un fatto sbalorditivo. Balbina manifestò all'improvviso il proposito di trascorrere a Roma una parte dell'anno per co minciare l'educazione di Reginetta, e in poche settimane la famiglia Rosemberg si trovò defini tivamente installata in un appartamento di via Torino. Balbina aveva sentito venir da Roma odor di polvere e, audacemente, correva a guardare in faccia il pericolo. Fin dalla prolungata assenza del novembre, aveva compreso che il marito si era impigliato in qualche strana avventura, e il suo fiuto l'aveva fatta accorta che l'avventura, non era di quelle a cui ella poteva opporre la consueta e serena indulgenza. Si pose all'erta, studiò, raccolse, cucì, confrontò ogni parola di Germano, lo interrogò con abilità senza darsene l'aria, fece le viste di essere assor bita completamente nelle sue cure di massaia, e, lasciato, a più riprese, cadere nella conversazione [p. 332 modifica]il nome di Flora, si convinse della giustezza dei suoi sospetti dalla cura estrema che Germano po neva ad evitare quel nome.

Pochi giorni dopo essersi stabilita a Roma, ella disse tranquillamente a suo marito:

— Sai? Ho saputo dove abita Flora. Voglio andare domani a trovarla con Reginetta. Sono certa che mi farà buona accoglienza. Dopo tutto siamo state amiche.

Se un dubbio poteva restarle ancora, esso fu dissipato dal viso sconvolto di Germano, il quale si affrettò a prevenire Flora della visita proget tata, supplicandola ad accogliere sua moglie con ogni possibile riguardo.

Per tutta la mattina Flora rimase dominata da un'agitazione terribile; ma, all'atto pratico, l'inter vista non ebbe nulla di spaventoso.

Flora anzi provò un senso di stupore nel tro vare in Balbina una brava e placida signora, di bonarietà perfetta nelle maniere. Neppure l'om bra della goffaggine o della pretenziosità di un tempo nel suo abbigliamento. Si comprendeva a vista d'occhio che Balbina era una donna di buon senso, la quale, sapendo di non poter aspirare all'eleganza, data la forma tozza della persona e la consuetudine della vita campestre, voleva non dimeno che il suo esteriore fosse amabilmente decoroso, quale imponeva la condizione agiatis sima dei Rosemberg.

Il vestito di panno nero, foderato di seta, era di taglio ottimo: di vera martora il colletto; il cappello di velluto, posato senza alcuna civetteria sulla massa dei capelli fulvi, era modesto nella forma, quantunque costoso per le applicazioni di acciaio e la ricchezza dei suoi nastri. Alle orec[p. 333 modifica]chie scintillavano due grossi brillanti e un vezzo di perle mandava i suoi riflessi discreti fra la lu centezza della martora.

Reginetta, chiusa in una veste di pesante stoffa bianca, coi bruni capelli raccolti in massiccia treccia pendente sopra le spalle, era il parlante ritratto di Germano e si teneva immobile presso sua madre.

Trascorso il momento delle prime accoglienze, che furono cordialissime, Flora non potette a meno di complimentare Balbina per il suo modo di vestire. Ella non avrebbe creduto mai che, vi vendo abitualmente in campagna, si potesse im parare ad abbigliarsi con tanta sobria signo rilità.

— Ordino i miei abiti a Bologna ·--· spiegò Balbina, punto offesa per la meraviglia dell'amica. — Li ordino a Bologna e da una sarta di grido. Ciò ha l'aria di costare il doppio e costa invece la metà, perchè un vestito mi fa benissimo due stagioni, e sono sempre a mio posto. Ma par liamo di te che sei bella come una fata, elegante come una regina. Hai fatto un matrimonio splen dido a quel che vedo.

Flora arrossì, ma pronta rispose: — Mio marito è una persona ottima e niente mi manca. · — Era vedovo tuo marito, quando ti ha spo sata, non è vero? domandò Balbina con soave candore. — Si, sì, era vedovo — confermò Flora ar rossendo anche di più. — Ma io sono contenta lo stesso. Balbina, sempre più pacata, disse: — E perchè non dovresti essere contenta? Un [p. 334 modifica]marito anziano è preferibile a un marito giovane. I giovani vogliono sbizzarrirsi e sono sempre le mogli che pagano le spese dei loro capricci.

Flora si alzò con moto irriflessivo. A lei pareva che Balbina la fissasse negli oc chi, pronunziando quelle parole; ma Balbina era invece intenta a riallacciare nel guanto un bot toncino uscito dall'occhiello; e Flora, imbarazzatissima di trovarsi in piedi, prese, tanto per fare, un ritratto di Giorgio e lo porse a Balbina: — Questo è mio marito — ella disse, sedendo di nuovo; ma cominciando a provare i sintomi dell'irrequietezza che da qualche tempo la tor mentava sempre e per cui la continuità della me desima posa o di uno stesso discorso, le riusciva di supplizio. — K' un uomo bellissimo, stupendamente con servato per la sua età — Balbina disse — Nes suno supporrebbe che ha oramai sessantanni. — Cinquantasei — corresse Flora, intrecciando le mani e facendo scricchiolare le dita. Più la visita di Balbina si prolungava e più il malessere aumentava in lei. Ebbe una specie di soffocazione, e dovette alzarsi di nuovo e spa lancare le imposte. Il respiro le mancava. Balbina la seguì nel vano della finestra e la guardò curiosamente. — Dio mio! come sei pallida! Ti senti male? Flora si compresse le tempie con le palme e chiuse gli occhi un momento. — Da alcuni mesi soffro di vertigini; ma passa subito. Ecco, è già passato — ella disse, traendo il respiro e sorridendo di un sorriso stentato. — Dovresti curarti — osservò Balbina. — Ora che ti vedo bene alla luce ti trovo assai sciu[p. 335 modifica]pata. Hai gli occhi cerchiati e le labbra scolorite. Non se ne andava mai, cercava mille pretesti per indugiare, e Flora intanto soffriva come se Balbina assorbisse per sè sola tutto l'ossigeno dell'aria.

Sul punto di licenziarsi, la signora Rosemberg manifestò il desiderio di visitare la casa e, os servando ogni minuzia con occhio esperto, non finiva di rivolgere a Flora lodi sincere per il buon ordine scrupoloso dell'appartamento.

Flora, snervata, passandosi una mano sulla fronte, disse che gli elogi spettavano ad Anna Maria; in conseguenza di che la signora Rosem berg trattò la domestica con molta considerazione, dicendo che una donna simile valeva un tesoro in una famiglia.

Quando Balbina fu uscita, Anna Maria mani festò con entusiasmo la propria ammirazione per la signora Rosemberg.

Flora non l'ascoltava. Ella si sentiva triste fino alla morte, perchè già l'immagine di Balbina si frapponeva tra il suo pensiero e l'immagine di Germano, e un velo sottile scendeva già lenta mente a dividerla dalla sua felicità.

Lo scambio delle visite divenne attivissimo. Balbina trascorreva talvolta mezza la giornata in casa Gualterio, e Flora, per far piacere a Ger mano, doveva usarle ogni sorta di gentilezze.

L'intimità fra le due signore, lungi dal favorire gii amanti, li ostacolava.

Flora e Germano stabilivano di fare una di quelle gite che, nei primi tempi del loro amore, li aveva resi tanto felici? Balbina domandava di recarsi tutti assieme al Pincio e Germano non osava opporsi. [p. 336 modifica]La gita d'amore veniva protratta e una placida passeggiata in famiglia aveva luogo tra i viali del Pincio, nell'ora della musica. Germano dava la mano a Reginetta; Balbina si appoggiava al braccio di Flora, che provava in cuore un' ira mista di nausea e davanti al cui sguardo la noia intesseva con fili viscidi una fosca ragnatela.

Al momento di lasciarsi. Germano le premeva forte la mano con intenzione, ma la mano di lei rimaneva inerte, non rispondendo alla stretta.

Spesso accadeva che i loro appuntamenti clan destini non potevano aver luogo, perchè Balbina li scompigliava; ed era sempre l'amante che do veva rassegnarsi di fronte alle esigenze della moglie.

Balbina faceva anche all'amica certe confidenze che producevano a Flora l'effetto di uno straccio di cucina, gettato sopra l'azzurro manto serico di una regina che vada sposa nel mondo delle fate.

Germano aveva l'abitudine di russare, dormendo; russava tanto forte che Balbina doveva scuoterlo per paura che destasse i vicini; Germano man giava molto, anzi troppo e lo stomaco era la via più breve per arrivare a toccargli il cuore; Ger mano era pigro. Se gli avessero detto che, fati cando un pochino, sarebbe giunto a toccare il cielo col dito, egli vi avrebbe rinunziato per non iscomodarsi. Germano era fiacco di carattere. Se Balbina fosse stata prepotente, avrebbe potuto menarlo per il naso e condurlo a bacchetta come un bambino.

Flora ascoltava con la rassegnazione passiva di un prigioniero incatenato che veda scavar la fossa, dentro cui dovranno tra poco seppellirlo. La fossa [p. 337 modifica]diventa sempre più larga, sempre più fonda, ogni palata di terra che si scava rappresenta un attimo di vita che se ne va e il prigioniero, abbrutito dal sentimento della propria impotenza, contempla l'opera crudele con occhio ebete, ed ha bisogno di scuotere le sue catene per assicurarsi di vivere ancora.

Quando riusciva finalmente a trovarsi sola con Germano, si avviticchiava a lui come un nau frago.

— Taci, taci — ella gli diceva — non par larmi. Baciami, stringimi forte.

Egli la baciava con impeto, e Flora non si sentiva contenta finché le imposte non fossero chiuse, finché la più completa oscurità non re gnasse nella stanza.

Allora abbandonava l'esile persona sul petto ampio di lui e gli bagnava il volto di lacrime, mentre i sospiri ardenti della sua bocca convulsa morivano sopra la gota di Germano.

— Perchè piangi così? — egli le domandava. — Taci — ripeteva Flora perdutamente. — Abbracciami, baciami, non parlare. Una volta che egli insistette per conoscere la ragione di quelle lacrime, Flora ebbe una crisi che lo fece pensare ad un accesso di pazzia. — Piango perchè tu sei morto e io voglio farti rivivere almeno per un momento. Ma non ci riesco, no, non ci riesco. Egli, sentendo che i singhiozzi stavano per sof focarla, corse a spalancare la finestra. Generalmente la luce la faceva tornare in sé; ella guardava allora l'amante con occhio mesto c pietoso come si guarda appunto l'effigie di un caro defunto, e ascoltava distratta i discorsi di [p. 338 modifica]Germano, a cui piaceva il cicaleggio confidenziale dopo i momenti d'intimità.

— Quando ci rivedremo? — egli le domandava, sollevandole la veletta per darle ancora un bacio.

— Quando vuoi — ella rispondeva con melan conica stanchezza, e volgeva il capo perchè il bacio di lui non la cogliesse sulla bocca.

Usciva sfinita da quei colloqui, con le membra spezzate e la testa indolenzita. Le ossa le face vano male come se fosse precipitata da grande altezza e nel vuoto del cervello sentiva circolarsi un freddo persistente come l'ala di un grande uccello sinistro, che si agiti nell'apertura di una voragine.

Ma bastava che rimanesse due giorni senza vedere i Rosemberg, perchè l'amore ingigantisse nuovamente in lei, sollevandola di peso fra i nimbi azzurri di regioni fantastiche, dov'ella chia mava Germano, protendendo le braccia verso di lui e adornandolo di ogni bontà e ogni bellezza.

Viveva così in un perpetuo ondeggiare di al talena, ora attingendo col capo le nubi a inebbriarsi di fulgori, ora strisciando i piedi tra la polvere del suolo; ma irrequieta sempre, avvolta sempre dal soffio vacuo del vuoto in mezzo al quale rimaneva sospesa.

Il cavaliere non conosceva ancora la famiglia Rosemberg, quantunque Anna Maria gli parlasse continuamente di Balbina con parole esaltate di elogio.

Ricordava egli che Germano era stato innamo rato di sua moglie? Nessuno avrebbe potuto dirlo. Egli diventava di giorno in giorno più taciturno, scambiando appena con Flora le poche parole necessarie alla cortesia famigliare. [p. 339 modifica]Non mostrò alcuna contrarietà a conoscere gli amici di lei, e poiché Balbina desiderava che le relazioni di amicizia fra le due famiglie diventas sero più complete e più salde, fu deciso che si riunirebbero tutti sulla terrazza di casa Gualterio in un pomeriggio domenicale.

Anche Adriana e il colonnello vennero pregati di non mancare e la brigata fu al completo.

Germano aveva provato un fastidio inesplica bile nel salire per la prima volta le scale di casa Gualterio. Egli, con l'uno o con l'altro pretesto, si era schermito sempre di accompagnare Balbina nelle sue visite, pure provando un'acuta curiosità di conoscere il marito della sua amante.

Se lo era immaginato, foggiando la figura di lui sulle confidenze di Flora interpretate a modo suo, torvo nello sguardo, arrogante nei modi: ·onde rimase stupito piacevolmente nel trovarsi di fronte un uomo freddo e riservato, ma compi tissimo.

Simpatizzarono subito e, unitamente al colon nello Prezzati, che trascinava adesso la gamba destra per una sciatica, si appartarono in un an golo della terrazza a discutere di politica tran quillamente, mentre la contessa e Balbina si scam biavano ogni specie di convenevoli.

Flora, sdraiata sulla poltrona a dondolo, fis sava, senza parlare, il vasto orizzonte coi me lanconici occhi azzurri, resi più grandi per la magrezza e,più profondi per la pallidezza del viso.

I capelli biondi che, fermati appena da un pet tine di tartaruga, le ricadevano sul collo, e la tunica leggera di batista celeste, davano a Flora, nella diafana luminosità dell'aria, l'aspetto di una creatura di sogno. [p. 340 modifica]

Balbina parlava con la contessa, studiandone ogni gesto, per vedere che cosa ci losse di straor dinario in una donna, la quale aveva corso la cavallina sfrenatamente; ma il fare di Adriana era di una placidezza imperturbabile e i suoi discorsi della più innocente vacuità. Si lamentava con pa rola tranquilla della esigenza pazza delle persone di servizio e raccontava il dispiacere provato per l'ingratitudine di una cameriera, amata più di una figlia e dovuta licenziare su due piedi, perchè sorpresa a chiacchierare in istrada coll'inna morato.

L'argomento della servitù le appassionava en trambe, onde la conversazione divenne anima tissima e le due signore, dopo essersi scambiati molti consigli e molti apprezzamenti, finirono col giudicarsi assai favorevolmente a vicenda.

La contessa trovò che Balbina era una giovane signora posata ed accorta; Balbina trovò che la contessa possedeva una rara esperienza in quanto riguarda l'andamento della casa.

— Perchè Flora non parla mai e cerca sempre d'isolarsi? — domandò Balbina all'orecchio della contessa.

Adriana crollò il capo con un profondo so spiro.

— I figli sono ingrati, mia cara signora. Io ho dato a Flora una posizione invidiabile e Flora non ha saputo approfittarne.

I signori, fumando sigari eccellenti offerti dal cavaliere, divagavano sulle condizioni politiche del paese.

Giorgio era conservatore per temperamento. Tutto quanto esiste ha la sua buona ragione di esistere, non è vero? E, a ogni modo, gira e [p. 341 modifica]rigira, la società si muove sempre sullo stesso pernio e le assi si ritrovano sempre al medesimo punto.

Egli dunque stava col governo e per il governo. — Se il governo che, per logica di cose, si trova sopra un campanile, mi grida di lassù di volgere a destra, perchè io, che cammino in basso, dovrei volgere a sinistra? Sarebbe ostinazione, sarebbe sciocchezza, e le sciocchezze si pagano, come di giusto. Il cavalier Frezzati avrebbe avuto molte cose da opporre al ragionamento del cavaliere, essendo egli molto proclive alla censura. — Chi fa falla — egli soleva dire, — e il governo, alla fine dei conti, è formato di esseri a nostra immagine e somiglianza — ma la divisa insegna a ubbidire, non a discutere, e quantunque il co lonnello avesse deposto la divisa da molti anni, si sentiva in obbligo di mostrarsi solidale con l'esercito, che è il braccio del potere esecutivo. Germano ascoltava con deferenza. Egli leggeva pochissimo i giornali e, in fondo, se ne rideva della politica; ma l'essere terzo fra il senno di un ragguardevole funzionario e di un colonnello in ritiro, lusingava il suo amor proprio di signo rotto campagnolo, dal cervello piuttosto ottuso e dalle idee piuttosto limitate. Annuiva con molta cautela per non apparire supino e con qualche restrizione per lasciar credere di vederci chiaro nelle acque torbide della politica, senza per questo nascondere quanta profonda ammirazione susci tassero in lui le opinioni ben determinate del ca valiere. Dove non si trovarono affatto d'accordo fu quando il discorso cadde sull'enormità delle tasse. [p. 342 modifica]Germano, nella sua qualità di possidente, era ad dirittura nauseato e divenne eloquentissimo. Le tasse, secondo lui, rappresentavano un furto bello e buono.

Con quale diritto il fisco metteva le mani nelle sue tasche e gli mungeva il portamonete, senza la sciargli nemmeno la consolazione di gridare al ladro?

— Ma scusi diceva il cavaliere, riscaldan dosi — che cos'è la Società?,, un'associazione. Se lei s'inscrive in un'associazione, lei paga la sua quota, non è vero?

— Ma se io non voglio inscrivermi non pago niente-- rispondeva Germano con calore-- mentre le tasse devo pagarle per forza, mi piaccia o non mi piaccia.

— Ma il governo assume o non assume sopra di sè tutte le spese? — insisteva Giorgio, po sando aperte le grosse mani sulle cosce poderose — Chi mantiene l'esercito? Chi mantiene la flotta? Chi paga gl'impiegati?

— Io non sono impiegato — rispondeva Ger mano — A me nessuno mi paga e dell'esercito e della flotta io non sento nessun bisogno.

Il colonnello Frezzati disapprovò severamente. — L'esercito è il cardine della Società, signor mio, e chi potrebbe concepire senza flotta un paese disteso fra tre mari? Bisogna essere logici! Il Rosemberg riconobbe che l'esercito di terra e di mare poteva anche essere una necessità per l'Italia; ma questo non lo compensava affatto dei suoi sacrifici personali. L'idea che i quattrini estorti alle sue tasche servivano, forse, a pagar lauta mente un tenente di vascello in rotta per le In die, gli sembrava una idea mostruosa, basata sopra l'assurdo. [p. 343 modifica]— Sono discorsi inutili — insisteva il cava liere — sull'esazione delle tasse poggia il be nessere della convivenza sociale. Io esco di sera e trovo le vie illuminate; esco di giorno e le trovo spazzate ed inaffiate, n, giusto o non è giusto che io paghi illuminazione e nettezza?

— Sarà come lei dice — esclamava il Rosemberg eccitatissimo — Ma le mie tenute nes suno pensa a illuminarle, e se l'acqua non cade dal cielo, il raccolto brucia allegramente, senza che il governo se ne dia pensiero.

— Il governo qui non c'entra. E questione mu nicipale.

— Io non guardo chi piglia, guardo quello che do.

Flora gustava una gioia amara nel denigrare Germano dentro di sè.

L'osservava per la prima volta in conversa zione e, per la prima volta, l'orgasmo dei sensi o la concitazione dello spirito, non le facevano velo al giudizio.

Egli vestiva bene, ma senza garbo. Il solino, troppo alto, gli segava la nuca e una rigonfiatura di carne arrossata contrastava con la bianca lucentezza della tela. Non si era mai accorta che fosse così grasso anche lui. E perchè si era abbigliato in tuba e soprabito per recarsi, di estate, sopra una terrazza? Il soprabito, stretto alle spalle, pareva doversi schiantare ad ogni mossa e le falde ricadevano intorno alla seggiola, ondeggianti al pari di una gonna. Chiuse gli occhi e rivide Germano in farsetto di velluto alla cacciatora, col fucile a tracolla, il cappello moscio piantato di traverso, e Flock sbu[p. 344 modifica]care dall'angusto viottolo fiancheggiato di siepi. Balbina stava in piedi, addossata a un tronco; il vento scuoteva forte i rami che si contorcevano gemebondi, le nubi correvano fosche pel cielo ed ella era felice.

Suo padre affogava intanto nell'acqua limac ciosa del vascone. Possibile che soli dodici anni fossero trascorsi da allora?

Possibile che Germano, Balbina, ed ella stessa fossero le persone medesime di quel pomeriggio autunnale?

Dio! come la vita è bugiarda! Promette tanto e non mantiene niente!

Era già tardi quando si divisero col proposito di rivedersi spesso. Si sentivano soddisfatti gli uni degli altri e furono scambiate ripetute strette di mano piene di amichevole cordialità.

Il cavaliere, di solito poco espansivo, pregò il Rosemberg di tornare presto.

Gli avrebbe mostrato la sua collezione di fran cobolli e avrebbero giuocato qualche partita, a dama, sulla terrazza.

Germano rimase pensoso fino al suo apparta mento di via Torino; ma, coricata Reginetta e trovatosi solo con Balbina, non potè fare a meno di esporre il suo pensiero.

— La signora — così egli chiamava Flora, parlandone con la moglie — ha torto di lamen tarsi di suo marito. Il cavaliere mi pare una per sona rispettabile. Non capisco perchè la signora ne dica tanto male.

Balbina, riponendo accuratamente nell'armadio il vestito nero di Germano, rispose:

— Flora non ha il cervello a posto. Anche sua madre se ne lamenta. [p. 345 modifica]Che cosa avrebbe preteso, dopo tutto? — disse Germano, asciugandosi la fronte, perchè era sudato, Balbina gli porse un fazzoletto di seta da met tersi intorno al collo, soffrendo Germano facil mente di raffreddori.

— Avrebbe preteso di sposare te, per renderti infelice — ella disse, e, dandogli le pantofole di velluto ricamate dalle sue mani, soggiunse:

— E ci sarebbe riuscita a renderti infelice; sta tranquillo che ci sarebbe riuscita magnificamente — e, poiché il marito aveva sete, gli preparò un bicchiere di acqua zuccherata con cognac.

— Forse hai ragione. A quest'ora potrei es sere pentito — egli disse, dopo aver bevuto e trattenendo la moglie vicino a sè.

Balbina rise e accarezzò il marito sui capelli. Germano le cinse la persona con ambo le brac cia e se la fece sedere sulle ginocchia. — Come pesi! Come sei grassa! — egli disse, guardandola intenerito — Sono grassa perchè sono tranquilla, perchè non ho capricci, nè melanconie — ella rispose; poi, dopo una lunga pausa, concluse: — Le sciocchezze passano e l'affezione rimane. L'affezione sola è quella che vale. — Sì, sì, dici bene tu. l'affezione sola vale davvero — e le scoccò un bacio sopra una gota. Balbina gli restituì il bacio; poi andarono a cena, fissandosi negli occhi. Ai primi di luglio i Rosemberg lasciarono Roma per tornare alla fine di ottobre e tale partenza sembrò a Flora una liberazione.