Considerazioni sulla poesia lirica

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Ugo Foscolo

Indice:Opere scelte di Ugo Foscolo II.djvu critica letteraria letteratura Considerazioni sulla poesia lirica Intestazione 5 marzo 2017 75% Critica letteraria

Le Grazie (1835) Il tempo
Questo testo fa parte della raccolta Scelte opere di Ugo Foscolo
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CONSIDERAZIONI

SULLA

POESIA LIRICA1


La definizione, che prima i filosofi e poscia i facitori di poetiche diedero della poesia [p. 242 modifica]lirica, è forse la più esatta di quante abbiamo in letteratura. La poesia lirica canta con entusiasmo le lodi de’ numi e degli eroi. La religione ed i fasti delle nazioni furono i primi ad ottenere, per mezzo della poesia lirica, monumenti perpetui dalla letteratura; da che questa poesia emanò non tanto dalle tarde istituzioni sociali, quanto dall’entusiasmo naturale alla mente dell’uomo, e non frenabile quasi, quand’è mosso da forti e perpetue passioni.

Finchè gli uomini non avevano se non se il canto, tutta la loro storia e le loro leggi religiose e politiche dovevano necessariamente trovarsi nella tradizione delle loro canzoni. Questa opinione è avvalorata da’ libri de’ profeti ebrei e dalla storia de’ druidi e de’ bardi. La narrazione de’ fatti del popolo di Giuda, è tessuta da Isaia in un corpo di odi; e i Britanni avevano poemi nel secolo VII, ma non avevano storia veruna. Nè pare che Omero avesse potuto scrivere la divina Iliade, se prima molti e molti poeti non avessero cantato le imprese de’ Greci nell’Asia. Certo è che Omero non era contemporaneo degli Atridi e d’Achille; bensì fa menzione d’antichi poeti. Massimi fatti o straordinari, dice un autore, destarono la poesia lirica face illuminatrice dell’antichità. La navigazione degli Argonauti e la confederazione di [p. 243 modifica]tutta la Grecia sotto Troia hanno dato luce a loro secoli per aver eccitati i poeti a cantare quell'imprese. Prima che l'ira d'Achille fosse epicamente narrata, molti inni ed odi l'avevano fatta eia celebre nella memoria di tutti i popoli greci.

Come la poesia lirica fu prima a nascere, così anche pare che sia stata la prima a degenerare. L'entusiasmo nelle nazioni si va mortificando a misura che crescono le arti fondate sul raziocinio e sul calcolo. Quindi la poesia lirica, anzi che sgorgare con impeto dell'animo de'poeti, venne faticosamente finta con un entusiasmo compassato e fittizio.

Operosa parvus
Carmina fingo.
Hor.

E's'è potuto giustamente asserire che Virgilio abbia superato Esiodo nel tutto, ed Omero in alcune sue parti; ma Orazio confessa che Pindaro non si può nè superare mai, nè imitare. Questa inarrivabile sublimità di Pindaro ebbe origine non solo nella tempra dell’ingegno di quell'uomo straordinario, ma ben anche nel carattere de'suoi tempi. Orazio poteva agguagliare e superare talvolta le grazie amabili d'Anacreonte e condirle di soave e gentile filosofia. Roma era allora l'emporio delle [p. 244 modifica]arti belle e del lusso; e la filosofia di Epicuro aveva prevaluto, da che le sanguinose rivoluzioni della repubblica avevano insegnato ai letterati che una tranquilla servitù è da preferirsi a una burrascosa libertà; e nel medesimo tempo i cittadini più potenti, cominciando ad astenersi dalle faccende politiche, attendevano a godere de’ frutti della pace sotto il regno d’Augusto. In sì fatta condizione di tempi, l’entusiasmo non può mostrarsi senza essere deriso e punito; si scrivono satire piene di sale, elegie piene di vezzi e d’amore; ma poche belle odi e pochissime odi sublimi.

La poesia lirica fu dagli scrittori di poetica e da’ poeti stessi confusa con la amorosa, che Alessandro Tassoni, nelle note al Petrarca, chiama più esattamente col nome di poesia melica; e con la poesia morale, di cui gli esempi migliori sono ne’ versi d’Orazio.

Un madrigale, un epigramma e una sentenza filosofica, perchè erano scritti in versi lirici, furono chiamati ode. Si trascurò l’essenza e si badò alla forma esteriore. Nella letteratura italiana, questa confusione di generi andò crescendo ognor più. I canzonieri de poeti si chiamarono libri di poesia lirica: i sonetti di amore e le canzoni propriamente italiane (così dette, per distinguerle dalle pindariche e [p. 245 modifica]dalle altre fatte alla latina e alla greca) non sono se non elegie, e furono collocate nel genere lirico. Ma a ben considerare le poesie del Petrarca, le canzoni veramente liriche sono quelle ov’ei tratta delle cose politiche d’Italia, e le poche ove idoleggia le idee sublimi della filosofia d’amore. Ma le canzoni: Chiare, fresche, dolci acque; Di pensier in pensier, di monte in monte e le altre molte di questa specie, sono piuttosto elegie o vanno poste, secondo l’avviso del Tassoni, nel genere melico. Gli Amori del Savioli sono chiamali poesia lirica; ma in che mai differiscono dall’elegie di Properzio e d’Ovidio?

Primo il Chiabrera ritrasse la poesia lirica a’ suoi principii; ebbe; contemporaneo; il Testi, poco dopo il Filicaia, il Guidi e il Menzini; ma in tutti più o meno si sente o l’imitazione affettata del greco, come nel Chiabrera, o la corruzione (pervenutaci da’ romanzi spagnuoli e portata all’apice dal Marini), come nel Testi e nel Filicaia; il Guidi è gonfio ed oscuro, e il Menzini non trattò grandi argomenti.

I Francesi lodano a cielo Giambattista Rousseau e non possono annoverare molti lirici. Presso gl’Inglesi, ogni genere di poesia salì al sommo; tranne la lirica, sino a’ tempi di Gray, che nelle poche odi da lui scritte si mostra emulo [p. 246 modifica] degno di Pindaro. Noi Italiani viviamo nell’affanno e nella confusione dell’abbondanza; ma chi volesse scevrare dagl’infiniti nostri canzonieri, da Dante sino all’Alfieri, le poesie veramente liriche, appena ne ritrarrebbe un mediocre volume.

Note

  1. Diede motivo a quest’articoletto un Ode sul tempo, che capitò manoscritta al ch. Foscolo, e della quale si strusse invano di conoscere l'autore. Ad ogni modo la trova assai bella: e se pende talvolta al rude ed al gigantesco, come egli osserva, non per questo precipita; e i pochi difetti vengono compensati dallo splendor, de’ pensieri, dall’armonia e magnificenza del verso, dal chiaroscuro dello stile, dalla varietà dei quadri, e quel che più monta, dalla sublimità e dalla rigorosa unità del concetto. Ci lusinghiamo pertanto che un giudicio sì fatto intorno a quell’ode ne farà perdonare, da’ nostri lettori, la risoluzione presa (malgrado il proponimento nostro di non riunire in questa nostra edizione che cose sole del prelodato autore), di porla in fine alla nostra raccolta. L’Ode, in discorso, sarebbe tenuta in conto di traduzione o imitazione di qualche poesia inglese od oltramontana, come già alcuni credettero, ove il calore e la franchezza che vi dominano non l’appalesassero invece per una poesia assolutamente originale.